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2006: La politica Il nuovo Governo Il nuovo Capo dello stato Le Elezioni Amministrative Il Referendum Costituzionale
I due poli a confronto Politica e Giustizia La Cronaca L'Immigrazione e rapporti con l'Islam.
 

La politica italiana - 2006 ...
Con le elezioni politiche del 9 e 10 aprile per il rinnovo dei due rami del Parlamento si apre il quadro degli eventi importanti dell'anno che ci indicano un nuovo percorso per l'Italia. Le elezioni registrano infatti la sconfitta, anche se per poche migliaia di voti, della coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi, dopo cinque anni di governo. Il centrosinistra si rivela la nuova maggioranza del Paese e torna al potere con la nomina di Romano Prodi a presidente del Consiglio dei ministri. Il professore bolognese era già stato presidente del Consiglio in un governo dell'Ulivo nel 1996-1998 (XIII legislatura), e più recentemente, nel periodo 1999-2004, aveva assunto la carica di presidente della Commissione europea.
La XIV legislatura si chiude l'11 febbraio con lo scioglimento delle Camere e, dopo una campagna elettorale dai toni aspri e accesi, il 9 aprile oltre cinquanta milioni di elettori, compresi i quasi tre milioni di residenti all'estero, sono chiamati a esprimere la loro preferenza politica. La novità con cui devono fare i conti gli elettori è il ritorno del sistema elettorale proporzionale, ma privo del voto di preferenza, con premio di maggioranza e soglie di sbarramento. Alla Camera le soglie di sbarramento sono tre: una del 10% per le coalizioni, una del 4% per le liste non coalizzate e una del 2% per quelle coalizzate. Alla coalizione vincente viene garantito il premio di maggioranza ossia un minimo di 340 seggi alla Camera dei deputati. Per il Senato le soglie di sbarramento sono da superare a livello regionale: 20% per le coalizioni, 8% per i partiti non coalizzati e 3% per quelli coalizzati; il premio di maggioranza prevede che al Senato chi vince si prende il 55% dei seggi assegnati alla singola regione. L'altra grande novità di queste elezioni sono le circoscrizioni estere che permettono di eleggere 12 seggi alla Camera e 6 seggi al Senato.
Dal giorno dello scioglimento delle Camere scattano i termini per l'inizio della legge sulle pari opportunità (o 'par condicio') che resta in vigore fino al week-end delle elezioni. I politici possono intervenire soltanto nelle trasmissioni informative, a parità di condizioni, con la garanzia dell'imparzialità. Negli ultimi quindici giorni, inoltre, scatta il divieto assoluto di pubblicare sondaggi. La Casa delle libertà è la coalizione della maggioranza parlamentare del centrodestra, guidata dal presidente del Consiglio uscente Silvio Berlusconi. Alle elezioni politiche si presenta con i quattro partiti che hanno costituito l'alleanza principale anche nelle precedenti consultazioni: Forza Italia, movimento di Berlusconi; Alleanza nazionale, guidata da Gianfranco Fini; Lega Nord, guidata da Umberto Bossi; Udc, posta sotto la guida di Lorenzo Cesa, ma il cui leader storico è rappresentato da Pierferdinando Casini. Anche Alternativa sociale, il partito di Alessandra Mussolini, si collega alla Casa delle libertà. Della coalizione del centrodestra fanno parte anche una serie di partiti e movimenti minori, come il Nuovo Psi di Gianni De Michelis e il Partito repubblicano italiano di Giorgio La Malfa. Il premier uscente dà per scontata la sua leadership, ma la Casa delle libertà corre secondo uno schema a tre punte, visto che gli alleati Fini e Casini vorrebbero proporsi al posto di Berlusconi nel caso riuscissero a ottenere un numero di voti superiore a quello di Forza Italia. La coalizione del centrosinistra è invece rappresentata dall'Unione, in cui la premiership di Romano Prodi è stata sancita dalle primarie dell'ottobre 2005. Lo schieramento raggruppa partiti e movimenti che vanno dalle posizioni centriste dell'alleanza dell'Ulivo, di cui fanno parte i partiti riformisti di Francesco Rutelli (La Margherita) e di Piero Fassino (Democratici di sinistra), a quelle della sinistra radicale come Rifondazione comunista, guidata da Fausto Bertinotti e i Comunisti italiani di Oliviero Diliberto. Dell'Unione fanno parte anche l'Italia dei valori (Idv) di Antonio di Pietro, l'Udeur di Clemente Mastella, la lista chiamata la Rosa nel pugno ' siglata tra i Socialisti democratici italiani (Sdi) di Enrico Boselli e i Radicali italiani rappresentati da Marco Pannella ed Emma Bonino ' e la Federazione dei Verdi di Alfonso Pecoraro Scanio. Alla coalizione si sono aggiunti i Socialisti di Bobo Craxi e altre formazioni minori.
Con l'avvio della campagna elettorale i due schieramenti si mostrano agguerriti più che mai e il clima politico si inasprisce di giorno in giorno. Rientrano fra gli argomenti di discussione più scottanti il tema del mercato del lavoro, la questione giustizia, la riforma costituzionale, la politica estera, la famiglia e soprattutto il tema dell'economia e dello sviluppo.
Berlusconi e il suo schieramento preferiscono impostare la campagna elettorale rinunciando a proporre nuove iniziative, pensando che sia più conveniente per recuperare voti esporre semplicemente il lavoro fatto nei cinque anni di esecutivo ed evocare la paura su ciò che potrebbe fare l'Unione al governo. In particolare lo schieramento di centrodestra ventila l'aumento delle tasse da parte degli avversari politici, considerate una vessazione che frena lo sviluppo delle piccole imprese, per sottolineare la paura di un impoverimento ulteriore. A fine febbraio la Casa delle libertà presenta il suo programma giocando la carta della semplicità: solo venti pagine per dieci punti programmatici. In sostanza, come dice lo stesso Berlusconi, la linea è continuare a seminare sullo stesso campo visto che il programma del 2001 è in corso di attuazione e c'è ancora del lavoro da fare.
Molto più corposo è il programma presentato dall'Unione, dal titolo Per il bene dell'Italia, composto di ben 281 pagine. Si tratta di un lavoro molto complesso, visto i numerosi temi di possibile conflitto fra i nove partiti della coalizione di centrosinistra, frutto di accordi calibrati che hanno avuto bisogno di alcune verifiche. I due grandi seminari tenutisi il 21 e 22 luglio e il 5 e 6 dicembre a San Martino in Campo, in provincia di Perugia sono serviti proprio a riunire il comitato presieduto da Prodi e a concordare parola per parola le pagine del programma. Dopo il seminario di dicembre, tuttavia, alcuni dei punti più delicati rimangono in sospeso: fra questi le unioni civili e la questione Iraq, ma anche il capitolo delle opere pubbliche, dove non si cita la Tav della Val di Susa, oggetto di infinite polemiche in Piemonte. Delicatissimo appare anche il capitolo economico, in cui il tema più controverso è quello del ripristino della tassa su donazioni e successioni. I momenti più importanti e anche i più attesi della campagna elettorale sono senz'altro i duelli-dibattito fra i candidati dei due schieramenti. Prodi all'inizio rifiuta di parteciparvi perché considera illegittima a livello di parità di trattamento tra le forze politiche la conferenza stampa finale prevista per il premier Berlusconi. Solo dopo che quest'ultimo accoglie le condizioni poste dal leader dell'Unione, rinunciando alla conferenza stampa e accettando la definizione di regole precise su tempi e modalità delle domande e delle risposte (ad imitazione dei modelli americani), Prodi accetta di prendere parte ai dibattiti. I due confronti televisivi tra il Professore e il Cavaliere sono quindi blindati da regole molto restrittive, che prevedono trenta secondi per ogni domanda (uguale per entrambi i candidati premier) e due minuti e mezzo a testa per ogni risposta. Dopo dieci anni dal primo confronto televisivo, Romano Prodi e Silvio Berlusconi tornano così a sfidarsi: il primo duello si svolge in diretta su RaiUno il 14 marzo sotto l'arbitraggio del direttore del Tg1 Clemente Mimun e con le domande affidate a due giornalisti. Gli argomenti su cui lo scontro si infiamma sono quelli che dominano la campagna elettorale, ossia fisco e conti pubblici. Prodi annuncia, in caso di elezione, il taglio del cuneo fiscale cioè la differenza tra quanto spende l'azienda e quanto percepisce il lavoratore in busta paga il leader di centrodestra risponde che quanto promesso non potrà che trasformarsi in un aumento delle tasse. Da qui la denuncia da parte di Prodi di terrorismo fiscale praticato dal centrodestra. Lo scontro, secondo alcuni quotidiani, si conclude a favore di Prodi; lo stesso Berlusconi si dichiara insoddisfatto per non essere riuscito ad esporre adeguatamente le proprie idee proprio a causa della blindatura delle regole. Il secondo scontro diretto fra i due leader viene fissato per il 3 aprile ed è moderato da Bruno Vespa. Anche questa volta il tema di discussione principale è quello relativo alle tasse e alle manovre fiscali previste per la prossima legislatura. Nell'appello finale Berlusconi assesta il colpo più efficace dal punto di vista elettorale annunciando l'intenzione di abolire l'Ici, la tassa sulla prima casa. A pochi giorni dal voto il tono dello scontro, alimentato anche da questa promessa, sale al massimo.
L'11 aprile inizia lo spoglio dei voti: traggono in inganno gli exit poll che all'inizio confermano i risultati pre-elettorali, con l'Unione nettamente in vantaggio sulla Casa delle libertà. Con il passare delle ore lo scarto di 5 punti percentuali viene a mano a mano ridimensionato, fino a trasformarsi in un testa a testa all'ultimo voto. La giornata si fa sempre più convulsa e controversa: i dati del Ministero escono con notevoli ritardi e l'esito della tornata elettorale è incerto fino alla fine dello scrutinio delle schede. Ancora più di quanto non si potesse immaginare alla vigilia del voto l'Italia si scopre spaccata in due. Seppure con uno scarto molto ridotto di quasi 25.000 voti (su circa 19 milioni complessivi, ossia lo 0,06%), l'Unione raggiunge la maggioranza alla Camera: il vantaggio è sufficiente a garantire il premio di maggioranza che consente al centrosinistra di conquistare 340 deputati (poi saliti a 348 con gli eletti all'estero), rispetto ai 277 (281 con la circoscrizione estero) del centrodestra. Al Senato, grazie al voto determinante degli italiani all'estero, che le assegnano 4 seggi su 6, l'Unione recupera lo svantaggio di un seggio rispetto alla Casa delle libertà (la quale raggiunge il 50,2% dei voti contro 48,9% degli avversari) e arriva ad avere la maggioranza, anche se ancora più risicata che a Montecitorio: 158 seggi contro i 156 della Cdl.
Il voto politico è estremamente sentito dagli italiani, come dimostra l'affluenza alle urne decisamente alta: l'83,6%. Lo scrutinio del voto estero è stato particolarmente complesso e via via che il testa a testa dei voti si è fatto sempre più ravvicinato, la distribuzione dei 12 seggi alla Camera e dei 6 al Senato, come abbiamo visto, è risultata decisiva. In totale all'estero ha votato il 42,7% su quasi 2.700.000 italiani aventi diritto. Per la prima volta hanno votato anche gli 8.000 militari impegnati nelle missioni all'estero e il personale diplomatico.
Sulla base dei dati comunicati dal Viminale, l'Unione di Romano Prodi proclama la vittoria alle elezioni politiche del 2006. La coalizione di centrodestra non accetta immediatamente il risultato della consultazione: la richiesta di procedere alla verifica di oltre 40.000 schede contestate (le schede bianche e quelle nulle) conferma il livello a cui arriva la febbre politica del Paese. La linea d'attacco della Cdl rispetto a un voto che lascia un sapore molto amaro in bocca continua per alcuni giorni. Insieme alla denuncia di gravi irregolarità che potrebbero ribaltare l'esito del voto, Berlusconi lancia un appello per una Grande coalizione, come quella al potere in Germania, con la disponibilità a fare un passo indietro per un'intesa. La risposta, negativa, di Romano Prodi e dei suoi alleati non si fa attendere: la proposta è considerata impraticabile oltre che strumentale. I toni dello scontro post-elettorale rimangono alti, alimentati dalla sollecitazione di una verifica dei voti da parte del presidente del Consiglio uscente che arriva a ipotizzare la promulgazione di un decreto legge per una riconta generale delle schede. Il 19 aprile l'ufficio nazionale elettorale della Cassazione conferma l'esito della consultazione elettorale: lo scarto tra le due coalizioni alla Camera è di 24.577 voti a favore del centrosinistra. Tuttavia, dopo la polemica tra le forze politiche sui presunti brogli, a dicembre la Giunta per le elezioni decide per un riconteggio a campione di voti validi, schede nulle e bianche.
Resta da vedere chi ha vinto e chi ha perso fra i singoli partiti che si sono confrontati il 9 e il 10 aprile. Per quanto riguarda quelli del centrodestra, Forza Italia rispetto al 2001, quando aveva guadagnato alla Camera il 29,4% dei voti, perde in percentuale il 5,7% (nelle consultazioni del 2006 aveva ottenuto infatti il 23,7%). Nonostante ciò Forza Italia si conferma al Senato primo partito con il 24% dei voti. Fra i partiti della Cdl è l'Udc a raddoppiare abbondantemente i suoi voti alla Camera rispetto al 2001, passando dal 3,2% al 6,8%. An migliora leggermente e passa dal 12% al 12,3%. Anche la Lega cresce in percentuale e in voti: dal 3,9% del 2001 al 4,6% del 2006.
Sul versante dell'Unione il dato principale riguarda il buon risultato della Lista unitaria alla Camera che si aggiudica il 31,3% contro il 31,1% che avevano ottenuto Ds, Margherita e Repubblicani europei allora separati. Fra i vincitori c'è sicuramente Rifondazione comunista che passa dal 5% al 5,8%. Per questo partito è molto più evidente il balzo al Senato dove sale dal 5,1% al 7,4%. Italia dei valori raccoglie alla Camera il 2,3% dei voti, risultato apprezzabile ma lontano dal 3,9% del 2001. Deludente il risultato per la Rosa nel pugno: Pannella e Boselli speravano nel 3%, ma i voti si fermano al 2,6% alla Camera e al 2,5% al Senato. Lo stesso vale per il partito di Mastella: l'Udeur ottiene solo l'1,4%. Stabili i Verdi che si aggiudicano il 2,1% dei voti.

IL NUOVO GOVERNO E IL NUOVO CAPO DELLO STATO
Dopo il voto politico, la complicata partita dei passaggi istituzionali che ne rinnovano i vertici rappresentanti prosegue con l'elezione dei nuovi presidenti di Camera e Senato. Il presidente uscente della Camera è Pierferdinando Casini. Il 29 aprile, alla quarta votazione, Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione comunista, diventa il nuovo presidente di Montecitorio, superando con 337 voti la soglia dei 305 richiesti dal quorum. 100 voti netti vanno a Massimo D'Alema, 144 le schede bianche. Dedico questa elezione alle operaie e agli operai: è stato il primo commento del candidato dell'Unione appena eletto.
Il presidente uscente del Senato è invece Marcello Pera. I candidati principali per la presidenza a Palazzo Madama sono Franco Marini, ex segretario nazionale della Cisl ed esponente della Margherita, sostenuto dall'Unione, e Giulio Andreotti, ex presidente del Consiglio e senatore a vita, candidato preferito dal centrodestra (la Lega Nord, al primo scrutinio, preferisce però candidare l'ex ministro delle Riforme Roberto Calderoli). Il 29 aprile, dopo una tormentata maratona, al terzo scrutinio Franco Marini viene eletto presidente del Senato con 165 voti.
Superato lo scoglio dell'elezione delle presidenze di Camera e Senato, Prodi comincia a lavorare al puzzle del nuovo esecutivo, con uno sguardo al Quirinale dove Carlo Azeglio Ciampi è ormai agli ultimi giorni del suo mandato come capo dello Stato (il settennato scade il 18 maggio). A questo punto infatti entra nel vivo la corsa al Colle, e i due poli propongono una rosa di nomi che potrebbero succedere a Ciampi. Silvio Berlusconi, da parte sua, esclude la possibilità che al Quirinale venga eletto un esponente della sinistra perché questo, sostiene, equivarrebbe a una dittatura della maggioranza, che già controlla tutte le più alte cariche dello Stato. Per evitare questo, la Cdl si compatta sull'idea di proporre un secondo mandato a Ciampi, ma tra i possibili candidati vi sono anche Gianni Letta e gli ex presidenti di Palazzo Madama e di Montecitorio, Pera e Casini. Il centrosinistra si dice favorevole alla scelta del Ciampi-bis, ma rimette la decisione nelle mani del capo dello Stato: in una sua dichiarazione del 3 maggio, lo stesso Ciampi ribadisce la sua non disponibilità a un rinnovo del mandato. A questo punto tra i favoriti spuntano i nomi di Giuliano Amato e di Massimo D'Alema, proposti dall'Unione. Vista l'impossibilità di un accordo con il centrodestra, specie su D'Alema, viene avanzata la candidatura del senatore a vita ed ex presidente della Camera dei deputati Giorgio Napolitano. A scegliere il presidente della Repubblica sono i deputati, i senatori, e i delegati delle Regioni in seduta comune nell'aula della Camera a Montecitorio. L'8 maggio inizia la prima votazione, ma non c'è accordo: Berlusconi, nonostante le pressioni di Casini e Fini, respinge ogni ipotesi d'intesa sul nome di Napolitano, indicato dall'Unione. L'iter per salire alla più alta carica dello Stato prevede che il quorum per i primi tre scrutini sia pari ai due terzi dei voti; dal quarto scrutinio in poi il quorum si abbassa alla maggioranza assoluta (la metà più uno degli aventi diritto al voto). Il 10 maggio, alla quarta votazione Giorgio Napolitano, 81 anni, viene eletto XI presidente della Repubblica, con 543 preferenze (il quorum era pari a 505). Per la prima volta sale al Quirinale un ex iscritto al Partito comunista italiano. La Cdl esprime forte preoccupazione temperata dall'augurio che il nuovo capo dello Stato si dimostri imparziale. Ne dovrebbe essere garanzia oggettiva la sua biografia politica, culturale, istituzionale. Il 15 maggio il nuovo capo dello Stato giura sulla Costituzione davanti alle Camere riunite in seduta comune e rassicura: sarò il presidente di tutti. Nel suo discorso di insediamento, Napolitano lancia inoltre un invito alla concordia e a una forte difesa del bipolarismo.
