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I Grandi Classici Le Mille e Una Notte Storia di Ali Ibn Bakkar e di Shams An Nahar

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I Grandi Classici Le Mille e Una Notte Storia di Ali Ibn Bakkar e di Shams An Nahar

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I Grandi Classici

I Grandi Classici Cultura

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Storia di Ali Ibn Bakkar e di Shams An Nahar

Sotto il regno del califfo Harùn ar-Rashìd vi era a Bagdàd un famoso mercante chiamato Ali ibn Tàhir, uomo ricchissimo, bello e molto piacevole. Era dotato di molto spirito, e retto e sincero e allegro, e per queste sue virtù si faceva amare e ricercare da tutti. Il califfo, conoscendo il suo merito, aveva in lui una cieca fiducia. Lo stimava al punto che gli aveva dato l'incarico di procurare alle sue favorite quello di cui potevano aver bisogno. Egli sceglieva loro le vesti, le suppellettili e i gioielli con gusto raffinato.

Le sue buone qualità e il favore del califfo facevano convenire in casa sua i figliuoli degli emiri e degli ufficiali d'alto grado.

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Tra i giovani signori che l'andavano a visitare ogni giorno ve n'era uno che egli stimava più di tutti, e col quale aveva stretto un'amicizia particolare. Costui si chiamava Ali ibn Bakkàr, e traeva la sua origine da una antica famiglia reale di Persia; questa famiglia era rimasta a Bagdàd dopo che i musulmani avevano conquistato quel regno con la forza delle armi. La Natura sembrava essersi compiaciuta nel riunire in quel giovane principe le più rare doti del corpo e dello spirito. Aveva il volto di una bellezza squisita, il corpo snello, il portamento disinvolto, e una fisionomia così attraente che non si poteva vederlo senza amarlo. Quando parlava si esprimeva sempre con proprietà ed eleganza in modo piacevole e nuovo; e la sua voce aveva un timbro che incantava quanti l'udivano. E poiché aveva, oltre a ciò, anche spirito e saggezza, parlava di ogni cosa con una precisione meravigliosa. Aveva inoltre tanto ritegno e tanta modestia che evitava di asserire qualche cosa, se non con grande prudenza, per non dare l'impressione di voler far prevalere il suo giudizio su quello degli altri. Non c'è da meravigliarsi che ibn Tàhir avesse notato un giovane così dotato, tra gli altri della corte, che assai spesso avevano i vizi opposti alle sue virtù. Un giorno che questo principe era presso ibn Tàhir, videro giungere una signora, che cavalcava una mula bianca e nera, in mezzo a dieci schiave. Quella signora aveva una cintura rosa, larga quattro dita, su cui splendevano perle e diamanti di una grossezza straordinaria. Veniva a fare qualche acquisto, e, poiché doveva parlare ad ibn Tàhir, entrò nella grande e spaziosa bottega. Egli la ricevette con tutti i segni del più profondo rispetto, e la pregò di accomodarsi mostrandole con la mano il posto d'onore. Intanto il principe di Persia, che non voleva lasciarsi sfuggire una così bella occasione di dimostrare la sua gentilezza e cortesia, accomodava il cuscino a fondo d'oro su cui la signora doveva appoggiarsi. Ciò fatto, si ritirò prontamente, perché si sedesse. Poi la salutò e baciò il tappeto che stava ai suoi piedi, poi, rialzatosi, rimase diritto davanti a lei, ai piedi del sofà. Poiché era in dimestichezza con ibn Tàhir, ella si tolse il velo e lasciò vedere al principe di Persia una bellezza straordinaria, che gli toccò il cuore. Da parte sua la signora non poté guardare il principe, senza provare una profonda impressione, così che gli disse con tono lusinghiero:"Signore, vi prego di accomodarvi".

