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2006: La
politica Il nuovo Governo Il nuovo Capo dello stato Le Elezioni
Amministrative Il Referendum Costituzionale
I due poli a confronto
Politica e Giustizia La Cronaca L'Immigrazione e rapporti con l'Islam.
La politica italiana - 2006 ...
Con le elezioni politiche del 9 e 10 aprile per il rinnovo dei due rami
del Parlamento si apre il quadro degli eventi importanti dell'anno che
ci indicano un nuovo percorso per l'Italia. Le elezioni registrano
infatti la sconfitta, anche se per poche migliaia di voti, della
coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi, dopo cinque
anni di governo. Il centrosinistra si rivela la nuova maggioranza del
Paese e torna al potere con la nomina di Romano Prodi a presidente del
Consiglio dei ministri. Il professore bolognese era già stato presidente
del Consiglio in un governo dell'Ulivo nel 1996-1998 (XIII legislatura), e
più recentemente, nel periodo 1999-2004, aveva assunto la carica di
presidente della Commissione europea.
La XIV legislatura si chiude l'11 febbraio con lo scioglimento delle
Camere e, dopo una campagna elettorale dai toni aspri e accesi, il 9
aprile oltre cinquanta milioni di elettori, compresi i quasi tre milioni
di residenti all'estero, sono chiamati a esprimere la loro preferenza
politica. La novità con cui devono fare i conti gli elettori è il
ritorno del sistema elettorale proporzionale, ma privo del voto di
preferenza, con premio di maggioranza e soglie di sbarramento. Alla
Camera le soglie di sbarramento sono tre: una del 10% per le coalizioni,
una del 4% per le liste non coalizzate e una del 2% per quelle
coalizzate. Alla coalizione vincente viene garantito il premio di
maggioranza ossia un minimo di 340 seggi alla Camera dei deputati. Per
il Senato le soglie di sbarramento sono da superare a livello regionale:
20% per le coalizioni, 8% per i partiti non coalizzati e 3% per quelli
coalizzati; il premio di maggioranza prevede che al Senato chi vince si
prende il 55% dei seggi assegnati alla singola regione. L'altra grande
novità di queste elezioni sono le circoscrizioni estere che permettono
di eleggere 12 seggi alla Camera e 6 seggi al Senato.
Dal giorno dello scioglimento delle Camere scattano i termini per
l'inizio della legge sulle pari opportunità (o 'par condicio') che resta
in vigore fino al week-end delle elezioni. I politici possono
intervenire soltanto nelle trasmissioni informative, a parità di
condizioni, con la garanzia dell'imparzialità. Negli ultimi quindici
giorni, inoltre, scatta il divieto assoluto di pubblicare sondaggi. La
Casa delle libertà è la coalizione della maggioranza parlamentare del
centrodestra, guidata dal presidente del Consiglio uscente Silvio
Berlusconi. Alle elezioni politiche si presenta con i quattro partiti
che hanno costituito l'alleanza principale anche nelle precedenti
consultazioni: Forza Italia, movimento di Berlusconi; Alleanza
nazionale, guidata da Gianfranco Fini; Lega Nord, guidata da Umberto
Bossi; Udc, posta sotto la guida di Lorenzo Cesa, ma il cui leader
storico è rappresentato da Pierferdinando Casini. Anche Alternativa
sociale, il partito di Alessandra Mussolini, si collega alla Casa delle
libertà. Della coalizione del centrodestra fanno parte anche una serie
di partiti e movimenti minori, come il Nuovo Psi di Gianni De Michelis e
il Partito repubblicano italiano di Giorgio La Malfa. Il premier uscente
dà per scontata la sua leadership, ma la Casa delle libertà corre
secondo uno schema a tre punte, visto che gli alleati Fini e Casini
vorrebbero proporsi al posto di Berlusconi nel caso riuscissero a
ottenere un numero di voti superiore a quello di Forza Italia. La
coalizione del centrosinistra è invece rappresentata dall'Unione, in cui
la premiership di Romano Prodi è stata sancita dalle primarie
dell'ottobre 2005. Lo schieramento raggruppa partiti e movimenti che
vanno dalle posizioni centriste dell'alleanza dell'Ulivo, di cui fanno
parte i partiti riformisti di Francesco Rutelli (La Margherita) e di
Piero Fassino (Democratici di sinistra), a quelle della sinistra
radicale come Rifondazione comunista, guidata da Fausto Bertinotti e i
Comunisti italiani di Oliviero Diliberto. Dell'Unione fanno parte anche
l'Italia dei valori (Idv) di Antonio di Pietro, l'Udeur di Clemente
Mastella, la lista chiamata la Rosa nel pugno ' siglata tra i Socialisti
democratici italiani (Sdi) di Enrico Boselli e i Radicali italiani
rappresentati da Marco Pannella ed Emma Bonino ' e la Federazione dei
Verdi di Alfonso Pecoraro Scanio. Alla coalizione si sono aggiunti i
Socialisti di Bobo Craxi e altre formazioni minori.
Con l'avvio della campagna elettorale i due schieramenti si mostrano
agguerriti più che mai e il clima politico si inasprisce di giorno in
giorno. Rientrano fra gli argomenti di discussione più scottanti il tema
del mercato del lavoro, la questione giustizia, la riforma
costituzionale, la politica estera, la famiglia e soprattutto il tema
dell'economia e dello sviluppo.
Berlusconi e il suo schieramento preferiscono impostare la campagna
elettorale rinunciando a proporre nuove iniziative, pensando che sia più
conveniente per recuperare voti esporre semplicemente il lavoro fatto
nei cinque anni di esecutivo ed evocare la paura su ciò che potrebbe
fare l'Unione al governo. In particolare lo schieramento di centrodestra
ventila l'aumento delle tasse da parte degli avversari politici,
considerate una vessazione che frena lo sviluppo delle piccole imprese,
per sottolineare la paura di un impoverimento ulteriore. A fine febbraio
la Casa delle libertà presenta il suo programma giocando la carta della
semplicità: solo venti pagine per dieci punti programmatici. In
sostanza, come dice lo stesso Berlusconi, la linea è continuare a
seminare sullo stesso campo visto che il programma del 2001 è in corso
di attuazione e c'è ancora del lavoro da fare.
Molto più corposo è il programma presentato dall'Unione, dal titolo Per
il bene dell'Italia, composto di ben 281 pagine. Si tratta di un lavoro
molto complesso, visto i numerosi temi di possibile conflitto fra i nove
partiti della coalizione di centrosinistra, frutto di accordi calibrati
che hanno avuto bisogno di alcune verifiche. I due grandi seminari
tenutisi il 21 e 22 luglio e il 5 e 6 dicembre a San Martino in Campo,
in provincia di Perugia sono serviti proprio a riunire il comitato
presieduto da Prodi e a concordare parola per parola le pagine del
programma. Dopo il seminario di dicembre, tuttavia, alcuni dei punti più
delicati rimangono in sospeso: fra questi le unioni civili e la
questione Iraq, ma anche il capitolo delle opere pubbliche, dove non si
cita la Tav della Val di Susa, oggetto di infinite polemiche in
Piemonte. Delicatissimo appare anche il capitolo economico, in cui il
tema più controverso è quello del ripristino della tassa su donazioni e
successioni. I momenti più importanti e anche i più attesi della
campagna elettorale sono senz'altro i duelli-dibattito fra i candidati
dei due schieramenti. Prodi all'inizio rifiuta di parteciparvi perché
considera illegittima a livello di parità di trattamento tra le forze
politiche la conferenza stampa finale prevista per il premier
Berlusconi. Solo dopo che quest'ultimo accoglie le condizioni poste dal
leader dell'Unione, rinunciando alla conferenza stampa e accettando la
definizione di regole precise su tempi e modalità delle domande e delle
risposte (ad imitazione dei modelli americani), Prodi accetta di
prendere parte ai dibattiti. I due confronti televisivi tra il
Professore e il Cavaliere sono quindi blindati da regole molto
restrittive, che prevedono trenta secondi per ogni domanda (uguale per
entrambi i candidati premier) e due minuti e mezzo a testa per ogni
risposta. Dopo dieci anni dal primo confronto televisivo, Romano Prodi e
Silvio Berlusconi tornano così a sfidarsi: il primo duello si svolge in
diretta su RaiUno il 14 marzo sotto l'arbitraggio del direttore del Tg1
Clemente Mimun e con le domande affidate a due giornalisti. Gli
argomenti su cui lo scontro si infiamma sono quelli che dominano la
campagna elettorale, ossia fisco e conti pubblici. Prodi annuncia, in
caso di elezione, il taglio del cuneo fiscale cioè la differenza tra
quanto spende l'azienda e quanto percepisce il lavoratore in busta paga
il leader di centrodestra risponde che quanto promesso non potrà che
trasformarsi in un aumento delle tasse. Da qui la denuncia da parte di
Prodi di terrorismo fiscale praticato dal centrodestra. Lo scontro,
secondo alcuni quotidiani, si conclude a favore di Prodi; lo stesso
Berlusconi si dichiara insoddisfatto per non essere riuscito ad esporre
adeguatamente le proprie idee proprio a causa della blindatura delle
regole. Il secondo scontro diretto fra i due leader viene fissato per il
3 aprile ed è moderato da Bruno Vespa. Anche questa volta il tema di
discussione principale è quello relativo alle tasse e alle manovre
fiscali previste per la prossima legislatura. Nell'appello finale
Berlusconi assesta il colpo più efficace dal punto di vista elettorale
annunciando l'intenzione di abolire l'Ici, la tassa sulla prima casa. A
pochi giorni dal voto il tono dello scontro, alimentato anche da questa
promessa, sale al massimo.
L'11 aprile inizia lo spoglio dei voti: traggono in inganno gli exit
poll che all'inizio confermano i risultati pre-elettorali, con l'Unione
nettamente in vantaggio sulla Casa delle libertà. Con il passare delle
ore lo scarto di 5 punti percentuali viene a mano a mano ridimensionato,
fino a trasformarsi in un testa a testa all'ultimo voto. La giornata si
fa sempre più convulsa e controversa: i dati del Ministero escono con
notevoli ritardi e l'esito della tornata elettorale è incerto fino alla
fine dello scrutinio delle schede. Ancora più di quanto non si potesse
immaginare alla vigilia del voto l'Italia si scopre spaccata in due.
Seppure con uno scarto molto ridotto di quasi 25.000 voti (su circa 19
milioni complessivi, ossia lo 0,06%), l'Unione raggiunge la maggioranza
alla Camera: il vantaggio è sufficiente a garantire il premio di
maggioranza che consente al centrosinistra di conquistare 340 deputati
(poi saliti a 348 con gli eletti all'estero), rispetto ai 277 (281 con
la circoscrizione estero) del centrodestra. Al Senato, grazie al voto
determinante degli italiani all'estero, che le assegnano 4 seggi su 6,
l'Unione recupera lo svantaggio di un seggio rispetto alla Casa delle
libertà (la quale raggiunge il 50,2% dei voti contro 48,9% degli
avversari) e arriva ad avere la maggioranza, anche se ancora più
risicata che a Montecitorio: 158 seggi contro i 156 della Cdl.
Il voto politico è estremamente sentito dagli italiani, come dimostra
l'affluenza alle urne decisamente alta: l'83,6%. Lo scrutinio del voto
estero è stato particolarmente complesso e via via che il testa a testa
dei voti si è fatto sempre più ravvicinato, la distribuzione dei 12
seggi alla Camera e dei 6 al Senato, come abbiamo visto, è risultata
decisiva. In totale all'estero ha votato il 42,7% su quasi 2.700.000
italiani aventi diritto. Per la prima volta hanno votato anche gli 8.000
militari impegnati nelle missioni all'estero e il personale diplomatico.
Sulla base dei dati comunicati dal Viminale, l'Unione di Romano Prodi
proclama la vittoria alle elezioni politiche del 2006. La coalizione di
centrodestra non accetta immediatamente il risultato della
consultazione: la richiesta di procedere alla verifica di oltre 40.000
schede contestate (le schede bianche e quelle nulle) conferma il livello
a cui arriva la febbre politica del Paese. La linea d'attacco della Cdl
rispetto a un voto che lascia un sapore molto amaro in bocca continua
per alcuni giorni. Insieme alla denuncia di gravi irregolarità che
potrebbero ribaltare l'esito del voto, Berlusconi lancia un appello per
una Grande coalizione, come quella al potere in Germania, con la
disponibilità a fare un passo indietro per un'intesa. La risposta,
negativa, di Romano Prodi e dei suoi alleati non si fa attendere: la
proposta è considerata impraticabile oltre che strumentale. I toni dello
scontro post-elettorale rimangono alti, alimentati dalla sollecitazione
di una verifica dei voti da parte del presidente del Consiglio uscente
che arriva a ipotizzare la promulgazione di un decreto legge per una
riconta generale delle schede. Il 19 aprile l'ufficio nazionale
elettorale della Cassazione conferma l'esito della consultazione
elettorale: lo scarto tra le due coalizioni alla Camera è di 24.577 voti
a favore del centrosinistra. Tuttavia, dopo la polemica tra le forze
politiche sui presunti brogli, a dicembre la Giunta per le elezioni
decide per un riconteggio a campione di voti validi, schede nulle e
bianche.
Resta da vedere chi ha vinto e chi ha perso fra i singoli partiti che si
sono confrontati il 9 e il 10 aprile. Per quanto riguarda quelli del
centrodestra, Forza Italia rispetto al 2001, quando aveva guadagnato
alla Camera il 29,4% dei voti, perde in percentuale il 5,7% (nelle
consultazioni del 2006 aveva ottenuto infatti il 23,7%). Nonostante ciò
Forza Italia si conferma al Senato primo partito con il 24% dei voti.
Fra i partiti della Cdl è l'Udc a raddoppiare abbondantemente i suoi
voti alla Camera rispetto al 2001, passando dal 3,2% al 6,8%. An
migliora leggermente e passa dal 12% al 12,3%. Anche la Lega cresce in
percentuale e in voti: dal 3,9% del 2001 al 4,6% del 2006.
Sul versante dell'Unione il dato principale riguarda il buon risultato
della Lista unitaria alla Camera che si aggiudica il 31,3% contro il
31,1% che avevano ottenuto Ds, Margherita e Repubblicani europei allora
separati. Fra i vincitori c'è sicuramente Rifondazione comunista che
passa dal 5% al 5,8%. Per questo partito è molto più evidente il balzo
al Senato dove sale dal 5,1% al 7,4%. Italia dei valori raccoglie alla
Camera il 2,3% dei voti, risultato apprezzabile ma lontano dal 3,9% del
2001. Deludente il risultato per la Rosa nel pugno: Pannella e Boselli
speravano nel 3%, ma i voti si fermano al 2,6% alla Camera e al 2,5% al
Senato. Lo stesso vale per il partito di Mastella: l'Udeur ottiene solo
l'1,4%. Stabili i Verdi che si aggiudicano il 2,1% dei voti.
IL NUOVO GOVERNO E IL NUOVO CAPO DELLO STATO
Dopo il voto politico, la complicata partita dei passaggi istituzionali
che ne rinnovano i vertici rappresentanti prosegue con l'elezione dei
nuovi presidenti di Camera e Senato. Il presidente uscente della Camera
è Pierferdinando Casini. Il 29 aprile, alla quarta votazione, Fausto
Bertinotti, leader di Rifondazione comunista, diventa il nuovo
presidente di Montecitorio, superando con 337 voti la soglia dei 305
richiesti dal quorum. 100 voti netti vanno a Massimo D'Alema, 144 le
schede bianche. Dedico questa elezione alle operaie e agli operai: è
stato il primo commento del candidato dell'Unione appena eletto.
Il presidente uscente del Senato è invece Marcello Pera. I candidati
principali per la presidenza a Palazzo Madama sono Franco Marini, ex
segretario nazionale della Cisl ed esponente della Margherita, sostenuto
dall'Unione, e Giulio Andreotti, ex presidente del Consiglio e senatore
a vita, candidato preferito dal centrodestra (la Lega Nord, al primo
scrutinio, preferisce però candidare l'ex ministro delle Riforme Roberto
Calderoli). Il 29 aprile, dopo una tormentata maratona, al terzo
scrutinio Franco Marini viene eletto presidente del Senato con 165 voti.
Superato lo scoglio dell'elezione delle presidenze di Camera e Senato,
Prodi comincia a lavorare al puzzle del nuovo esecutivo, con uno sguardo
al Quirinale dove Carlo Azeglio Ciampi è ormai agli ultimi giorni del
suo mandato come capo dello Stato (il settennato scade il 18 maggio). A
questo punto infatti entra nel vivo la corsa al Colle, e i due poli
propongono una rosa di nomi che potrebbero succedere a Ciampi. Silvio
Berlusconi, da parte sua, esclude la possibilità che al Quirinale venga
eletto un esponente della sinistra perché questo, sostiene, equivarrebbe
a una dittatura della maggioranza, che già controlla tutte le più alte
cariche dello Stato. Per evitare questo, la Cdl si compatta sull'idea di
proporre un secondo mandato a Ciampi, ma tra i possibili candidati vi
sono anche Gianni Letta e gli ex presidenti di Palazzo Madama e di
Montecitorio, Pera e Casini. Il centrosinistra si dice favorevole alla
scelta del Ciampi-bis, ma rimette la decisione nelle mani del capo dello
Stato: in una sua dichiarazione del 3 maggio, lo stesso Ciampi ribadisce
la sua non disponibilità a un rinnovo del mandato. A questo punto tra i
favoriti spuntano i nomi di Giuliano Amato e di Massimo D'Alema,
proposti dall'Unione. Vista l'impossibilità di un accordo con il
centrodestra, specie su D'Alema, viene avanzata la candidatura del
senatore a vita ed ex presidente della Camera dei deputati Giorgio
Napolitano. A scegliere il presidente della Repubblica sono i deputati,
i senatori, e i delegati delle Regioni in seduta comune nell'aula della
Camera a Montecitorio. L'8 maggio inizia la prima votazione, ma non c'è
accordo: Berlusconi, nonostante le pressioni di Casini e Fini, respinge
ogni ipotesi d'intesa sul nome di Napolitano, indicato dall'Unione.
L'iter per salire alla più alta carica dello Stato prevede che il quorum
per i primi tre scrutini sia pari ai due terzi dei voti; dal quarto
scrutinio in poi il quorum si abbassa alla maggioranza assoluta (la metà
più uno degli aventi diritto al voto). Il 10 maggio, alla quarta
votazione Giorgio Napolitano, 81 anni, viene eletto XI presidente della
Repubblica, con 543 preferenze (il quorum era pari a 505). Per la prima
volta sale al Quirinale un ex iscritto al Partito comunista italiano. La
Cdl esprime forte preoccupazione temperata dall'augurio che il nuovo
capo dello Stato si dimostri imparziale. Ne dovrebbe essere garanzia
oggettiva la sua biografia politica, culturale, istituzionale. Il 15
maggio il nuovo capo dello Stato giura sulla Costituzione davanti alle
Camere riunite in seduta comune e rassicura: sarò il presidente di
tutti. Nel suo discorso di insediamento, Napolitano lancia inoltre un
invito alla concordia e a una forte difesa del bipolarismo.