Dopo l'elezione del nuovo presidente della Repubblica e dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi (il 2 maggio) da capo dell'esecutivo, si apre ufficialmente la strada per il nuovo leader della maggioranza Romano Prodi. Il neosuccessore di Ciampi, una volta effettuate le consultazioni con le diverse rappresentanze parlamentari, concede al Professore l'incarico di formare il governo. Non mancano tensioni e veti incrociati nella tribolata nascita della nuova legislatura: i tempi istituzionali sono stretti e a Prodi restano ancora da sciogliere alcuni nodi sulla squadra di governo da definire. In particolare quello su alcuni ministeri e sull'incarico di vicepremier, con il braccio di ferro fra Ds e Margherita. La formazione del governo si intreccia infatti con il cantiere del Partito democratico, aperto ormai da mesi. Il 17 maggio il nuovo presidente del Consiglio e la squadra da lui scelta giurano davanti al presidente della Repubblica. Il nuovo governo conta al suo interno 25 ministri, ma in totale il numero dei componenti dell'esecutivo è il più alto in assoluto: sono 102, tra ministri, viceministri e sottosegretari, i membri che compongono il governo di centrosinistra appena nato (erano 97 quelli di Berlusconi). Nella formazione dell'esecutivo si è voluto sottolineare il problema della rappresentanza femminile, che porta alla nomina di 6 donne ministro, ma non mancano comunque le critiche per il ruolo e la presenza ridotta delle donne nel nuovo governo. Solo due infatti ottengono un ministero con portafoglio (cioè con possibilità di spesa): si tratta di Livia Turco alla Sanità e di Emma Bonino, che oltre alle Politiche comunitarie ha anche la delega per il Commercio internazionale. Del tutto nuovo è il ministero Politiche giovanili e Sport, affidato alla diessina Giovanna Melandri. L'Ulivo naturalmente ha la rappresentanza maggiore nel governo, mentre ai partiti minori viene assegnato un ministero ciascuno. Piero Fassino sceglie di rimanere alla guida dei Ds per impegnarsi nella costruzione del Partito democratico. Dall'opposizione piovono le critiche: l'ex presidente della Camera Casini definisce troppo sbilanciato a sinistra il nuovo governo, che Berlusconi bolla come un'alchimia per accontentare tutti.
Nell'aula del Senato la votazione di fiducia al governo di Romano Prodi si conclude con 165 sì e 155 no, ma è segnata dalla reazione rabbiosa dell'opposizione al voto dei sette senatori a vita, tutti a favore del neogoverno di centrosinistra. Il 23 maggio Prodi ottiene la fiducia anche della Camera, con 344 voti a favore e 268 contrari. Il suo governo è quindi ora nella pienezza dei poteri e può cominciare a dispiegare la sua attività.

ELEZIONI AMMINISTRATIVE E REFERENDUM COSTITUZIONALE
Il calendario politico è ancora fitto di appuntamenti fondamentali per il Paese. Il primo in ordine cronologico è quello della tornata elettorale del 28 e 29 maggio per il rinnovo di giunte comunali e provinciali in numerose zone d'Italia. I cittadini italiani sono di nuovo chiamati alle urne. Sul voto c'è un'aria di resa dei conti tra i contendenti. Le attese dei due poli sono, a centrosinistra, per un risultato favorevole pieno, capace di dissipare i dubbi dopo il quasi pareggio delle elezioni politiche; a centrodestra per una rivincita che dia l'impulso capace di sollevare l'onda della rimonta.
Le elezioni interessano complessivamente circa quindici milioni di elettori, per il rinnovo di 8 amministrazioni provinciali e di 1.267 amministrazioni comunali.
Si vota nelle province di Mantova, Pavia, Treviso, Imperia, Ravenna, Lucca, Campobasso, Reggio Calabria. Tra i 26 comuni capoluogo interessati, sono particolarmente attese le sfide di Milano, Torino, Roma e Napoli. Il 28 e 29 maggio si vota anche per il rinnovo di Assemblea e presidente della Regione Sicilia.
Il numero di comuni chiamati alle urne si riduce leggermente negli ultimi giorni prima del voto: infatti la magistratura ha accolto i ricorsi di alcune delle liste che erano state escluse dalla battaglia elettorale e quindi è stato necessario un rinvio di alcuni giorni. Dovranno attendere il 4-5 giugno gli elettori di Novara e l'11-12 giugno quelli di Cagliari e Carbonia, con ulteriore rinvio di 15 giorni per gli eventuali ballottaggi. Sfalsate anche le elezioni per il rinnovo della provincia di Trapani e di 28 amministrazioni comunali in Sicilia: si svolgeranno l'11 e il 12 giugno.
Le sfide di maggiore interesse, per il loro significato politico, sono quelle che si svolgono, a Milano, Torino, Roma, Napoli e in Sicilia. A Milano il confronto è tra l'ex ministro dell'Istruzione Letizia Moratti per la Cdl, e l'ex prefetto Bruno Ferrante, che invece rappresenta lo schieramento di centrosinistra; a Roma il sindaco uscente Walter Veltroni deve vedersela con l'ex ministro alle Politiche agricole, Gianni Alemanno, uomo di punta di An; a Torino l'ex ministro Rocco Buttiglione (Cdl) affronta il sindaco uscente dell'Unione Sergio Chiamparino; a Napoli infine la sfida principale è tra l'ex questore Franco Malvano (Cdl) e il sindaco uscente Rosa Russo Iervolino per lo schieramento di centrosinistra. Per le regionali siciliane sono tre i candidati presidente: il governatore uscente, il centrista Salvatore Cuffaro, contro cui il centrosinistra schiera Rita Borsellino (sorella di Paolo, il magistrato ucciso dalla mafia nel 1993), e infine il candidato della lista Alleanza siciliana, Nello Musumeci.
I risultati del primo turno mostrano in generale la vittoria del centrosinistra che si conferma alla guida di molte città interessate al voto. Per quanto riguarda le quattro città in cui la sfida era particolarmente importante solo Milano viene confermata alla Cdl (il sindaco uscente è Albertini). Nel capoluogo lombardo infatti, in bilico fino all'ultimo, viene premiata al primo turno la rappresentante della Cdl Letizia Moratti con il 52% dei voti contro il 47% dell'ex prefetto Ferrante. A Torino il sindaco uscente Chiamparino (66,6%) vince con più del doppio dei voti sul candidato della Cdl Buttiglione (29,5%). A Napoli la Iervolino viene riconfermata al primo turno con il 57% dei voti, tenendo a distanza Malvano che ottiene il 37,8%. Nella capitale anche il sindaco uscente Veltroni ottiene una larga vittoria (61,4%) contro l'ex ministro di An Alemanno (37,1%).
La Regione Sicilia si conferma invece feudo del centrodestra, con la vittoria del governatore uscente Cuffaro che ottiene il 53,1% dei voti rispetto alla sfidante Rita Borsellino (41,6%).
Per quanto riguarda le otto province in lizza, i risultati arrivano già al primo turno dove il centrosinistra ottiene la presidenza delle province di Campobasso, Lucca, Mantova, Ravenna e Reggio Calabria (quest'ultima passa dal centrodestra al centrosinistra), mentre la Cdl mantiene le province di Treviso, Imperia e Pavia.
Al ballottaggio dell'11 e 12 giugno vanno cinque comuni capoluogo di provincia: Belluno, Rovigo, Caserta, Salerno e Catanzaro. Solo a Belluno vince il centrodestra con l'elezione di Celeste Bortoluzzi (53,7%) che sfidava Ermano De Col (46,3%). A Rovigo viene eletto sindaco Fausto Marchiori, a Catanzaro Rosario Olivo, a Caserta Nicodemo Pettoruti e a Salerno Vincenzo De Luca. In sintesi, l'Unione, tra primo e secondo turno di queste amministrative, vince in 18 comuni capoluogo contro i 6 conquistati dalla Casa delle libertà. La coalizione di centrosinistra ha preso 6 capoluoghi al centrodestra: Benevento, Arezzo, Crotone, Grosseto al primo turno, e Rovigo, Catanzaro e Caserta al secondo turno. La Casa delle libertà conferma una forte presenza al Nord ottenendo Milano, Lecco, Varese, Fermo, Novara e Belluno. Anche la provincia di Trapani, in Sicilia, dove si è votato l'11 giugno, va al centrodestra con l'elezione di Antonio D'Alì alla presidenza.
Il leader della Casa delle libertà Berlusconi, nonostante il risultato, difende Forza Italia che dice resta il primo partito.
Nel complesso l'affluenza alle urne è scarsa: 71,2% contro l'80,6% del 2001.
Dopo il risultato delle elezioni amministrative, l'attenzione si sposta sul referendum sulla riforma della seconda parte della Costituzione. Il 25 e il 26 giugno gli elettori sono nuovamente chiamati alle urne, questa volta per pronunciarsi su quelle riforme che, oltre a introdurre la devolution, cambiano gran parte dei rapporti tra gli organi più importanti dello Stato. La modifica, introdotta nel novembre 2005 dal centrodestra dopo un lungo iter parlamentare, contiene proposte su devolution, Senato federale, formazione delle leggi e poteri del premier. Ecco in sintesi i punti principali. Sparisce il bicameralismo perfetto (oggi, ogni nuova legge deve essere approvata sia dalla Camera sia dal Senato); la Camera esaminerà le leggi sulle materie riservate allo Stato (politica estera, immigrazione, difesa ecc.): il Senato federale avrà trenta giorni per proporre modifiche, ma sarà la Camera a decidere in via definitiva. Al Senato spetterà la competenza primaria sulle materie concorrenti, cioè riservate sia allo Stato sia alle Regioni. In questo caso la Camera potrà proporre modifiche, ma sarà il Senato ad avere l'ultima parola. Parlamento: i componenti della Camera scendono a 518, dei quali 18 eletti dagli italiani all'estero. I senatori saranno 252, eletti in ciascuna regione contestualmente ai rispettivi Consigli.
Premierato: si rafforzano i poteri del premier. Per l'insediamento non avrà più bisogno della fiducia della Camera e la sua elezione sarà di fatto diretta: i candidati premier saranno collegati con i candidati alla Camera e sulla base del risultato elettorale il capo dello Stato nominerà primo ministro il candidato della coalizione vincente. Il premier avrà il potere di nominare e di revocare i ministri e potrà decidere di sciogliere la Camera. I deputati della maggioranza potranno presentare una mozione di sfiducia costruttiva che dovrà però indicare anche il nome di un nuovo premier. Devolution (o federalismo): alle regioni passerà la legislazione esclusiva per l'assistenza e l'organizzazione sanitaria, l'organizzazione scolastica, la polizia amministrativa regionale e locale. È prevista una clausola di interesse nazionale, ossia se il governo ritiene che una legge regionale pregiudichi l'interesse nazionale ne potrà promuovere l'annullamento. Capo dello Stato: l'età minima per salire al Quirinale scenderà da 50 a 40 anni. Il capo dello Stato perde il potere di nominare e revocare i ministri. Rappresenta l'unità federale della Repubblica. Corte costituzionale e Csm: la Consulta sarà composta ancora da quindici giudici, ma saliranno da cinque a sette quelli di nomina parlamentare, in particolare quattro nominati dal Senato federale e tre dalla Camera.
La consultazione popolare del 25 e 26 giugno costituisce il secondo appuntamento degli italiani con il voto per un referendum confermativo, dopo quello del 7 ottobre 2001 sulla riforma del Titolo V della Costituzione varata dal governo di centrosinistra. A differenza dei referendum abrogativi, per i referendum costituzionali non è necessario il raggiungimento di un quorum di votanti.
L'avvicinarsi della scadenza del referendum alimenta il dibattito politico. Per il centrodestra, con la Lega Nord in testa, battutasi fortemente affinché la devolution passasse, la mobilitazione per il sì è ora la parola d'ordine. Anche l'Udc si allinea, malgrado il dissenso dell'ex segretario Marco Follini (e di pochi altri) che aveva chiesto libertà di coscienza. Il centrosinistra si mostra compatto nel dire no alla riforma e spera che il voto popolare possa bloccare il disegno di legge della Cdl. Nel confronto entra, per la prima volta dopo aver lasciato il Quirinale, l'ex capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi che dichiara che voterà per il no, precisando di non ritenere immutabile la Carta, ma di augurarsi che si possa arrivare in questa legislatura a riforme condivise.
In effetti, man mano che la data del referendum si avvicina, la possibilità che si arrivi a modifiche della Carta condivise da entrambi gli schieramenti sembra più credibile. Perfino Umberto Bossi, promotore e sostenitore della devolution, si dice disponibile a ridiscutere il federalismo, anche in caso di vittoria dei no.
Smentendo le previsioni di un'opinione pubblica stanca e demotivata, dopo un lungo trimestre elettorale, a sorpresa va al voto il 53,7% degli italiani aventi diritto. Prevalgono nettamente i no (il 61,7%) alla riforma della Costituzione voluta dalla Cdl. A votare sì solo il 38,3% (il sì ha però vinto in Lombardia e Veneto). Delusione nel Polo: l'ex premier Berlusconi parla di occasione storica mancata. Si va avanti comunque, ha votato sì la parte più avanzata del Paese è invece il commento del leader della Lega Bossi. Soddisfazione nelle file del centrosinistra. Il presidente del Consiglio Prodi tende la mano all'opposizione assicurando che saranno avviati contatti con tutte le forze politiche per il dialogo su riforme e legge elettorale.

I DUE POLI A CONFRONTO
Alla fine del 2005 i sondaggi attribuivano all'Unione, che con le elezioni primarie aveva da poco incoronato Romano Prodi come proprio leader, un nettissimo distacco dalla Casa delle libertà. La campagna elettorale di Berlusconi, come già accennato, avrebbe in seguito operato la rimonta della maggioranza allora al governo, portandola al quasi-pareggio nelle elezioni politiche di aprile.
Nel gennaio del 2006, una questione di carattere economico-finanziario in parte favorisce questa rimonta e finisce con l'avere pesanti risvolti politici per il centrosinistra. Si tratta del caso Unipol, la potentissima holding bancario-assicurativa delle cooperative rosse, allora coinvolta nella scalata per il controllo della Banca nazionale del lavoro. Con la pubblicazione sul quotidiano Il Giornale di stralci di intercettazioni telefoniche (illegittime) tra Giovanni Consorte, numero uno di Unipol, e il segretario dei Ds Piero Fassino, una bufera di critiche si abbatte sul centrosinistra e soprattutto sul segretario dei Ds, che sembra sostenere il progetto di espansione di Consorte. Le intercettazioni pubblicate, risalenti al luglio 2005, risultano irrilevanti ai fini giudiziari, ma la loro pubblicazione ha un grosso effetto politico e mediatico, che viene sfruttato dalla maggior parte dei politici del centrodestra. Fassino ottiene l'appoggio di Prodi e degli alleati, e soprattutto della base del partito, pronta a mettere la mano sul fuoco per la sua onestà. Il Professore comunque punta il dito sulla questione morale e invita a fissare nuove regole e nuovi confini tra politica e affari. Mi sono limitato a esprimere un'opinione favorevole al progetto di dare vita a un grande polo bancario e assicurativo si difende Fassino, al cui partito si rimprovera il cosiddetto collateralismo nei confronti del movimento cooperativo e delle sue operazioni finanziarie. Le accuse dell'allora premier Berlusconi sui rapporti tra comunisti e finanza rossa vengono presto archiviate.
In aprile, dopo una campagna elettorale caratterizzata da forti contrasti tra i poli, la maggioranza degli italiani sceglie di premiare, seppure con un consenso limitato come si è visto, il progetto politico di Romano Prodi e dei suoi alleati. Le aspettative di molti elettori che avevano identificato le loro speranze di cambiamento nel contratto berlusconiano del 2001, e che ora rivolgono le loro attese nel progetto politico del centrosinistra, sono alte. I primi sette mesi di esperienza governativa dell'Unione si mostrano però assai tormentati, anche a causa della difficile e qualche volta già sofferente coalizione dei nove partiti che la compongono e che hanno firmato le 281 pagine del programma. La critica che arriva dall'opposizione, ma anche da aree storicamente vicine al centrosinistra, è quella di un governo pesantemente condizionato dalla sinistra radicale e, in effetti, i moderati dell'Unione (Ds, La Margherita, Udeur) in più di un'occasione esprimono insofferenza per alcune posizioni estremiste della loro coalizione.
Una volta ufficialmente operativo, il nuovo governo si trova alle prese con diverse questioni da affrontare e con qualche nodo rimasto irrisolto all'interno della maggioranza. Il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, inizia a lavorare alla verifica della situazione finanziaria per definire le linee del Dpef da approvare entro luglio. Per il neoministro il primo incontro ufficiale con il commissario europeo agli Affari economici Joaquin Almunia vede proprio al centro del colloquio il confronto sui nostri conti pubblici per valutare i margini di manovra e i tempi di rientro nei parametri Ue (ossia riportare il deficit sotto il 3%). Dopo la denuncia di Padoa-Schioppa sull'andamento del deficit secondo una prima ricognizione sui conti pubblici il rapporto tra indebitamento e Pil nel primo semestre dell'anno supererebbe abbondantemente il 4% contro il 3,8% certificato dal precedente governo prima delle elezioni si accende lo scontro tra l'Unione e la Casa delle libertà, che però respinge ogni responsabilità. L'ex premier Berlusconi dichiara anzi che il nuovo governo grida al disastro per appesantire il fisco. Per la maggioranza si profila la necessità di intervenire subito al fine di arginare il deficit e sostenere lo sviluppo economico proponendo tre obiettivi di equità, risanamento e sviluppo.
La manovra bis per il 2006 approvata dal Consiglio dei ministri a luglio prevede al suo interno, oltre al pacchetto Visco sulle nuove regole fiscali, un decreto legge messo a punto dal ministro per lo Sviluppo Pierluigi Bersani che intende incentivare la concorrenza a favore dei consumatori. Il decreto coinvolge professionisti, banche, notai, farmacie, taxi e panifici. Il cosiddetto pacchetto Bersani sulle liberalizzazioni provoca la prima rivolta contro il governo soprattutto di tassisti e farmacisti che protestano contro il provvedimento con scioperi in tutta Italia. A difesa del decreto Bersani si schierano compatte le associazioni dei consumatori, mentre buona parte del centrodestra (solo l'Udc si mostra abbastanza favorevole) lo critica affermando che le liberalizzazioni hanno tutta l'aria di essere un tentativo di punire alcune categorie professionali.