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Il principe di Persia obbedì e si sedette sulla sponda del sofà, tenendo sempre gli occhi fissi su di lei, e intanto beveva a gran sorsi il dolce veleno dell'amore. Lei si accorse subito di quanto avveniva nel cuore del giovane e questo finì di infiammarla per lui. Si alzò allora e si avvicinò a ibn Tàhir per parlargli a bassa voce del motivo della sua venuta e intanto gli domandò il nome e il paese del principe di Persia. "Signora", le rispose ibn Tàhir, "il giovane signore di cui mi parlate si chiama Ali ibn Bakkàr, ed è principe di stirpe reale. "La signora esultò nel sapere che la persona, che già amava con tanto ardore, era di alta condizione. "Volete dire, senza dubbio", soggiunse, "che egli discende dai re di Persia. ""Sì, signora", rispose ibn Tàhir, "gli ultimi re di Persia furono i suoi antenati, e dopo la conquista di questo regno i principi della sua casa sono sempre stati ben accolti alla corte dei nostri califfi. ""Voi mi fate un grandissimo piacere", ella disse, "facendomi conoscere questo signore. Quando v'invierò questa donna - aggiunse, mostrandogli una sua schiava - per avvertirvi di venire da me, vi prego di condurlo con voi. Desidero che veda il lusso della mia casa, perché sappia che l'avarizia non regna in Bagdàd tra le persone di qualità. Comprendete bene quanto vi dico. Non mancate, perché altrimenti mi arrabbierò con voi, e non verrò mai più qui. "Ibn Tàhir aveva troppa saggezza per non capire quali sentimenti si nascondessero sotto quelle parole; rispose quindi alla signora:"Mia principessa, mia regina, il cielo mi preservi dal darvi motivo di collera contro di me. Mi farò sempre una legge di eseguire i vostri comandi". Allora la signora si congedò da ibn Tàhir salutandolo con un cenno del capo, e, dopo aver gettato al principe di Persia uno sguardo molto lusinghiero, risalì sulla mula e partì. Il principe di Persia, perdutamente innamorato della signora, la seguì con lo sguardo finché gli fu dato vederla, e anche quando non la poté più vedere, rimase per molto tempo immobile. Ibn Tàhir l'avvertì d'aver notato che alcune persone lo guardavano, e già cominciavano a ridere, nel vederlo in quella posizione. "Ohimè", gli disse il principe, "tutti avrebbero compassione di me se sapessero che la bella signora, che è uscita di qui, si porta via la parte migliore di me, e che il resto cerca di non separarsene. Ditemi, ve ne scongiuro, chi è questa leggiadra tiranna che costringe le persone ad amarla, senza dar loro il tempo di riflettere?""Signore", gli rispose ibn Tàhir, "è la famosa Shams an-Nahàr, la prima favorita del califfo nostro signore. ""Questo nome le spetta di diritto", interruppe il principe, "poiché essa è più bella del sole in un giorno senza nubi. ""Questo è vero", replicò ibn Tàhir, "però il califfo, principe dei credenti, l'ama, o meglio l'adora. Egli mi ha ordinato chiaramente di procurarle tutto quanto mi domandi, e anche di prevenire, per quanto mi è possibile, i suoi desideri. "Gli parlava in tal modo per metterlo in guardia perché non si impegnasse in un amore che non poteva essere se non sciagurato. Ma ciò non servì se non a infiammarlo di più. "M'ero ben reso conto, leggiadra Shams an-Nahàr", esclamò "che non mi sarebbe stato permesso elevare fino a te il mio pensiero. Però io sento che, anche se non posso sperare d'essere amato da te, non potrò mai cessare d'amarti. Io ti amerò dunque e benedirò il mio destino che mi fa schiavo dell'oggetto più bello che il sole rischiari. "Mentre il principe di Persia consacrava in tal modo il suo cuore alla bella Shams an-Nahàr, lei meditava sul modo di rivedere il principe e trattenersi con lui in libertà. Non appena fu rientrata nel suo palazzo, inviò a ibn Tàhir la donna che gli aveva mostrato ed in cui aveva piena fiducia, per dirgli che venisse subito da lei col principe di Persia. La schiava giunse alla bottega di ibn Tàhir mentre costui stava ancora parlando al principe, cercando di dissuaderlo dall'amare la favorita del califfo. Non appena li vide insieme, la donna disse:"Signori, la mia onorevole padrona Shams an-Nahàr, la prima favorita del principe dei credenti, vi prega di venire al suo palazzo, dove vi attende". Ibn Tàhir, per far vedere quanto fosse pronto ad obbedire, si alzò subito, senza nulla rispondere alla schiava, ed avanzò per seguirla non senza ripugnanza. Anche il principe la seguì: la presenza d'ibn Tàhir, il quale aveva libero l'accesso presso la favorita, lo liberava di ogni inquietudine. Seguirono dunque la schiava che camminava un poco avanti a loro. La seguirono fino nel palazzo del califfo e la raggiunsero alla porta del piccolo palazzo di Shams an-Nahàr, che era già aperta. Essa li introdusse in una grande camera e li pregò di sedersi. Il principe di Persia credette di essere in uno di quei luoghi deliziosi che sono promessi ai musulmani nell'altro mondo. Non aveva prima di allora visto niente che somigliasse alla magnificenza del luogo in cui si trovava. I tappeti, i cuscini e gli altri ornamenti del sofà, i ninnoli, i mobili e l'architettura erano d'un lusso e d'una bellezza sorprendenti. Dopo un po' che si erano seduti, una schiava nera li servì di diverse delicatissime vivande, il cui buon odore lasciava indovinare la delicatezza dei condimenti e la squisitezza. Mentre mangiavano, la schiava che li aveva condotti lì, non li abbandonò. Ebbe cura d'invitarli a mangiare alcuni intingoli, che sapeva essere i migliori.