Dopo l'elezione del nuovo presidente della Repubblica e dopo le
dimissioni di Silvio Berlusconi (il 2 maggio) da capo dell'esecutivo, si
apre ufficialmente la strada per il nuovo leader della maggioranza
Romano Prodi. Il neosuccessore di Ciampi, una volta effettuate le
consultazioni con le diverse rappresentanze parlamentari, concede al
Professore l'incarico di formare il governo. Non mancano tensioni e veti
incrociati nella tribolata nascita della nuova legislatura: i tempi
istituzionali sono stretti e a Prodi restano ancora da sciogliere alcuni
nodi sulla squadra di governo da definire. In particolare quello su
alcuni ministeri e sull'incarico di vicepremier, con il braccio di ferro
fra Ds e Margherita. La formazione del governo si intreccia infatti con
il cantiere del Partito democratico, aperto ormai da mesi. Il 17 maggio
il nuovo presidente del Consiglio e la squadra da lui scelta giurano
davanti al presidente della Repubblica. Il nuovo governo conta al suo
interno 25 ministri, ma in totale il numero dei componenti
dell'esecutivo è il più alto in assoluto: sono 102, tra ministri,
viceministri e sottosegretari, i membri che compongono il governo di
centrosinistra appena nato (erano 97 quelli di Berlusconi). Nella
formazione dell'esecutivo si è voluto sottolineare il problema della
rappresentanza femminile, che porta alla nomina di 6 donne ministro, ma
non mancano comunque le critiche per il ruolo e la presenza ridotta
delle donne nel nuovo governo. Solo due infatti ottengono un ministero
con portafoglio (cioè con possibilità di spesa): si tratta di Livia
Turco alla Sanità e di Emma Bonino, che oltre alle Politiche comunitarie
ha anche la delega per il Commercio internazionale. Del tutto nuovo è il
ministero Politiche giovanili e Sport, affidato alla diessina Giovanna
Melandri. L'Ulivo naturalmente ha la rappresentanza maggiore nel
governo, mentre ai partiti minori viene assegnato un ministero ciascuno.
Piero Fassino sceglie di rimanere alla guida dei Ds per impegnarsi nella
costruzione del Partito democratico. Dall'opposizione piovono le
critiche: l'ex presidente della Camera Casini definisce troppo
sbilanciato a sinistra il nuovo governo, che Berlusconi bolla come
un'alchimia per accontentare tutti.
Nell'aula del Senato la votazione di fiducia al governo di Romano Prodi
si conclude con 165 sì e 155 no, ma è segnata dalla reazione rabbiosa
dell'opposizione al voto dei sette senatori a vita, tutti a favore del
neogoverno di centrosinistra. Il 23 maggio Prodi ottiene la fiducia
anche della Camera, con 344 voti a favore e 268 contrari. Il suo governo
è quindi ora nella pienezza dei poteri e può cominciare a dispiegare la
sua attività.
ELEZIONI AMMINISTRATIVE E REFERENDUM COSTITUZIONALE
Il calendario politico è ancora fitto di appuntamenti fondamentali per
il Paese. Il primo in ordine cronologico è quello della tornata
elettorale del 28 e 29 maggio per il rinnovo di giunte comunali e
provinciali in numerose zone d'Italia. I cittadini italiani sono di
nuovo chiamati alle urne. Sul voto c'è un'aria di resa dei conti tra i
contendenti. Le attese dei due poli sono, a centrosinistra, per un
risultato favorevole pieno, capace di dissipare i dubbi dopo il quasi pareggio delle elezioni politiche; a centrodestra per una
rivincita che dia l'impulso capace di sollevare l'onda della rimonta.
Le elezioni interessano complessivamente circa quindici milioni di
elettori, per il rinnovo di 8 amministrazioni provinciali e di 1.267
amministrazioni comunali.
Si vota nelle province di Mantova, Pavia, Treviso, Imperia, Ravenna,
Lucca, Campobasso, Reggio Calabria. Tra i 26 comuni capoluogo
interessati, sono particolarmente attese le sfide di Milano, Torino,
Roma e Napoli. Il 28 e 29 maggio si vota anche per il rinnovo di
Assemblea e presidente della Regione Sicilia.
Il numero di comuni chiamati alle urne si riduce leggermente negli
ultimi giorni prima del voto: infatti la magistratura ha accolto i
ricorsi di alcune delle liste che erano state escluse dalla battaglia
elettorale e quindi è stato necessario un rinvio di alcuni giorni.
Dovranno attendere il 4-5 giugno gli elettori di Novara e l'11-12 giugno
quelli di Cagliari e Carbonia, con ulteriore rinvio di 15 giorni per gli
eventuali ballottaggi. Sfalsate anche le elezioni per il rinnovo della
provincia di Trapani e di 28 amministrazioni comunali in Sicilia: si
svolgeranno l'11 e il 12 giugno.
Le sfide di maggiore interesse, per il loro significato politico, sono
quelle che si svolgono, a Milano, Torino, Roma, Napoli e in Sicilia. A
Milano il confronto è tra l'ex ministro dell'Istruzione Letizia Moratti
per la Cdl, e l'ex prefetto Bruno Ferrante, che invece rappresenta lo
schieramento di centrosinistra; a Roma il sindaco uscente Walter
Veltroni deve vedersela con l'ex ministro alle Politiche agricole,
Gianni Alemanno, uomo di punta di An; a Torino l'ex ministro Rocco
Buttiglione (Cdl) affronta il sindaco uscente dell'Unione Sergio
Chiamparino; a Napoli infine la sfida principale è tra l'ex questore
Franco Malvano (Cdl) e il sindaco uscente Rosa Russo Iervolino per lo
schieramento di centrosinistra. Per le regionali siciliane sono tre i
candidati presidente: il governatore uscente, il centrista Salvatore Cuffaro, contro cui il centrosinistra schiera Rita Borsellino (sorella
di Paolo, il magistrato ucciso dalla mafia nel 1993), e infine il
candidato della lista Alleanza siciliana, Nello Musumeci.
I risultati del primo turno mostrano in generale la vittoria del
centrosinistra che si conferma alla guida di molte città interessate al
voto. Per quanto riguarda le quattro città in cui la sfida era
particolarmente importante solo Milano viene confermata alla Cdl (il
sindaco uscente è Albertini). Nel capoluogo lombardo infatti, in bilico
fino all'ultimo, viene premiata al primo turno la rappresentante della
Cdl Letizia Moratti con il 52% dei voti contro il 47% dell'ex prefetto
Ferrante. A Torino il sindaco uscente Chiamparino (66,6%) vince con più
del doppio dei voti sul candidato della Cdl Buttiglione (29,5%). A
Napoli la Iervolino viene riconfermata al primo turno con il 57% dei
voti, tenendo a distanza Malvano che ottiene il 37,8%. Nella capitale
anche il sindaco uscente Veltroni ottiene una larga vittoria (61,4%)
contro l'ex ministro di An Alemanno (37,1%).
La Regione Sicilia si conferma invece feudo del centrodestra, con la
vittoria del governatore uscente Cuffaro che ottiene il 53,1% dei voti
rispetto alla sfidante Rita Borsellino (41,6%).
Per quanto riguarda le otto province in lizza, i risultati arrivano già
al primo turno dove il centrosinistra ottiene la presidenza delle
province di Campobasso, Lucca, Mantova, Ravenna e Reggio Calabria
(quest'ultima passa dal centrodestra al centrosinistra), mentre la Cdl
mantiene le province di Treviso, Imperia e Pavia.
Al ballottaggio dell'11 e 12 giugno vanno cinque comuni capoluogo di
provincia: Belluno, Rovigo, Caserta, Salerno e Catanzaro. Solo a Belluno
vince il centrodestra con l'elezione di Celeste Bortoluzzi (53,7%) che
sfidava Ermano De Col (46,3%). A Rovigo viene eletto sindaco Fausto
Marchiori, a Catanzaro Rosario Olivo, a Caserta Nicodemo Pettoruti e a
Salerno Vincenzo De Luca. In sintesi, l'Unione, tra primo e secondo
turno di queste amministrative, vince in 18 comuni capoluogo contro i 6
conquistati dalla Casa delle libertà. La coalizione di centrosinistra ha
preso 6 capoluoghi al centrodestra: Benevento, Arezzo, Crotone, Grosseto
al primo turno, e Rovigo, Catanzaro e Caserta al secondo turno. La Casa
delle libertà conferma una forte presenza al Nord ottenendo Milano,
Lecco, Varese, Fermo, Novara e Belluno. Anche la provincia di Trapani,
in Sicilia, dove si è votato l'11 giugno, va al centrodestra con
l'elezione di Antonio D'Alì alla presidenza.
Il leader della Casa delle libertà Berlusconi, nonostante il risultato,
difende Forza Italia che dice resta il primo partito.
Nel complesso l'affluenza alle urne è scarsa: 71,2% contro l'80,6% del
2001.
Dopo il risultato delle elezioni amministrative, l'attenzione si sposta
sul referendum sulla riforma della seconda parte della Costituzione. Il
25 e il 26 giugno gli elettori sono nuovamente chiamati alle urne,
questa volta per pronunciarsi su quelle riforme che, oltre a introdurre
la devolution, cambiano gran parte dei rapporti tra gli organi più
importanti dello Stato. La modifica, introdotta nel novembre 2005 dal
centrodestra dopo un lungo iter parlamentare, contiene proposte su
devolution, Senato federale, formazione delle leggi e poteri del
premier. Ecco in sintesi i punti principali. Sparisce il bicameralismo
perfetto (oggi, ogni nuova legge deve essere approvata sia dalla Camera
sia dal Senato); la Camera esaminerà le leggi sulle materie riservate
allo Stato (politica estera, immigrazione, difesa ecc.): il Senato
federale avrà trenta giorni per proporre modifiche, ma sarà la Camera a
decidere in via definitiva. Al Senato spetterà la competenza primaria
sulle materie concorrenti, cioè riservate sia allo Stato sia alle
Regioni. In questo caso la Camera potrà proporre modifiche, ma sarà il
Senato ad avere l'ultima parola. Parlamento: i componenti della Camera
scendono a 518, dei quali 18 eletti dagli italiani all'estero. I
senatori saranno 252, eletti in ciascuna regione contestualmente ai
rispettivi Consigli.
Premierato: si rafforzano i poteri del premier. Per l'insediamento non
avrà più bisogno della fiducia della Camera e la sua elezione sarà di
fatto diretta: i candidati premier saranno collegati con i candidati
alla Camera e sulla base del risultato elettorale il capo dello Stato
nominerà primo ministro il candidato della coalizione vincente. Il
premier avrà il potere di nominare e di revocare i ministri e potrà
decidere di sciogliere la Camera. I deputati della maggioranza potranno
presentare una mozione di sfiducia costruttiva che dovrà però indicare
anche il nome di un nuovo premier. Devolution (o federalismo): alle
regioni passerà la legislazione esclusiva per l'assistenza e
l'organizzazione sanitaria, l'organizzazione scolastica, la polizia
amministrativa regionale e locale. È prevista una clausola di interesse
nazionale, ossia se il governo ritiene che una legge regionale
pregiudichi l'interesse nazionale ne potrà promuovere l'annullamento.
Capo dello Stato: l'età minima per salire al Quirinale scenderà da 50 a
40 anni. Il capo dello Stato perde il potere di nominare e revocare i
ministri. Rappresenta l'unità federale della Repubblica. Corte
costituzionale e Csm: la Consulta sarà composta ancora da quindici
giudici, ma saliranno da cinque a sette quelli di nomina parlamentare,
in particolare quattro nominati dal Senato federale e tre dalla Camera.
La consultazione popolare del 25 e 26 giugno costituisce il secondo
appuntamento degli italiani con il voto per un referendum confermativo,
dopo quello del 7 ottobre 2001 sulla riforma del Titolo V della
Costituzione varata dal governo di centrosinistra. A differenza dei
referendum abrogativi, per i referendum costituzionali non è necessario
il raggiungimento di un quorum di votanti.
L'avvicinarsi della scadenza del referendum alimenta il dibattito
politico. Per il centrodestra, con la Lega Nord in testa, battutasi
fortemente affinché la devolution passasse, la mobilitazione per il sì è
ora la parola d'ordine. Anche l'Udc si allinea, malgrado il dissenso
dell'ex segretario Marco Follini (e di pochi altri) che aveva chiesto
libertà di coscienza. Il centrosinistra si mostra compatto nel dire no
alla riforma e spera che il voto popolare possa bloccare il disegno di
legge della Cdl. Nel confronto entra, per la prima volta dopo aver
lasciato il Quirinale, l'ex capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi che
dichiara che voterà per il no, precisando di non ritenere immutabile la
Carta, ma di augurarsi che si possa arrivare in questa legislatura a
riforme condivise.
In effetti, man mano che la data del referendum si avvicina, la
possibilità che si arrivi a modifiche della Carta condivise da entrambi
gli schieramenti sembra più credibile. Perfino Umberto Bossi, promotore
e sostenitore della devolution, si dice disponibile a ridiscutere il
federalismo, anche in caso di vittoria dei no.
Smentendo le previsioni di un'opinione pubblica stanca e demotivata,
dopo un lungo trimestre elettorale, a sorpresa va al voto il 53,7% degli
italiani aventi diritto. Prevalgono nettamente i no (il 61,7%) alla
riforma della Costituzione voluta dalla Cdl. A votare sì solo il 38,3%
(il sì ha però vinto in Lombardia e Veneto). Delusione nel Polo: l'ex
premier Berlusconi parla di occasione storica mancata. Si va avanti
comunque, ha votato sì la parte più avanzata del Paese è invece il
commento del leader della Lega Bossi. Soddisfazione nelle file del
centrosinistra. Il presidente del Consiglio Prodi tende la mano
all'opposizione assicurando che saranno avviati contatti con tutte le
forze politiche per il dialogo su riforme e legge elettorale.
I DUE POLI A CONFRONTO
Alla fine del 2005 i sondaggi attribuivano all'Unione, che con le
elezioni primarie aveva da poco incoronato Romano Prodi come proprio
leader, un nettissimo distacco dalla Casa delle libertà. La campagna
elettorale di Berlusconi, come già accennato, avrebbe in seguito operato
la rimonta della maggioranza allora al governo, portandola al
quasi-pareggio nelle elezioni politiche di aprile.
Nel gennaio del 2006, una questione di carattere economico-finanziario
in parte favorisce questa rimonta e finisce con l'avere pesanti risvolti
politici per il centrosinistra. Si tratta del caso Unipol, la
potentissima holding bancario-assicurativa delle cooperative rosse,
allora coinvolta nella scalata per il controllo della Banca nazionale
del lavoro. Con la pubblicazione sul quotidiano Il Giornale di stralci
di intercettazioni telefoniche (illegittime) tra Giovanni Consorte,
numero uno di Unipol, e il segretario dei Ds Piero Fassino, una bufera
di critiche si abbatte sul centrosinistra e soprattutto sul segretario
dei Ds, che sembra sostenere il progetto di espansione di Consorte. Le
intercettazioni pubblicate, risalenti al luglio 2005, risultano
irrilevanti ai fini giudiziari, ma la loro pubblicazione ha un grosso
effetto politico e mediatico, che viene sfruttato dalla maggior parte
dei politici del centrodestra. Fassino ottiene l'appoggio di Prodi e
degli alleati, e soprattutto della base del partito, pronta a mettere la
mano sul fuoco per la sua onestà. Il Professore comunque punta il dito
sulla questione morale e invita a fissare nuove regole e nuovi confini
tra politica e affari. Mi sono limitato a esprimere un'opinione
favorevole al progetto di dare vita a un grande polo bancario e
assicurativo si difende Fassino, al cui partito si rimprovera il
cosiddetto collateralismo nei confronti del movimento cooperativo e
delle sue operazioni finanziarie. Le accuse dell'allora premier
Berlusconi sui rapporti tra comunisti e finanza rossa vengono presto
archiviate.
In aprile, dopo una campagna elettorale caratterizzata da forti
contrasti tra i poli, la maggioranza degli italiani sceglie di premiare,
seppure con un consenso limitato come si è visto, il progetto politico
di Romano Prodi e dei suoi alleati. Le aspettative di molti elettori che
avevano identificato le loro speranze di cambiamento nel contratto
berlusconiano del 2001, e che ora rivolgono le loro attese nel progetto
politico del centrosinistra, sono alte. I primi sette mesi di esperienza
governativa dell'Unione si mostrano però assai tormentati, anche a causa
della difficile e qualche volta già sofferente coalizione dei nove
partiti che la compongono e che hanno firmato le 281 pagine del
programma. La critica che arriva dall'opposizione, ma anche da aree
storicamente vicine al centrosinistra, è quella di un governo
pesantemente condizionato dalla sinistra radicale e, in effetti, i
moderati dell'Unione (Ds, La Margherita, Udeur) in più di un'occasione
esprimono insofferenza per alcune posizioni estremiste della loro
coalizione.
Una volta ufficialmente operativo, il nuovo governo si trova alle prese
con diverse questioni da affrontare e con qualche nodo rimasto irrisolto
all'interno della maggioranza. Il ministro dell'Economia, Tommaso
Padoa-Schioppa, inizia a lavorare alla verifica della situazione
finanziaria per definire le linee del Dpef da approvare entro luglio.
Per il neoministro il primo incontro ufficiale con il commissario
europeo agli Affari economici Joaquin Almunia vede proprio al centro del
colloquio il confronto sui nostri conti pubblici per valutare i margini
di manovra e i tempi di rientro nei parametri Ue (ossia riportare il
deficit sotto il 3%). Dopo la denuncia di Padoa-Schioppa sull'andamento
del deficit secondo una prima ricognizione sui conti pubblici il
rapporto tra indebitamento e Pil nel primo semestre dell'anno
supererebbe abbondantemente il 4% contro il 3,8% certificato dal
precedente governo prima delle elezioni si accende lo scontro tra
l'Unione e la Casa delle libertà, che però respinge ogni responsabilità.
L'ex premier Berlusconi dichiara anzi che il nuovo governo grida al
disastro per appesantire il fisco. Per la maggioranza si profila la
necessità di intervenire subito al fine di arginare il deficit e
sostenere lo sviluppo economico proponendo tre obiettivi di equità,
risanamento e sviluppo.
La manovra bis per il 2006 approvata dal Consiglio dei ministri a luglio
prevede al suo interno, oltre al pacchetto Visco sulle nuove regole
fiscali, un decreto legge messo a punto dal ministro per lo Sviluppo
Pierluigi Bersani che intende incentivare la concorrenza a favore dei
consumatori. Il decreto coinvolge professionisti, banche, notai,
farmacie, taxi e panifici. Il cosiddetto pacchetto Bersani sulle
liberalizzazioni provoca la prima rivolta contro il governo soprattutto
di tassisti e farmacisti che protestano contro il provvedimento con
scioperi in tutta Italia. A difesa del decreto Bersani si schierano
compatte le associazioni dei consumatori, mentre buona parte del
centrodestra (solo l'Udc si mostra abbastanza favorevole) lo critica
affermando che le liberalizzazioni hanno tutta l'aria di essere un
tentativo di punire alcune categorie professionali.
A minacciare invece gli equilibri all'interno della maggioranza sono la
discussione su Dpef e soprattutto sulla legge Finanziaria, ma anche la
questione del rifinanziamento delle missioni italiane all'estero. Questi
temi fanno affiorare le prime divergenze fra l'ala riformista e quella
più radicale del governo, divergenze su cui fa leva l'opposizione che
accusa la maggioranza di appoggiarsi su accordi fragili e fittizi.