A minacciare invece gli equilibri all'interno della maggioranza sono la discussione su Dpef e soprattutto sulla legge Finanziaria, ma anche la questione del rifinanziamento delle missioni italiane all'estero. Questi temi fanno affiorare le prime divergenze fra l'ala riformista e quella più radicale del governo, divergenze su cui fa leva l'opposizione che accusa la maggioranza di appoggiarsi su accordi fragili e fittizi.
Oltre alla questione economica e al ritiro delle nostre truppe dall'Iraq, tra i primi punti dell'agenda di Prodi ci sono una serie di provvedimenti rivolti a modificare, o in qualche caso a eliminare, le cosiddette leggi ad personam approvate dal governo Berlusconi (in primo luogo quelle che riguardano la giustizia e il settore televisivo e delle comunicazioni). I piani di intervento, secondo le dichiarazioni del premier, dovrebbero riguardare anche istituzioni, sanità, scuola e immigrazione. In tema di mercato del lavoro, il centrosinistra denuncia la precarizzazione eccessiva introdotta dal governo precedente con la legge Biagi, ma la strada si profila in salita perché le opinioni su come combattere questo fenomeno, senza togliere flessibilità, sono divergenti e si scontrano con Confindustria.
A settembre scoppia il caso Telecom che porta alle dimissioni di Angelo Rovati, il consigliere economico-politico di Romano Prodi, al centro della polemica per il piano di riassetto del gruppo telefonico. La vicenda tiene banco nel dibattito politico con il centrodestra, che attacca il governo e, anche se Rovati ribadisce l'estraneità di Prodi, il premier dovrà riferire personalmente al Parlamento i risvolti della vicenda.
In autunno comincia l'accidentata marcia della prima legge Finanziaria della nuova stagione politica, che suscita le proteste non solo del centrodestra le quali sfoceranno nella grande adunata di dicembre a Roma ma anche della maggior parte delle rappresentanze sociali del Paese. Il taglio agli enti locali e l'introduzione dei ticket causano l'impressionante e inattesa rivolta dei sindaci di centrosinistra, mentre la sottrazione di metà del Tfr (trattamento di fine rapporto) da passare all'Inps suscita la protesta degli industriali. Lo scontento per la prima legge di bilancio di Prodi è diffuso e trasversale e provoca una forte crisi di immagine e di consenso del governo dell'Unione, registrato anche dai sondaggi in autunno. Il presidente del Consiglio dice di essere attento ma non preoccupato di questa situazione e ricorda che l'obiettivo del governo è quello di lavorare cinque anni, l'intera legislatura. Ad appannare la credibilità del nuovo esecutivo, in ottobre, c'è inoltre l'intervento di due (Fitch e Standard & Poor's) delle tre grandi agenzie che misurano l'affidabilità di un Paese ai fini dei prestiti internazionali, le quali declassano l'Italia di 1 punto.
Movimentata da discussioni e polemiche politiche trasversali è anche la questione del riconoscimento delle unioni di fatto (Pacs). L'argomento, di importanza sociale, vede la contrapposizione tra laici e cattolici, e continua a dividere i poli e la stessa maggioranza. Resta infatti il nodo dell'Udeur che non fa passi indietro e porta avanti la sua mozione contro le unioni di fatto e contro la volontà del governo di legiferare su questo argomento.
Nonostante i numerosi ostacoli e pur nel crollo degli indici del consenso, Prodi sembra per adesso riuscire a fagocitare ogni contrasto. Dopo la difficile gestione della legge Finanziaria, per ricostruire l'immagine riformista della coalizione viene sollecitata dai moderati dell'Unione un'accelerazione dell'attività di governo, con l'avvio di una fase 2 che preveda riforma previdenziale e liberalizzazioni.
Il "cantiere" del Partito democratico della sinistra riformista, ormai aperto da tempo, nel corso del 2006, specie dopo la ripresa politica autunnale, vede riesplodere alcune ambiguità che ne accompagnano la gestazione. Il progetto del Partito democratico deriva direttamente dall'esperienza della lista Uniti nell'Ulivo, nata in occasione delle elezioni europee del 2004, con l'unificazione delle due maggiori forze politiche del centrosinistra: Ds e Margherita (con Sdi e Repubblicani europei). Il piano riprende vita dopo la vittoria dell'Unione alle elezioni di aprile, nelle quali la lista unitaria (L'Ulivo) alla Camera prende più voti dei singoli partiti divisi al Senato. All'indomani delle elezioni politiche, Ds e Margherita rinunciano a costituire gruppi autonomi. Nasce il gruppo unico dell'Ulivo alla Camera (con 216 deputati e guidato da Dario Franceschini) e al Senato (con 101 componenti, guidato da Anna Finocchiaro). Il progetto del Partito democratico, che ha nell'attuale presidente del Consiglio il principale sostenitore ed ispiratore, prevede la costituzione di un partito unitario che unisca e rappresenti le culture cattolico-popolari, quelle liberal-democratiche e quelle socialiste-socialdemocratiche di stampo riformista. A gestire il cantiere che porterà al soggetto unico e quindi a esercitare il ruolo di coordinatore per la costruzione del futuro partito è il segretario dei Ds Piero Fassino, il quale sceglie di rimanere fuori dall'esecutivo per dedicarsi al progetto. Molti leader dell'Ulivo affermano che sarà il 2007 l'anno del Partito democratico. Il primo passaggio dovrebbe essere la nascita della Costituente del nuovo soggetto politico, anticipata però dai congressi di Ds e Margherita. Ma intanto il dibattito sul partito unitario prosegue con le alterne dichiarazioni tra i principali leaders. Dichiarazioni ora divergenti ora convergenti che evidenziano il perdurare di una non perfetta coincidenza di vedute circa il percorso da seguire verso l'approdo comune. Si riflette su ruolo del partito, sulla sua identità, sui processi di formazione dei gruppi dirigenti e sulle forme di rappresentanza politica nello scenario nazionale e globale. La componente che fa capo al cosiddetto Correntone, l'area di sinistra dei Ds, esprime da sempre perplessità sull'ipotesi di uno scioglimento dei partiti tradizionali all'interno di un nuovo soggetto politico, preferendo in alternativa la costituzione di una federazione tra Ds, Margherita, Sdi e Repubblicani europei (ovvero le forze politiche che avevano dato vita alla lista unitaria per le europee). La riluttanza del Correntone ad aderire al progetto del Partito democratico rischia di provocare anche una scissione diessina. I dubbi e i dissensi si riflettono in occasione del seminario di Orvieto del 6 e 7 ottobre, che vede riuniti i rappresentanti Ds, Margherita e Movimento repubblicani europei per valutare le prime tappe concrete del percorso del nuovo partito. All'appuntamento di Orvieto, però, i Ds si presentano divisi: il Correntone, guidato da Fabio Mussi e Cesare Salvi, decide infatti di disertare il seminario. Nell'occasione viene unanimemente ribadita la necessità di un progetto riformista unitario, ma forti riserve permangono sia nei Ds, come abbiamo visto, che nella Margherita. Per quest'ultima è ancora aperto il confronto tra la corrente degli ulivisti del ministro della Difesa Arturo Parisi, e la corrente popolare rappresentata dal segretario Francesco Rutelli e dal presidente del Senato Franco Marini. La collocazione europea è uno tra i principali nodi relativi al Partito democratico, per via del fatto che attualmente i Ds fanno parte del Partito socialista europeo mentre la Margherita è parte del Partito democratico europeo. Al seminario di Orvieto il presidente del Consiglio Prodi è comunque ottimista sulla nascita della nuova formazione perché, afferma, si sono trovate grandi convergenze sia di volontà che di sentimenti. Non spaventa neppure l'ostacolo della collocazione europea per la quale il premier ribadisce dobbiamo anticipare, non aderire.
Sul fronte del centrodestra, il 2006 si apre con qualche tensione fra l'ex presidente della Repubblica Ciampi e l'ex capo del governo Berlusconi, prima sulla data delle elezioni politiche e poi, alla vigilia della campagna elettorale, sulle regole della par condicio.
Nell'ultima fase della legislatura, la coalizione lavora per presentare ai cittadini i bilanci del quinquennio e ripresentarsi al nuovo appuntamento con le elezioni politiche. Il Cavaliere infatti punta al secondo mandato per completare le riforme avviate, ma la sua preoccupazione è quella di assicurare alla coalizione la massima unità, un vero gioco di squadra all'interno della maggioranza dove, già da dopo la sconfitta alle regionali del 2005, si fa avanti la necessità di un cambiamento di leadership e di impostazione generale della Cdl. In quell'occasione Berlusconi aveva proposto di costruire, anche in vista delle politiche, un partito unico del centrodestra, ma il progetto viene accantonato. In vista dell'appuntamento elettorale 2006, la Cdl, sfruttando la nuova logica proporzionale, annuncia invece la cosiddetta "tattica" delle tre punte per sconfiggere il centrosinistra. A spingere su questo fronte sono soprattutto il leader di An Gianfranco Fini e quello dell'Udc Pierferdinando Casini, che rinfacciano al Cavaliere una certa concezione monarchica della coalizione. Fini e Casini inseriscono nei simboli elettorali i loro cognomi ma nel deposito dei contrassegni elettorali viene indicato Berlusconi come capo unico della coalizione. Grazie a una campagna incisiva, la Casa delle libertà riesce a riconquistare la fiducia di molti elettori e Forza Italia si riappropria della leadership all'interno della coalizione, ottenendo un risultato in netta ascesa rispetto alle previsioni. Nell'immediato dopo-elezioni, Berlusconi e la Cdl contestano il risultato delle urne, parlando di presunti brogli elettorali nei seggi che avrebbero portato voti al centrosinistra. Tuttavia, in seguito alle due successive sconfitte elettorali, in occasione delle elezioni amministrative di maggio e del referendum costituzionale di giugno, la Cdl concentra maggiormente la strategia di opposizione sul piano dei programmi.
Il 15 febbraio, all'inizio della campagna elettorale, a Palazzo Chigi scatta l'allarme. L'esponente leghista e all'epoca ministro per le Riforme Roberto Calderoli, durante una intervista televisiva mostra una maglietta con la riproduzione di una delle caricature delle vignette satiriche danesi su Maometto, che già avevano infiammato molti Paesi musulmani. Il gesto incompatibile con il governo, come lo definirà Casini, crea forti polemiche nonché grande preoccupazione sia da parte del centrosinistra sia da parte di tutta la Casa delle libertà, Lega esclusa. Sul fatto interviene anche il capo dello Stato Ciampi che invoca comportamenti responsabili per chi ha responsabilità di governo. Berlusconi da parte sua non vuole una crisi con il Carroccio in piena campagna elettorale, ma considera pericoloso uno scontro con il mondo islamico. La maglietta mostrata dall'ex ministro, infatti, fa scoppiare una manifestazione di protesta a Bengasi davanti al Consolato italiano, provocando 11 morti. Berlusconi convoca un vertice a Palazzo Chigi, manifesta solidarietà al mondo islamico e invita Calderoli a rassegnare le dimissioni. La vicenda si conclude con le dimissioni per "senso di responsabilità" dell'ex ministro delle Riforme il 18 febbraio.
All'inizio di marzo, a un mese dalle elezioni politiche, il centrodestra deve affrontare un'altra vicenda che rischia di pesare sul voto degli indecisi e che coinvolge in particolare il partito di Fini, Alleanza nazionale. Si tratta del cosiddetto Laziogate, inchiesta di spionaggio politico per la quale l'ex governatore del Lazio Francesco Storace l'11 marzo deve dimettersi da ministro della Salute (incarico affidatogli nell'aprile del 2005 con il governo Berlusconi bis, all'indomani della crisi politica che aveva investito la Cdl dopo la sconfitta delle elezioni regionali di quell'anno). La indagine della magistratura è rivolta alla presunta attività di spionaggio politico per condizionare le elezioni regionali (del 3 e 4 aprile 2005) ai danni di Alessandra Mussolini e Piero Marrazzo, avversari di Storace, esponente di An e all'epoca dei fatti presidente della Regione Lazio. Sono coinvolti nell'indagine funzionari di Stato e 007 privati e sono indagati l'ex portavoce di Storace Nicolò Accame, e il suo staff, per violazione della legge elettorale. L'ex ministro respinge tutte le accuse ed esce dal governo per evitare strumentalizzazioni della sinistra, sostenuto da tutto il centrodestra che esalta il suo gesto. L'interim del ministero della Salute viene assunto da Berlusconi. Il 7 novembre 2006 Storace viene rinviato a giudizio dalla Procura di Roma con l'accusa di accesso abusivo ad un sistema informatico.
L'amara sconfitta alle politiche costringe tutti i leader della Cdl a ripensare il centrodestra. Per quanto riguarda Alleanza nazionale, il presidente Gianfranco Fini delinea una svolta per portare il suo partito verso la famiglia popolare europea, cioè nel polo moderato-conservatore dell'assemblea di Strasburgo. Questa linea emerge chiaramente dall'Assemblea nazionale del partito del 7-8 ottobre. L'unico dissidente rispetto alla linea di Fini è Storace, facente capo a una minoranza del partito (la corrente D-Destra). Con l'eccezione dell'ex ministro, Fini è comunque riuscito a ricomporre l'unità del partito dopo le tempeste del 2005.
Nei sette mesi successivi alle elezioni, l'ex premier Silvio Berlusconi, e con lui Forza Italia, sembra attraversare diverse fasi che vanno dal rigetto per la forte delusione della sconfitta, ai grandi propositi combattivi, con l'obiettivo di contribuire alla caduta del governo Prodi per aprire all'ipotesi del partito unitario del centrodestra. Con la grande manifestazione del 21 ottobre a Vicenza, affiancato da Fini e Bossi, e ormai concentrato nel suo nuovo ruolo di capo dell'opposizione, Berlusconi avvia la nuova strategia d'attacco, contrastando la pessima legge finanziaria del governo Prodi. Il Cavaliere rilancia il progetto del partito unico del centrodestra cui si aggiunge, non sostenuta dall'ex premier, l'ipotesi di una federazione di partiti. A non sottoscrivere il progetto del partito unico, all'inizio è solo la Lega, per via della sua base regionale. Alla fine del 2006 tuttavia, l'unico partito disposto ad aprire un percorso verso questo progetto sembra essere Alleanza nazionale. E appena sono chiari i contorni della prima legge finanziaria del governo sono solo Fini e Bossi ad affiancare Berlusconi nella protesta di massa a Vicenza e in quella a Roma del 2 dicembre. L'Udc fa un passo indietro, preferendo altre strategie, come quella della riflessione autocritica dopo la sconfitta elettorale.
Nei mesi successivi alle elezioni la Cdl è scossa da tensioni interne, alimentate dal dibattito sulla leadership del centrodestra. Berlusconi dice di non avere nessun timore sull'unità della Cdl e sul suo futuro perché, continua, se ci sono delle dialettiche all'interno della coalizione le supereremo. Casini tuttavia non perde occasione per marcare la differenza dell'Udc da Forza Italia, e, reo di aver detto di non volere morire berlusconiano, subisce l'attacco degli alleati. Il leader centrista critica la leadership carismatica, rappresentata da Berlusconi, che finora ha permesso di rinviare la soluzione ai problemi della coalizione e punta alla ricostruzione del centrodestra per dar vita a un grande partito moderato di cui traccia il ritratto in occasione della festa dell'Udc a Fiuggi, all'inizio d'autunno. In questa linea di progressivo sganciamento dell'Udc (non dall'opposizione, ma da questo centrodestra), Casini ritrova anche l'ex segretario del partito Marco Follini già anima critica del partito e della coalizione che si distingue per la sua posizione netta e che chiede di dichiarare conclusa la militanza dell'Udc nella Cdl. La linea di Casini e dell'attuale segretario del partito Lorenzo Cesa appare più morbida e, pur confermando la linea del cambiamento, ritenendo chiusa l'esperienza della Cdl come modello organizzativo, punta a mantenere l'appoggio allo schieramento. In questa fase di incomprensioni e turbolenze le diverse anime dei centristi arrivano alla resa dei conti: Follini decide di abbandonare ufficialmente l'Udc, fondando il movimento politico Italia di mezzo (18 ottobre), con il dichiarato obiettivo di accogliere quei cittadini che non si sentono rappresentati nell'attuale bipolarismo, per creare insieme una nuova riunificazione politica di centro.
Il Cavaliere, determinato a ignorare le provocazioni che arrivano dal leader dell'Udc, ribadisce la volontà di proseguire sulla linea di una opposizione inflessibile e rilancia la protesta in piazza. La grande manifestazione contro la Finanziaria del 2 dicembre a Roma, in piazza San Giovanni, vede riuniti Forza Italia, An e Lega Nord. L'Udc di Casini lancia la sfida e non si unisce alla protesta romana che secondo l'ex presidente della Camera è solo apparentemente contro Prodi ma che in realtà serve solo a Berlusconi per consolidare la sua leadership. Casini e il suo partito organizzano, invece, una manifestazione parallela e contemporanea, a Palermo, dove viene sancito che esistono due opposizioni al centrosinistra: una, quella dei moderati, rappresentata appunto dall'Udc; l'altra, quella delle forze di destra (FI, An e Lega) che si avviano, seppur con dei distinguo, alla costituzione di un partito unitario, definito da Berlusconi il Partito della libertà.
Missioni italiane all'estero
Sono circa 8.000 i militari italiani impegnati in missioni all'estero che vanno dal peacekeeping all'attività antiterrorismo, dall'addestramento di polizia fino all'assistenza civile, logistica e militare.
L'operazione militare italiana in Iraq, iniziata nel giugno 2003 in seguito al conflitto angloamericano contro il regime di Saddam Hussein, è denominata "Antica Babilonia" e all'inizio ha visto impegnati oltre 3.000 militari sul territorio iracheno tra esercito, marina, aeronautica e carabinieri (la base del contingente italiano si trova a Nassiriya).