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Altre schiave versarono eccellenti vini. Alla fine furono presentati a ciascuno separatamente un catino e un vaso d'oro pieno d'acqua per lavarsi le mani; dopo di che fu loro portato il profumo d'aloe, in una cassetta pure d'oro, e si profumarono la barba e le vesti. L'acqua profumata non fu dimenticata; un vaso d'oro, fatto espressamente per quest'uso, impreziosito di diamanti e rubini la conteneva, e fu versata loro nell'una e nell'altra mano, perché si lavassero la barba e il viso. Dopo di ciò, ritornarono al loro posto, ma vi si erano appena accomodati quando la schiava li pregò di alzarsi, e di seguirla. Essa aprì la porta della camera in cui erano e li introdusse in un'altra, più vasta e ancora più bella. Era coperta da una cupola, sostenuta da cento colonne di marmo bianco come l'alabastro e le basi e i capitelli di quelle colonne erano ornati di quadrupedi e di uccelli dorati di diverse specie. Il tappeto di quella camera straordinaria, composto di un sol pezzo a fondo d'oro, ricamato con mazzetti di fiori di seta rossa e bianca, e la cupola pure dipinta ad arabeschi, offrivano allo sguardo uno spettacolo incantevole. Tra le colonne vi erano piccoli sofà ornati nel medesimo modo con grandi vasi di porcellana, di cristallo, di diaspro, di porfido, d'agata e di altre pietre preziose, ornati d'oro e gioielli. Negli spazi tra le colonne vi erano grandi finestre con parapetti ad altezza d'appoggio, guarnite come i sofà; esse si aprivano su un giardino incantevole, i cui viali erano coperti da uno strato di ciottoli di diversi colori, che ripetevano il motivo del tappeto della sala; così, che guardando il pavimento interno e i viali esterni, sembrava che la cupola e il giardino con tutti i suoi ornamenti posassero sullo stesso tappeto. La vista era delimitata all'intorno da due canali d'acqua chiara, come quella di sorgente, i quali seguivano la stessa linea circolare della cupola; l'uno dei due canali, posto più in alto, lasciava cadere l'acqua in cascatella, nell'altro; bei vasi di bronzo dorato guarniti d'arboscelli e fiori, erano posti a eguale distanza e i viali separavano grandi spazi piantati di alberi dritti e frondosi, su cui mille uccelli cantavano un concerto delizioso, e dilettavano la vista coi loro voli e con le loro battaglie ora innocenti ora sanguinose. Il principe di Persia e ibn Tàhir stettero lungo tempo ad ammirare tale magnificenza. Lanciavano grida di meraviglia a ogni nuovo particolare che li stupiva, in particolare il principe di Persia, che non aveva ancora visto nulla che si potesse paragonare a quello che vedeva allora. Ibn Tàhir, benché fosse entrato diverse volte in quel luogo, osservava tutte quelle bellezze come se gli giungessero nuove. Non si stancava di ammirare tante cose singolari, e ne erano ancora piacevolmente interessati, quando scorsero una schiera di donne riccamente vestite. Esse erano tutte sedute fuori a qualche distanza dalla cupola, ciascuna sopra una sedia di legno di platano delle Indie, impreziosito da fili d'argento, e avevano uno strumento musicale in mano, in attesa dell'ordine di cominciare a suonare. Andarono ambedue a porsi alla finestra dirimpetto, da dove si potevano vedere in volto, e, guardando a destra, videro un gran cortile da cui si saliva per varie scale al giardino, e che era circondato da bellissimi appartamenti. La schiava li aveva lasciati soli ed essi cominciarono a conversare. "Voi siete un uomo saggio", disse il principe di Persia, "e penso che questi segni di grandezza e potenza vi procurino una grande soddisfazione. Per conto mio non penso che ci sia al mondo nulla di più sorprendente: ma quando rifletto che questa è la splendida abitazione della vaghissima Shams an-Nahàr, e che essa le viene data dal primo monarca della terra, vi confesso che mi sento il più sfortunato di tutti gli uomini. Mi sembra che non vi sia destino più crudele del mio, perché amo un oggetto già sottomesso a un rivale, e mi trovo in un luogo in cui il mio rivale è molto potente mentre io non sono in questo momento neppure sicuro per la mia vita. "Ibn Tàhir, udendo parlare in tal modo il principe di Persia gli rispose:"Signore, piacesse al cielo, che potessi rassicurarvi sul felice successo dei vostri voti, quanto lo posso sulla sicurezza della vostra vita. Anche se questo superbo palazzo appartiene al califfo il quale l'ha fatto costruire appositamente per Shams an-Nahàr, col nome di "palazzo degli eterni piaceri" e anche se fa parte delle sue proprietà, nondimeno sappiate che ella vive qui in completa libertà. Non è sorvegliata da eunuchi che spiino le sue azioni. Ha la sua casa, dove dispone come più le aggrada. Esce per la città senza chiedere permesso a nessuno, si ritira quando le piace, e il califfo non viene mai a trovarla, senza averla fatta prima avvertire da Masrùr, capo dei suoi eunuchi. Perciò state tranquillo, e badate al concerto, che Shams an-Nahàr, vuole offrirvi". Mentre ibn Tàhir finiva di pronunciare queste parole, egli ed il principe di Persia videro avanzare la schiava confidente della favorita, che comandò alle donne sedute di fronte, di cantare e suonare i loro strumenti. Subito suonarono una specie di preludio, e, dopo qualche tempo, una sola cominciò a cantare, accompagnandosi con un liuto, che suonava mirabilmente. Era stata istruita sull'argomento che doveva trattare con le sue canzoni; per questo motivo le sue parole corrispondevano esattamente ai sentimenti del principe di Persia, che non poté non applaudire alla fine della strofa.