Oltre alla questione economica e al ritiro delle nostre truppe
dall'Iraq, tra i primi punti dell'agenda di Prodi ci sono una serie di
provvedimenti rivolti a modificare, o in qualche caso a eliminare, le
cosiddette leggi ad personam approvate dal governo Berlusconi (in primo
luogo quelle che riguardano la giustizia e il settore televisivo e delle
comunicazioni). I piani di intervento, secondo le dichiarazioni del
premier, dovrebbero riguardare anche istituzioni, sanità, scuola e
immigrazione. In tema di mercato del lavoro, il centrosinistra denuncia
la precarizzazione eccessiva introdotta dal governo precedente con la
legge Biagi, ma la strada si profila in salita perché le opinioni su
come combattere questo fenomeno, senza togliere flessibilità, sono
divergenti e si scontrano con Confindustria.
A settembre scoppia il caso Telecom che porta alle dimissioni di Angelo Rovati, il consigliere economico-politico di Romano Prodi, al centro
della polemica per il piano di riassetto del gruppo telefonico. La
vicenda tiene banco nel dibattito politico con il centrodestra, che
attacca il governo e, anche se Rovati ribadisce l'estraneità di Prodi,
il premier dovrà riferire personalmente al Parlamento i risvolti della
vicenda.
In autunno comincia l'accidentata marcia della prima legge Finanziaria
della nuova stagione politica, che suscita le proteste non solo del
centrodestra le quali sfoceranno nella grande adunata di dicembre a Roma
ma anche della maggior parte delle rappresentanze sociali del Paese. Il
taglio agli enti locali e l'introduzione dei ticket causano
l'impressionante e inattesa rivolta dei sindaci di centrosinistra,
mentre la sottrazione di metà del Tfr (trattamento di fine rapporto) da
passare all'Inps suscita la protesta degli industriali. Lo scontento per
la prima legge di bilancio di Prodi è diffuso e trasversale e provoca
una forte crisi di immagine e di consenso del governo dell'Unione,
registrato anche dai sondaggi in autunno. Il presidente del Consiglio
dice di essere attento ma non preoccupato di questa situazione e ricorda
che l'obiettivo del governo è quello di lavorare cinque anni, l'intera
legislatura. Ad appannare la credibilità del nuovo esecutivo, in
ottobre, c'è inoltre l'intervento di due (Fitch e Standard & Poor's)
delle tre grandi agenzie che misurano l'affidabilità di un Paese ai fini
dei prestiti internazionali, le quali declassano l'Italia di 1 punto.
Movimentata da discussioni e polemiche politiche trasversali è anche la
questione del riconoscimento delle unioni di fatto (Pacs). L'argomento,
di importanza sociale, vede la contrapposizione tra laici e cattolici, e
continua a dividere i poli e la stessa maggioranza. Resta infatti il
nodo dell'Udeur che non fa passi indietro e porta avanti la sua mozione
contro le unioni di fatto e contro la volontà del governo di legiferare
su questo argomento.
Nonostante i numerosi ostacoli e pur nel crollo degli indici del
consenso, Prodi sembra per adesso riuscire a fagocitare ogni contrasto.
Dopo la difficile gestione della legge Finanziaria, per ricostruire
l'immagine riformista della coalizione viene sollecitata dai moderati
dell'Unione un'accelerazione dell'attività di governo, con l'avvio di
una fase 2 che preveda riforma previdenziale e liberalizzazioni.
Il "cantiere" del Partito democratico della sinistra riformista, ormai
aperto da tempo, nel corso del 2006, specie dopo la ripresa politica
autunnale, vede riesplodere alcune ambiguità che ne accompagnano la
gestazione. Il progetto del Partito democratico deriva direttamente
dall'esperienza della lista Uniti nell'Ulivo, nata in occasione delle
elezioni europee del 2004, con l'unificazione delle due maggiori forze
politiche del centrosinistra: Ds e Margherita (con Sdi e Repubblicani
europei). Il piano riprende vita dopo la vittoria dell'Unione alle
elezioni di aprile, nelle quali la lista unitaria (L'Ulivo) alla Camera
prende più voti dei singoli partiti divisi al Senato. All'indomani delle
elezioni politiche, Ds e Margherita rinunciano a costituire gruppi
autonomi. Nasce il gruppo unico dell'Ulivo alla Camera (con 216 deputati
e guidato da Dario Franceschini) e al Senato (con 101 componenti,
guidato da Anna Finocchiaro). Il progetto del Partito democratico, che
ha nell'attuale presidente del Consiglio il principale sostenitore ed
ispiratore, prevede la costituzione di un partito unitario che unisca e
rappresenti le culture cattolico-popolari, quelle liberal-democratiche e
quelle socialiste-socialdemocratiche di stampo riformista. A gestire il
cantiere che porterà al soggetto unico e quindi a esercitare il ruolo di
coordinatore per la costruzione del futuro partito è il segretario dei
Ds Piero Fassino, il quale sceglie di rimanere fuori dall'esecutivo per
dedicarsi al progetto. Molti leader dell'Ulivo affermano che sarà il
2007 l'anno del Partito democratico. Il primo passaggio dovrebbe essere
la nascita della Costituente del nuovo soggetto politico, anticipata
però dai congressi di Ds e Margherita. Ma intanto il dibattito sul
partito unitario prosegue con le alterne dichiarazioni tra i principali leaders. Dichiarazioni ora divergenti ora convergenti che evidenziano il
perdurare di una non perfetta coincidenza di vedute circa il percorso da
seguire verso l'approdo comune. Si riflette su ruolo del partito, sulla
sua identità, sui processi di formazione dei gruppi dirigenti e sulle
forme di rappresentanza politica nello scenario nazionale e globale. La
componente che fa capo al cosiddetto Correntone, l'area di sinistra dei
Ds, esprime da sempre perplessità sull'ipotesi di uno scioglimento dei
partiti tradizionali all'interno di un nuovo soggetto politico,
preferendo in alternativa la costituzione di una federazione tra Ds,
Margherita, Sdi e Repubblicani europei (ovvero le forze politiche che
avevano dato vita alla lista unitaria per le europee). La riluttanza del
Correntone ad aderire al progetto del Partito democratico rischia di
provocare anche una scissione diessina. I dubbi e i dissensi si
riflettono in occasione del seminario di Orvieto del 6 e 7 ottobre, che
vede riuniti i rappresentanti Ds, Margherita e Movimento repubblicani
europei per valutare le prime tappe concrete del percorso del nuovo
partito. All'appuntamento di Orvieto, però, i Ds si presentano divisi:
il Correntone, guidato da Fabio Mussi e Cesare Salvi, decide infatti di
disertare il seminario. Nell'occasione viene unanimemente ribadita la
necessità di un progetto riformista unitario, ma forti riserve
permangono sia nei Ds, come abbiamo visto, che nella Margherita. Per
quest'ultima è ancora aperto il confronto tra la corrente degli ulivisti
del ministro della Difesa Arturo Parisi, e la corrente popolare
rappresentata dal segretario Francesco Rutelli e dal presidente del
Senato Franco Marini. La collocazione europea è uno tra i principali
nodi relativi al Partito democratico, per via del fatto che attualmente
i Ds fanno parte del Partito socialista europeo mentre la Margherita è
parte del Partito democratico europeo. Al seminario di Orvieto il
presidente del Consiglio Prodi è comunque ottimista sulla nascita della
nuova formazione perché, afferma, si sono trovate grandi convergenze sia
di volontà che di sentimenti. Non spaventa neppure l'ostacolo della
collocazione europea per la quale il premier ribadisce dobbiamo
anticipare, non aderire.
Sul fronte del centrodestra, il 2006 si apre con qualche tensione fra
l'ex presidente della Repubblica Ciampi e l'ex capo del governo
Berlusconi, prima sulla data delle elezioni politiche e poi, alla
vigilia della campagna elettorale, sulle regole della par condicio.
Nell'ultima fase della legislatura, la coalizione lavora per presentare
ai cittadini i bilanci del quinquennio e ripresentarsi al nuovo
appuntamento con le elezioni politiche. Il Cavaliere infatti punta al
secondo mandato per completare le riforme avviate, ma la sua
preoccupazione è quella di assicurare alla coalizione la massima unità,
un vero gioco di squadra all'interno della maggioranza dove, già da dopo
la sconfitta alle regionali del 2005, si fa avanti la necessità di un
cambiamento di leadership e di impostazione generale della Cdl. In
quell'occasione Berlusconi aveva proposto di costruire, anche in vista
delle politiche, un partito unico del centrodestra, ma il progetto viene
accantonato. In vista dell'appuntamento elettorale 2006, la Cdl,
sfruttando la nuova logica proporzionale, annuncia invece la cosiddetta
"tattica" delle tre punte per sconfiggere il centrosinistra. A spingere su
questo fronte sono soprattutto il leader di An Gianfranco Fini e quello
dell'Udc Pierferdinando Casini, che rinfacciano al Cavaliere una certa
concezione monarchica della coalizione. Fini e Casini inseriscono nei
simboli elettorali i loro cognomi ma nel deposito dei contrassegni
elettorali viene indicato Berlusconi come capo unico della coalizione.
Grazie a una campagna incisiva, la Casa delle libertà riesce a
riconquistare la fiducia di molti elettori e Forza Italia si riappropria
della leadership all'interno della coalizione, ottenendo un risultato in
netta ascesa rispetto alle previsioni. Nell'immediato dopo-elezioni,
Berlusconi e la Cdl contestano il risultato delle urne, parlando di
presunti brogli elettorali nei seggi che avrebbero portato voti al
centrosinistra. Tuttavia, in seguito alle due successive sconfitte
elettorali, in occasione delle elezioni amministrative di maggio e del
referendum costituzionale di giugno, la Cdl concentra maggiormente la
strategia di opposizione sul piano dei programmi.
Il 15 febbraio, all'inizio della campagna elettorale, a Palazzo Chigi
scatta l'allarme. L'esponente leghista e all'epoca ministro per le
Riforme Roberto Calderoli, durante una intervista televisiva mostra una
maglietta con la riproduzione di una delle caricature delle vignette
satiriche danesi su Maometto, che già avevano infiammato molti Paesi
musulmani. Il gesto incompatibile con il governo, come lo definirà
Casini, crea forti polemiche nonché grande preoccupazione sia da parte
del centrosinistra sia da parte di tutta la Casa delle libertà, Lega
esclusa. Sul fatto interviene anche il capo dello Stato Ciampi che
invoca comportamenti responsabili per chi ha responsabilità di governo.
Berlusconi da parte sua non vuole una crisi con il Carroccio in piena
campagna elettorale, ma considera pericoloso uno scontro con il mondo
islamico. La maglietta mostrata dall'ex ministro, infatti, fa scoppiare
una manifestazione di protesta a Bengasi davanti al Consolato italiano,
provocando 11 morti. Berlusconi convoca un vertice a Palazzo Chigi,
manifesta solidarietà al mondo islamico e invita Calderoli a rassegnare
le dimissioni. La vicenda si conclude con le dimissioni per "senso di
responsabilità" dell'ex ministro delle Riforme il 18 febbraio.
All'inizio di marzo, a un mese dalle elezioni politiche, il centrodestra
deve affrontare un'altra vicenda che rischia di pesare sul voto degli
indecisi e che coinvolge in particolare il partito di Fini, Alleanza
nazionale. Si tratta del cosiddetto Laziogate, inchiesta di spionaggio
politico per la quale l'ex governatore del Lazio Francesco Storace l'11
marzo deve dimettersi da ministro della Salute (incarico affidatogli
nell'aprile del 2005 con il governo Berlusconi bis, all'indomani della
crisi politica che aveva investito la Cdl dopo la sconfitta delle
elezioni regionali di quell'anno). La indagine della magistratura è
rivolta alla presunta attività di spionaggio politico per condizionare
le elezioni regionali (del 3 e 4 aprile 2005) ai danni di Alessandra
Mussolini e Piero Marrazzo, avversari di Storace, esponente di An e
all'epoca dei fatti presidente della Regione Lazio. Sono coinvolti
nell'indagine funzionari di Stato e 007 privati e sono indagati l'ex
portavoce di Storace Nicolò Accame, e il suo staff, per violazione della
legge elettorale. L'ex ministro respinge tutte le accuse ed esce dal
governo per evitare strumentalizzazioni della sinistra, sostenuto da
tutto il centrodestra che esalta il suo gesto. L'interim del ministero
della Salute viene assunto da Berlusconi. Il 7 novembre 2006 Storace
viene rinviato a giudizio dalla Procura di Roma con l'accusa di accesso
abusivo ad un sistema informatico.
L'amara sconfitta alle politiche costringe tutti i leader della Cdl a
ripensare il centrodestra. Per quanto riguarda Alleanza nazionale, il
presidente Gianfranco Fini delinea una svolta per portare il suo partito
verso la famiglia popolare europea, cioè nel polo moderato-conservatore
dell'assemblea di Strasburgo. Questa linea emerge chiaramente
dall'Assemblea nazionale del partito del 7-8 ottobre. L'unico dissidente
rispetto alla linea di Fini è Storace, facente capo a una minoranza del
partito (la corrente D-Destra). Con l'eccezione dell'ex ministro, Fini è
comunque riuscito a ricomporre l'unità del partito dopo le tempeste del
2005.
Nei sette mesi successivi alle elezioni, l'ex premier Silvio Berlusconi,
e con lui Forza Italia, sembra attraversare diverse fasi che vanno dal
rigetto per la forte delusione della sconfitta, ai grandi propositi
combattivi, con l'obiettivo di contribuire alla caduta del governo Prodi
per aprire all'ipotesi del partito unitario del centrodestra. Con la
grande manifestazione del 21 ottobre a Vicenza, affiancato da Fini e
Bossi, e ormai concentrato nel suo nuovo ruolo di capo dell'opposizione,
Berlusconi avvia la nuova strategia d'attacco, contrastando la pessima
legge finanziaria del governo Prodi. Il Cavaliere rilancia il progetto
del partito unico del centrodestra cui si aggiunge, non sostenuta
dall'ex premier, l'ipotesi di una federazione di partiti. A non
sottoscrivere il progetto del partito unico, all'inizio è solo la Lega,
per via della sua base regionale. Alla fine del 2006 tuttavia, l'unico
partito disposto ad aprire un percorso verso questo progetto sembra
essere Alleanza nazionale. E appena sono chiari i contorni della prima
legge finanziaria del governo sono solo Fini e Bossi ad affiancare
Berlusconi nella protesta di massa a Vicenza e in quella a Roma del 2
dicembre. L'Udc fa un passo indietro, preferendo altre strategie, come
quella della riflessione autocritica dopo la sconfitta elettorale.
Nei mesi successivi alle elezioni la Cdl è scossa da tensioni interne,
alimentate dal dibattito sulla leadership del centrodestra. Berlusconi
dice di non avere nessun timore sull'unità della Cdl e sul suo futuro
perché, continua, se ci sono delle dialettiche all'interno della
coalizione le supereremo. Casini tuttavia non perde occasione per
marcare la differenza dell'Udc da Forza Italia, e, reo di aver detto di
non volere morire berlusconiano, subisce l'attacco degli alleati. Il
leader centrista critica la leadership carismatica, rappresentata da
Berlusconi, che finora ha permesso di rinviare la soluzione ai problemi
della coalizione e punta alla ricostruzione del centrodestra per dar
vita a un grande partito moderato di cui traccia il ritratto in
occasione della festa dell'Udc a Fiuggi, all'inizio d'autunno. In questa
linea di progressivo sganciamento dell'Udc (non dall'opposizione, ma da
questo centrodestra), Casini ritrova anche l'ex segretario del partito
Marco Follini già anima critica del partito e della coalizione che si
distingue per la sua posizione netta e che chiede di dichiarare conclusa
la militanza dell'Udc nella Cdl. La linea di Casini e dell'attuale
segretario del partito Lorenzo Cesa appare più morbida e, pur
confermando la linea del cambiamento, ritenendo chiusa l'esperienza
della Cdl come modello organizzativo, punta a mantenere l'appoggio allo
schieramento. In questa fase di incomprensioni e turbolenze le diverse
anime dei centristi arrivano alla resa dei conti: Follini decide di
abbandonare ufficialmente l'Udc, fondando il movimento politico Italia
di mezzo (18 ottobre), con il dichiarato obiettivo di accogliere quei
cittadini che non si sentono rappresentati nell'attuale bipolarismo, per
creare insieme una nuova riunificazione politica di centro.
Il Cavaliere, determinato a ignorare le provocazioni che arrivano dal
leader dell'Udc, ribadisce la volontà di proseguire sulla linea di una
opposizione inflessibile e rilancia la protesta in piazza. La grande
manifestazione contro la Finanziaria del 2 dicembre a Roma, in piazza
San Giovanni, vede riuniti Forza Italia, An e Lega Nord. L'Udc di Casini
lancia la sfida e non si unisce alla protesta romana che secondo l'ex
presidente della Camera è solo apparentemente contro Prodi ma che in
realtà serve solo a Berlusconi per consolidare la sua leadership. Casini
e il suo partito organizzano, invece, una manifestazione parallela e
contemporanea, a Palermo, dove viene sancito che esistono due
opposizioni al centrosinistra: una, quella dei moderati, rappresentata
appunto dall'Udc; l'altra, quella delle forze di destra (FI, An e Lega)
che si avviano, seppur con dei distinguo, alla costituzione di un
partito unitario, definito da Berlusconi il Partito della libertà.
Missioni italiane all'estero
Sono circa 8.000 i militari italiani impegnati in missioni all'estero
che vanno dal peacekeeping all'attività antiterrorismo,
dall'addestramento di polizia fino all'assistenza civile, logistica e
militare.
L'operazione militare italiana in Iraq, iniziata nel giugno 2003 in
seguito al conflitto angloamericano contro il regime di Saddam Hussein,
è denominata "Antica Babilonia" e all'inizio ha visto impegnati oltre
3.000 militari sul territorio iracheno tra esercito, marina, aeronautica
e carabinieri (la base del contingente italiano si trova a Nassiriya).
Anche nel corso del 2006, nel faticoso tentativo di costruzione di un
regime democratico in quel Paese, la missione italiana è oggetto di
diversi attentati, due dei quali provocano delle vittime. Il primo
attacco è del 27 aprile, quando un ordigno esplode in strada al
passaggio di una pattuglia di militari italiani e rumeni: perdono la
vita due carabinieri il sottufficiale Franco Lattanzio, 38 anni, e il
maresciallo Carlo De Trizio, 37 anni e il capitano dei paracadutisti
alla Brigata Folgore di Livorno Nicola Ciardelli, 34 anni. Una quarta
vittima è un caporale rumeno di 27 anni. Nell'agguato viene ferito
gravemente un altro italiano, il maresciallo dei carabinieri Enrico
Frassanito, 41 anni, che muore il 7 maggio all'ospedale di Borgo Trento,
a Verona, dove era stato ricoverato subito dopo il suo arrivo da Kuwait
City. I quattro militari facevano parte di un contingente di 2.600
soldati italiani (secondo i piani di ritiro del governo, in procinto di
ridursi a 1.600 nel mese di giugno) al comando della Brigata Sassari,
tornata a Nassiriya due mesi prima, dopo l'avvicendamento con la Brigata
Ariete. Sui responsabili dell'agguato di aprile gli investigatori hanno
sospetti su Al Qaeda e sui gruppi sciiti, ma il Sismi segue anche la
pista dei servizi segreti iraniani. Il 5 giugno l'Italia piange un altro
caduto in Iraq, in seguito a un attentato avvenuto a un centinaio di
chilometri da Nassiriya. La vittima è il caporalmaggiore Alessandro
Pibiri, di 25 anni, ucciso da un ordigno esplosivo piazzato sulla
strada. Un secondo militare, Luca Daga, 28 anni, rimane ferito
gravemente (ma giudicato fuori pericolo) mentre altri tre riportano
ferite non preoccupanti.