Anche nel corso del 2006, nel faticoso tentativo di costruzione di un regime democratico in quel Paese, la missione italiana è oggetto di diversi attentati, due dei quali provocano delle vittime. Il primo attacco è del 27 aprile, quando un ordigno esplode in strada al passaggio di una pattuglia di militari italiani e rumeni: perdono la vita due carabinieri il sottufficiale Franco Lattanzio, 38 anni, e il maresciallo Carlo De Trizio, 37 anni e il capitano dei paracadutisti alla Brigata Folgore di Livorno Nicola Ciardelli, 34 anni. Una quarta vittima è un caporale rumeno di 27 anni. Nell'agguato viene ferito gravemente un altro italiano, il maresciallo dei carabinieri Enrico Frassanito, 41 anni, che muore il 7 maggio all'ospedale di Borgo Trento, a Verona, dove era stato ricoverato subito dopo il suo arrivo da Kuwait City. I quattro militari facevano parte di un contingente di 2.600 soldati italiani (secondo i piani di ritiro del governo, in procinto di ridursi a 1.600 nel mese di giugno) al comando della Brigata Sassari, tornata a Nassiriya due mesi prima, dopo l'avvicendamento con la Brigata Ariete. Sui responsabili dell'agguato di aprile gli investigatori hanno sospetti su Al Qaeda e sui gruppi sciiti, ma il Sismi segue anche la pista dei servizi segreti iraniani. Il 5 giugno l'Italia piange un altro caduto in Iraq, in seguito a un attentato avvenuto a un centinaio di chilometri da Nassiriya. La vittima è il caporalmaggiore Alessandro Pibiri, di 25 anni, ucciso da un ordigno esplosivo piazzato sulla strada. Un secondo militare, Luca Daga, 28 anni, rimane ferito gravemente (ma giudicato fuori pericolo) mentre altri tre riportano ferite non preoccupanti.
Nonostante le pressioni dell'ala radicale dell'Unione e dei settori più pacifisti della coalizione, gli attentati di Nassiriya non modificano i piani di ritiro delle nostre truppe dall'Iraq previsti dal governo entro la fine del 2006. Il governo Berlusconi in campagna elettorale aveva annunciato che il ritiro delle truppe sarebbe iniziato da dicembre. Questo calendario viene sostanzialmente rispettato dal governo di Romano Prodi. Il 21 settembre si svolge a Nassiriya una cerimonia in cui il ministro della difesa Arturo Parisi trasferisce ufficialmente la responsabilità della sicurezza alle autorità del Dhi Qar, seconda provincia del Paese dopo quella di Muthanna a tornare sotto il controllo iracheno. La cerimonia ufficializza l'inizio del ritiro totale dei militari italiani (già ridotti a circa 1.500 uomini), completato il 2 dicembre. Purtroppo la giornata viene funestata da un nuovo lutto. Poche ore prima della cerimonia di passaggio di consegne, un soldato del contingente italiano rimane ucciso in un incidente stradale. Si tratta del caporalmaggiore Massimo Vitaliano, 26 anni, salentino: il mezzo su cui viaggiava si è scontrato con un autocarro iracheno durante un pattugliamento.
Il 2 dicembre, nella Reggia di Caserta, l'arrivo del presidente della Repubblica Napolitano dà l'avvio alla cerimonia con cui si conclude ufficialmente la missione " Antica Babilonia ". Iniziata il 10 giugno 2003 con il dispiegamento della Brigata Garibaldi, la missione ha il grave bilancio di 32 morti. Nel corso della cerimonia dell'ammainabandiera il ministro della Difesa Parisi afferma che si chiude la missione, ma che l'impegno dell'Italia in favore dell'Iraq continua attraverso una rafforzata collaborazione politica, civile, umanitaria.
L'inchiesta sulla morte del funzionario del Sismi Nicola Calipari, ucciso il 4 marzo 2005 a Baghdad da militari americani mentre a bordo di un'auto si dirigeva all'aeroporto con la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, appena liberata dopo un mese di sequestro, continua a causare attriti diplomatici fra Italia e Stati Uniti. La Procura di Roma aveva chiesto per rogatoria agli Stati Uniti i nomi dei componenti della pattuglia che aprì il fuoco al check point Usa, ma all'inizio di maggio il Dipartimento di Giustizia di Wa-shington comunica di non poter fornire ulteriori informazioni oltre a quelle contenute nel rapporto già trasmesso al governo italiano. Ma casualmente sarà possibile scoprire i nominativi secretati: alcuni lettori di Internet, interessati all'argomento, scaricheranno il Pdf della relazione della Commissione d'inchiesta Usa e, copiandolo su programmi di videoscrittura, si accorgeranno che le pecette nere, ovvero gli omissis, scompaiono come per miracolo. Il militare che ha sparato il colpo mortale a Calipari si chiama Mario Lozano, di origine spagnola, ed è marine in servizio al 69' reggimento della Guardia nazionale di New York. Il 19 giugno la Procura di Roma formalizza la richiesta di rinvio a giudizio per Lozano, con l'accusa di delitto politico. Del caso Calipari il ministro degli Esteri Massimo D'Alema parla con il segretario di Stato Condoleezza Rice nel corso della sua visita a Wa-shington in giugno, lamentando una collaborazione insufficiente fino a questo momento da parte degli americani sulla vicenda.
In Afghanistan i soldati italiani sono coinvolti nella missione Isaf (International Security Assistance Force), con base a Kabul, iniziata come missione multinazionale e, dall'agosto 2003, passata al comando della Nato. Il compito della missione è garantire la sicurezza in Afghanistan nelle sue varie componenti (pattugliamenti, sequestri di armi, addestramento delle forze di sicurezza afghane ecc.). Dopo una attività iniziale concentrata nella sola capitale, la missione si sta espandendo nelle altre città del Paese. L'Italia attualmente partecipa alla missione con circa 1.500 militari, tra soldati dell'esercito e componenti minori dei carabinieri, dell'aeronautica militare e della marina militare. Il nostro Paese assume il comando della missione Isaf nell'agosto 2005 con il generale Mauro Del Vecchio, comando passato nel maggio 2006 al luogotenente generale del Regno Unito David Richards.
Già dai primi mesi dell'anno si avvertono segnali di una crescente tensione in Afghanistan, al centro di un'offensiva dei talebani. A pochi giorni dall'attentato di Nassiriya, costato la vita a quattro militari italiani, in Afghanistan l'Italia paga un altro altissimo prezzo di sangue. Il 5 maggio, a Kabul, a seguito dell'esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia del contingente, perdono la vita due alpini: il capitano Manuel Fiorito, 27 anni, e il maresciallo Luca Polsinelli, 29 anni. Altri quattro militari restano feriti, ma se la cavano con forti contusioni e ferite superficiali. Il 21 settembre, sempre nella capitale afghana, perde la vita il caporalmaggiore Giuseppe Orlando, 28 anni, a seguito di un incidente stradale durante una normale attività di pattuglia. Il 26 settembre, circa 10 km a sud di Kabul, colpito da una bomba lanciata al passaggio di un blindato italiano, muore il caporalmaggiore Giorgio Langella, 31 anni. Nello scoppio rimangono feriti anche altri cinque soldati del nostro contingente. Successivamente, il 30 settembre, a seguito delle ferite riportate nell'attentato, perde la vita il primo caporalmaggiore Vincenzo Cardella, di 24 anni. Con la morte del giovane alpino salgono a sette i militari italiani caduti in Afghanistan dall'inizio della missione del contingente nazionale in quel Paese. Secondo il Sismi, la recente serie di attentati in Iraq ed Afghanistan contro le nostre forze è indirizzata ad influenzare il nuovo governo spingendolo ad un ritiro accelerato da tutte le zone di guerra.
Gli attentati a Kabul riaccendono il dibattito politico sulla missione italiana in Afghanistan. Con l'avvicinarsi della data fine giugno in cui il governo dovrà mettere mano al decreto per votare il rifinanziamento delle missioni militari all'estero, si agitano le file del centrosinistra con Rifondazione, Verdi e Comunisti italiani che chiedono con forza il ritiro delle truppe dall'Afghanistan. Il fronte del no si scontra con l'atteggiamento moderato (anche all'interno della maggioranza) di chi vuole mantenere gli impegni internazionali. Dopo difficili mediazioni e due mesi di dibattito arriva la prima prova di compattezza della maggioranza sulla politica estera: il 19 luglio la Camera approva quasi all'unanimità (549 sì e 4 no) il Ddl di rifinanziamento delle missioni italiane all'estero. Il 24 luglio con 161 sì da parte del centrosinistra il Senato vota la fiducia al governo sul rifinanziamento delle missioni all'estero. Danno il loro sostegno quattro senatori a vita. Per protesta contro il voto di fiducia i senatori della Cdl non partecipano al voto. La parte più controversa del Ddl l'articolo che riguarda l'Afghanistan viene approvato con 159 voti a favore e con la partecipazione al voto della Cdl. Anche per quanto riguarda l'Afghanistan dunque nessuna " exit strategy ": la mozione impegna il governo a promuovere nelle sedi internazionali competenti, in special modo nell'ambito Onu e Nato, la verifica sull'impegno internazionale in Afghanistan e lo induce ad una valutazione sulle prospettive di superamento della missione Enduring Freedom in territorio afghano.
Dura 23 giorni l'odissea di Gabriele Torsello, il fotoreporter di origine pugliese e residente a Londra da alcuni anni, sequestrato il 12 ottobre nel Sud dell'Afghanistan mentre era a bordo di un autobus diretto a Kandahar. Torsello si trovava in Afghanistan già da qualche settimana per realizzare un reportage fotografico in una delle zone più calde del Paese. Sul sequestro si seguono due piste: quella talebana e quella della criminalità comune, mentre la Farnesina precisa di aver attivato tutti i canali, formali e informali, per favorire la liberazione di Torsello. Intanto si susseguono gli appelli per la liberazione del giornalista, cui si uniscono quelli dell'Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia (Ucoii), che chiedono fermamente, senza alcuna condizione la liberazione del reporter. Il 17 ottobre arriva l'ultimatum dei rapitori: in cambio del rilascio di Torsello chiedono la consegna di Abdul Rahman, l'afghano convertitosi al cristianesimo e rifugiatosi in Italia alla fine di marzo per sfuggire alla condanna a morte. Se questo non fosse possibile, chiedono il ritiro di tutti i soldati italiani dall'Afghanistan. Il 3 novembre Gabriele Torsello ritrova la libertà, dopo una delicata trattativa condotta da rappresentanti del governo e da operatori di Emergency a Kabul.

Il conflitto tra Israele e Libano esplode il 12 luglio quando un reparto di Hezbollah rapisce due soldati israeliani. La reazione è immediata: i carri armati israeliani invadono il Libano per la prima volta dal ritiro nel 2000 mentre l'aviazione inizia i bombardamenti. Le ostilità continuano per 34 giorni durante i quali viene svolta una intensa attività diplomatica internazionale tesa al conseguimento di una tregua-cessate il fuoco per la successiva creazione di stabili condizioni di pace. L'11 agosto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approva all'unanimità la risoluzione 1.701 con la quale si sancisce il ritiro immediato delle truppe israeliane dal Sud del Libano e il potenziamento del contingente militare di Unifil (gli osservatori dell'Onu già presenti dal 1978 in quella zona) con l'invio di una forza multinazionale di pace composta da 15.000 Caschi blu. Il nostro Paese offre subito un contributo rilevante alla risoluzione del conflitto in Medio Oriente: l'Italia, allo scopo di contribuire all'incremento del pacchetto di forze a disposizione di Unifil, partecipa alla missione internazionale denominata in ambito nazionale " Operazione Leonte " con un contingente militare di circa 2.500 unità. A fine agosto arriva il via libera del governo al decreto che autorizza la missione dei soldati italiani in Libano. Il decreto che autorizza e finanzia la missione verrà approvato a fine settembre, oltre che dai gruppi della maggioranza, anche da Udc, An, Forza Italia; solo i deputati della Lega Nord si dissociano e votano contro il provvedimento. Il 2 settembre i militari italiani sbarcano sulla spiaggia di Tiro, in Libano, schierati sulla fascia blu, la porzione di territorio che corre per 120 km a sud del fiume Litani. L'Italia è dunque in prima linea in Libano, ma il compito dei nostri soldati non è semplice. Da un parte c'è uno Stato, Israele, che rivendica il diritto all'autodifesa; dall'altra un movimento, Hezbollah, che non è disposto a deporre le armi come chiede l'Onu. L'allarme terrorismo è molto forte e le misure di sicurezza vengono innalzate dopo l'assassinio del ministro dell'Industria libanese Pierre Gemayel. La situazione è ogni giorno più difficile e ogni giorno l'Unifil è più necessaria dichiara Romano Prodi. Il presidente del Consiglio festeggia il Natale con i nostri militari in Libano, a Tibnin, quartier generale del contingente italiano dell'Unifil.

Politica e giustizia
Durante i cinque anni di legislatura del governo Berlusconi, e del ministero della Giustizia affidato a Roberto Castelli, i rapporti tra politica e magistratura sono stati sempre assai turbolenti. Quattro in totale gli scioperi delle toghe (mai così tanti nel dopoguerra) e ogni volta una forte contestazione alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario. Dopo le proteste degli anni scorsi i giudici in toga nera, oppure con una grande copia della Costituzione in mano questa volta arriva forse la contestazione più forte: l'assenza e il silenzio. Il 28 gennaio infatti, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario, i magistrati dell'Anm disertano le cerimonie di inaugurazione, a Roma come negli altri 25 distretti di Corte d'Appello, per protestare contro la riforma dell'ordinamento giudiziario che porta la firma di Castelli e, più in generale, contro le leggi approvate dal Parlamento che aggraveranno le difficoltà della giustizia e non risolveranno il problema della durata dei processi. Le parole del primo presidente della Corte di Cassazione Nicola Marvulli all'inaugurazione dell'anno giudiziario dipingono una magistratura che ha perso prestigio: troppo lunghi i processi, troppo mutevoli i programmi di formazioni dei magistrati ma, anche, troppo narcisi alcuni tra loro (una bacchettata ai magistrati affetti da mania di protagonismo). Il tutto in un contesto allarmante che vede un aumento della conflittualità nella società italiana che ha portato a un incremento del contenzioso civile dal 2% per i giudizi di primo grado fino all'8% per quelli d'Appello. Intollerabile e in progressivo degrado viene definito poi lo stato in cui versa l'amministrazione della giustizia dal presidente della Corte d'Appello di Roma, Giovanni Francesco Lo Turco. Commentando la protesta dell'Associazione nazionale magistrati che ha disertato le cerimonie, il ministro Castelli afferma che si tratta del solito atto di cieca contrapposizione al governo.
Fa discutere a gennaio la riforma dell'Appello (la cosiddetta " legge Pecorella "), proposta su iniziativa di Gaetano Pecorella, deputato di Forza Italia e presidente della Commissione giustizia della Camera, oltre che difensore dell'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Quattro mesi dopo il sì della Camera, tra numerose polemiche, il 12 gennaio arriva infatti il via libera del Senato per il provvedimento che modifica il Codice di procedura penale e che prevede l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, per le quali l'accusa può soltanto ricorrere in Cassazione. Il Ddl ottiene il sostegno della sola maggioranza di centrodestra, mentre nettamente contrario è il giudizio dell'opposizione che accusa la legge di incostituzionalità e di essere una nuova legge ad personam, che favorirebbe il premier coinvolto in diversi procedimenti giudiziari. Forti le contestazioni anche da parte dell'Associazione nazionale magistrati. Con la legge Pecorella il Codice viene cambiato in maniera che in caso di assoluzione dell'imputato in primo grado non si possa ricorrere in Appello, ma soltanto rivolgersi alla Cassazione, che non entra nel merito del giudizio ma deve solo verificare la legittimità della procedura con la quale è stato formulato. Le nuove norme sui processi vengono però giudicate incostituzionali dal Quirinale e il 20 gennaio il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con un messaggio alle Camere nega la firma sotto la legge sull'inappellabilità. Il presidente mette in evidenza il carattere disorganico e asistematico e le palesi incostituzionalità, come la trasformazione della Corte di Cassazione da giudice di legittimità a giudice di merito e l'aumentata disparità di trattamento tra accusa e difesa. Tutto questo viene condiviso dal mondo accademico dei magistrati. Dopo un primo no di Pecorella, padre della legge in questione, si raggiunge un accordo nella maggioranza per introdurre solo un paio di ritocchi al testo rinviato da Ciampi, mentre il centrosinistra vorrebbe riesaminarlo tutto. I tempi sono stretti perché si sta avvicinando la chiusura della legislatura, ma la Cdl punta alla riapprovazione. Il 14 febbraio arriva il via libera definitivo del Senato al provvedimento sulla inappellabilità delle sentenze di proscioglimento (con 159 voti a favore, 55 contrari e un astenuto: l'opposizione ha votato contro), che chiude la partita dopo il rinvio della legge da parte del capo dello Stato. Rispetto alla prima versione, la legge viene modificata in alcuni punti per rispondere ai rilievi del Quirinale, introducendo in particolare l'eccezione della prova decisiva, che permette anche al pm di proporre appello.
Continua anche nel 2006 il dibattito sulla clemenza e sul problema del sovraffollamento delle carceri italiane (oltre 15.000 in soprannumero). Con la Rosa nel pugno in prima linea, si rafforza il fronte dei gruppi parlamentari favorevoli a un atto di clemenza, e l'inizio della nuova legislatura appare il momento propizio per cercare un'intesa tra i poli finalizzata a questo. Nonostante alcune resistenze (in particolare di Antonio Di Pietro dell'Italia dei valori, di An e della Lega), all'inizio sono due le ipotesi di clemenza in di-scussione tra le forze politiche: l'amnistia (che cancella il reato) e l'indulto (meno radicale dell'amnistia perché estingue la pena, ma non il reato). Si pensa comunque a un provvedimento che escluda i reati più gravi e di maggiore allarme sociale (terrorismo, mafia, pedofilia, violenza sessuale). Una volta accantonata l'ipotesi amnistia, a luglio il dibattito prosegue sull'indulto. Ma nella maggioranza di centrosinistra si apre un duro scontro tra il leader di Italia dei valori e ministro per le Infrastrutture Di Pietro e il resto della coalizione. L'ex pm di Milano dopo i reati di Tangentopoli e Bancopoli (le scalate ad Antonveneta e alla Bnl) contesta agli alleati di avere incluso nello sconto di pena anche i reati finanziari, societari e contro la pubblica amministrazione (ossia la corruzione, la concussione e i falsi in bilancio). Per il neoministro della Giustizia Clemente Mastella il testo dell'indulto approvato dalla Commissione Giustizia va bene così com'è. Tre anni di abbuono, esclusi solo i reati gravissimi. Lo scontro politico in aula si fa molto duro, con Di Pietro che minaccia di uscire dal governo, lasciare il Ministero e limitarsi al solo appoggio esterno. Il 29 luglio il Senato approva il disegno di legge sull'indulto con 245 sì, 56 no e 6 astenuti. Il provvedimento si applica ai reati commessi fino a tutto il 2 maggio 2006 e prevede uno sconto di tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie. Sono escluse dai benefici dell'indulto le pene accessorie (come l'interdizione dai pubblici uffici) definitive e temporanee. Il provvedimento di clemenza non si applica a chi ha commesso reati di terrorismo, strage, sequestro di persona, associazione a delinquere, associazione a delinquere di stampo mafioso, prostituzione minorile, pedopornografia, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi, violenza sessuale, riciclaggio, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti ed usura. Lo sconto di pena sarà comunque anche condizionato alla buona condotta fuori dalla cella: in caso vengano commessi nuovi reati nei cinque anni successivi alla concessione dell'indulto, il beneficio sarà revocato. Si calcola che tra i beneficiari della clemenza il 40% siano stranieri condannati per spaccio, furto e immigrazione clandestina. Niente carcere anche per molti protagonisti dei più recenti scandali finanziari in Italia. La polemica sull'indulto non si arresta con l'approvazione del provvedimento e a novembre arriva a scalare i vertici dell'esecutivo. A innescare lo scontro è il caotico balletto di cifre sugli scarcerati. Secondo le stime del ministero della Giustizia il provvedimento di clemenza avrebbe dovuto riguardare quasi 13.000 persone, ma il 9 novembre, in una prima comunicazione al Senato, il ministero afferma che i detenuti resi liberi dall'indulto sono quasi 24.000. Il dato viene in seguito rettificato dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) che afferma che l'indulto ha permesso la scarcerazione immediata di 15.750 detenuti, mentre altri 2.000 usciranno nei mesi successivi.