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"Sarebbe possibile", esclamò, "che voi aveste il dono di penetrare nei cuori e che queste parole, con cui ci avete dato un saggio della vostra incantevole voce, vi fossero ispirate dai sentimenti che vedete in me? Io stesso non saprei parlare diversamente. "La donna non gli rispose nulla continuando a cantare molte strofe, e il principe ne fu così commosso, che ne ripeté qualcuna con le lacrime agli occhi, dando così a vedere che le riferiva a sé. Quando la donna ebbe finito di cantare, le compagne si alzarono e cantarono tutte insieme, dicendo:"La luna piena sta per alzarsi in tutto il suo splendore e tra poco la vedremo avvicinarsi al sole". Ciò significava che Shams an-Nahàr stava per comparire e che il principe di Persia avrebbe avuto ben presto il piacere di vederla. Infatti, guardando dalla parte della corte, ibn Tàhir ed il principe osservarono la schiava confidente che si avvicinava, seguita da dieci donne nere che portavano con molta pena un gran trono d'argento massiccio ammirabilmente lavorato. Essa lo fece posare dirimpetto a loro a una certa distanza, dopo di che le schiave nere si ritirarono dietro gli alberi all'entrata di un viale; poi venti donne, tutte belle e riccamente addobbate, avanzarono in due file cantando e suonando i loro strumenti e si collocarono intorno al trono. Tutti questi preparativi tenevano desta l'attenzione del principe di Persia e di ibn Tàhir che erano curiosi di vedere che cosa sarebbe accaduto. Da ultimo videro comparire dalla stessa porta da cui erano venute le schiave nere col trono e le altre con gli strumenti, dieci donne egualmente belle e ben vestite che sostarono in attesa della favorita. Infine, comparve in mezzo a loro Shams an-Nahàr. Era facile distinguerla per la statura e il maestoso portamento, e anche per una specie di mantello di una stoffa molto leggera, d'oro e turchino, che portava sulle spalle, sopra una veste elegantissima. Le perle, i diamanti e i rubini che le servivano di ornamento non erano troppo abbondanti né disposti confusamente; erano anzi pochi, ma scelti benissimo e di un valore inestimabile. Avanzò con una maestà che uguagliava quella del sole quando procede in mezzo alle nubi, che ricevono la sua luce senza nasconderne lo splendore, e venne a sedersi sul trono d'argento, preparato per lei. Appena il principe di Persia scorse Shams an-Nahàr, non ebbe più occhi che per lei. "Non si domandano più notizie di quello che si cercava", disse a ibn Tàhir, "quando lo si vede; non si è più in dubbio, quando la verità si manifesta.  Vedete quella leggiadra bellezza? Essa è l'origine dei miei mali, mali che benedico e non cesserò di benedire, per quanto gravi e di lunga durata possano essere. Io non sono più padrone di me stesso; l'anima mia si turba, si ribella e sento che mi vuole abbandonare. Parti dunque, anima mia, te lo permetto, ma ciò sia per il bene e la conservazione di questo corpo debole. Siete voi, ibn Tàhir che avete provocato questo disordine in me. Voi avete creduto di farmi un gran piacere, conducendomi qui, e invece avete finito di perdermi... Perdonatemi", soggiunse, ricomponendosi, "m'inganno, sono io che ho voluto venire e non posso prendermela che con me stesso. "Egli proruppe in lacrime terminando queste parole. "Vi sono grato", gli disse ibn Tàhir, "di