Nonostante le pressioni dell'ala radicale dell'Unione e dei settori più
pacifisti della coalizione, gli attentati di Nassiriya non modificano i
piani di ritiro delle nostre truppe dall'Iraq previsti dal governo entro
la fine del 2006. Il governo Berlusconi in campagna elettorale aveva
annunciato che il ritiro delle truppe sarebbe iniziato da dicembre.
Questo calendario viene sostanzialmente rispettato dal governo di Romano
Prodi. Il 21 settembre si svolge a Nassiriya una cerimonia in cui il
ministro della difesa Arturo Parisi trasferisce ufficialmente la
responsabilità della sicurezza alle autorità del Dhi Qar, seconda
provincia del Paese dopo quella di Muthanna a tornare sotto il controllo
iracheno. La cerimonia ufficializza l'inizio del ritiro totale dei
militari italiani (già ridotti a circa 1.500 uomini), completato il 2
dicembre. Purtroppo la giornata viene funestata da un nuovo lutto. Poche
ore prima della cerimonia di passaggio di consegne, un soldato del
contingente italiano rimane ucciso in un incidente stradale. Si tratta
del caporalmaggiore Massimo Vitaliano, 26 anni, salentino: il mezzo su
cui viaggiava si è scontrato con un autocarro iracheno durante un
pattugliamento.
Il 2 dicembre, nella Reggia di Caserta, l'arrivo del presidente della
Repubblica Napolitano dà l'avvio alla cerimonia con cui si conclude
ufficialmente la missione " Antica Babilonia ". Iniziata il 10 giugno 2003
con il dispiegamento della Brigata Garibaldi, la missione ha il grave
bilancio di 32 morti. Nel corso della cerimonia dell'ammainabandiera il
ministro della Difesa Parisi afferma che si chiude la missione, ma che
l'impegno dell'Italia in favore dell'Iraq continua attraverso una
rafforzata collaborazione politica, civile, umanitaria.
L'inchiesta sulla morte del funzionario del Sismi Nicola Calipari,
ucciso il 4 marzo 2005 a Baghdad da militari americani mentre a bordo di
un'auto si dirigeva all'aeroporto con la giornalista del Manifesto
Giuliana Sgrena, appena liberata dopo un mese di sequestro, continua a
causare attriti diplomatici fra Italia e Stati Uniti. La Procura di Roma
aveva chiesto per rogatoria agli Stati Uniti i nomi dei componenti della
pattuglia che aprì il fuoco al check point Usa, ma all'inizio di maggio
il Dipartimento di Giustizia di Wa-shington comunica di non poter
fornire ulteriori informazioni oltre a quelle contenute nel rapporto già
trasmesso al governo italiano. Ma casualmente sarà possibile scoprire i
nominativi secretati: alcuni lettori di Internet, interessati
all'argomento, scaricheranno il Pdf della relazione della Commissione
d'inchiesta Usa e, copiandolo su programmi di videoscrittura, si
accorgeranno che le pecette nere, ovvero gli omissis, scompaiono come
per miracolo. Il militare che ha sparato il colpo mortale a Calipari si
chiama Mario Lozano, di origine spagnola, ed è marine in servizio al 69'
reggimento della Guardia nazionale di New York. Il 19 giugno la Procura
di Roma formalizza la richiesta di rinvio a giudizio per Lozano, con
l'accusa di delitto politico. Del caso Calipari il ministro degli Esteri
Massimo D'Alema parla con il segretario di Stato Condoleezza Rice nel
corso della sua visita a Wa-shington in giugno, lamentando una
collaborazione insufficiente fino a questo momento da parte degli
americani sulla vicenda.
In Afghanistan i soldati italiani sono coinvolti nella missione Isaf
(International Security Assistance Force), con base a Kabul, iniziata
come missione multinazionale e, dall'agosto 2003, passata al comando
della Nato. Il compito della missione è garantire la sicurezza in
Afghanistan nelle sue varie componenti (pattugliamenti, sequestri di
armi, addestramento delle forze di sicurezza afghane ecc.). Dopo una
attività iniziale concentrata nella sola capitale, la missione si sta
espandendo nelle altre città del Paese. L'Italia attualmente partecipa
alla missione con circa 1.500 militari, tra soldati dell'esercito e
componenti minori dei carabinieri, dell'aeronautica militare e della
marina militare. Il nostro Paese assume il comando della missione Isaf
nell'agosto 2005 con il generale Mauro Del Vecchio, comando passato nel
maggio 2006 al luogotenente generale del Regno Unito David Richards.
Già dai primi mesi dell'anno si avvertono segnali di una crescente
tensione in Afghanistan, al centro di un'offensiva dei talebani. A pochi
giorni dall'attentato di Nassiriya, costato la vita a quattro militari
italiani, in Afghanistan l'Italia paga un altro altissimo prezzo di
sangue. Il 5 maggio, a Kabul, a seguito dell'esplosione di un ordigno al
passaggio di una pattuglia del contingente, perdono la vita due alpini:
il capitano Manuel Fiorito, 27 anni, e il maresciallo Luca Polsinelli,
29 anni. Altri quattro militari restano feriti, ma se la cavano con
forti contusioni e ferite superficiali. Il 21 settembre, sempre nella
capitale afghana, perde la vita il caporalmaggiore Giuseppe Orlando, 28
anni, a seguito di un incidente stradale durante una normale attività di
pattuglia. Il 26 settembre, circa 10 km a sud di Kabul, colpito da una
bomba lanciata al passaggio di un blindato italiano, muore il
caporalmaggiore Giorgio Langella, 31 anni. Nello scoppio rimangono
feriti anche altri cinque soldati del nostro contingente.
Successivamente, il 30 settembre, a seguito delle ferite riportate
nell'attentato, perde la vita il primo caporalmaggiore Vincenzo Cardella,
di 24 anni. Con la morte del giovane alpino salgono a sette i militari
italiani caduti in Afghanistan dall'inizio della missione del
contingente nazionale in quel Paese. Secondo il Sismi, la recente serie
di attentati in Iraq ed Afghanistan contro le nostre forze è indirizzata
ad influenzare il nuovo governo spingendolo ad un ritiro accelerato da
tutte le zone di guerra.
Gli attentati a Kabul riaccendono il dibattito politico sulla missione
italiana in Afghanistan. Con l'avvicinarsi della data fine giugno in cui
il governo dovrà mettere mano al decreto per votare il rifinanziamento
delle missioni militari all'estero, si agitano le file del
centrosinistra con Rifondazione, Verdi e Comunisti italiani che chiedono
con forza il ritiro delle truppe dall'Afghanistan. Il fronte del no si
scontra con l'atteggiamento moderato (anche all'interno della
maggioranza) di chi vuole mantenere gli impegni internazionali. Dopo
difficili mediazioni e due mesi di dibattito arriva la prima prova di
compattezza della maggioranza sulla politica estera: il 19 luglio la
Camera approva quasi all'unanimità (549 sì e 4 no) il Ddl di
rifinanziamento delle missioni italiane all'estero. Il 24 luglio con 161
sì da parte del centrosinistra il Senato vota la fiducia al governo sul
rifinanziamento delle missioni all'estero. Danno il loro sostegno
quattro senatori a vita. Per protesta contro il voto di fiducia i
senatori della Cdl non partecipano al voto. La parte più controversa del Ddl l'articolo che riguarda l'Afghanistan viene approvato con 159 voti a
favore e con la partecipazione al voto della Cdl. Anche per quanto
riguarda l'Afghanistan dunque nessuna " exit strategy ": la mozione impegna
il governo a promuovere nelle sedi internazionali competenti, in special
modo nell'ambito Onu e Nato, la verifica sull'impegno internazionale in
Afghanistan e lo induce ad una valutazione sulle prospettive di
superamento della missione Enduring Freedom in territorio afghano.
Dura 23 giorni l'odissea di Gabriele Torsello, il fotoreporter di
origine pugliese e residente a Londra da alcuni anni, sequestrato il 12
ottobre nel Sud dell'Afghanistan mentre era a bordo di un autobus
diretto a Kandahar. Torsello si trovava in Afghanistan già da qualche
settimana per realizzare un reportage fotografico in una delle zone più
calde del Paese. Sul sequestro si seguono due piste: quella talebana e
quella della criminalità comune, mentre la Farnesina precisa di aver
attivato tutti i canali, formali e informali, per favorire la
liberazione di Torsello. Intanto si susseguono gli appelli per la
liberazione del giornalista, cui si uniscono quelli dell'Unione delle
comunità ed organizzazioni islamiche in Italia (Ucoii), che chiedono
fermamente, senza alcuna condizione la liberazione del reporter. Il 17
ottobre arriva l'ultimatum dei rapitori: in cambio del rilascio di
Torsello chiedono la consegna di Abdul Rahman, l'afghano convertitosi al
cristianesimo e rifugiatosi in Italia alla fine di marzo per sfuggire
alla condanna a morte. Se questo non fosse possibile, chiedono il ritiro
di tutti i soldati italiani dall'Afghanistan. Il 3 novembre Gabriele
Torsello ritrova la libertà, dopo una delicata trattativa condotta da
rappresentanti del governo e da operatori di Emergency a Kabul.
Il conflitto tra Israele e Libano esplode il 12 luglio quando un reparto
di Hezbollah rapisce due soldati israeliani. La reazione è immediata: i
carri armati israeliani invadono il Libano per la prima volta dal ritiro
nel 2000 mentre l'aviazione inizia i bombardamenti. Le ostilità
continuano per 34 giorni durante i quali viene svolta una intensa
attività diplomatica internazionale tesa al conseguimento di una
tregua-cessate il fuoco per la successiva creazione di stabili
condizioni di pace. L'11 agosto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite approva all'unanimità la risoluzione 1.701 con la quale si
sancisce il ritiro immediato delle truppe israeliane dal Sud del Libano
e il potenziamento del contingente militare di Unifil (gli osservatori
dell'Onu già presenti dal 1978 in quella zona) con l'invio di una forza
multinazionale di pace composta da 15.000 Caschi blu. Il nostro Paese
offre subito un contributo rilevante alla risoluzione del conflitto in
Medio Oriente: l'Italia, allo scopo di contribuire all'incremento del
pacchetto di forze a disposizione di Unifil, partecipa alla missione
internazionale denominata in ambito nazionale " Operazione Leonte
" con un
contingente militare di circa 2.500 unità. A fine agosto arriva il via
libera del governo al decreto che autorizza la missione dei soldati
italiani in Libano. Il decreto che autorizza e finanzia la missione
verrà approvato a fine settembre, oltre che dai gruppi della
maggioranza, anche da Udc, An, Forza Italia; solo i deputati della Lega
Nord si dissociano e votano contro il provvedimento. Il 2 settembre i
militari italiani sbarcano sulla spiaggia di Tiro, in Libano, schierati
sulla fascia blu, la porzione di territorio che corre per 120 km a sud
del fiume Litani. L'Italia è dunque in prima linea in Libano, ma il
compito dei nostri soldati non è semplice. Da un parte c'è uno Stato,
Israele, che rivendica il diritto all'autodifesa; dall'altra un
movimento, Hezbollah, che non è disposto a deporre le armi come chiede
l'Onu. L'allarme terrorismo è molto forte e le misure di sicurezza
vengono innalzate dopo l'assassinio del ministro dell'Industria libanese
Pierre Gemayel. La situazione è ogni giorno più difficile e ogni giorno
l'Unifil è più necessaria dichiara Romano Prodi. Il presidente del
Consiglio festeggia il Natale con i nostri militari in Libano, a Tibnin,
quartier generale del contingente italiano dell'Unifil.
Politica e giustizia
Durante i cinque anni di legislatura del governo Berlusconi, e del
ministero della Giustizia affidato a Roberto Castelli, i rapporti tra
politica e magistratura sono stati sempre assai turbolenti. Quattro in
totale gli scioperi delle toghe (mai così tanti nel dopoguerra) e ogni
volta una forte contestazione alla cerimonia di inaugurazione dell'anno
giudiziario. Dopo le proteste degli anni scorsi i giudici in toga nera,
oppure con una grande copia della Costituzione in mano questa volta
arriva forse la contestazione più forte: l'assenza e il silenzio. Il 28
gennaio infatti, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario, i
magistrati dell'Anm disertano le cerimonie di inaugurazione, a Roma come
negli altri 25 distretti di Corte d'Appello, per protestare contro la
riforma dell'ordinamento giudiziario che porta la firma di Castelli e,
più in generale, contro le leggi approvate dal Parlamento che
aggraveranno le difficoltà della giustizia e non risolveranno il
problema della durata dei processi. Le parole del primo presidente della
Corte di Cassazione Nicola Marvulli all'inaugurazione dell'anno
giudiziario dipingono una magistratura che ha perso prestigio: troppo
lunghi i processi, troppo mutevoli i programmi di formazioni dei
magistrati ma, anche, troppo narcisi alcuni tra loro (una bacchettata ai
magistrati affetti da mania di protagonismo). Il tutto in un contesto
allarmante che vede un aumento della conflittualità nella società
italiana che ha portato a un incremento del contenzioso civile dal 2%
per i giudizi di primo grado fino all'8% per quelli d'Appello.
Intollerabile e in progressivo degrado viene definito poi lo stato in
cui versa l'amministrazione della giustizia dal presidente della Corte
d'Appello di Roma, Giovanni Francesco Lo Turco. Commentando la protesta
dell'Associazione nazionale magistrati che ha disertato le cerimonie, il
ministro Castelli afferma che si tratta del solito atto di cieca
contrapposizione al governo.
Fa discutere a gennaio la riforma dell'Appello (la cosiddetta " legge
Pecorella "), proposta su iniziativa di Gaetano Pecorella, deputato di
Forza Italia e presidente della Commissione giustizia della Camera,
oltre che difensore dell'allora presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi. Quattro mesi dopo il sì della Camera, tra numerose
polemiche, il 12 gennaio arriva infatti il via libera del Senato per il
provvedimento che modifica il Codice di procedura penale e che prevede
l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, per le quali
l'accusa può soltanto ricorrere in Cassazione. Il Ddl ottiene il
sostegno della sola maggioranza di centrodestra, mentre nettamente
contrario è il giudizio dell'opposizione che accusa la legge di
incostituzionalità e di essere una nuova legge ad personam, che
favorirebbe il premier coinvolto in diversi procedimenti giudiziari.
Forti le contestazioni anche da parte dell'Associazione nazionale
magistrati. Con la legge Pecorella il Codice viene cambiato in maniera
che in caso di assoluzione dell'imputato in primo grado non si possa
ricorrere in Appello, ma soltanto rivolgersi alla Cassazione, che non
entra nel merito del giudizio ma deve solo verificare la legittimità
della procedura con la quale è stato formulato. Le nuove norme sui
processi vengono però giudicate incostituzionali dal Quirinale e il 20
gennaio il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con un
messaggio alle Camere nega la firma sotto la legge sull'inappellabilità.
Il presidente mette in evidenza il carattere disorganico e asistematico
e le palesi incostituzionalità, come la trasformazione della Corte di
Cassazione da giudice di legittimità a giudice di merito e l'aumentata
disparità di trattamento tra accusa e difesa. Tutto questo viene
condiviso dal mondo accademico dei magistrati. Dopo un primo no di
Pecorella, padre della legge in questione, si raggiunge un accordo nella
maggioranza per introdurre solo un paio di ritocchi al testo rinviato da
Ciampi, mentre il centrosinistra vorrebbe riesaminarlo tutto. I tempi
sono stretti perché si sta avvicinando la chiusura della legislatura, ma
la Cdl punta alla riapprovazione. Il 14 febbraio arriva il via libera
definitivo del Senato al provvedimento sulla inappellabilità delle
sentenze di proscioglimento (con 159 voti a favore, 55 contrari e un
astenuto: l'opposizione ha votato contro), che chiude la partita dopo il
rinvio della legge da parte del capo dello Stato. Rispetto alla prima
versione, la legge viene modificata in alcuni punti per rispondere ai
rilievi del Quirinale, introducendo in particolare l'eccezione della
prova decisiva, che permette anche al pm di proporre appello.
Continua anche nel 2006 il dibattito sulla clemenza e sul problema del
sovraffollamento delle carceri italiane (oltre 15.000 in soprannumero).
Con la Rosa nel pugno in prima linea, si rafforza il fronte dei gruppi
parlamentari favorevoli a un atto di clemenza, e l'inizio della nuova
legislatura appare il momento propizio per cercare un'intesa tra i poli
finalizzata a questo. Nonostante alcune resistenze (in particolare di
Antonio Di Pietro dell'Italia dei valori, di An e della Lega),
all'inizio sono due le ipotesi di clemenza in di-scussione tra le forze
politiche: l'amnistia (che cancella il reato) e l'indulto (meno radicale
dell'amnistia perché estingue la pena, ma non il reato). Si pensa
comunque a un provvedimento che escluda i reati più gravi e di maggiore
allarme sociale (terrorismo, mafia, pedofilia, violenza sessuale). Una
volta accantonata l'ipotesi amnistia, a luglio il dibattito prosegue
sull'indulto. Ma nella maggioranza di centrosinistra si apre un duro
scontro tra il leader di Italia dei valori e ministro per le
Infrastrutture Di Pietro e il resto della coalizione. L'ex pm di Milano
dopo i reati di Tangentopoli e Bancopoli (le scalate ad Antonveneta e
alla Bnl) contesta agli alleati di avere incluso nello sconto di pena
anche i reati finanziari, societari e contro la pubblica amministrazione
(ossia la corruzione, la concussione e i falsi in bilancio). Per il
neoministro della Giustizia Clemente Mastella il testo dell'indulto
approvato dalla Commissione Giustizia va bene così com'è. Tre anni di
abbuono, esclusi solo i reati gravissimi. Lo scontro politico in aula si
fa molto duro, con Di Pietro che minaccia di uscire dal governo,
lasciare il Ministero e limitarsi al solo appoggio esterno. Il 29 luglio
il Senato approva il disegno di legge sull'indulto con 245 sì, 56 no e 6
astenuti. Il provvedimento si applica ai reati commessi fino a tutto il
2 maggio 2006 e prevede uno sconto di tre anni per le pene detentive e
non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie. Sono escluse dai
benefici dell'indulto le pene accessorie (come l'interdizione dai
pubblici uffici) definitive e temporanee. Il provvedimento di clemenza
non si applica a chi ha commesso reati di terrorismo, strage, sequestro
di persona, associazione a delinquere, associazione a delinquere di
stampo mafioso, prostituzione minorile, pedopornografia, tratta di
persone, acquisto e alienazione di schiavi, violenza sessuale,
riciclaggio, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti
ed usura. Lo sconto di pena sarà comunque anche condizionato alla buona
condotta fuori dalla cella: in caso vengano commessi nuovi reati nei
cinque anni successivi alla concessione dell'indulto, il beneficio sarà
revocato. Si calcola che tra i beneficiari della clemenza il 40% siano
stranieri condannati per spaccio, furto e immigrazione clandestina.