La riforma dell'ordinamento giudiziario, presentata dall'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli e varata dalla Cdl in via definitiva il 20 luglio 2005, è stata la causa prima delle proteste dei giudici e dei pm durante il governo Berlusconi. I contenuti principali della riforma riguardano: la separazione delle funzioni, la selezione e la formazione dei magistrati, le procedure di progressione di carriera, le procedure disciplinari, l'organizzazione delle Procure, il decentramento funzionale. La riforma è una legge delega, e in quanto tale impegna il governo entro limiti temporali indicati ad assumere decreti legislativi atti ad attuare le direttive del testo approvato in Parlamento. Uno dei primi passi del nuovo governo di centrosinistra guidato da Prodi, e fortemente atteso dalle toghe, è quello di intervenire per modificare o sospendere i passaggi più contestati della riforma dell'ordinamento giudiziario. Per fare questo il governo deve procedere il più velocemente possibile perché si avvicinano le date di entrata in vigore dei primi tre decreti attuativi della riforma, che riguardano: il processo disciplinare (che rende obbligatoria l'azione disciplinare contro le toghe, per cui anche per un semplice esposto anonimo un magistrato potrebbe finire sotto inchiesta), la riorganizzazione delle Procure (il procuratore capo diventa titolare esclusivo dell'esercizio dell'azione penale) e la separazione delle funzioni tra giudice e pm. Non potendo optare per un decreto legge, il neoministro della Giustizia Clemente Mastella a inizio giugno presenta al Consiglio dei ministri un disegno di legge che sospende l'entrata in vigore dei tre decreti legislativi della riforma dell'ordinamento giudiziario. La discussione sul Ddl Mastella la riprende in autunno e, nonostante la volontà di mediazione del ministro, le trattative tra governo e opposizione per individuare un percorso condiviso sul tema risultano molto difficili. Tuttavia il 23 ottobre la Camera approva in via definitiva il Ddl che modifica e in parte sospende la riforma dell'ordinamento giudiziario della Cdl. Il testo passa con 263 sì, 134 no e 3 astenuti. Il testo approvato, rispetto a quello originariamente presentato dal guardasigilli, prevede la sospensione fino al 31 luglio 2007 dell'entrata in vigore del decreto che disciplina la carriera dei magistrati e la separazione delle funzioni tra giudici e pm (il governo ha dunque nove mesi per riscrivere le norme in questo campo). Sono state invece direttamente modificate, e non soltanto sospese, le parti relative agli illeciti disciplinari e al riassetto delle Procure. Per quanto riguarda gli aspetti disciplinari, resta ferma l'obbligatorietà dell'azione penale, tuttavia un filtro presso la Procura generale della Cassazione bloccherà le denunce infondate e pretestuose; quanto agli illeciti, al di fuori dell'iscrizione a partiti (che rimane vietata), il magistrato commetterà reato soltanto se parteciperà in modo sistematico e continuativo alla vita politica. Per quanto riguarda l'assetto delle Procure, rimane la titolarità esclusiva dell'azione penale assegnata al procuratore capo, ma il sostituto procuratore, in caso di revoca del procedimento, può formulare osservazioni scritte, e in ultima istanza portare il conflitto davanti al Consiglio superiore della magistratura. L'approvazione del Ddl viene salutata con orgoglio e soddisfazione dal ministro della Giustizia Mastella.
Le principali riforme
Vanno in porto, in finale di legislatura, le nuove norme sull'autodifesa, fortemente volute dalla Lega e sostenute da tutta la Cdl. Il 24 gennaio infatti la Camera approva in via definitiva (244 voti favorevoli, 175 contrari) la legge sulla legittima difesa, con il voto contrario dell'Ulivo. Il testo era stato approvato al Senato il 6 luglio 2005, ma da tre anni giaceva in Parlamento. La riforma autorizza l'uso di armi per difendere la vita e i beni. In dettaglio, la nuova normativa (12 righe che completano l'art. 52 del Codice penale) prevede che ogni reazione di chi si sente minacciato in casa propria sia considerata proporzionata. Chi cioè, trovandosi in casa propria o sul luogo di lavoro, si sente aggredito o minacciato, o crede minacciati e aggrediti i beni che gli appartengono, può reagire con le armi legittimamente detenute, anche uccidendo. Secondo la nuova legge non esiste più l'eccesso di difesa per il quale fino ad ora si poteva venire condannati. Le nuove norme sulla legittima difesa valgono non solo all'interno delle abitazioni private, ma anche nei negozi e in ogni luogo dove sia svolta attività commerciale e imprenditoriale. Casini difende la nuova legge dicendo che cerca di evitare di mettere sullo stesso piano vittima e aggressore e assicurando che non condurrà al Far West.
Dopo quasi quattro mesi di agonia, e dopo una dura polemica con i parlamentari del suo partito Forza Italia, l'8 febbraio il Senato approva il Ddl del ministro delle Pari opportunità Stefania Prestigiacomo sulle cosiddette quote rosa, ossia sulla rappresentanza femminile nelle cariche elettive, grazie anche al soccorso dell'Unione. Un sì fuori tempo massimo, visto che la Camera non potrà esaminare entro la fine della legislatura il provvedimento che, pertanto, non diventerà legge. Il progetto messo a punto dal ministro Prestigiacomo prevedeva che nelle liste elettorali almeno il 25% dei candidati fossero di sesso diverso rispetto al restante 75%.
Il 7 febbraio, con 271 sì e 190 no viene approvata dalla Camera la nuova legge sulla droga, voluta dall'allora vicepremier Gianfranco Fini. Esulta il Polo, con An in prima linea. Le nuove norme di contrasto alla tossicodipendenza cancellano la differenza tra droghe leggere, quali la cannabis, e pesanti, quali eroina e cocaina. Il testo prevede pene più severe per gli spacciatori, da applicare cioè a chi spaccia, produce, commercia o trasporta droghe oltre i limiti ristretti della cosiddetta dose soglia. Si parte dai 6 anni, si arriva ai 20 nei casi in cui l'imputato abbia pesanti precedenti e multe dai 26.000 ai 260.000 euro. Con una tabella redatta da una commissione ministeriale si stabilisce la quantità che segna il confine tra consumo e spaccio. Le sanzioni amministrative riguardano invece i consumatori sorpresi con una quantità di droga inferiore alla dose soglia, cioè la quantità per uso personale. Scompare quindi la cosiddetta modica quantità. Fini, padre della legge, spiega che non si tratta di un provvedimento repressivo se non per quello che riguarda lo spaccio. Per l'Unione si tratta invece di una legge ingiusta e autoritaria. Le intenzioni del centrosinistra infatti, una volta al governo, sono quelle di modificare radicalmente la normativa in tema di droghe. In novembre il neoministro della Salute Livia Turco emana un decreto con il quale viene innalzato da 500 a 1.000 mg il quantitativo massimo di cannabis, espresso in principio attivo, detenibile a uso esclusivamente personale. Il nuovo valore-soglia di 1.000 mg deriva dalla moltiplicazione per 40, anziché per 20 come previsto dalla vecchia tabella varata dal precedente governo, della dose media singola pari a 25 milligrammi. Contro il provvedimento si schiera la Casa delle libertà insieme a molte comunità di recupero, tra cui Exodus, di don Antonio Mazzi.
A fine gennaio le Commissioni Infanzia e Giustizia del Senato approvano definitivamente, in sede legislativa, la legge sull'affido condiviso. Il provvedimento modifica l'art. 155 del Codice civile e prevede che in caso di divorzio il giudice valuti in via prioritaria l'affidamento dei figli ad entrambi i coniugi. Secondo il Ddl, il giudice può comunque di-sporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore e ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo. Entrambi i genitori devono provvedere al mantenimento dei figli e per quanto riguarda la casa familiare, il genitore a cui è assegnata perde il diritto ad abitarvi se si risposa o convive.
A pochi giorni dall'insediamento del nuovo governo, il neoministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni inizia a lavorare per evitare l'entrata in vigore della legge Moratti sulla riforma della scuola prevista a settembre. Il primo passo verso lo smantellamento della contestatissima riforma riguarda il blocco della sperimentazione dei nuovi licei, stabilita dal decreto del 31 gennaio. La riforma voluta dal ministro uscente Letizia Moratti prevedeva infatti un percorso liceale suddiviso in 21 indirizzi. A settembre Fioroni dà l'ennesima spallata al programma della Moratti intervenendo su molti punti salienti varati dal precedente governo. In pratica, non ci sarà nessun tutor, non si dovrà procedere alla compilazione del portfolio e non ci sarà nessuna applicazione generalizzata degli anticipi. A dicembre la Camera approva con 275 voti favorevoli e 220 contrari il disegno di legge che modifica gli esami di Stato. Tra le novità previste dal provvedimento, c'è il ritorno della Commissione mista d'esame, composta per metà da professori interni e per metà esterni. I docenti esterni non potranno appartenere allo stesso distretto scolastico dell'istituto, per garantire un esame più rigoroso. A guidare gli esami sarà un presidente, anch'egli esterno, che dovrà seguire i lavori di due classi o al massimo 70 alunni. L'accesso agli esami di maturità, inoltre, non sarà più scontato. L'ammissione, di fatto abolita dalla riforma Berlinguer del 1999, tornerà a rappresentare il primo scoglio da superare: soltanto coloro che mostreranno di possedere la preparazione adeguata potranno accedere agli esami. Le prime modifiche dell'esame entreranno in vigore già a fine anno. Per il ministro dell'Istruzione con l'approvazione di questo provvedimento vengono garantiti ai nostri ragazzi esami più seri e più certi, in grado di consentire alle università di valutare con piena cognizione i loro iscritti.
In seguito alle indagini su numerosi casi di intercettazioni condotte illegalmente, in quanto non autorizzate dall'autorità giudiziaria, nasce dal governo la proposta di una normativa più severa in merito. Il 19 novembre arriva il sì definitivo dell'aula della Camera alla conversione del decreto legge sulle intercettazioni messo a punto dal ministro della Giustizia Clemente Mastella con 413 sì, 1 no e 142 astenuti (l'intero gruppo di Forza Italia). Il provvedimento stabilisce che sarà il giudice per le indagini preliminari a disporre in tempi rapidi la distruzione delle intercettazioni illegalmente raccolte, mentre toccherà al pubblico ministero chiedere secretazione e custodia degli atti. Sono previste sanzioni penali per chi detiene consapevolmente le intercettazioni raccolte illecitamente (la reclusione da sei mesi a quattro anni, ma da uno a cinque anni per i pubblici ufficiali), e pecuniarie per chi le pubblica. Sono queste le principali novità introdotte dal decreto messo a punto dal governo dopo lo scandalo degli spioni Telecom. Soddisfatto il guardasigilli Mastella che afferma: oggi i cittadini possono essere più sereni.
Il Consiglio dei ministri del 12 ottobre presenta un progetto di modifica della legge Gasparri del maggio 2004 (dal suo promulgatore Maurizio Gasparri), o legge di riforma generale del sistema radiotelevisivo. Si tratta di una delle leggi più discusse del governo Berlusconi, tanto è vero che il nuovo ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni presenta un disegno di legge volto a disciplinare il settore e a modificare ampie porzioni della legge Gasparri nella fase di transizione al digitale terrestre. Con la nuova normativa si stabilisce la posizione dominante per i soggetti che superano il tetto massimo del 45% della raccolta pubblicitaria; scompare una delle novità più contestate della Gasparri, ovvero l'istituzione del Sic, il Sistema di comunicazione integrato; si prevede il trasferimento di una rete analogica sul digitale entro il 2009 per Rai e Mediaset (rispettivamente RaiTre e Rete4), prima del trasferimento totale di tutte le reti sul digitale entro il 2012. Inevitabili le ripercussioni politiche: per il leader della Cdl Silvio Berlusconi se Mediaset dovesse essere obbligata a cedere una rete sarebbe un atto di banditismo e non sarebbe più una democrazia. Berlusconi a volte non si ricorda se è un leader politico o un proprietario di tv, è la replica, secca, del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti. Il cammino della legge sarà, probabilmente, molto lungo e tormentato.
In tema di immigrazione, a fine luglio il Consiglio dei ministri autorizza la riapertura delle quote di flussi di ingresso per lavoratori extracomunitari per l'anno 2006, allo scopo di soddisfare le domande presentate dai datori di lavoro per l'impiego di cittadini extracomunitari. Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale, spiega che si sana così la differenza tra le 520.000 domande presentate dai datori di lavoro e i 170.000 permessi concessi dal governo precedente. Il nuovo ministro dell'Interno Giuliano Amato delinea inoltre le modifiche alla legge Bossi-Fini, varata dal precedente governo di centrodestra nel 2002, che attualmente regola la presenza degli extracomunitari in Italia. Il disegno di legge, presentato da Amato e approvato il 4 agosto dal Consiglio dei ministri, è destinato a far discutere e in Parlamento la battaglia si prevede dura perché, almeno nei commenti dei rappresenanti del centrosinistra, la proposta è il primo passo verso la cancellazione della legge Bossi-Fini. Attualmente, lo straniero che vuole diventare italiano deve essere residente legalmente in Italia da dieci anni, deve possedere un reddito sufficiente; non deve avere precedenti penali e deve rinunciare alla cittadinanza d'origine. Con la nuova proposta, anche per gli extracomunitari sarà più semplice ottenere la cittadinanza italiana e godere di tutti i diritti concessi a chi vive nel nostro Paese, primo fra tutti, quello di voto. Il Ddl presentato dal ministro Amato porta da dieci a cinque anni (di residenza regolare e ininterrotta) i tempi per poter presentare la richiesta di diventare italiani. La concessione della cittadinanza viene subordinata alla verifica della conoscenza della lingua italiana e avverrà con una cerimonia di giuramento. Inoltre, se verrà approvata dal Parlamento, la nuova proposta prevede che diventeranno automaticamente cittadini italiani i bambini nati da genitori stranieri, di cui uno almeno residente in Italia da cinque anni. Il Viminale annuncia poi decreti flussi triennali e il ritorno dello sponsor. Con la legge Bossi-Fini per entrare regolarmente in Italia bisogna avere già un contratto di lavoro; secondo la proposta di Amato invece, l'immigrato viene chiamato dallo sponsor, ossia un sindacato o un'associazione imprenditoriale o territoriale, che garantisce economicamente per lui finché non trova un contratto di lavoro. Per modificare la legge Bossi-Fini il ministro dell'Interno ipotizza anche un sistema di liste di lavoratori immigrati nei consolati dei Paesi con l'introduzione di liste di collocamento informatizzate. I Cpt (Centri di permanenza temporanea) nella riforma Amato restano essenziali, ma sdoppiati: centri semidetentivi per chi ha commesso reati e strutture di accoglienza vera e propria per tutti gli altri. Infine, si allunga la durata dei permessi di soggiorno: uno o due anni per lavoro a tempo determinato; tre anni per contratti di lavoro a tempo indeterminato. La polemica politica naturalmente si infiamma e il centrodestra si spacca: mentre l'Udc apre al confronto in Parlamento e An è a sua volta divisa tra falchi e colombe (con Fini possibilista), Forza Italia e soprattutto la Lega lanciano l'offensiva. In ottobre il Consiglio dei ministri approva un altro disegno di legge in materia di immigrazione. Il Ddl, presentato dal ministro della Giustizia Mastella, introduce il reato di trasporto di clandestini extracomunitari, con norme più severe per gli scafisti.
La polemica politica sui diritti delle coppie di fatto (omo - ed eterosessuali) è politicamente trasversale e il tema è davvero spinoso, in quanto riguarda alcuni valori cardine della nostra società. Il programma dell'Unione prevede il riconoscimento giuridico dei diritti, ma è indubbio che il tema dei Pacs o Patti civili di solidarietà sarà un nodo difficile da superare per l'esecutivo di Prodi. A dicembre il governo e i capigruppo della maggioranza al Senato raggiungono un accordo in base al quale entro il 31 gennaio 2007 il governo si impegna a predisporre un disegno di legge sulle coppie di fatto. Nella bozza di governo non ci sono distinzioni tra le unioni civili formate da eterosessuali e quelle formate da omosessuali: diritti e doveri sono uguali in entrambi i casi. Voci contrarie al Ddl si levano dall'opposizione, ma anche da alcuni esponenti cattolici della Margherita e dell'Udeur (i cosiddetti teodem). Tuttavia, anche se nella maggioranza c'è il freno di Margherita e Udeur, alcuni settori laici del centrodestra aprono alle libertà civili. Forti le critiche dal Vaticano: l'Osservatore Romano contesta al governo di voler sradicare la famiglia.