Niente carcere anche per molti protagonisti dei più recenti scandali
finanziari in Italia. La polemica sull'indulto non si arresta con
l'approvazione del provvedimento e a novembre arriva a scalare i vertici
dell'esecutivo. A innescare lo scontro è il caotico balletto di cifre
sugli scarcerati. Secondo le stime del ministero della Giustizia il
provvedimento di clemenza avrebbe dovuto riguardare quasi 13.000
persone, ma il 9 novembre, in una prima comunicazione al Senato, il
ministero afferma che i detenuti resi liberi dall'indulto sono quasi
24.000. Il dato viene in seguito rettificato dal Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria (Dap) che afferma che l'indulto ha
permesso la scarcerazione immediata di 15.750 detenuti, mentre altri
2.000 usciranno nei mesi successivi.
La riforma dell'ordinamento giudiziario, presentata dall'allora ministro
della Giustizia Roberto Castelli e varata dalla Cdl in via definitiva il
20 luglio 2005, è stata la causa prima delle proteste dei giudici e dei
pm durante il governo Berlusconi. I contenuti principali della riforma
riguardano: la separazione delle funzioni, la selezione e la formazione
dei magistrati, le procedure di progressione di carriera, le procedure
disciplinari, l'organizzazione delle Procure, il decentramento
funzionale. La riforma è una legge delega, e in quanto tale impegna il
governo entro limiti temporali indicati ad assumere decreti legislativi
atti ad attuare le direttive del testo approvato in Parlamento. Uno dei
primi passi del nuovo governo di centrosinistra guidato da Prodi, e
fortemente atteso dalle toghe, è quello di intervenire per modificare o
sospendere i passaggi più contestati della riforma dell'ordinamento
giudiziario. Per fare questo il governo deve procedere il più
velocemente possibile perché si avvicinano le date di entrata in vigore
dei primi tre decreti attuativi della riforma, che riguardano: il
processo disciplinare (che rende obbligatoria l'azione disciplinare
contro le toghe, per cui anche per un semplice esposto anonimo un
magistrato potrebbe finire sotto inchiesta), la riorganizzazione delle
Procure (il procuratore capo diventa titolare esclusivo dell'esercizio
dell'azione penale) e la separazione delle funzioni tra giudice e pm.
Non potendo optare per un decreto legge, il neoministro della Giustizia
Clemente Mastella a inizio giugno presenta al Consiglio dei ministri un
disegno di legge che sospende l'entrata in vigore dei tre decreti
legislativi della riforma dell'ordinamento giudiziario. La discussione
sul Ddl Mastella la riprende in autunno e, nonostante la volontà di
mediazione del ministro, le trattative tra governo e opposizione per
individuare un percorso condiviso sul tema risultano molto difficili.
Tuttavia il 23 ottobre la Camera approva in via definitiva il Ddl che
modifica e in parte sospende la riforma dell'ordinamento giudiziario
della Cdl. Il testo passa con 263 sì, 134 no e 3 astenuti. Il testo
approvato, rispetto a quello originariamente presentato dal
guardasigilli, prevede la sospensione fino al 31 luglio 2007
dell'entrata in vigore del decreto che disciplina la carriera dei
magistrati e la separazione delle funzioni tra giudici e pm (il governo
ha dunque nove mesi per riscrivere le norme in questo campo). Sono state
invece direttamente modificate, e non soltanto sospese, le parti
relative agli illeciti disciplinari e al riassetto delle Procure. Per
quanto riguarda gli aspetti disciplinari, resta ferma l'obbligatorietà
dell'azione penale, tuttavia un filtro presso la Procura generale della
Cassazione bloccherà le denunce infondate e pretestuose; quanto agli
illeciti, al di fuori dell'iscrizione a partiti (che rimane vietata), il
magistrato commetterà reato soltanto se parteciperà in modo sistematico
e continuativo alla vita politica. Per quanto riguarda l'assetto delle
Procure, rimane la titolarità esclusiva dell'azione penale assegnata al
procuratore capo, ma il sostituto procuratore, in caso di revoca del
procedimento, può formulare osservazioni scritte, e in ultima istanza
portare il conflitto davanti al Consiglio superiore della magistratura.
L'approvazione del Ddl viene salutata con orgoglio e soddisfazione dal
ministro della Giustizia Mastella.
Le principali riforme
Vanno in porto, in finale di legislatura, le nuove norme
sull'autodifesa, fortemente volute dalla Lega e sostenute da tutta la
Cdl. Il 24 gennaio infatti la Camera approva in via definitiva (244 voti
favorevoli, 175 contrari) la legge sulla legittima difesa, con il voto
contrario dell'Ulivo. Il testo era stato approvato al Senato il 6 luglio
2005, ma da tre anni giaceva in Parlamento. La riforma autorizza l'uso
di armi per difendere la vita e i beni. In dettaglio, la nuova normativa
(12 righe che completano l'art. 52 del Codice penale) prevede che ogni
reazione di chi si sente minacciato in casa propria sia considerata
proporzionata. Chi cioè, trovandosi in casa propria o sul luogo di
lavoro, si sente aggredito o minacciato, o crede minacciati e aggrediti
i beni che gli appartengono, può reagire con le armi legittimamente
detenute, anche uccidendo. Secondo la nuova legge non esiste più
l'eccesso di difesa per il quale fino ad ora si poteva venire
condannati. Le nuove norme sulla legittima difesa valgono non solo
all'interno delle abitazioni private, ma anche nei negozi e in ogni
luogo dove sia svolta attività commerciale e imprenditoriale. Casini
difende la nuova legge dicendo che cerca di evitare di mettere sullo
stesso piano vittima e aggressore e assicurando che non condurrà al Far
West.
Dopo quasi quattro mesi di agonia, e dopo una dura polemica con i
parlamentari del suo partito Forza Italia, l'8 febbraio il Senato
approva il Ddl del ministro delle Pari opportunità Stefania
Prestigiacomo sulle cosiddette quote rosa, ossia sulla rappresentanza
femminile nelle cariche elettive, grazie anche al soccorso dell'Unione.
Un sì fuori tempo massimo, visto che la Camera non potrà esaminare entro
la fine della legislatura il provvedimento che, pertanto, non diventerà
legge. Il progetto messo a punto dal ministro Prestigiacomo prevedeva
che nelle liste elettorali almeno il 25% dei candidati fossero di sesso
diverso rispetto al restante 75%.
Il 7 febbraio, con 271 sì e 190 no viene approvata dalla Camera la nuova
legge sulla droga, voluta dall'allora vicepremier Gianfranco Fini.
Esulta il Polo, con An in prima linea. Le nuove norme di contrasto alla
tossicodipendenza cancellano la differenza tra droghe leggere, quali la
cannabis, e pesanti, quali eroina e cocaina. Il testo prevede pene più
severe per gli spacciatori, da applicare cioè a chi spaccia, produce,
commercia o trasporta droghe oltre i limiti ristretti della cosiddetta
dose soglia. Si parte dai 6 anni, si arriva ai 20 nei casi in cui
l'imputato abbia pesanti precedenti e multe dai 26.000 ai 260.000 euro.
Con una tabella redatta da una commissione ministeriale si stabilisce la
quantità che segna il confine tra consumo e spaccio. Le sanzioni
amministrative riguardano invece i consumatori sorpresi con una quantità
di droga inferiore alla dose soglia, cioè la quantità per uso personale.
Scompare quindi la cosiddetta modica quantità. Fini, padre della legge,
spiega che non si tratta di un provvedimento repressivo se non per
quello che riguarda lo spaccio. Per l'Unione si tratta invece di una
legge ingiusta e autoritaria. Le intenzioni del centrosinistra infatti,
una volta al governo, sono quelle di modificare radicalmente la
normativa in tema di droghe. In novembre il neoministro della Salute
Livia Turco emana un decreto con il quale viene innalzato da 500 a 1.000
mg il quantitativo massimo di cannabis, espresso in principio attivo,
detenibile a uso esclusivamente personale. Il nuovo valore-soglia di
1.000 mg deriva dalla moltiplicazione per 40, anziché per 20 come
previsto dalla vecchia tabella varata dal precedente governo, della dose
media singola pari a 25 milligrammi. Contro il provvedimento si schiera
la Casa delle libertà insieme a molte comunità di recupero, tra cui Exodus, di don Antonio Mazzi.
A fine gennaio le Commissioni Infanzia e Giustizia del Senato approvano
definitivamente, in sede legislativa, la legge sull'affido condiviso. Il
provvedimento modifica l'art. 155 del Codice civile e prevede che in
caso di divorzio il giudice valuti in via prioritaria l'affidamento dei
figli ad entrambi i coniugi. Secondo il Ddl, il giudice può comunque
di-sporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora
ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia
contrario all'interesse del minore e ciascuno dei genitori può, in
qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo. Entrambi i genitori
devono provvedere al mantenimento dei figli e per quanto riguarda la
casa familiare, il genitore a cui è assegnata perde il diritto ad
abitarvi se si risposa o convive.
A pochi giorni dall'insediamento del nuovo governo, il neoministro della
Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni inizia a lavorare per evitare
l'entrata in vigore della legge Moratti sulla riforma della scuola
prevista a settembre. Il primo passo verso lo smantellamento della
contestatissima riforma riguarda il blocco della sperimentazione dei
nuovi licei, stabilita dal decreto del 31 gennaio. La riforma voluta dal
ministro uscente Letizia Moratti prevedeva infatti un percorso liceale
suddiviso in 21 indirizzi. A settembre Fioroni dà l'ennesima spallata al
programma della Moratti intervenendo su molti punti salienti varati dal
precedente governo. In pratica, non ci sarà nessun tutor, non si dovrà
procedere alla compilazione del portfolio e non ci sarà nessuna
applicazione generalizzata degli anticipi. A dicembre la Camera approva
con 275 voti favorevoli e 220 contrari il disegno di legge che modifica
gli esami di Stato. Tra le novità previste dal provvedimento, c'è il
ritorno della Commissione mista d'esame, composta per metà da professori
interni e per metà esterni. I docenti esterni non potranno appartenere
allo stesso distretto scolastico dell'istituto, per garantire un esame
più rigoroso. A guidare gli esami sarà un presidente, anch'egli esterno,
che dovrà seguire i lavori di due classi o al massimo 70 alunni.
L'accesso agli esami di maturità, inoltre, non sarà più scontato.
L'ammissione, di fatto abolita dalla riforma Berlinguer del 1999,
tornerà a rappresentare il primo scoglio da superare: soltanto coloro
che mostreranno di possedere la preparazione adeguata potranno accedere
agli esami. Le prime modifiche dell'esame entreranno in vigore già a
fine anno. Per il ministro dell'Istruzione con l'approvazione di questo
provvedimento vengono garantiti ai nostri ragazzi esami più seri e più
certi, in grado di consentire alle università di valutare con piena
cognizione i loro iscritti.
In seguito alle indagini su numerosi casi di intercettazioni condotte
illegalmente, in quanto non autorizzate dall'autorità giudiziaria, nasce
dal governo la proposta di una normativa più severa in merito. Il 19
novembre arriva il sì definitivo dell'aula della Camera alla conversione
del decreto legge sulle intercettazioni messo a punto dal ministro della
Giustizia Clemente Mastella con 413 sì, 1 no e 142 astenuti (l'intero
gruppo di Forza Italia). Il provvedimento stabilisce che sarà il giudice
per le indagini preliminari a disporre in tempi rapidi la distruzione
delle intercettazioni illegalmente raccolte, mentre toccherà al pubblico
ministero chiedere secretazione e custodia degli atti. Sono previste
sanzioni penali per chi detiene consapevolmente le intercettazioni
raccolte illecitamente (la reclusione da sei mesi a quattro anni, ma da
uno a cinque anni per i pubblici ufficiali), e pecuniarie per chi le
pubblica. Sono queste le principali novità introdotte dal decreto messo
a punto dal governo dopo lo scandalo degli spioni Telecom. Soddisfatto
il guardasigilli Mastella che afferma: oggi i cittadini possono essere
più sereni.
Il Consiglio dei ministri del 12 ottobre presenta un progetto di
modifica della legge Gasparri del maggio 2004 (dal suo promulgatore
Maurizio Gasparri), o legge di riforma generale del sistema
radiotelevisivo. Si tratta di una delle leggi più discusse del governo
Berlusconi, tanto è vero che il nuovo ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni presenta un disegno di legge volto a disciplinare il settore e
a modificare ampie porzioni della legge Gasparri nella fase di
transizione al digitale terrestre. Con la nuova normativa si stabilisce
la posizione dominante per i soggetti che superano il tetto massimo del
45% della raccolta pubblicitaria; scompare una delle novità più
contestate della Gasparri, ovvero l'istituzione del Sic, il Sistema di
comunicazione integrato; si prevede il trasferimento di una rete
analogica sul digitale entro il 2009 per Rai e Mediaset (rispettivamente
RaiTre e Rete4), prima del trasferimento totale di tutte le reti sul
digitale entro il 2012. Inevitabili le ripercussioni politiche: per il
leader della Cdl Silvio Berlusconi se Mediaset dovesse essere obbligata
a cedere una rete sarebbe un atto di banditismo e non sarebbe più una
democrazia. Berlusconi a volte non si ricorda se è un leader politico o
un proprietario di tv, è la replica, secca, del ministro per i Rapporti
con il Parlamento, Vannino Chiti. Il cammino della legge sarà,
probabilmente, molto lungo e tormentato.
In tema di immigrazione, a fine luglio il Consiglio dei ministri
autorizza la riapertura delle quote di flussi di ingresso per lavoratori
extracomunitari per l'anno 2006, allo scopo di soddisfare le domande
presentate dai datori di lavoro per l'impiego di cittadini
extracomunitari. Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale,
spiega che si sana così la differenza tra le 520.000 domande presentate
dai datori di lavoro e i 170.000 permessi concessi dal governo
precedente. Il nuovo ministro dell'Interno Giuliano Amato delinea
inoltre le modifiche alla legge Bossi-Fini, varata dal precedente
governo di centrodestra nel 2002, che attualmente regola la presenza
degli extracomunitari in Italia. Il disegno di legge, presentato da
Amato e approvato il 4 agosto dal Consiglio dei ministri, è destinato a
far discutere e in Parlamento la battaglia si prevede dura perché,
almeno nei commenti dei rappresenanti del centrosinistra, la proposta è
il primo passo verso la cancellazione della legge Bossi-Fini.
Attualmente, lo straniero che vuole diventare italiano deve essere
residente legalmente in Italia da dieci anni, deve possedere un reddito
sufficiente; non deve avere precedenti penali e deve rinunciare alla
cittadinanza d'origine. Con la nuova proposta, anche per gli
extracomunitari sarà più semplice ottenere la cittadinanza italiana e
godere di tutti i diritti concessi a chi vive nel nostro Paese, primo
fra tutti, quello di voto. Il Ddl presentato dal ministro Amato porta da
dieci a cinque anni (di residenza regolare e ininterrotta) i tempi per
poter presentare la richiesta di diventare italiani. La concessione
della cittadinanza viene subordinata alla verifica della conoscenza
della lingua italiana e avverrà con una cerimonia di giuramento.
Inoltre, se verrà approvata dal Parlamento, la nuova proposta prevede
che diventeranno automaticamente cittadini italiani i bambini nati da
genitori stranieri, di cui uno almeno residente in Italia da cinque
anni. Il Viminale annuncia poi decreti flussi triennali e il ritorno
dello sponsor. Con la legge Bossi-Fini per entrare regolarmente in
Italia bisogna avere già un contratto di lavoro; secondo la proposta di
Amato invece, l'immigrato viene chiamato dallo sponsor, ossia un
sindacato o un'associazione imprenditoriale o territoriale, che
garantisce economicamente per lui finché non trova un contratto di
lavoro. Per modificare la legge Bossi-Fini il ministro dell'Interno
ipotizza anche un sistema di liste di lavoratori immigrati nei consolati
dei Paesi con l'introduzione di liste di collocamento informatizzate. I
Cpt (Centri di permanenza temporanea) nella riforma Amato restano
essenziali, ma sdoppiati: centri semidetentivi per chi ha commesso reati
e strutture di accoglienza vera e propria per tutti gli altri. Infine,
si allunga la durata dei permessi di soggiorno: uno o due anni per
lavoro a tempo determinato; tre anni per contratti di lavoro a tempo
indeterminato. La polemica politica naturalmente si infiamma e il
centrodestra si spacca: mentre l'Udc apre al confronto in Parlamento e
An è a sua volta divisa tra falchi e colombe (con Fini possibilista),
Forza Italia e soprattutto la Lega lanciano l'offensiva. In ottobre il
Consiglio dei ministri approva un altro disegno di legge in materia di
immigrazione. Il Ddl, presentato dal ministro della Giustizia Mastella,
introduce il reato di trasporto di clandestini extracomunitari, con
norme più severe per gli scafisti.
La polemica politica sui diritti delle coppie di fatto (omo - ed
eterosessuali) è politicamente trasversale e il tema è davvero spinoso,
in quanto riguarda alcuni valori cardine della nostra società. Il
programma dell'Unione prevede il riconoscimento giuridico dei diritti,
ma è indubbio che il tema dei Pacs o Patti civili di solidarietà sarà un
nodo difficile da superare per l'esecutivo di Prodi. A dicembre il
governo e i capigruppo della maggioranza al Senato raggiungono un
accordo in base al quale entro il 31 gennaio 2007 il governo si impegna
a predisporre un disegno di legge sulle coppie di fatto. Nella bozza di
governo non ci sono distinzioni tra le unioni civili formate da
eterosessuali e quelle formate da omosessuali: diritti e doveri sono
uguali in entrambi i casi. Voci contrarie al Ddl si levano
dall'opposizione, ma anche da alcuni esponenti cattolici della
Margherita e dell'Udeur (i cosiddetti teodem). Tuttavia, anche se nella
maggioranza c'è il freno di Margherita e Udeur, alcuni settori laici del
centrodestra aprono alle libertà civili. Forti le critiche dal Vaticano:
l'Osservatore Romano contesta al governo di voler sradicare la famiglia.
A fine ottobre viene raggiunta la difficile intesa tra governo,
Confindustria e sindacati circa il decollo della previdenza integrativa.
Dal primo gennaio 2007 scatteranno i sei mesi durante i quali tutti i
lavoratori (esclusi quelli pubblici) dovranno scegliere se mantenere il
Tfr (Trattamento di fine rapporto) nella sua forma attuale, quella
comunemente detta liquidazione, oppure destinarlo alla costruzione di
una pensione integrativa, versandolo ai fondi pensione. Se non
prenderanno alcuna decisione il Tfr andrà lo stesso a un fondo
previdenziale, secondo il sistema del silenzio-assenso. Queste regole,
già contenute nella riforma Maroni del 2005, scatteranno non più nel
2008 ma appunto dal primo gennaio 2007. La norma differenzia le aziende
con meno o più di 50 dipendenti. Per le prime, se il lavoratore sceglie
di mantenere il Tfr nella sua forma originaria, nulla cambia. Per le
aziende che hanno più di 50 dipendenti, invece, andrà al fondo Inps, per
conto dello Stato, il 100% del Tfr maturando del lavoratore che deciderà
di non aderire ad alcun fondo pensione. L'Inps si occuperà di
rivalutarlo e di renderlo disponibile al lavoratore al momento del suo
allontanamento dall'azienda. Confindustria avrebbe preferito che il
fondo Inps fosse abolito, ma accetta il compromesso perché la
maggioranza delle imprese italiane, avendo meno di 50 dipendenti, potrà
continuare a trattenere in azienda il Tfr dei lavoratori che
sceglieranno di tenersi la liquidazione. Decisivo per il sì di
Confindustria è l'anticipo al 2007 delle compensazioni previste dalla
riforma Maroni per le aziende che dovranno rinunciare al Tfr.
Immigrazione e rapporti con l'Islam
L'anno inizia con la forte e crescente protesta dei Paese arabi per la
pubblicazione, avvenuta qualche mese prima, di alcune caricature di
Maometto su un giornale danese. Le dodici vignette satiriche scatenano
una vera e propria sollevazione popolare e politica e sconvolgono il
mondo islamico, creando uno scontro politico-culturale a tutto campo nei
confronti di vari altri Paesi europei, oltre alla Danimarca. Cresce il
numero dei giornali che ristampano le vignette in nome della libertà di
espressione e ogni pubblicazione suscita reazioni indignate nel mondo
musulmano. Molte proteste, alimentate dagli integralisti islamici,
sfociano nel sangue. La reazione violenta alle vignette si allarga fino
a scatenarsi contro i cristiani e la Chiesa. Il 5 febbraio viene ucciso
a colpi di pistola a Trebisonda, in Turchia, un sacerdote italiano,
Andrea Santoro, 61 anni, impegnato a promuovere il dialogo fra
Cristianesimo e Islam. Si scoprirà che l'assassino è un fanatico
religioso di soli 16 anni che ha sparato invocando Allah. In Italia la
vicenda crea una nuova polemica politica in seguito all'iniziativa del
ministro leghista per le Riforme, Roberto Calderoli, che in quei giorni
indossa e mostra in tv una maglietta sulla quale sono riprodotte le
vignette incriminate. L'iniziativa del ministro (che si dimetterà) ha
un'ampia eco nel mondo arabo. Il primo assalto contro l'Italia parte
dalla Libia. Il 17 febbraio esplode la contestazione, e centinaia di
manifestanti protestano davanti alla sede del consolato italiano di
Bengasi, da qualche tempo capitale del fondamentalismo islamico locale.
Le forze di sicurezza reagiscono sparando e lasciano sul terreno undici
morti e diversi feriti tra i dimostranti. L'ondata di violenze non si
placa, e dal Pakistan alla Nigeria provoca morti tra i cristiani e molte
chiese incendiate. Il Vaticano prende posizione e condanna fermamente i
fanatici che fomentano le violenze ed esige reciprocità nel rispetto
della libertà religiosa.
In autunno proprio il Vaticano viene coinvolto in una delle più
travolgenti tempeste mediatiche, diplomatiche e di piazza della sua
storia recente. Il 12 settembre papa Benedetto XVI tiene un discorso
all'Università di Ratisbona, in Germania, che fa infuriare i musulmani.
Nel suo discorso accademico il papa teologo parla di fede religiosa e
cita, per commentarle, le parole dell'imperatore bizantino Manuele II
Paleologo che, in un dialogo risalente al 1391 con un colto persiano, a
un certo punto chiede al suo interlocutore: Mostrami pure ciò che
Maometto ha portato di nuovo e vi troverai solo cose cattive e disumane.
Dopo l'intervento in Germania del pontefice insorgono gli islamici di
tutto il mondo, con proteste di piazza e richieste di ritrattazioni. In
Vaticano c'è smarrimento di fronte all'accusa, a causa di distorsioni di
fronte a una lezione dotta, di avere offeso il profeta Maometto, con il
rischio di causare forti danni ai rapporti di dialogo più che decennali.
Nonostante il segretario di Stato Tarcisio Bertone esprima rammarico per
il fraintendimento delle parole di papa Ratzinger, i leader di molti
Paesi musulmani chiedono scuse formali da parte del pontefice in
persona. Il 17 settembre, parlando all'Angelus, il papa interviene in
prima persona per dirsi vivamente rammaricato per le reazioni al breve
passo del discorso che era una citazione di un testo medievale che non
esprime in nessun modo il mio pensiero. La rettifica pubblica del
pontefice porta a segnali di distensione nel mondo islamico, ma
persistono atteggiamenti aggressivi di frange fanatiche, estremiste o
terroriste. Il 18 settembre due killer, forse appartenenti a un gruppo filotalebano, uccidono una suora italiana, suor Leonella Sgorbati, 66
anni, a Mogadiscio. La religiosa cade davanti all'ospedale pediatrico in
cui prestava servizio. L'uccisione della suora, piacentina di origine,
secondo un esponente delle Corti islamiche, sarebbe da collegare alla
tensione anticristiana montata anche in Somalia dopo il discorso del
papa a Ratisbona, anche se si inquadra nel clima violento e di guerra
civile del Paese africano.
L'improvvisa crisi nei rapporti con il mondo islamico cade proprio in
prossimità della visita, prevista in novembre, di papa Benedetto XVI in
Turchia. Il viaggio si annuncia difficile e le dimostrazioni contro il
pontefice iniziano ancora prima del suo arrivo: tra queste, il gesto
dimostrativo, ma non meno inquietante, di un giovane che spara in aria
davanti al consolato italiano a Istanbul per protestare contro la visita
del papa, dichiarando di volerlo uccidere con le proprie mani. Poi, il
dissenso espresso dagli ultranazionalisti che a Istanbul occupano Santa
Sofia, edificio di culto un tempo cristiano, al grido di no alla visita
del papa. Allah è grande. Grazie al lavoro delle due diplomazie, la
visita del pontefice si svolge in un clima meno teso del previsto e il
gelo tra Benedetto XVI e la Turchia sembra superato. Per il papa il
viaggio è pastorale e ha come sua determinazione il dialogo e l'impegno
comune per la pace.
All'inizio di agosto, l'amministrazione comunale di Padova decide di
costruire un muro antispaccio che separa i palazzi del complesso
Serenissima, cuore del ghetto di via Anelli, dalla vicina via De Besi.
Si tratta in realtà di una parete metallica lunga 84 m e alta 3. Nel
ghetto di via Anelli vivono circa 1.500 immigrati di varie etnie. Dopo
la costruzione della recinzione si verificano scontri tra diversi gruppi
di immigrati che vivono nella zona e forze di polizia controllano gli
ingressi nella via per combattere lo spaccio di droga. Le polemiche per
questa iniziativa sono numerose e il sindaco diessino della città,
Flavio Zanonato, viene accusato di avere creato un muro di Berlino.
L'innalzamento della recinzione assume importanza nazionale attraverso i
media, come esempio della difficoltà delle istituzioni di risolvere il
problema della riqualificazione dei ghetti urbani. Il provvedimento
scatena le polemiche tra i diversi esponenti politici. Nonostante
l'annuncio del sindaco di voler abbattere presto il muro della
discordia, a fine settembre viene organizzato dai centri sociali del
Nord-Est un corteo di protesta. Il muro di via Anelli, secondo
l'amministrazione comunale, è l'unica soluzione possibile in una
situazione di emergenza ma, si precisa, sarà una misura temporanea.
All'inizio di ottobre a Milano, dopo poco più di un anno dalla chiusura
del centro islamico di via Quaranta dove studiavano clandestinamente
cinquecento alunni, si apre un nuovo caso. Il 9 ottobre apre le porte,
senza il via libera della Direzione scolastica provinciale, una scuola
bilingue italo-araba in via Ventura, patrocinata dal consolato del
Cairo, dove un'ottantina di bambini egiziani di elementari e medie
dovrebbero studiare. L'associazione Insieme dei genitori egiziani, dopo
la chiusura della scuola islamica abusiva di via Quaranta, aveva chiesto
da tempo l'autorizzazione per la scuola straniera di via Ventura, ma in
giugno il provveditorato aveva dato risposta negativa. Il neosindaco di
Milano, Letizia Moratti, afferma che aprire una scuola senza le
necessarie autorizzazioni è indice di mancanza di rispetto nei confronti
delle autorità preposte. Dello stesso parere anche il vicepresidente
della Commissione europea Franco Frattini che afferma: è esattamente il
contrario di ciò che intendiamo per politiche di integrazione. Il 12
ottobre le lezioni vengono sospese con un'ordinanza del prefetto. Si
scatena il dibattito politico. Il 17 ottobre il ministro della Pubblica
istruzione Giuseppe Fioroni dà il via libera alla scuola araba purché ci
sia il nulla osta del Comune sull'agibilità dell'edificio. All'inizio di
novembre riprendono le lezioni all'istituto privato italo-egiziano di
via Ventura ma le polemiche, soprattutto nel centrodestra, non accennano
a placarsi. No-nostante il via libera della Direzione scolastica
regionale della Lombardia e quello del prefetto, manca ancora il nulla
osta di competenza del Comune di Milano relativo all'agibilità.
Anche quest'anno il Rapporto sull'immigrazione Caritas-Migrantes,
presentato a Roma alla fine di ottobre, ci offre una serie di dati
importanti sulla situazione dell'immigrazione in Italia. Secondo lo
studio dell'associazione, nel nostro Paese vivono oggi 3.035.000
stranieri regolari, e ogni anno ci sono 300.000 nuovi arrivi.
L'incidenza sulla popolazione italiana è del 5,2%. Gli immigrati,
evidenzia il rapporto, diventeranno sempre più l'unico fattore di
crescita demografica in grado di rimediare alla prevalenza dei decessi
sulle nascite. Roma e Milano detengono rispettivamente l'11,4% e il
10,9% della popolazione straniera. La Lombardia è la prima regione
perché accoglie da sola quasi un quarto del numero complessivo. Dal
Rapporto emerge come in Italia sia rilevante anche la diversificazione
delle provenienze, che includono tutti i Paesi del mondo, seppure in
misura differenziata. Ogni dieci presenze straniere, cinque sono
europee, due africane, due asiatiche e una americana. Questo
naturalmente determina la co-presenza di molte fedi: cristiani (49,1%),
musulmani (33,2%), religioni orientali (4,4%). Il Rapporto evidenzia che
l'immigrato è una componente dinamica del mercato del consumo: il 91% ha
il cellulare, l'80% possiede il televisore, il 75% invia rimesse in
patria, il 60% possiede un conto in banca, il 55% ha un'auto, il 22% un pc. Inoltre gli immigrati regolari nel nostro Paese hanno un livello di
istruzione comparativamente più alto rispetto agli italiani, ma
guadagnano molto meno di loro: in media la metà, anche a causa
dell'impiego discontinuo. Uno studio del professor Marzio Barbagli del
dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università di Bologna,
fatto in base ai dati sui reati denunciati dal 1988 al 2006, evidenzia
come le periferie del Nord Italia siano attanagliate da una emergenza: i
cosiddetti " clandestini indesiderati ", quelli cioè che presidiano piazze e
marciapiedi per spacciare ogni tipo di droga. In questo senso il ricco
Veneto ha il primato (Padova è la città del muro antispaccio). I numeri
sui reati commessi dagli stranieri dimostrano quanto siano numerosi gli
indesiderati. C'è poi lo sfruttamento della prostituzione che ha
determinato un forte aumento delle donne straniere vittime di omicidio.
Nel rapporto si evidenzia la necessità di intervenire sul sistema dei
Centri di permanenza temporanea (Cpt) e su quello delle espulsioni. I
flussi principali di immigrazione illegale verso l'Italia provengono
principalmente da Balcani ed Europa orientale. Ma anche nel 2006 sono
frequenti le notizie di sbarchi sulle coste nazionali di immigrati
clandestini. Le rotte via mare riguardano soprattutto le coste
sud-occidentali della Sicilia e le isole di Lampedusa e Pantelleria
approdo naturale per stranieri nordafricani e dell'Africa occidentale.
Secondo i dati del ministero dell'Interno tuttavia, rispetto al 2005 gli
sbarchi di immigrati sulle coste italiane sono diminuiti
complessivamente del 4,5%. Nel 2006 infatti sono approdati 22.016
immigrati clandestini, mentre l'anno prima gli arrivi erano stati
22.939. La maggior parte degli sbarchi è avvenuta sulle coste siciliane,
dove nel 2006 sono arrivati 21.400 extracomunitari. Si tratta di una
diminuzione lieve ma che segna un'importante inversione di tendenza
rispetto al passato, se si considera che nel 2005 gli sbarchi erano
quasi raddoppiati rispetto al 2004. Un miglioramento è attribuito dal
Viminale alla proficua attività di cooperazione con i maggiori Paesi del
Nord Africa e, in particolare, ai passi avanti fatti nel dialogo con la
Libia. Rimangono purtroppo i casi di stragi di clandestini (spesso
bambini e donne) dispersi in mare o che, morti di stenti, vengono
gettati in acqua dai loro compagni di sventura sopravvissuti. Le
sciagure del mare non fermano le flotte di disperati nel tentativo di
arrivare sulle coste siciliane. A Lampedusa in particolare, le strutture
di accoglienza spesso superano le capacità ricettive. In giugno, tra
Malta e le coste siciliane, una piccola barca si rovescia, forse per il
carico eccessivo, provocando 11 morti. A fine luglio riescono a sbarcare
13 superstiti, ma sono almeno 17 i dispersi in mare. Ad agosto, a poche
miglia dalle coste dell'isola di Lampedusa, affonda un gommone con a
bordo una quarantina di extracomunitari, dei quali solo 10 si salvano.
Sempre in agosto, ennesima strage di clandestini sulle coste meridionali
dell'Italia dove un peschereccio riesce a salvare la vita a 40 persone
che tentavano il viaggio della speranza verso il territorio italiano, ma
10 corpi vengono rinvenuti in mare, mentre 40 persone mancano
all'appello; alcuni superstiti affermano che in quel barcone ci fossero
120 immigrati. In settembre ancora una nuova strage nel canale di
Sicilia: una carretta del mare con 27 clandestini a bordo rimane per
giorni in balia delle onde e 8 persone muoiono di stenti.
La cronaca
Sul fronte del terrorismo internazionale resta incombente in Italia la
minaccia del terrorismo islamico. L'allarme attentati scatta in
particolare a ridosso delle elezioni politiche di primavera. Uno di
questi si fonda su informazioni che il ministero dell'Interno e il
Comitato di analisi strategica antiterrorismo valutano con attenzione.
All'origine dell'informazione, che trova conferma in alcune
intercettazioni, c'è un cittadino mediorientale che collabora con
l'intelligence. Le informative raccolte dagli investigatori confermano
il pericolo e gli obiettivi: il progetto dei terroristi (coinvolti tre
siriani) era di colpire la stazione ferroviaria di Milano entro la metà
del mese di marzo, ma anche compiere non meglio specificate azioni in
concomitanza con i giochi olimpici a Torino. Tra gli obiettivi di un
altro attacco terroristico legato ad Al Qaeda, sventato all'inizio di
aprile grazie a una complessa operazione antiterrorismo che ha coinvolto
Francia, Marocco e Algeria, c'erano anche la Basilica di San Petronio a
Bologna e una stazione della metropolitana di Milano. A luglio viene
sgominata un'altra cellula eversiva, composta da un gruppo di cinque
algerini, che secondo gli inquirenti si stavano dedicando alla
preparazione di azioni terroristiche. Ad agosto con una maxioperazione
di prevenzione antiterrorismo vengono portati in carcere quaranta
islamici, con 111 denunce e 114 procedure di espulsione avviate nei
confronti di musulmani senza permesso di soggiorno. L'operazione,
pianificata dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione,
scatta in quattordici province e riguarda soprattutto call center,
Internet point e money transfert, spesso centri di aggregazione per gli
islamici. A settembre, una relazione del Cesis, l'organo che coordina
l'intelligence (Sismi e Sisde), presentata al Parlamento, lancia un
nuovo allarme terrorismo. Secondo i servizi segreti, in Italia e in
Europa sono attive cellule islamiche di matrice terrorista, che si
muovono senza una direzione strategica unitaria, anche se hanno una
grande capacità di autofinanziamento. La guerra in Iraq ha favorito la
nascita di gruppi combattenti, e molti guerriglieri di quel Paese
affluiscono in Occidente per alimentare la rete del terrore.
Sul fronte interno il Cesis segnala la presenza di formazioni
dell'estremismo marxista ed anarco-insurrezionalista, inserite in
mobilitazioni di carattere locale come quella contro la Tav in Val di
Susa. I servizi poi mettono in guardia dalla ripresa della propaganda
brigatista in Toscana, e a Napoli da nuove faide tra gruppi camorristi.
Proprio per Napoli, allo scopo di garantire la sicurezza dei cittadini,
assicurando un controllo capillare del territorio per contrastare la
criminalità organizzata e sviluppare la cultura della legalità, il
ministero dell'Interno vara il Patto per la sicurezza di Napoli e
Provincia, presentato ufficialmente il 9 novembre alla presenza del
ministro Giuliano Amato. Si tratta di una serie di provvedimenti che
evidenziano il grave clima sociale, economico e politico nel quale versa
la città (solo nel 2006, tra Napoli e provincia, sono stati registrati
97 omicidi dei quali 62 riconducibili alla camorra). Il piano per Napoli
elaborato dal Viminale prevede una serie di interventi strutturali come
sottolinea il ministro Amato le cui linee guida sono rappresentate dal
rafforzamento dell'azione di controllo del territorio e dell'attività di
intelligence. Obiettivi che saranno raggiunti attraverso la
partecipazione e il finanziamento sia del governo centrale che degli
enti locali. In termini di operatività, il Patto prevede: 1.000 uomini
in più per il controllo del territorio e l'attività investigativa; una
forza di intervento rapida di 400 uomini istituita per operazioni
straordinarie e mirate; più pattuglie; presidi sul territorio; alta
sorveglianza su tangenziali e autostrade; nucleo di controllo degli
itinerari turistici; videosorveglianza; task force contro la
contraffazione e, infine, coordinamento e verifica del Patto. Dopo 43
anni di latitanza, l'11 aprile viene arrestato il boss mafioso Bernardo
Provenzano, in un casolare a soli 2 km da Corleone, in provincia di
Palermo. Alla cattura si arriva dopo una telefonata intercettata tre
settimane prima da una persona che prendeva accordi per recapitare la
biancheria e dopo i controlli attorno all'appartamento dove viveva la
fedelissima moglie del capo di Cosa Nostra. Provenzano passava le
giornate nascosto nel casolare, principalmente a leggere e scrivere, e
continuava a comandare le cosche. Dava istruzioni con parole cifrate (i
cosiddetti pizzini), ma ben comprensibili agli uomini di Cosa Nostra,
utilizzando una vecchia macchina per scrivere elettrica. In questa
maniera partivano gli ordini del padrino, che aveva sostituito Totò
Riina alla guida della mafia.