A fine ottobre viene raggiunta la difficile intesa tra governo, Confindustria e sindacati circa il decollo della previdenza integrativa. Dal primo gennaio 2007 scatteranno i sei mesi durante i quali tutti i lavoratori (esclusi quelli pubblici) dovranno scegliere se mantenere il Tfr (Trattamento di fine rapporto) nella sua forma attuale, quella comunemente detta liquidazione, oppure destinarlo alla costruzione di una pensione integrativa, versandolo ai fondi pensione. Se non prenderanno alcuna decisione il Tfr andrà lo stesso a un fondo previdenziale, secondo il sistema del silenzio-assenso. Queste regole, già contenute nella riforma Maroni del 2005, scatteranno non più nel 2008 ma appunto dal primo gennaio 2007. La norma differenzia le aziende con meno o più di 50 dipendenti. Per le prime, se il lavoratore sceglie di mantenere il Tfr nella sua forma originaria, nulla cambia. Per le aziende che hanno più di 50 dipendenti, invece, andrà al fondo Inps, per conto dello Stato, il 100% del Tfr maturando del lavoratore che deciderà di non aderire ad alcun fondo pensione. L'Inps si occuperà di rivalutarlo e di renderlo disponibile al lavoratore al momento del suo allontanamento dall'azienda. Confindustria avrebbe preferito che il fondo Inps fosse abolito, ma accetta il compromesso perché la maggioranza delle imprese italiane, avendo meno di 50 dipendenti, potrà continuare a trattenere in azienda il Tfr dei lavoratori che sceglieranno di tenersi la liquidazione. Decisivo per il sì di Confindustria è l'anticipo al 2007 delle compensazioni previste dalla riforma Maroni per le aziende che dovranno rinunciare al Tfr.

Immigrazione e rapporti con l'Islam
L'anno inizia con la forte e crescente protesta dei Paese arabi per la pubblicazione, avvenuta qualche mese prima, di alcune caricature di Maometto su un giornale danese. Le dodici vignette satiriche scatenano una vera e propria sollevazione popolare e politica e sconvolgono il mondo islamico, creando uno scontro politico-culturale a tutto campo nei confronti di vari altri Paesi europei, oltre alla Danimarca. Cresce il numero dei giornali che ristampano le vignette in nome della libertà di espressione e ogni pubblicazione suscita reazioni indignate nel mondo musulmano. Molte proteste, alimentate dagli integralisti islamici, sfociano nel sangue. La reazione violenta alle vignette si allarga fino a scatenarsi contro i cristiani e la Chiesa. Il 5 febbraio viene ucciso a colpi di pistola a Trebisonda, in Turchia, un sacerdote italiano, Andrea Santoro, 61 anni, impegnato a promuovere il dialogo fra Cristianesimo e Islam. Si scoprirà che l'assassino è un fanatico religioso di soli 16 anni che ha sparato invocando Allah. In Italia la vicenda crea una nuova polemica politica in seguito all'iniziativa del ministro leghista per le Riforme, Roberto Calderoli, che in quei giorni indossa e mostra in tv una maglietta sulla quale sono riprodotte le vignette incriminate. L'iniziativa del ministro (che si dimetterà) ha un'ampia eco nel mondo arabo. Il primo assalto contro l'Italia parte dalla Libia. Il 17 febbraio esplode la contestazione, e centinaia di manifestanti protestano davanti alla sede del consolato italiano di Bengasi, da qualche tempo capitale del fondamentalismo islamico locale. Le forze di sicurezza reagiscono sparando e lasciano sul terreno undici morti e diversi feriti tra i dimostranti. L'ondata di violenze non si placa, e dal Pakistan alla Nigeria provoca morti tra i cristiani e molte chiese incendiate. Il Vaticano prende posizione e condanna fermamente i fanatici che fomentano le violenze ed esige reciprocità nel rispetto della libertà religiosa.
In autunno proprio il Vaticano viene coinvolto in una delle più travolgenti tempeste mediatiche, diplomatiche e di piazza della sua storia recente. Il 12 settembre papa Benedetto XVI tiene un discorso all'Università di Ratisbona, in Germania, che fa infuriare i musulmani. Nel suo discorso accademico il papa teologo parla di fede religiosa e cita, per commentarle, le parole dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo che, in un dialogo risalente al 1391 con un colto persiano, a un certo punto chiede al suo interlocutore: Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai solo cose cattive e disumane. Dopo l'intervento in Germania del pontefice insorgono gli islamici di tutto il mondo, con proteste di piazza e richieste di ritrattazioni. In Vaticano c'è smarrimento di fronte all'accusa, a causa di distorsioni di fronte a una lezione dotta, di avere offeso il profeta Maometto, con il rischio di causare forti danni ai rapporti di dialogo più che decennali. Nonostante il segretario di Stato Tarcisio Bertone esprima rammarico per il fraintendimento delle parole di papa Ratzinger, i leader di molti Paesi musulmani chiedono scuse formali da parte del pontefice in persona. Il 17 settembre, parlando all'Angelus, il papa interviene in prima persona per dirsi vivamente rammaricato per le reazioni al breve passo del discorso che era una citazione di un testo medievale che non esprime in nessun modo il mio pensiero. La rettifica pubblica del pontefice porta a segnali di distensione nel mondo islamico, ma persistono atteggiamenti aggressivi di frange fanatiche, estremiste o terroriste. Il 18 settembre due killer, forse appartenenti a un gruppo filotalebano, uccidono una suora italiana, suor Leonella Sgorbati, 66 anni, a Mogadiscio. La religiosa cade davanti all'ospedale pediatrico in cui prestava servizio. L'uccisione della suora, piacentina di origine, secondo un esponente delle Corti islamiche, sarebbe da collegare alla tensione anticristiana montata anche in Somalia dopo il discorso del papa a Ratisbona, anche se si inquadra nel clima violento e di guerra civile del Paese africano.
L'improvvisa crisi nei rapporti con il mondo islamico cade proprio in prossimità della visita, prevista in novembre, di papa Benedetto XVI in Turchia. Il viaggio si annuncia difficile e le dimostrazioni contro il pontefice iniziano ancora prima del suo arrivo: tra queste, il gesto dimostrativo, ma non meno inquietante, di un giovane che spara in aria davanti al consolato italiano a Istanbul per protestare contro la visita del papa, dichiarando di volerlo uccidere con le proprie mani. Poi, il dissenso espresso dagli ultranazionalisti che a Istanbul occupano Santa Sofia, edificio di culto un tempo cristiano, al grido di no alla visita del papa. Allah è grande. Grazie al lavoro delle due diplomazie, la visita del pontefice si svolge in un clima meno teso del previsto e il gelo tra Benedetto XVI e la Turchia sembra superato. Per il papa il viaggio è pastorale e ha come sua determinazione il dialogo e l'impegno comune per la pace.
All'inizio di agosto, l'amministrazione comunale di Padova decide di costruire un muro antispaccio che separa i palazzi del complesso Serenissima, cuore del ghetto di via Anelli, dalla vicina via De Besi. Si tratta in realtà di una parete metallica lunga 84 m e alta 3. Nel ghetto di via Anelli vivono circa 1.500 immigrati di varie etnie. Dopo la costruzione della recinzione si verificano scontri tra diversi gruppi di immigrati che vivono nella zona e forze di polizia controllano gli ingressi nella via per combattere lo spaccio di droga. Le polemiche per questa iniziativa sono numerose e il sindaco diessino della città, Flavio Zanonato, viene accusato di avere creato un muro di Berlino. L'innalzamento della recinzione assume importanza nazionale attraverso i media, come esempio della difficoltà delle istituzioni di risolvere il problema della riqualificazione dei ghetti urbani. Il provvedimento scatena le polemiche tra i diversi esponenti politici. Nonostante l'annuncio del sindaco di voler abbattere presto il muro della discordia, a fine settembre viene organizzato dai centri sociali del Nord-Est un corteo di protesta. Il muro di via Anelli, secondo l'amministrazione comunale, è l'unica soluzione possibile in una situazione di emergenza ma, si precisa, sarà una misura temporanea.
All'inizio di ottobre a Milano, dopo poco più di un anno dalla chiusura del centro islamico di via Quaranta dove studiavano clandestinamente cinquecento alunni, si apre un nuovo caso. Il 9 ottobre apre le porte, senza il via libera della Direzione scolastica provinciale, una scuola bilingue italo-araba in via Ventura, patrocinata dal consolato del Cairo, dove un'ottantina di bambini egiziani di elementari e medie dovrebbero studiare. L'associazione Insieme dei genitori egiziani, dopo la chiusura della scuola islamica abusiva di via Quaranta, aveva chiesto da tempo l'autorizzazione per la scuola straniera di via Ventura, ma in giugno il provveditorato aveva dato risposta negativa. Il neosindaco di Milano, Letizia Moratti, afferma che aprire una scuola senza le necessarie autorizzazioni è indice di mancanza di rispetto nei confronti delle autorità preposte. Dello stesso parere anche il vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini che afferma: è esattamente il contrario di ciò che intendiamo per politiche di integrazione. Il 12 ottobre le lezioni vengono sospese con un'ordinanza del prefetto. Si scatena il dibattito politico. Il 17 ottobre il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni dà il via libera alla scuola araba purché ci sia il nulla osta del Comune sull'agibilità dell'edificio. All'inizio di novembre riprendono le lezioni all'istituto privato italo-egiziano di via Ventura ma le polemiche, soprattutto nel centrodestra, non accennano a placarsi. No-nostante il via libera della Direzione scolastica regionale della Lombardia e quello del prefetto, manca ancora il nulla osta di competenza del Comune di Milano relativo all'agibilità.
Anche quest'anno il Rapporto sull'immigrazione Caritas-Migrantes, presentato a Roma alla fine di ottobre, ci offre una serie di dati importanti sulla situazione dell'immigrazione in Italia. Secondo lo studio dell'associazione, nel nostro Paese vivono oggi 3.035.000 stranieri regolari, e ogni anno ci sono 300.000 nuovi arrivi. L'incidenza sulla popolazione italiana è del 5,2%. Gli immigrati, evidenzia il rapporto, diventeranno sempre più l'unico fattore di crescita demografica in grado di rimediare alla prevalenza dei decessi sulle nascite. Roma e Milano detengono rispettivamente l'11,4% e il 10,9% della popolazione straniera. La Lombardia è la prima regione perché accoglie da sola quasi un quarto del numero complessivo. Dal Rapporto emerge come in Italia sia rilevante anche la diversificazione delle provenienze, che includono tutti i Paesi del mondo, seppure in misura differenziata. Ogni dieci presenze straniere, cinque sono europee, due africane, due asiatiche e una americana. Questo naturalmente determina la co-presenza di molte fedi: cristiani (49,1%), musulmani (33,2%), religioni orientali (4,4%). Il Rapporto evidenzia che l'immigrato è una componente dinamica del mercato del consumo: il 91% ha il cellulare, l'80% possiede il televisore, il 75% invia rimesse in patria, il 60% possiede un conto in banca, il 55% ha un'auto, il 22% un pc. Inoltre gli immigrati regolari nel nostro Paese hanno un livello di istruzione comparativamente più alto rispetto agli italiani, ma guadagnano molto meno di loro: in media la metà, anche a causa dell'impiego discontinuo. Uno studio del professor Marzio Barbagli del dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università di Bologna, fatto in base ai dati sui reati denunciati dal 1988 al 2006, evidenzia come le periferie del Nord Italia siano attanagliate da una emergenza: i cosiddetti " clandestini indesiderati ", quelli cioè che presidiano piazze e marciapiedi per spacciare ogni tipo di droga. In questo senso il ricco Veneto ha il primato (Padova è la città del muro antispaccio). I numeri sui reati commessi dagli stranieri dimostrano quanto siano numerosi gli indesiderati. C'è poi lo sfruttamento della prostituzione che ha determinato un forte aumento delle donne straniere vittime di omicidio. Nel rapporto si evidenzia la necessità di intervenire sul sistema dei Centri di permanenza temporanea (Cpt) e su quello delle espulsioni. I flussi principali di immigrazione illegale verso l'Italia provengono principalmente da Balcani ed Europa orientale. Ma anche nel 2006 sono frequenti le notizie di sbarchi sulle coste nazionali di immigrati clandestini. Le rotte via mare riguardano soprattutto le coste sud-occidentali della Sicilia e le isole di Lampedusa e Pantelleria approdo naturale per stranieri nordafricani e dell'Africa occidentale. Secondo i dati del ministero dell'Interno tuttavia, rispetto al 2005 gli sbarchi di immigrati sulle coste italiane sono diminuiti complessivamente del 4,5%. Nel 2006 infatti sono approdati 22.016 immigrati clandestini, mentre l'anno prima gli arrivi erano stati 22.939. La maggior parte degli sbarchi è avvenuta sulle coste siciliane, dove nel 2006 sono arrivati 21.400 extracomunitari. Si tratta di una diminuzione lieve ma che segna un'importante inversione di tendenza rispetto al passato, se si considera che nel 2005 gli sbarchi erano quasi raddoppiati rispetto al 2004. Un miglioramento è attribuito dal Viminale alla proficua attività di cooperazione con i maggiori Paesi del Nord Africa e, in particolare, ai passi avanti fatti nel dialogo con la Libia. Rimangono purtroppo i casi di stragi di clandestini (spesso bambini e donne) dispersi in mare o che, morti di stenti, vengono gettati in acqua dai loro compagni di sventura sopravvissuti. Le sciagure del mare non fermano le flotte di disperati nel tentativo di arrivare sulle coste siciliane. A Lampedusa in particolare, le strutture di accoglienza spesso superano le capacità ricettive. In giugno, tra Malta e le coste siciliane, una piccola barca si rovescia, forse per il carico eccessivo, provocando 11 morti. A fine luglio riescono a sbarcare 13 superstiti, ma sono almeno 17 i dispersi in mare. Ad agosto, a poche miglia dalle coste dell'isola di Lampedusa, affonda un gommone con a bordo una quarantina di extracomunitari, dei quali solo 10 si salvano. Sempre in agosto, ennesima strage di clandestini sulle coste meridionali dell'Italia dove un peschereccio riesce a salvare la vita a 40 persone che tentavano il viaggio della speranza verso il territorio italiano, ma 10 corpi vengono rinvenuti in mare, mentre 40 persone mancano all'appello; alcuni superstiti affermano che in quel barcone ci fossero 120 immigrati. In settembre ancora una nuova strage nel canale di Sicilia: una carretta del mare con 27 clandestini a bordo rimane per giorni in balia delle onde e 8 persone muoiono di stenti.

La cronaca
Sul fronte del terrorismo internazionale resta incombente in Italia la minaccia del terrorismo islamico. L'allarme attentati scatta in particolare a ridosso delle elezioni politiche di primavera. Uno di questi si fonda su informazioni che il ministero dell'Interno e il Comitato di analisi strategica antiterrorismo valutano con attenzione. All'origine dell'informazione, che trova conferma in alcune intercettazioni, c'è un cittadino mediorientale che collabora con l'intelligence. Le informative raccolte dagli investigatori confermano il pericolo e gli obiettivi: il progetto dei terroristi (coinvolti tre siriani) era di colpire la stazione ferroviaria di Milano entro la metà del mese di marzo, ma anche compiere non meglio specificate azioni in concomitanza con i giochi olimpici a Torino. Tra gli obiettivi di un altro attacco terroristico legato ad Al Qaeda, sventato all'inizio di aprile grazie a una complessa operazione antiterrorismo che ha coinvolto Francia, Marocco e Algeria, c'erano anche la Basilica di San Petronio a Bologna e una stazione della metropolitana di Milano. A luglio viene sgominata un'altra cellula eversiva, composta da un gruppo di cinque algerini, che secondo gli inquirenti si stavano dedicando alla preparazione di azioni terroristiche. Ad agosto con una maxioperazione di prevenzione antiterrorismo vengono portati in carcere quaranta islamici, con 111 denunce e 114 procedure di espulsione avviate nei confronti di musulmani senza permesso di soggiorno. L'operazione, pianificata dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione, scatta in quattordici province e riguarda soprattutto call center, Internet point e money transfert, spesso centri di aggregazione per gli islamici. A settembre, una relazione del Cesis, l'organo che coordina l'intelligence (Sismi e Sisde), presentata al Parlamento, lancia un nuovo allarme terrorismo. Secondo i servizi segreti, in Italia e in Europa sono attive cellule islamiche di matrice terrorista, che si muovono senza una direzione strategica unitaria, anche se hanno una grande capacità di autofinanziamento. La guerra in Iraq ha favorito la nascita di gruppi combattenti, e molti guerriglieri di quel Paese affluiscono in Occidente per alimentare la rete del terrore.
Sul fronte interno il Cesis segnala la presenza di formazioni dell'estremismo marxista ed anarco-insurrezionalista, inserite in mobilitazioni di carattere locale come quella contro la Tav in Val di Susa. I servizi poi mettono in guardia dalla ripresa della propaganda brigatista in Toscana, e a Napoli da nuove faide tra gruppi camorristi. Proprio per Napoli, allo scopo di garantire la sicurezza dei cittadini, assicurando un controllo capillare del territorio per contrastare la criminalità organizzata e sviluppare la cultura della legalità, il ministero dell'Interno vara il Patto per la sicurezza di Napoli e Provincia, presentato ufficialmente il 9 novembre alla presenza del ministro Giuliano Amato. Si tratta di una serie di provvedimenti che evidenziano il grave clima sociale, economico e politico nel quale versa la città (solo nel 2006, tra Napoli e provincia, sono stati registrati 97 omicidi dei quali 62 riconducibili alla camorra). Il piano per Napoli elaborato dal Viminale prevede una serie di interventi strutturali come sottolinea il ministro Amato le cui linee guida sono rappresentate dal rafforzamento dell'azione di controllo del territorio e dell'attività di intelligence. Obiettivi che saranno raggiunti attraverso la partecipazione e il finanziamento sia del governo centrale che degli enti locali. In termini di operatività, il Patto prevede: 1.000 uomini in più per il controllo del territorio e l'attività investigativa; una forza di intervento rapida di 400 uomini istituita per operazioni straordinarie e mirate; più pattuglie; presidi sul territorio; alta sorveglianza su tangenziali e autostrade; nucleo di controllo degli itinerari turistici; videosorveglianza; task force contro la contraffazione e, infine, coordinamento e verifica del Patto. Dopo 43 anni di latitanza, l'11 aprile viene arrestato il boss mafioso Bernardo Provenzano, in un casolare a soli 2 km da Corleone, in provincia di Palermo. Alla cattura si arriva dopo una telefonata intercettata tre settimane prima da una persona che prendeva accordi per recapitare la biancheria e dopo i controlli attorno all'appartamento dove viveva la fedelissima moglie del capo di Cosa Nostra. Provenzano passava le giornate nascosto nel casolare, principalmente a leggere e scrivere, e continuava a comandare le cosche. Dava istruzioni con parole cifrate (i cosiddetti pizzini), ma ben comprensibili agli uomini di Cosa Nostra, utilizzando una vecchia macchina per scrivere elettrica. In questa maniera partivano gli ordini del padrino, che aveva sostituito Totò Riina alla guida della mafia.