Nel 2006 due filoni d'inchiesta investono il Sismi (Servizio per le
informazioni e la sicurezza militare, in sostanza il servizio segreto
militare italiano). Il primo riguarda la vicenda delle intercettazioni
telefoniche illegali esercitate con la collaborazione di uomini della
struttura di Telecom Italia (scandalo Telecom-Sismi); il secondo il
sequestro dell'imam Abu Omar compiuto a Milano nel 2003 da parte di
uomini della Cia (tuttora latitanti). Lo scandalo Telecom-Sismi delle
intercettazioni illegali vede indagati numerosi esponenti di alto
livello dell'azienda e delle forze dell'ordine. Le Procure di Milano,
Roma, Napoli e Torino, già nel settembre 2005, avevano aperto indagini
su presunte intercettazioni telefoniche illegali e sull'uso abusivo di
dati relativi al traffico telefonico. Il 20 settembre 2006 l'inchiesta
porta a 21 arresti fra poliziotti e finanzieri. Tra loro anche l'ex capo
della Sicurezza di Pirelli e Telecom e braccio destro di Marco
Tronchetti Provera, Giuliano Tavaroli, e l'investigatore privato
Emanuele Cipriani. Gli arrestati sono accusati di associazione a
delinquere finalizzata alla corruzione e alla violazione del segreto
investigativo. Gli spiati erano politici, imprenditori, finanzieri,
gente dello spettacolo e dello sport. Il legame con il Sismi risulta
diretto non soltanto sul terreno operativo, ma anche nel vertice, visto
che l'ordinanza del Gip parla di rapporti pericolosi con i servizi
segreti e in particolare con l'ex numero due del Sismi Marco Mancini,
fino all'istituzione di un canale segretissimo per le informazioni più
delicate e riservate, sul quale operava proprio Mancini, in connessione
con Tavaroli e Cipriani. Un primo squarcio su questo gigantesco archivio
di informazioni riservate lo aveva aperto, a marzo, il Laziogate, con lo
spionaggio politico ai danni di Alessandra Mussolini e di Piero Marrazzo
e che vede indagato l'ex presidente della Regione Lazio ed ex ministro
della Sanità Francesco Storace. Sempre collegata alle intercettazioni
illegali è anche l'inchiesta Calciopoli, lo scandalo che ha coinvolto il
mondo del calcio italiano. Gli interrogatori dei pm milanesi nell'ambito
della vicenda Telecom-Sismi che si svolgono dopo gli arresti di Tavaroli
e Cipriani mirano a chiarire l'esistenza o meno di un eventuale livello
superiore che commissiona i dossier illegali e a quale scopo. Gli
interrogatori sono finalizzati anche a chiarire se le strutture Telecom
sono complici o, come dichiara l'ex presidente Marco Tronchetti Provera,
vittime di questa ingarbugliata spy story. A dicembre l'ex numero due
del servizio segreto militare Marco Mancini viene arrestato nell'ambito
dell'inchiesta sulle intercettazioni illegali Telecom con l'accusa di
associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione
del segreto d'ufficio. Sono oltre trenta i dossier e le pratiche
illegali costruiti da Cipriani con il contributo di dati segreti
procacciati illecitamente da Mancini. Mancini era già finito in manette
durante l'estate con l'accusa di concorso in sequestro di persona
nell'indagine sul rapimento di Abu Omar.
Il sequestro di Abu Omar è quindi legato, insieme ad altre vicende, allo
scandalo Telecom-Sismi delle intercettazioni illegali. Abu Omar era
stato arrestato nel 1993 per motivi politici in Egitto e aveva ottenuto
asilo politico in Italia nel 2001, dove era diventato imam della moschea
di Milano di via Quaranta. Nel febbraio 2003 Abu Omar viene rapito
nell'ambito di una operazione condotta illegalmente dalla Cia con il
supporto del Sismi. La Procura del capoluogo lombardo apre un indagine
per sequestro di persona. La svolta arriva con la confessione del
maresciallo dei Ros Luciano Pironi, uno degli uomini che presero parte
all'operazione congiunta tra Cia e Sismi. È lui a dare il via
all'inchiesta, volta a capire il ruolo degli 007 italiani e l'ipotesi di
un coinvolgimento politico. Il 5 luglio viene arrestato il generale
Gustavo Pignero (poi morto dopo qualche mese e all'epoca direttore del
Sismi per il Nord Italia) e il suo sottoposto Marco Mancini. Per i 26
agenti della Cia indagati viene chiesta l'estradizione. Negli
interrogatori Pignero e Mancini ammettono che Nicolò Pollari, capo del
Sismi, sapeva del sequestro. L'indagine sul rapimento dell'imam con le
operazioni non ortodosse dell'intelligence italiana comincia a saldarsi
con le inchieste su Telecom e le intercettazioni illegali. All'inizio di
dicembre la Procura di Milano chiede il rinvio a giudizio di 35 persone
per la vicenda del sequestro dell'ex imam. Di queste, 32 sono accusate
di concorso nel sequestro, mentre tre, il giornalista Renato Farina e i
funzionari del Sismi Pio Pompa e Luciano Seno, devono rispondere di
favoreggiamento. Sono 26 gli agenti della Cia coinvolti nel rapimento
(spicca il nome di Jeffrey Castelli, all'epoca capo della Cia in
Italia), mentre tra gli agenti e i funzionari del Sismi ci sono appunto
l'ex direttore della prima divisione del controspionaggio Nicolò Pollari,
il numero due di Pollari, Marco Mancini, e i capicentro Raffaele Ditroia,
Luciano Di Gregori, Giuseppe Ciorratra. La vicenda dell'ex imam radicale
Abu Omar scuote il mondo politico e provoca un terremoto all'interno
degli apparati dell'intelligence. A metà dicembre viene approvata
all'unanimità dai componenti del Comitato parlamentare di controllo sui
servizi di informazione e sicurezza (Copaco) una proposta di riforma,
presentata alla Camera, che cambia volto ai servizi segreti. In 38
articoli il progetto rivisita radicalmente l'intelligence italiana, per
la quale vengono rafforzati i poteri di indirizzo politico e quelli di
controllo. Si prevede infatti che l'intero sistema di controllo e
sicurezza nazionale sia posto sotto la direzione e la responsabilità del
presidente del Consiglio. Il Cisn (Comitato interministeriale per la
sicurezza nazionale) avrebbe compiti di consulenza, sostituendo
l'attuale Ciis (Comitato interministeriale per le informazioni e la
sicurezza). Al posto dell'attuale sottosegretario con delega ai servizi,
si introduce il ministro dell'Informazione per la sicurezza, senza
portafoglio. Ise (Servizio di informazione e sicurezza), Isi (Servizio
di informazione e sicurezza interna) e Dis (Dipartimento
dell'informazione per la sicurezza) prendono il posto rispettivamente di
Sismi, Sisde e Cesis. Una novità contenuta nella proposta di riforma
varata dal Copaco è il potenziamento dei controlli con la creazione di
un ufficio ispettorato (fa capo al Dis), diretto da un dirigente
nominato dal premier, che ha il compito di esercitare il controllo di
legittimità ed efficienza su tutti gli uffici del Sistema di
informazione e sicurezza nazionale.
Sulla scia delle intercettazioni telefoniche, a metà giugno scoppia lo
scandalo per Vittorio Emanuele di Savoia, che viene arrestato e
trasferito nel carcere di Potenza. È accusato di associazione per
delinquere finalizzata alla corruzione, al falso, e perfino di
sfruttamento della prostituzione nell'ambito di un'indagine legata al
casinò di Campione d'Italia. Vittorio Emanuele risulta coinvolto in un
vero e proprio mercato dei nulla osta per i videogiochi e in un giro che
reclutava ragazze da offrire ai clienti del casinò. Provvedimenti di
custodia cautelare per altre dodici persone, tra cui anche Salvatore
Sottile, portavoce di Gianfranco Fini (il presidente di An, del tutto
estraneo alla faccenda), finito agli arresti domiciliari. Sottile,
secondo l'accusa, avrebbe ottenuto prestazioni sessuali promettendo
carriera e successo ad una show-girl. Il 23 giugno, in seguito ad una
parziale ammissione dei fatti che gli sono stati addebitati, Vittorio
Emanuele di Savoia viene messo agli arresti domiciliari a Roma; il
Tribunale del riesame di Potenza, in data 20 luglio, gli revoca gli
arresti domiciliari, imponendogli il solo divieto di espatrio. Dopo lo
scandalo sabaudo, a dicembre l'ultima inchiesta avviata dal pubblico
ministero di Potenza Henry John Woodcock ancora una volta in seguito
alle intercettazioni telefoniche si abbatte come un ciclone sul mondo
della tv e dello spettacolo. Vallettopoli vede al centro dell'indagine
l'agente dei vip Lele Mora e Fabrizio Corona, marito della nota
show-girl Nina Moric e titolare dell'agenzia fotografica Corona's.
Secondo l'accusa i due avrebbero ricattato i personaggi più popolari,
che pagavano purché loro foto compromettenti non venissero pubblicate
sui giornali. Si sospettano anche episodi di sfruttamento della
prostituzione e traffico di stupefacenti. Sia Corona che Mora negano
ogni coinvolgimento.
Nei primi mesi dell'anno sulle pagine della cronaca incombe la notizia
del virus dell'influenza aviaria, un'infezione virale che può
interessare sia gli uccelli selvatici, sia quelli domestici come polli e
tacchini, provocandone la morte. Il ministero della Salute già da
qualche mese ha disposto il potenziamento dei controlli da parte dei
propri uffici periferici di sanità e ha emanato un'ordinanza
ministeriale che introduce misure di quarantena e controllo dei
volatili, oltre all'etichettatura obbligatoria delle carni fresche per
la tracciabilità della loro provenienza. L'allarme però scatta quando
l'epidemia sbarca nel Sud d'Italia: l'11 febbraio vengono trovati morti
diciassette cigni in Puglia, Sicilia, Calabria e sei di questi risultano
essere stati contagiati dal ceppo più virulento della febbre aviaria.
Dopo questi casi di infezione da virus H5N1 viene emanata in Italia
un'ordinanza per prevenire la diffusione della malattia dagli uccelli
selvatici agli allevamenti di volatili domestici e ad altri volatili in
cattività, nonché la contaminazione dei prodotti da loro derivati:
80.000 polli vengono sequestrati nel nostro Paese, dove il consumo delle
carni avicole crolla del 70%. La maggiore causa di preoccupazione
riguardo all'influenza aviaria è il potenziale cambiamento o adattamento
del virus in un virus pandemico in grado di infettare gli uomini.
Seguendo la principale diffusione geografica del virus dell'aviaria dal
Sud-Est asiatico nel 2005, anche l'Ue intensifica i propri programmi di
sorveglianza e individuazione precoce dell'influenza aviaria, sia fra
gli uccelli selvatici, sia fra il pollame. Dal 1997 a oggi, la
trasmissione all'uomo del virus H5N1 (che nel Sud-Est asiatico ha
infettato circa 150 milioni di uccelli) è stato un evento molto raro. E
tutti i casi umani sono stati registrati solo in persone che hanno avuto
stretti e ravvicinati contatti con animali malati. A partire dalla
seconda metà del 2006 cala la psicosi dell'influenza aviaria e sulle
tavole degli italiani tornano polli, galline e tacchini. Secondo Markos
Kyprianou, commissario per la Salute e la tutela dei consumatori in
ambito Ue, l'intensa sorveglianza per la presenza dell'influenza aviaria
fra gli uccelli selvatici e il pollame è stata uno degli elementi chiave
usati dall'Ue per contrastare la diffusione del virus negli ultimi mesi.
Dopo le forti contestazioni dell'autunno 2005, resta ancora aperta la
questione dell'Alta velocità ferroviaria (Tav) Torino-Lione e delle zone
della Val di Susa interessate al passaggio. Il sequestro da parte della
magistratura dei cantieri di Venaus dopo le tensioni tra i cittadini
della Val di Susa e il governo, tensioni prodotte dal blitz della
polizia, fa sì che i cantieri vengano abbandonati subito dopo questa
decisione dagli occupanti e dalla stessa azienda incaricata per i lavori
di scavo. Sull'onda dell'impatto mediatico dell'evento, il governo
promette quindi di istituire un tavolo di confronto, tecnico e politico,
con i sindaci dei comuni coinvolti ed esperti nominati da entrambe le
parti. Con l'avvento del governo di centrosinistra non mancano le
polemiche interne alla coalizione riguardo alla Tav: gran parte della
sinistra radicale sostiene la battaglia dei gruppi no-Tav, contrari fin
dall'inizio al tracciato già disegnato e alle gallerie che dovrebbero
attraversare in più punti le montagne della Valsusa. Secondo il
movimento no-Tav la linea avrebbe pesanti ricadute ambientali e ci
sarebbe un rischio concreto di liberazione nell'ambiente di amianto. Con
l'incontro, a fine giugno, tra Prodi e Loyola de Palacio, coordinatrice
del progetto del Corridoio 5, si ribadisce l'intenzione, espressa da
Prodi, di considerare la tratta Torino-Lione, come opera prioritaria. Ma
all'interno della coalizione il ministro delle Infrastrutture Antonio Di
Pietro, che spinge per aprire i cantieri, si scontra con gli
ambientalisti di Alfonso Pecoraro Scanio. Il pressing dell'Europa
dovrebbe costringere il governo a decidere. Il mancato rispetto dei
tempi farebbe saltare i fondi comunitari a disposizione. In ottobre la
Camera approva la mozione del centrosinistra che blocca la realizzazione
del ponte sullo stretto di Messina. La mozione giudica non prioritaria
la costruzione del ponte e impegna il governo a realizzare altri
interventi per il miglioramento della viabilità nel Mezzogiorno: in
particolare il completamento della Salerno-Reggio Calabria e il
miglioramento della rete autostradale siciliana.
Ci sono novità sulle indagini di Unabomber, il bombarolo folle che da
più di un decennio terrorizza il Nord-Est. La prova che lo incastrerebbe
sarebbe nelle mani degli investigatori: si tratta di un paio di forbici
usate, secondo gli esperti, per una delle trappole esplosive dell'ignoto
attentatore. Quelle forbici, sequestrate a marzo a casa di uno dei
principali indiziati, avrebbero lasciato una firma inconfondibile: hanno
certamente tagliato un pezzo di lamierino utilizzato per costruire un
ordigno, poi rimasto inesploso e recuperato integro,
nell'inginocchiatoio della chiesa di Sant'Agnese di Portogruaro,
nell'aprile 2004. Le perizie sulla forbice fatte dal Lic (Laboratorio
indagini criminalistiche) della Sezione di polizia giudiziaria della
Procura di Venezia, e dagli esperti della sezione di balistica del Ris
(Reparto investigazione scientifiche) dei carabinieri di Parma,
permettono di stabilire che solo un paio di forbici fra tutte quelle
sequestrate agli indiziati (una dozzina) poteva aver prodotto quel tipo
di tagli sul metallo. Per la prima volta dopo dodici anni d'indagini, a
ottobre compare davanti ai giudici di Trieste l'indagato numero uno
dell'inchiesta Unabomber, l'ingegnere di Azzano Decimo (Pn) Elvo
Zornitta, nella cui abitazione sono state trovate le forbici in
questione. L'uomo si proclama innocente. In seguito verrà fatta una
scoperta clamorosa: i reperti che dovevano incastrare l'ingegner Elvo
Zornitta sono stati alterati da Ezio Zernar, il poliziotto che dirige il
laboratorio di indagini criminali della Procura di Venezia e che da anni
è impegnato nelle indagini per individuare Unabomber. Con le forbici
sequestrate nel marzo scorso a casa del professionista, avrebbe tagliato
il lamierino che componeva l'ordigno inesploso trovato nel 2004 nella
chiesa di Portogruaro per dimostrare la compatibilità tra i due oggetti.
Zernar verrà indagato e l'incubo per Zornitta finirà.
L'11 marzo, per impedire un corteo neofascista programmato per quel
pomeriggio, si verificano forti scontri a Milano. Questi sono provocati
da un gruppo di circa 400 autonomi dell'ala più dura dei centri sociali,
che mettono a ferro e fuoco per qualche ora il centralissimo corso
Buenos Aires. Sono due ore di tensione e guerriglia: vetrine infrante,
auto e moto incendiate, edicole date alle fiamme, palazzi anneriti dal
fumo, barricate nelle strade. Dopo l'intervento delle forze dell'ordine,
molti degli autonomi si disperdono e la vampata di violenza poco alla
volta si spegne. Sono 41 i giovani fermati e portati in questura (tra
cui tre minorenni), 12 i feriti tra le forze dell'ordine e 6 i cittadini
medicati in ospedale. Secondo l'allora ministro dell'Interno Giuseppe
Pisanu, l'assalto era stato accuratamente programmato e freddamente
predisposto. La polemica politica sull'accaduto si infiamma, in un
crescendo di accuse e controaccuse alimentato dal clima preelettorale.
Da tutto il centrosinistra arriva comunque la condanna unanime sugli
scontri di Milano. I commercianti promuovono una fiaccolata antiviolenza
cui aderiscono tutte le forze politiche, da An ai Comunisti italiani. Ma
salta l'iniziativa bipartisan che doveva caratterizzare la
manifestazione: Romano Prodi e Piero Fassino non partecipano alla
fiaccolata in seguito alle notizie relative alla presenza di striscioni
dal tono provocatorio e di slogan offensivi. Il riferimento è ad alcuni
manifesti affissi da An lungo il percorso del corteo con scritto contro
i prodi autonomi. Il 19 luglio, diciotto fra i ventinove autonomi finiti
sotto processo per i disordini di corso Buenos Aires vengono condannati
a quattro anni di reclusione. Nove imputati vengono assolti, mentre due
patteggiano per reati minori. Grazie all'indulto però, in ottobre sono
tutti liberi.