Nel 2006 due filoni d'inchiesta investono il Sismi (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, in sostanza il servizio segreto militare italiano). Il primo riguarda la vicenda delle intercettazioni telefoniche illegali esercitate con la collaborazione di uomini della struttura di Telecom Italia (scandalo Telecom-Sismi); il secondo il sequestro dell'imam Abu Omar compiuto a Milano nel 2003 da parte di uomini della Cia (tuttora latitanti). Lo scandalo Telecom-Sismi delle intercettazioni illegali vede indagati numerosi esponenti di alto livello dell'azienda e delle forze dell'ordine. Le Procure di Milano, Roma, Napoli e Torino, già nel settembre 2005, avevano aperto indagini su presunte intercettazioni telefoniche illegali e sull'uso abusivo di dati relativi al traffico telefonico. Il 20 settembre 2006 l'inchiesta porta a 21 arresti fra poliziotti e finanzieri. Tra loro anche l'ex capo della Sicurezza di Pirelli e Telecom e braccio destro di Marco Tronchetti Provera, Giuliano Tavaroli, e l'investigatore privato Emanuele Cipriani. Gli arrestati sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla violazione del segreto investigativo. Gli spiati erano politici, imprenditori, finanzieri, gente dello spettacolo e dello sport. Il legame con il Sismi risulta diretto non soltanto sul terreno operativo, ma anche nel vertice, visto che l'ordinanza del Gip parla di rapporti pericolosi con i servizi segreti e in particolare con l'ex numero due del Sismi Marco Mancini, fino all'istituzione di un canale segretissimo per le informazioni più delicate e riservate, sul quale operava proprio Mancini, in connessione con Tavaroli e Cipriani. Un primo squarcio su questo gigantesco archivio di informazioni riservate lo aveva aperto, a marzo, il Laziogate, con lo spionaggio politico ai danni di Alessandra Mussolini e di Piero Marrazzo e che vede indagato l'ex presidente della Regione Lazio ed ex ministro della Sanità Francesco Storace. Sempre collegata alle intercettazioni illegali è anche l'inchiesta Calciopoli, lo scandalo che ha coinvolto il mondo del calcio italiano. Gli interrogatori dei pm milanesi nell'ambito della vicenda Telecom-Sismi che si svolgono dopo gli arresti di Tavaroli e Cipriani mirano a chiarire l'esistenza o meno di un eventuale livello superiore che commissiona i dossier illegali e a quale scopo. Gli interrogatori sono finalizzati anche a chiarire se le strutture Telecom sono complici o, come dichiara l'ex presidente Marco Tronchetti Provera, vittime di questa ingarbugliata spy story. A dicembre l'ex numero due del servizio segreto militare Marco Mancini viene arrestato nell'ambito dell'inchiesta sulle intercettazioni illegali Telecom con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione del segreto d'ufficio. Sono oltre trenta i dossier e le pratiche illegali costruiti da Cipriani con il contributo di dati segreti procacciati illecitamente da Mancini. Mancini era già finito in manette durante l'estate con l'accusa di concorso in sequestro di persona nell'indagine sul rapimento di Abu Omar.
Il sequestro di Abu Omar è quindi legato, insieme ad altre vicende, allo scandalo Telecom-Sismi delle intercettazioni illegali. Abu Omar era stato arrestato nel 1993 per motivi politici in Egitto e aveva ottenuto asilo politico in Italia nel 2001, dove era diventato imam della moschea di Milano di via Quaranta. Nel febbraio 2003 Abu Omar viene rapito nell'ambito di una operazione condotta illegalmente dalla Cia con il supporto del Sismi. La Procura del capoluogo lombardo apre un indagine per sequestro di persona. La svolta arriva con la confessione del maresciallo dei Ros Luciano Pironi, uno degli uomini che presero parte all'operazione congiunta tra Cia e Sismi. È lui a dare il via all'inchiesta, volta a capire il ruolo degli 007 italiani e l'ipotesi di un coinvolgimento politico. Il 5 luglio viene arrestato il generale Gustavo Pignero (poi morto dopo qualche mese e all'epoca direttore del Sismi per il Nord Italia) e il suo sottoposto Marco Mancini. Per i 26 agenti della Cia indagati viene chiesta l'estradizione. Negli interrogatori Pignero e Mancini ammettono che Nicolò Pollari, capo del Sismi, sapeva del sequestro. L'indagine sul rapimento dell'imam con le operazioni non ortodosse dell'intelligence italiana comincia a saldarsi con le inchieste su Telecom e le intercettazioni illegali. All'inizio di dicembre la Procura di Milano chiede il rinvio a giudizio di 35 persone per la vicenda del sequestro dell'ex imam. Di queste, 32 sono accusate di concorso nel sequestro, mentre tre, il giornalista Renato Farina e i funzionari del Sismi Pio Pompa e Luciano Seno, devono rispondere di favoreggiamento. Sono 26 gli agenti della Cia coinvolti nel rapimento (spicca il nome di Jeffrey Castelli, all'epoca capo della Cia in Italia), mentre tra gli agenti e i funzionari del Sismi ci sono appunto l'ex direttore della prima divisione del controspionaggio Nicolò Pollari, il numero due di Pollari, Marco Mancini, e i capicentro Raffaele Ditroia, Luciano Di Gregori, Giuseppe Ciorratra. La vicenda dell'ex imam radicale Abu Omar scuote il mondo politico e provoca un terremoto all'interno degli apparati dell'intelligence. A metà dicembre viene approvata all'unanimità dai componenti del Comitato parlamentare di controllo sui servizi di informazione e sicurezza (Copaco) una proposta di riforma, presentata alla Camera, che cambia volto ai servizi segreti. In 38 articoli il progetto rivisita radicalmente l'intelligence italiana, per la quale vengono rafforzati i poteri di indirizzo politico e quelli di controllo. Si prevede infatti che l'intero sistema di controllo e sicurezza nazionale sia posto sotto la direzione e la responsabilità del presidente del Consiglio. Il Cisn (Comitato interministeriale per la sicurezza nazionale) avrebbe compiti di consulenza, sostituendo l'attuale Ciis (Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza). Al posto dell'attuale sottosegretario con delega ai servizi, si introduce il ministro dell'Informazione per la sicurezza, senza portafoglio. Ise (Servizio di informazione e sicurezza), Isi (Servizio di informazione e sicurezza interna) e Dis (Dipartimento dell'informazione per la sicurezza) prendono il posto rispettivamente di Sismi, Sisde e Cesis. Una novità contenuta nella proposta di riforma varata dal Copaco è il potenziamento dei controlli con la creazione di un ufficio ispettorato (fa capo al Dis), diretto da un dirigente nominato dal premier, che ha il compito di esercitare il controllo di legittimità ed efficienza su tutti gli uffici del Sistema di informazione e sicurezza nazionale.
Sulla scia delle intercettazioni telefoniche, a metà giugno scoppia lo scandalo per Vittorio Emanuele di Savoia, che viene arrestato e trasferito nel carcere di Potenza. È accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, al falso, e perfino di sfruttamento della prostituzione nell'ambito di un'indagine legata al casinò di Campione d'Italia. Vittorio Emanuele risulta coinvolto in un vero e proprio mercato dei nulla osta per i videogiochi e in un giro che reclutava ragazze da offrire ai clienti del casinò. Provvedimenti di custodia cautelare per altre dodici persone, tra cui anche Salvatore Sottile, portavoce di Gianfranco Fini (il presidente di An, del tutto estraneo alla faccenda), finito agli arresti domiciliari. Sottile, secondo l'accusa, avrebbe ottenuto prestazioni sessuali promettendo carriera e successo ad una show-girl. Il 23 giugno, in seguito ad una parziale ammissione dei fatti che gli sono stati addebitati, Vittorio Emanuele di Savoia viene messo agli arresti domiciliari a Roma; il Tribunale del riesame di Potenza, in data 20 luglio, gli revoca gli arresti domiciliari, imponendogli il solo divieto di espatrio. Dopo lo scandalo sabaudo, a dicembre l'ultima inchiesta avviata dal pubblico ministero di Potenza Henry John Woodcock ancora una volta in seguito alle intercettazioni telefoniche si abbatte come un ciclone sul mondo della tv e dello spettacolo. Vallettopoli vede al centro dell'indagine l'agente dei vip Lele Mora e Fabrizio Corona, marito della nota show-girl Nina Moric e titolare dell'agenzia fotografica Corona's. Secondo l'accusa i due avrebbero ricattato i personaggi più popolari, che pagavano purché loro foto compromettenti non venissero pubblicate sui giornali. Si sospettano anche episodi di sfruttamento della prostituzione e traffico di stupefacenti. Sia Corona che Mora negano ogni coinvolgimento.
Nei primi mesi dell'anno sulle pagine della cronaca incombe la notizia del virus dell'influenza aviaria, un'infezione virale che può interessare sia gli uccelli selvatici, sia quelli domestici come polli e tacchini, provocandone la morte. Il ministero della Salute già da qualche mese ha disposto il potenziamento dei controlli da parte dei propri uffici periferici di sanità e ha emanato un'ordinanza ministeriale che introduce misure di quarantena e controllo dei volatili, oltre all'etichettatura obbligatoria delle carni fresche per la tracciabilità della loro provenienza. L'allarme però scatta quando l'epidemia sbarca nel Sud d'Italia: l'11 febbraio vengono trovati morti diciassette cigni in Puglia, Sicilia, Calabria e sei di questi risultano essere stati contagiati dal ceppo più virulento della febbre aviaria. Dopo questi casi di infezione da virus H5N1 viene emanata in Italia un'ordinanza per prevenire la diffusione della malattia dagli uccelli selvatici agli allevamenti di volatili domestici e ad altri volatili in cattività, nonché la contaminazione dei prodotti da loro derivati: 80.000 polli vengono sequestrati nel nostro Paese, dove il consumo delle carni avicole crolla del 70%. La maggiore causa di preoccupazione riguardo all'influenza aviaria è il potenziale cambiamento o adattamento del virus in un virus pandemico in grado di infettare gli uomini. Seguendo la principale diffusione geografica del virus dell'aviaria dal Sud-Est asiatico nel 2005, anche l'Ue intensifica i propri programmi di sorveglianza e individuazione precoce dell'influenza aviaria, sia fra gli uccelli selvatici, sia fra il pollame. Dal 1997 a oggi, la trasmissione all'uomo del virus H5N1 (che nel Sud-Est asiatico ha infettato circa 150 milioni di uccelli) è stato un evento molto raro. E tutti i casi umani sono stati registrati solo in persone che hanno avuto stretti e ravvicinati contatti con animali malati. A partire dalla seconda metà del 2006 cala la psicosi dell'influenza aviaria e sulle tavole degli italiani tornano polli, galline e tacchini. Secondo Markos Kyprianou, commissario per la Salute e la tutela dei consumatori in ambito Ue, l'intensa sorveglianza per la presenza dell'influenza aviaria fra gli uccelli selvatici e il pollame è stata uno degli elementi chiave usati dall'Ue per contrastare la diffusione del virus negli ultimi mesi.
Dopo le forti contestazioni dell'autunno 2005, resta ancora aperta la questione dell'Alta velocità ferroviaria (Tav) Torino-Lione e delle zone della Val di Susa interessate al passaggio. Il sequestro da parte della magistratura dei cantieri di Venaus dopo le tensioni tra i cittadini della Val di Susa e il governo, tensioni prodotte dal blitz della polizia, fa sì che i cantieri vengano abbandonati subito dopo questa decisione dagli occupanti e dalla stessa azienda incaricata per i lavori di scavo. Sull'onda dell'impatto mediatico dell'evento, il governo promette quindi di istituire un tavolo di confronto, tecnico e politico, con i sindaci dei comuni coinvolti ed esperti nominati da entrambe le parti. Con l'avvento del governo di centrosinistra non mancano le polemiche interne alla coalizione riguardo alla Tav: gran parte della sinistra radicale sostiene la battaglia dei gruppi no-Tav, contrari fin dall'inizio al tracciato già disegnato e alle gallerie che dovrebbero attraversare in più punti le montagne della Valsusa. Secondo il movimento no-Tav la linea avrebbe pesanti ricadute ambientali e ci sarebbe un rischio concreto di liberazione nell'ambiente di amianto. Con l'incontro, a fine giugno, tra Prodi e Loyola de Palacio, coordinatrice del progetto del Corridoio 5, si ribadisce l'intenzione, espressa da Prodi, di considerare la tratta Torino-Lione, come opera prioritaria. Ma all'interno della coalizione il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, che spinge per aprire i cantieri, si scontra con gli ambientalisti di Alfonso Pecoraro Scanio. Il pressing dell'Europa dovrebbe costringere il governo a decidere. Il mancato rispetto dei tempi farebbe saltare i fondi comunitari a disposizione. In ottobre la Camera approva la mozione del centrosinistra che blocca la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina. La mozione giudica non prioritaria la costruzione del ponte e impegna il governo a realizzare altri interventi per il miglioramento della viabilità nel Mezzogiorno: in particolare il completamento della Salerno-Reggio Calabria e il miglioramento della rete autostradale siciliana.
Ci sono novità sulle indagini di Unabomber, il bombarolo folle che da più di un decennio terrorizza il Nord-Est. La prova che lo incastrerebbe sarebbe nelle mani degli investigatori: si tratta di un paio di forbici usate, secondo gli esperti, per una delle trappole esplosive dell'ignoto attentatore. Quelle forbici, sequestrate a marzo a casa di uno dei principali indiziati, avrebbero lasciato una firma inconfondibile: hanno certamente tagliato un pezzo di lamierino utilizzato per costruire un ordigno, poi rimasto inesploso e recuperato integro, nell'inginocchiatoio della chiesa di Sant'Agnese di Portogruaro, nell'aprile 2004. Le perizie sulla forbice fatte dal Lic (Laboratorio indagini criminalistiche) della Sezione di polizia giudiziaria della Procura di Venezia, e dagli esperti della sezione di balistica del Ris (Reparto investigazione scientifiche) dei carabinieri di Parma, permettono di stabilire che solo un paio di forbici fra tutte quelle sequestrate agli indiziati (una dozzina) poteva aver prodotto quel tipo di tagli sul metallo. Per la prima volta dopo dodici anni d'indagini, a ottobre compare davanti ai giudici di Trieste l'indagato numero uno dell'inchiesta Unabomber, l'ingegnere di Azzano Decimo (Pn) Elvo Zornitta, nella cui abitazione sono state trovate le forbici in questione. L'uomo si proclama innocente. In seguito verrà fatta una scoperta clamorosa: i reperti che dovevano incastrare l'ingegner Elvo Zornitta sono stati alterati da Ezio Zernar, il poliziotto che dirige il laboratorio di indagini criminali della Procura di Venezia e che da anni è impegnato nelle indagini per individuare Unabomber. Con le forbici sequestrate nel marzo scorso a casa del professionista, avrebbe tagliato il lamierino che componeva l'ordigno inesploso trovato nel 2004 nella chiesa di Portogruaro per dimostrare la compatibilità tra i due oggetti. Zernar verrà indagato e l'incubo per Zornitta finirà.
L'11 marzo, per impedire un corteo neofascista programmato per quel pomeriggio, si verificano forti scontri a Milano. Questi sono provocati da un gruppo di circa 400 autonomi dell'ala più dura dei centri sociali, che mettono a ferro e fuoco per qualche ora il centralissimo corso Buenos Aires. Sono due ore di tensione e guerriglia: vetrine infrante, auto e moto incendiate, edicole date alle fiamme, palazzi anneriti dal fumo, barricate nelle strade. Dopo l'intervento delle forze dell'ordine, molti degli autonomi si disperdono e la vampata di violenza poco alla volta si spegne. Sono 41 i giovani fermati e portati in questura (tra cui tre minorenni), 12 i feriti tra le forze dell'ordine e 6 i cittadini medicati in ospedale. Secondo l'allora ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu, l'assalto era stato accuratamente programmato e freddamente predisposto. La polemica politica sull'accaduto si infiamma, in un crescendo di accuse e controaccuse alimentato dal clima preelettorale. Da tutto il centrosinistra arriva comunque la condanna unanime sugli scontri di Milano. I commercianti promuovono una fiaccolata antiviolenza cui aderiscono tutte le forze politiche, da An ai Comunisti italiani. Ma salta l'iniziativa bipartisan che doveva caratterizzare la manifestazione: Romano Prodi e Piero Fassino non partecipano alla fiaccolata in seguito alle notizie relative alla presenza di striscioni dal tono provocatorio e di slogan offensivi. Il riferimento è ad alcuni manifesti affissi da An lungo il percorso del corteo con scritto contro i prodi autonomi. Il 19 luglio, diciotto fra i ventinove autonomi finiti sotto processo per i disordini di corso Buenos Aires vengono condannati a quattro anni di reclusione. Nove imputati vengono assolti, mentre due patteggiano per reati minori. Grazie all'indulto però, in ottobre sono tutti liberi.
Oltre agli incidenti stradali, le cui vittime sono sempre più spesso i giovani, il 2006 è segnato anche da casi di incidenti ferroviari. Il 14 marzo, un frontale tra due treni sulla rete delle Ferrovie Nord di Milano, tra il rapido proveniente dall'aeroporto della Malpensa e un treno locale diretto a Saronno, spezza la vita del macchinista del convoglio locale, Giuseppe Girola di 41 anni. Sono due i feriti gravi, altri quattro più lievi e una ventina le persone contuse. Per le Ferrovie si tratterebbe di un errore del macchinista del Milano-Saronno, l'uomo rimasto ucciso nell'incidente. Lo scontro avviene nei pressi della stazione di Garbagnate, nella periferia di Milano, su una linea, quella per Saronno, peraltro nuovissima, anche se il treno locale coinvolto risale agli anni Cinquanta. Si riapre quindi la polemica per la mancata consegna dei Taf (Treni ad alta frequentazione) di ultima generazione, già commissionati dalla Regione Lombardia e dotati delle attrezzature tecnologiche in grado di dialogare efficacemente con la rete. Tragedia sfiorata il 13 dicembre per un tamponamento fra due treni merci avvenuto nei pressi di Avio, al confine fra Trentino e Veneto, che provoca la morte di due macchinisti, Walter Mazzi di 51 anni e Giancarlo Maschi di 54 anni. Lo scontro, si sospetta per un errore umano, è fra un treno merci della Rail Traction Company (Rtc), compagnia privata di trasporto ferroviario, partito da Monaco di Baviera, e un altro merci Trenitalia preso in consegna al Brennero. L'allarme si scatena a ventiquattr'ore dall'incidente, quando si scopre che la cisterna chiusa nel container del treno della Rtc conteneva una sostanza altamente pericolosa, bianca e gelatinosa. La squadra dei tecnici dell'Nbcr, la squadra speciale per gli interventi in zone contaminate, spiega che la cisterna squartata conteneva Mdi, difenilmetano 4 di isocianato, sostanza classificata come nociva secondo le direttive europee ma non dal regolamento internazionale sui trasporti. Il 17 ottobre un convoglio della linea A della metropolitana di Roma tampona violentemente un altro treno fermo alla stazione Vittorio Emanuele, provocando la morte di una donna e il ferimento di 236 persone, di cui sei ricoverate in codice rosso, ovvero in gravi condizioni. Il convoglio della linea A era partito dalla stazione Manzoni e alle porte della stazione Vittorio Emanuele aveva trovato il semaforo rosso. Il macchinista aveva ricevuto dalla centrale operativa la disposizione di passare con il rosso e di marciare a vista, cioè a una velocità massima di 15 chilometri orari, per snellire il traffico. Ma alla stazione è fermo un altro convoglio, il treno proveniente dalla stazione Manzoni non frena e lo scontro è inevitabile. La vittima è Alessandra Lisi, 30 anni, che lavorava a Roma come ricercatrice. Al momento del tamponamento si trovava nell'ultima vettura del treno tamponato violentemente. L'ipotesi di un attentato viene esclusa sin dal primo momento. Il 30 aprile, nell'isola di Ischia, una valanga di fango, provocata dalla pioggia insistente da giorni, stermina una famiglia. Una frana staccatasi dal monte Vezzi travolge una piccola casa abusiva di due piani. Quattro persone perdono la vita e sono Luigi Buono, 53 anni, e le sue tre figlie: Anna di 18 anni, Maria di 16 e Giulia di 12 anni. Il fango risparmia la moglie di Luigi e madre delle tre ragazze. Legambiente mette sotto accusa l'abusivismo edilizio che colpisce tutta la Campania e soprattutto l'isola di Ischia. Una fuga di gas è invece la causa della deflagrazione che il 17 settembre causa il crollo di una palazzina di quattro piani in via Lomellina, a Milano. Sotto le macerie rimangono quattro persone: Tommaso Fiaccola, 62 anni, che abitava nella palazzina; Ilie Iakur, trentenne albanese che passava di lì per caso, e un bambino di sette anni, Francesco Orlandi, anche lui residente nella palazzina e il cui corpo senza vita viene localizzato dai soccorritori dopo circa sette ore dal disastro. La quarta vittima è Esmeralda Sfolcini di 49 anni, il cui suicidio sembrerebbe essere all'origine del crollo del palazzo.
Fra i crimini più efferati compiuti nel 2006, c'è una vicenda che tiene per più di un mese con il fiato sospeso tutta l'Italia: riguarda il sequestro del piccolo Tommaso Onofri, 17 mesi, strappato ai genitori nella loro casa, alle porte di Parma. Il 2 marzo, a Casalbaroncolo, Tommaso, che ha la febbre e soffre di una grave forma di epilessia, viene rapito dopo che i malviventi, piombati in casa, hanno immobilizzato il padre Paolo, la madre Paola entrambi dipendenti delle Poste e il fratellino Sebastiano di otto anni. Un rapimento sconvolgente, anomalo, con caratteristiche strane affermano gli investigatori. Il piccolo Tommy viene subito ricercato, inutilmente. All'inizio le ipotesi del movente per il rapimento sono due: un sequestro a scopo di estorsione o per vendetta. Ma il padre esclude di avere negato un prestito a qualcuno che potrebbe avere cercato una rivalsa, così come nega di avere ricevuto minacce. L'attività investigativa prosegue senza risparmio, si moltiplicano gli appelli, si muove il popolo di Internet compatto a chiedere la liberazione di Tommaso. A venti giorni dal sequestro viene ritrovato a una ventina di km da Casalbaroncolo il cane della famiglia Onofri, scomparso qualche giorno prima del rapimento di Tommy. La vicenda si riveste per qualche giorno di una patina ripugnante quando a finire indagato per possesso di materiale pedopornografico è proprio Paolo Onori, il padre di Tommy, che però si difende dalle accuse. La svolta alle indagini avviene dopo venticinque giorni dal sequestro: sullo scotch usato per legare gli Onofri i Ris trovano le impronte di Salvatore Raimondi, 28 anni, pregiudicato siciliano. Tra gli indagati c'è anche Mario Alessi, 44 anni, uno dei manovali che aveva lavorato nel cascinale degli Onofri durante le opere di ristrutturazione. L'uomo è sposato, e ha un bambino di sei anni; contro di lui è in corso un processo per presunto stupro e sequestro di persona, avvenuto in Sicilia nel 2000. L'1 aprile Alessi confessa: Tommy è stato ucciso subito dopo il rapimento e seppellito nei pressi del torrente Enza. Il corpo del piccolo viene ritrovato su indicazione del muratore sepolto vicino a un covone di paglia. Il bambino piangeva raccontano i rapitori, che avevano pensato di mettere a segno un sequestro-lampo per estorcere denaro al padre del piccolo. L'8 aprile si celebrano i funerali di Tommy, tra la commozione di tutti e lo strazio dei genitori. Alessi e Raimondi si accusano a vicenda, e anche se a uccidere il bambino sembra essere stato Alessi, la ricostruzione fatta dai due è pervasa da molti dubbi, dal movente del sequestro alla dinamica. In cella intanto finisce anche Antonella Conserva, compagna di Alessi: il suo ruolo avrebbe dovuto essere quello di carceriera del piccolo Tommy. Ancora un altro bambino è la vittima, insieme ad altre tre donne, di un efferato delitto compiuto l'11 dicembre a Erba, in provincia di Como. I corpi senza vita delle quattro persone vengono trovati nell'appartamento in fiamme dopo che una vicina di casa aveva dato l'allarme per l'incendio. Le vittime, tutte accoltellate alla gola e in altre parti del corpo, sono Raffaella Castagna, di 29 anni, suo figlio Youssef, di 2 anni, sua madre, Paola Galli, di 60, e una vicina di casa, Valeria Cherubini, 50 anni (ferito gravemente anche il marito della vicina, Mario Frigerio, di 60 anni). Gli inquirenti indicano subito il tunisino Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna, come probabile autore dei delitti, affermando che l'uomo sarebbe scomparso dopo aver commesso il fatto. Ad agosto Azouz, in carcere per droga, era uscito grazie all'indulto e, dati i suoi precedenti, gli investigatori sulle prime valutano l'ipotesi di una vendetta legata, appunto, alla droga o a uno sgarro commesso in prigione. L'uomo sospettato, però, al momento della strage si trovava in Tunisia e la conferma degli inquirenti arriva dopo il controllo dei tabulati. Azouz afferma di non sapere chi può avere compiuto la strage e di non credere alla pista della vendetta. L'omicida, secondo l'ipotesi che prende sempre più corpo, escluderebbe ogni coinvolgimento indiretto di Marzouk, e sarebbe una persona molto probabilmente conosciuta da Raffaella, di nazionalità italiana. Da una serie di elementi gli investigatori prenderanno in considerazione che la strage sia stata compiuta da più persone. Determinanti, nel prosieguo delle indagini, le rivelazioni del vicino ferito, che porteranno all'arresto, all'inizio di gennaio, dei vicini di casa dei Castagna, Olindo Romano e la moglie Rosa Angela Bazzi. I due i coniugi confesseranno, motivando la strage con i continui disturbi arrecati dalla famiglia Castagna (urla, rumori, pianto del bambino ecc.).
Un altro atroce delitto viene commesso l'11 agosto a Sarezzo in provincia di Brescia. La vittima è una giovane pakistana, Hina Saleem, 21 anni, uccisa a coltellate e sepolta nel giardino della casa dei genitori. L'omicidio della ragazza viene da subito collegato ai recenti dissapori che Hina aveva avuto con il padre. E nel delitto un ruolo determinante, si sospetta, potrebbe averlo avuto l'integralismo islamico. I carabinieri arrivano presto a una svolta e arrestano Mohammad Saleem, il padre: confesserà lui stesso di aver ucciso Hina perché aveva una relazione con un coetaneo italiano e perché aveva respinto il tentativo della famiglia di farla sposare con un cugino pakistano. In carcere, oltre al padre, finiranno altri tre parenti pakistani di Hina, tutti con l'accusa di omicidio volontario premeditato: lo zio Muhammad Tariq e i due cognati, sposati con le due sorelle maggiori di Hina. La madre della giovane si trovava in Pakistan quando è stato commesso l'omicidio. Il 5 maggio il barista veneziano Lucio Niero, 34 anni, confessa di avere massacrato di botte e seppellito ancora viva l'amante Jennifer Zacconi, 20 anni, di Olmo di Martellago (Venezia) e incinta di nove mesi. Niero, sposato con due figli, non voleva riconoscere il bambino. Jennifer era sparita il 29 aprile. Il 20 agosto a Mompiano, alle porte di Brescia, una studentessa di 23 anni, Elena Lonati, viene soffocata in chiesa, dove era rimasta sola dopo aver acceso un cero. Il corpo senza vita della giovane viene trovato impacchettato nel pulpito in disuso della chiesa. L'assassino, il sagrestano cingalese Wimal Chamil Ponnamperumage, di 23 anni, confessa di aver provocato incidentalmente la morte della giovane dopo un diverbio, ma nega tentativi di violenza. Gli inquirenti non credono alla versione dell'incidente e il giovane sagrestano viene accusato di omicidio volontario e di occultamento del cadavere.
Scompaiono il 5 giugno i due fratellini, Francesco e Salvatore Pappalardi, 13 e 11 anni, di Gravina di Puglia, in provincia di Bari. No-nostante le ricerche e i numerosi appelli della madre, il giallo dei due fratellini spariti non è ancora risolto. Una fuga per protestare contro la separazione dei genitori e l'affidamento al padre sembra essere all'inizio l'ipotesi più probabile della loro scomparsa. Poi si pensa che i due ragazzini fuggiti siano stati vittima di un incidente, ma l'ipotesi della fuga volontaria lascia via via il posto a quella del sequestro. Secondo la madre, Rosa Carlucci, sarebbe stato il marito a rapire o forse addirittura a uccidere i bambini. Una volta scartata anche la pista familiare, gli investigatori si concentrano sull'ipotesi della pedofilia. In ottobre le rivelazioni del sindaco di Gravina incoraggiano a sperare che i due fratellini siano ancora vivi: secondo una fonte che il sindaco si è impegnato a non rivelare, due carabinieri in servizio a Gravina avrebbero indagato sulla vicenda accertando inequivocabilmente che Francesco e Salvatore si troverebbero in Romania, prelevati da un losco figuro e poi passati nelle mani di altri personaggi.
Il caso della piccola Maria diventa internazionale. Maria Grazia Bornacin e Alessandro Giusto, una coppia di Cogoleto, paese in provincia di Genova, nascondono per tre settimane la bimba bielorussa di 10 anni, rifiutandosi di ottemperare alla revoca dell'affido decisa dal Tribunale del capoluogo ligure. Il loro timore è che Maria torni nell'orfanatrofio dove si è scoperto che aveva subito violenze. A confessarlo a luglio era stata proprio la bimba, che attraverso i suoi disegni ha descritto gli abusi subiti. La Procura di Genova apre un fascicolo per sottrazione di minore. Sulla vicenda interviene anche il viceministro della Pubblica istruzione della Bielorussia che chiede l'immediato rientro della bambina, sottolineando in un documento come l'azione dei cittadini e della giustizia italiani discreditano il progetto di risanamento dei bambini bielorussi in Italia. Il 27 settembre Maria viene ritrovata, nascosta con le nonne adottive in una comunità religiosa in Valle d'Aosta. Tra le proteste viene fatta rimpatriare in Bielorussia e affidata alla famiglia che sta per adottare il fratellino Sasha di 13 anni.
Per quanto riguarda i processi, il 4 maggio la Cassazione esprime il verdetto definitivo, dopo un braccio di ferro con la magistratura milanese durato dieci anni, condannando Cesare Previti a sei anni di detenzione per l'accusa di corruzione nella vicenda Imi-Sir. Il 5 maggio Previti annuncia di essersi dimesso dalla carica di parlamentare e si presenta al carcere di Rebibbia, dove viene rinchiuso. Il 10 maggio, dopo cinque giorni di cella, la condanna a sei anni per corruzione in atti giudiziari (una tangente di 67 miliardi per la vicenda Imi-Sir), si trasforma per l'ex ministro della Difesa (e anche per l'avvocato Attilio Pacifico) in arresti domiciliari, usufruendo della legge, varata dall'ultimo governo Berlusconi, detta 'ex Cirielli'. Secondo questa legge, altrimenti detta 'salva-Previti', non è più prevista la detenzione negli istituti carcerari per un ultrasettantenne. A fine luglio in Parlamento non risulta essere stata presentata nessuna lettera di dimissioni da parte di Previti, come sottolinea il capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli. Il 30 novembre, la Cassazione pronuncia il verdetto che azzera il processo. Vengono di fatto annullate le condanne pronunciate da Tribunale e Corte d'Appello di Milano: il capoluogo lombardo, afferma la Cassazione, non era la sede competente a giudicarli. Tutto dovrà ricominciare a Perugia dalla fase delle indagini preliminari. Essendo il termine di prescrizione fissato nell'aprile 2007, è molto probabile che il processo verrà dichiarato prescritto. Il 3 aprile la prima sezione penale del Tribunale di Milano emette la sentenza nei confronti di Vanna Marchi e della figlia Stefania Nobile, condannate a due anni e sei mesi di reclusione nel processo-bis per truffa aggravata. Le due teleimbonitrici erano imputate insieme al mago brasiliano Milton Do Nascimiento, tuttora latitante (un anno e 6 mesi), e a Francesco Campana, convivente di Vanna Marchi. Con questa prima sentenza i condannati dovranno anche risarcire 46.700 euro alle loro vittime. Il 9 maggio la Marchi, il suo convivente e la figlia vengono nuovamente condannati in primo grado dal Tribunale di Milano (stavolta per associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata), con condanne rispettivamente di 10, 4 e 10 anni, e al risarcimento delle vittime (oltre 2 milioni di euro). Si conclude a dicembre il processo di appello contro i brigatisti rossi colpevoli del brutale assassinio di Marco Biagi la sera del 19 marzo 2002. La Corte d'Assise d'Appello di Bologna riconosce le attenuanti generiche che portano alla riduzione della pena a 21 anni per Simone Boccaccini, in primo grado condannato all'ergastolo. Confermata invece la sentenza di primo grado, emessa nel giugno del 2005, e il carcere a vita per Nadia Desdemona Lioce, Diana Blefari Melazzi, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma. Riguardo al processo che vede imputata Anna Maria Franzoni dell'omicidio del figlio Samuele a Cogne, i quattro periti interpellati dalla Corte d'Assise d'Appello depositano a giugno la perizia psichiatrica sulla donna, ribaltando il giudizio del primo esame che definiva la Franzoni sana di mente. Nel periodo in cui venne ucciso il figlio Samuele, Anna Maria Franzoni soffriva d'ansia e sembra che il giorno del delitto, il 30 gennaio 2002, la donna possa essere caduta in preda di un disturbo chiamato stato crepuscolare orientato che può avere come effetto la rimozione di determinati gesti. In sostanza, Anna Maria Franzoni potrebbe avere compiuto il delitto senza rendersene conto, in uno stato di incoscienza. Gli esperti però non hanno potuto interrogare la Franzoni, che ha preferito, dopo la condanna in primo grado a trent'anni, sottrarsi alla convocazione dei medici. Gli psichiatri hanno verificato le sue condizioni mentali al momento del delitto, e nelle settimane precedenti e successive, attraverso l'analisi di vari documenti e la raccolta di testimonianze di persone che l'hanno seguita. Il 20 novembre, nell'udienza del processo d'Appello che doveva esaminare la perizia psichiatrica della donna, si verifica un colpo di scena. La mamma di Cogne lascia l'aula durante l'udienza. Il suo legale, l'avvocato Carlo Taormina, ufficializza in aula la sua rinuncia alla difesa, e al suo posto viene nominato poco dopo l'avvocato Paola Savio. Non ho ucciso mio figlio. Altri lo hanno fatto, è quello che ribadisce Annamaria Franzoni, leggendo una breve nota davanti ai giudici della Corte d'Assise di Torino.
Il caso Welby riporta all'attenzione dei media, del mondo politico e dell'opinione pubblica il tema dell'eutanasia nel nostro Paese. Il 20 dicembre Piergiorgio Welby, 60 anni, muore a Roma pochi minuti dopo che, su sua richiesta e contro il parere dei giudici, un medico lo ha sedato e gli ha staccato il respiratore che lo teneva in vita. Malato di distrofia muscolare dall'età di 20 anni, Welby poteva muovere solo le labbra e gli occhi. A settembre aveva inviato un video-appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiedendo il riconoscimento del diritto all'eutanasia. Il presidente aveva risposto auspicando un confronto politico sull'argomento. Il 16 dicembre il tribunale di Roma respinge la richiesta dei legali di Welby di porre fine all'accanimento terapeutico, dichiarandola inammissibile, per via del vuoto legislativo su questa materia. L'appello di Welby diventa comunque una bandiera della battaglia per l'eutanasia. Per questo motivo il Vicariato di Roma gli nega il funerale religioso.
Il tema dell'abbassamento dell'età imputabile dei minorenni diventa di attualità dopo i continui episodi di bullismo che si verificano anche in Italia, soprattutto nelle aree metropolitane. Alcuni ragazzi di una classe dell'Istituto tecnico Albe Steiner di Torino sono gli autori di un filmato choc che il 14 novembre appare su Internet e che molto fa parlare di questo fenomeno. Un sito propone il video, filmato con un videofonino, di un ragazzo disabile picchiato e deriso dai compagni di scuola. I quattro responsabili, tra cui una ragazza, vengono sospesi per l'intero anno scolastico, con una probabile pena accessoria che prevede un periodo di lavoro con un'associazione di handicappati. Il preside dello Steiner propone inoltre la sospensione per quindici giorni di tutti gli altri alunni che hanno assistito al pestaggio senza muovere un dito.
Il 9 luglio l'Italia è per la quarta volta campione del mondo di calcio al termine di una partita in cui batte ai rigori la Francia per 6 a 4.
 

 

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