Oltre agli incidenti stradali, le cui vittime sono sempre più spesso i
giovani, il 2006 è segnato anche da casi di incidenti ferroviari. Il 14
marzo, un frontale tra due treni sulla rete delle Ferrovie Nord di
Milano, tra il rapido proveniente dall'aeroporto della Malpensa e un
treno locale diretto a Saronno, spezza la vita del macchinista del
convoglio locale, Giuseppe Girola di 41 anni. Sono due i feriti gravi,
altri quattro più lievi e una ventina le persone contuse. Per le
Ferrovie si tratterebbe di un errore del macchinista del Milano-Saronno,
l'uomo rimasto ucciso nell'incidente. Lo scontro avviene nei pressi
della stazione di Garbagnate, nella periferia di Milano, su una linea,
quella per Saronno, peraltro nuovissima, anche se il treno locale
coinvolto risale agli anni Cinquanta. Si riapre quindi la polemica per
la mancata consegna dei Taf (Treni ad alta frequentazione) di ultima
generazione, già commissionati dalla Regione Lombardia e dotati delle
attrezzature tecnologiche in grado di dialogare efficacemente con la
rete. Tragedia sfiorata il 13 dicembre per un tamponamento fra due treni
merci avvenuto nei pressi di Avio, al confine fra Trentino e Veneto, che
provoca la morte di due macchinisti, Walter Mazzi di 51 anni e Giancarlo
Maschi di 54 anni. Lo scontro, si sospetta per un errore umano, è fra un
treno merci della Rail Traction Company (Rtc), compagnia privata di
trasporto ferroviario, partito da Monaco di Baviera, e un altro merci
Trenitalia preso in consegna al Brennero. L'allarme si scatena a
ventiquattr'ore dall'incidente, quando si scopre che la cisterna chiusa
nel container del treno della Rtc conteneva una sostanza altamente
pericolosa, bianca e gelatinosa. La squadra dei tecnici dell'Nbcr, la
squadra speciale per gli interventi in zone contaminate, spiega che la
cisterna squartata conteneva Mdi, difenilmetano 4 di isocianato,
sostanza classificata come nociva secondo le direttive europee ma non
dal regolamento internazionale sui trasporti. Il 17 ottobre un convoglio
della linea A della metropolitana di Roma tampona violentemente un altro
treno fermo alla stazione Vittorio Emanuele, provocando la morte di una
donna e il ferimento di 236 persone, di cui sei ricoverate in codice
rosso, ovvero in gravi condizioni. Il convoglio della linea A era
partito dalla stazione Manzoni e alle porte della stazione Vittorio
Emanuele aveva trovato il semaforo rosso. Il macchinista aveva ricevuto
dalla centrale operativa la disposizione di passare con il rosso e di
marciare a vista, cioè a una velocità massima di 15 chilometri orari,
per snellire il traffico. Ma alla stazione è fermo un altro convoglio,
il treno proveniente dalla stazione Manzoni non frena e lo scontro è
inevitabile. La vittima è Alessandra Lisi, 30 anni, che lavorava a Roma
come ricercatrice. Al momento del tamponamento si trovava nell'ultima
vettura del treno tamponato violentemente. L'ipotesi di un attentato
viene esclusa sin dal primo momento. Il 30 aprile, nell'isola di Ischia,
una valanga di fango, provocata dalla pioggia insistente da giorni,
stermina una famiglia. Una frana staccatasi dal monte Vezzi travolge una
piccola casa abusiva di due piani. Quattro persone perdono la vita e
sono Luigi Buono, 53 anni, e le sue tre figlie: Anna di 18 anni, Maria
di 16 e Giulia di 12 anni. Il fango risparmia la moglie di Luigi e madre
delle tre ragazze. Legambiente mette sotto accusa l'abusivismo edilizio
che colpisce tutta la Campania e soprattutto l'isola di Ischia. Una fuga
di gas è invece la causa della deflagrazione che il 17 settembre causa
il crollo di una palazzina di quattro piani in via Lomellina, a Milano.
Sotto le macerie rimangono quattro persone: Tommaso Fiaccola, 62 anni,
che abitava nella palazzina; Ilie Iakur, trentenne albanese che passava
di lì per caso, e un bambino di sette anni, Francesco Orlandi, anche lui
residente nella palazzina e il cui corpo senza vita viene localizzato
dai soccorritori dopo circa sette ore dal disastro. La quarta vittima è
Esmeralda Sfolcini di 49 anni, il cui suicidio sembrerebbe essere
all'origine del crollo del palazzo.
Fra i crimini più efferati compiuti nel 2006, c'è una vicenda che tiene
per più di un mese con il fiato sospeso tutta l'Italia: riguarda il
sequestro del piccolo Tommaso Onofri, 17 mesi, strappato ai genitori
nella loro casa, alle porte di Parma. Il 2 marzo, a Casalbaroncolo,
Tommaso, che ha la febbre e soffre di una grave forma di epilessia,
viene rapito dopo che i malviventi, piombati in casa, hanno
immobilizzato il padre Paolo, la madre Paola entrambi dipendenti delle
Poste e il fratellino Sebastiano di otto anni. Un rapimento
sconvolgente, anomalo, con caratteristiche strane affermano gli
investigatori. Il piccolo Tommy viene subito ricercato, inutilmente.
All'inizio le ipotesi del movente per il rapimento sono due: un
sequestro a scopo di estorsione o per vendetta. Ma il padre esclude di
avere negato un prestito a qualcuno che potrebbe avere cercato una
rivalsa, così come nega di avere ricevuto minacce. L'attività
investigativa prosegue senza risparmio, si moltiplicano gli appelli, si
muove il popolo di Internet compatto a chiedere la liberazione di
Tommaso. A venti giorni dal sequestro viene ritrovato a una ventina di
km da Casalbaroncolo il cane della famiglia Onofri, scomparso qualche
giorno prima del rapimento di Tommy. La vicenda si riveste per qualche
giorno di una patina ripugnante quando a finire indagato per possesso di
materiale pedopornografico è proprio Paolo Onori, il padre di Tommy, che
però si difende dalle accuse. La svolta alle indagini avviene dopo
venticinque giorni dal sequestro: sullo scotch usato per legare gli
Onofri i Ris trovano le impronte di Salvatore Raimondi, 28 anni,
pregiudicato siciliano. Tra gli indagati c'è anche Mario Alessi, 44
anni, uno dei manovali che aveva lavorato nel cascinale degli Onofri
durante le opere di ristrutturazione. L'uomo è sposato, e ha un bambino
di sei anni; contro di lui è in corso un processo per presunto stupro e
sequestro di persona, avvenuto in Sicilia nel 2000. L'1 aprile Alessi
confessa: Tommy è stato ucciso subito dopo il rapimento e seppellito nei
pressi del torrente Enza. Il corpo del piccolo viene ritrovato su
indicazione del muratore sepolto vicino a un covone di paglia. Il
bambino piangeva raccontano i rapitori, che avevano pensato di mettere a
segno un sequestro-lampo per estorcere denaro al padre del piccolo. L'8
aprile si celebrano i funerali di Tommy, tra la commozione di tutti e lo
strazio dei genitori. Alessi e Raimondi si accusano a vicenda, e anche
se a uccidere il bambino sembra essere stato Alessi, la ricostruzione
fatta dai due è pervasa da molti dubbi, dal movente del sequestro alla
dinamica. In cella intanto finisce anche Antonella Conserva, compagna di
Alessi: il suo ruolo avrebbe dovuto essere quello di carceriera del
piccolo Tommy. Ancora un altro bambino è la vittima, insieme ad altre
tre donne, di un efferato delitto compiuto l'11 dicembre a Erba, in
provincia di Como. I corpi senza vita delle quattro persone vengono
trovati nell'appartamento in fiamme dopo che una vicina di casa aveva
dato l'allarme per l'incendio. Le vittime, tutte accoltellate alla gola
e in altre parti del corpo, sono Raffaella Castagna, di 29 anni, suo
figlio Youssef, di 2 anni, sua madre, Paola Galli, di 60, e una vicina
di casa, Valeria Cherubini, 50 anni (ferito gravemente anche il marito
della vicina, Mario Frigerio, di 60 anni). Gli inquirenti indicano
subito il tunisino Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna, come
probabile autore dei delitti, affermando che l'uomo sarebbe scomparso
dopo aver commesso il fatto. Ad agosto Azouz, in carcere per droga, era
uscito grazie all'indulto e, dati i suoi precedenti, gli investigatori
sulle prime valutano l'ipotesi di una vendetta legata, appunto, alla
droga o a uno sgarro commesso in prigione. L'uomo sospettato, però, al
momento della strage si trovava in Tunisia e la conferma degli
inquirenti arriva dopo il controllo dei tabulati. Azouz afferma di non
sapere chi può avere compiuto la strage e di non credere alla pista
della vendetta. L'omicida, secondo l'ipotesi che prende sempre più
corpo, escluderebbe ogni coinvolgimento indiretto di Marzouk, e sarebbe
una persona molto probabilmente conosciuta da Raffaella, di nazionalità
italiana. Da una serie di elementi gli investigatori prenderanno in
considerazione che la strage sia stata compiuta da più persone.
Determinanti, nel prosieguo delle indagini, le rivelazioni del vicino
ferito, che porteranno all'arresto, all'inizio di gennaio, dei vicini di
casa dei Castagna, Olindo Romano e la moglie Rosa Angela Bazzi. I due i
coniugi confesseranno, motivando la strage con i continui disturbi
arrecati dalla famiglia Castagna (urla, rumori, pianto del bambino
ecc.).
Un altro atroce delitto viene commesso l'11 agosto a Sarezzo in
provincia di Brescia. La vittima è una giovane pakistana, Hina Saleem,
21 anni, uccisa a coltellate e sepolta nel giardino della casa dei
genitori. L'omicidio della ragazza viene da subito collegato ai recenti
dissapori che Hina aveva avuto con il padre. E nel delitto un ruolo
determinante, si sospetta, potrebbe averlo avuto l'integralismo
islamico. I carabinieri arrivano presto a una svolta e arrestano
Mohammad Saleem, il padre: confesserà lui stesso di aver ucciso Hina
perché aveva una relazione con un coetaneo italiano e perché aveva
respinto il tentativo della famiglia di farla sposare con un cugino
pakistano. In carcere, oltre al padre, finiranno altri tre parenti
pakistani di Hina, tutti con l'accusa di omicidio volontario
premeditato: lo zio Muhammad Tariq e i due cognati, sposati con le due
sorelle maggiori di Hina. La madre della giovane si trovava in Pakistan
quando è stato commesso l'omicidio. Il 5 maggio il barista veneziano
Lucio Niero, 34 anni, confessa di avere massacrato di botte e seppellito
ancora viva l'amante Jennifer Zacconi, 20 anni, di Olmo di Martellago
(Venezia) e incinta di nove mesi. Niero, sposato con due figli, non
voleva riconoscere il bambino. Jennifer era sparita il 29 aprile. Il 20
agosto a Mompiano, alle porte di Brescia, una studentessa di 23 anni,
Elena Lonati, viene soffocata in chiesa, dove era rimasta sola dopo aver
acceso un cero. Il corpo senza vita della giovane viene trovato
impacchettato nel pulpito in disuso della chiesa. L'assassino, il
sagrestano cingalese Wimal Chamil Ponnamperumage, di 23 anni, confessa
di aver provocato incidentalmente la morte della giovane dopo un
diverbio, ma nega tentativi di violenza. Gli inquirenti non credono alla
versione dell'incidente e il giovane sagrestano viene accusato di
omicidio volontario e di occultamento del cadavere.
Scompaiono il 5 giugno i due fratellini, Francesco e Salvatore
Pappalardi, 13 e 11 anni, di Gravina di Puglia, in provincia di Bari.
No-nostante le ricerche e i numerosi appelli della madre, il giallo dei
due fratellini spariti non è ancora risolto. Una fuga per protestare
contro la separazione dei genitori e l'affidamento al padre sembra
essere all'inizio l'ipotesi più probabile della loro scomparsa. Poi si
pensa che i due ragazzini fuggiti siano stati vittima di un incidente,
ma l'ipotesi della fuga volontaria lascia via via il posto a quella del
sequestro. Secondo la madre, Rosa Carlucci, sarebbe stato il marito a
rapire o forse addirittura a uccidere i bambini. Una volta scartata
anche la pista familiare, gli investigatori si concentrano sull'ipotesi
della pedofilia. In ottobre le rivelazioni del sindaco di Gravina
incoraggiano a sperare che i due fratellini siano ancora vivi: secondo
una fonte che il sindaco si è impegnato a non rivelare, due carabinieri
in servizio a Gravina avrebbero indagato sulla vicenda accertando
inequivocabilmente che Francesco e Salvatore si troverebbero in Romania,
prelevati da un losco figuro e poi passati nelle mani di altri
personaggi.
Il caso della piccola Maria diventa internazionale. Maria Grazia Bornacin e Alessandro Giusto, una coppia di Cogoleto, paese in provincia
di Genova, nascondono per tre settimane la bimba bielorussa di 10 anni,
rifiutandosi di ottemperare alla revoca dell'affido decisa dal Tribunale
del capoluogo ligure. Il loro timore è che Maria torni nell'orfanatrofio
dove si è scoperto che aveva subito violenze. A confessarlo a luglio era
stata proprio la bimba, che attraverso i suoi disegni ha descritto gli
abusi subiti. La Procura di Genova apre un fascicolo per sottrazione di
minore. Sulla vicenda interviene anche il viceministro della Pubblica
istruzione della Bielorussia che chiede l'immediato rientro della
bambina, sottolineando in un documento come l'azione dei cittadini e
della giustizia italiani discreditano il progetto di risanamento dei
bambini bielorussi in Italia. Il 27 settembre Maria viene ritrovata,
nascosta con le nonne adottive in una comunità religiosa in Valle
d'Aosta. Tra le proteste viene fatta rimpatriare in Bielorussia e
affidata alla famiglia che sta per adottare il fratellino Sasha di 13
anni.
Per quanto riguarda i processi, il 4 maggio la Cassazione esprime il
verdetto definitivo, dopo un braccio di ferro con la magistratura
milanese durato dieci anni, condannando Cesare Previti a sei anni di
detenzione per l'accusa di corruzione nella vicenda Imi-Sir. Il 5 maggio
Previti annuncia di essersi dimesso dalla carica di parlamentare e si
presenta al carcere di Rebibbia, dove viene rinchiuso. Il 10 maggio,
dopo cinque giorni di cella, la condanna a sei anni per corruzione in
atti giudiziari (una tangente di 67 miliardi per la vicenda Imi-Sir), si
trasforma per l'ex ministro della Difesa (e anche per l'avvocato Attilio
Pacifico) in arresti domiciliari, usufruendo della legge, varata
dall'ultimo governo Berlusconi, detta 'ex Cirielli'. Secondo questa
legge, altrimenti detta 'salva-Previti', non è più prevista la
detenzione negli istituti carcerari per un ultrasettantenne. A fine
luglio in Parlamento non risulta essere stata presentata nessuna lettera
di dimissioni da parte di Previti, come sottolinea il capogruppo dei
Verdi alla Camera Angelo Bonelli. Il 30 novembre, la Cassazione
pronuncia il verdetto che azzera il processo. Vengono di fatto annullate
le condanne pronunciate da Tribunale e Corte d'Appello di Milano: il
capoluogo lombardo, afferma la Cassazione, non era la sede competente a
giudicarli. Tutto dovrà ricominciare a Perugia dalla fase delle indagini
preliminari. Essendo il termine di prescrizione fissato nell'aprile
2007, è molto probabile che il processo verrà dichiarato prescritto. Il
3 aprile la prima sezione penale del Tribunale di Milano emette la
sentenza nei confronti di Vanna Marchi e della figlia Stefania Nobile,
condannate a due anni e sei mesi di reclusione nel processo-bis per
truffa aggravata. Le due teleimbonitrici erano imputate insieme al mago
brasiliano Milton Do Nascimiento, tuttora latitante (un anno e 6 mesi),
e a Francesco Campana, convivente di Vanna Marchi. Con questa prima
sentenza i condannati dovranno anche risarcire 46.700 euro alle loro
vittime. Il 9 maggio la Marchi, il suo convivente e la figlia vengono
nuovamente condannati in primo grado dal Tribunale di Milano (stavolta
per associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata), con
condanne rispettivamente di 10, 4 e 10 anni, e al risarcimento delle
vittime (oltre 2 milioni di euro). Si conclude a dicembre il processo di
appello contro i brigatisti rossi colpevoli del brutale assassinio di
Marco Biagi la sera del 19 marzo 2002. La Corte d'Assise d'Appello di
Bologna riconosce le attenuanti generiche che portano alla riduzione
della pena a 21 anni per Simone Boccaccini, in primo grado condannato
all'ergastolo. Confermata invece la sentenza di primo grado, emessa nel
giugno del 2005, e il carcere a vita per Nadia Desdemona Lioce, Diana
Blefari Melazzi, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma. Riguardo al
processo che vede imputata Anna Maria Franzoni dell'omicidio del figlio
Samuele a Cogne, i quattro periti interpellati dalla Corte d'Assise
d'Appello depositano a giugno la perizia psichiatrica sulla donna,
ribaltando il giudizio del primo esame che definiva la Franzoni sana di
mente. Nel periodo in cui venne ucciso il figlio Samuele, Anna Maria
Franzoni soffriva d'ansia e sembra che il giorno del delitto, il 30
gennaio 2002, la donna possa essere caduta in preda di un disturbo
chiamato stato crepuscolare orientato che può avere come effetto la
rimozione di determinati gesti. In sostanza, Anna Maria Franzoni
potrebbe avere compiuto il delitto senza rendersene conto, in uno stato
di incoscienza. Gli esperti però non hanno potuto interrogare la
Franzoni, che ha preferito, dopo la condanna in primo grado a
trent'anni, sottrarsi alla convocazione dei medici. Gli psichiatri hanno
verificato le sue condizioni mentali al momento del delitto, e nelle
settimane precedenti e successive, attraverso l'analisi di vari
documenti e la raccolta di testimonianze di persone che l'hanno seguita.
Il 20 novembre, nell'udienza del processo d'Appello che doveva esaminare
la perizia psichiatrica della donna, si verifica un colpo di scena. La
mamma di Cogne lascia l'aula durante l'udienza. Il suo legale,
l'avvocato Carlo Taormina, ufficializza in aula la sua rinuncia alla
difesa, e al suo posto viene nominato poco dopo l'avvocato Paola Savio.
Non ho ucciso mio figlio. Altri lo hanno fatto, è quello che ribadisce
Annamaria Franzoni, leggendo una breve nota davanti ai giudici della
Corte d'Assise di Torino.
Il caso Welby riporta all'attenzione dei media, del mondo politico e
dell'opinione pubblica il tema dell'eutanasia nel nostro Paese. Il 20
dicembre Piergiorgio Welby, 60 anni, muore a Roma pochi minuti dopo che,
su sua richiesta e contro il parere dei giudici, un medico lo ha sedato
e gli ha staccato il respiratore che lo teneva in vita. Malato di
distrofia muscolare dall'età di 20 anni, Welby poteva muovere solo le
labbra e gli occhi. A settembre aveva inviato un video-appello al
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiedendo il
riconoscimento del diritto all'eutanasia. Il presidente aveva risposto
auspicando un confronto politico sull'argomento. Il 16 dicembre il
tribunale di Roma respinge la richiesta dei legali di Welby di porre
fine all'accanimento terapeutico, dichiarandola inammissibile, per via
del vuoto legislativo su questa materia. L'appello di Welby diventa
comunque una bandiera della battaglia per l'eutanasia. Per questo motivo
il Vicariato di Roma gli nega il funerale religioso.
Il tema dell'abbassamento dell'età imputabile dei minorenni diventa di
attualità dopo i continui episodi di bullismo che si verificano anche in
Italia, soprattutto nelle aree metropolitane. Alcuni ragazzi di una
classe dell'Istituto tecnico Albe Steiner di Torino sono gli autori di
un filmato choc che il 14 novembre appare su Internet e che molto fa
parlare di questo fenomeno. Un sito propone il video, filmato con un
videofonino, di un ragazzo disabile picchiato e deriso dai compagni di
scuola. I quattro responsabili, tra cui una ragazza, vengono sospesi per
l'intero anno scolastico, con una probabile pena accessoria che prevede
un periodo di lavoro con un'associazione di handicappati. Il preside
dello Steiner propone inoltre la sospensione per quindici giorni di
tutti gli altri alunni che hanno assistito al pestaggio senza muovere un
dito.
Il 9 luglio l'Italia è per la quarta volta campione del mondo di calcio
al termine di una partita in cui batte ai rigori la Francia per 6 a 4.