avermi reso giustizia. Quando vi ho detto che Shams an-Nahàr era la prima favorita del califfo, l'ho fatto appositamente per soffocare la fatale passione che il vostro cuore nutre. Quanto vedete qui dovrebbe distogliervene lasciando sussistere solo i sentimenti di riconoscenza per l'onore che Shams an-Nahàr si è degnata di farvi, imponendomi di condurvi qui. Rimettetevi dunque e disponetevi a comparire davanti a lei, come il dovere vi impone. Eccola, si avvicina; se si potesse ricominciare prenderei altre misure: ma poiché la cosa è fatta, prego Dio che non ce ne dobbiamo pentire. Debbo inoltre dirvi" soggiunse, "che l'amore è un gran traditore che può gettarvi in un precipizio, dal quale non uscireste mai più. "Ibn Tàhir non ebbe tempo di dir altro, perché Shams an-Nahàr li raggiunse. Ella si sedette sul trono e salutò ambedue con un inchino. Poi fissò lo sguardo sul principe di Persia e parlarono entrambi, con un linguaggio muto fatto di sospiri, con cui in pochi istanti si dissero una infinità di cose. Quanto più Shams an-Nahàr guardava il principe, tanto più trovava nei suoi sguardi la certezza di amarlo e poiché era già persuasa della passione del principe, si sentiva la donna più felice dell'universo. Ella infine distolse gli occhi da lui, per comandare alle donne che prima avevano cantato di avvicinarsi. Esse s'alzarono, e, mentre avanzavano, le donne nere portarono loro le sedie, collocandole vicino alla finestra, nel cui vano erano ibn Tàhir e il principe di Persia, in modo che le sedie così disposte, e il trono della favorita e le donne che stavano ai suoi lati, vennero a formare un mezzo cerchio davanti a loro. Quando le donne ebbero ripreso ciascuna il suo posto, Shams an-Nahàr ne scelse una per cantare. Costei, dopo aver per alcuni momenti preludiato col liuto, intonò una canzone che parlava di due amanti, i quali si amavano appassionatamente e avevano, l'uno per l'altra, una tenerezza senza limiti, così che i loro cuori pur appartenendo a due corpi diversi, non ne facevano che uno. Quando qualche ostacolo s'opponeva al loro amore, essi potevano dirsi con le lacrime agli occhi: "Se noi ci amiamo perché ci troviamo amabili, siamo forse colpevoli? Ne ha colpa il destino". Shams an-Nahàr lasciò vedere nel suo sguardo e con i gesti che queste parole si riferivano a lei stessa ed al principe di Persia, ed egli non poté trattenersi. Si alzò, e avanzando lungo la balaustra che gli serviva d'appoggio chiese a una compagna di quella che cantava di accompagnarlo col suo liuto. Allora cantò un'aria, le cui parole tenere e appassionate esprimevano perfettamente la violenza del suo amore. Appena terminato Shams an-Nahàr, seguendo il suo esempio, disse a una delle donne:"Sta attenta ed accompagna il mio canto". E cominciò a cantare in modo tale che infiammò ancor più il cuore del principe di Persia. Egli allora le rispose con una nuova aria, più appassionata della prima. Dopo che i due amanti si furono dichiarato il loro amore reciproco, col canto, Shams an-Nahàr cedette alla forza della passione: scese dal trono fuori di sé e avanzò verso la porta della camera. Il principe, indovinando il suo proposito, si alzò ugualmente e le andò precipitosamente incontro. Si raggiunsero sotto la porta, si diedero la mano, e si baciarono con tanto piacere che svennero. Sarebbero caduti, se le donne, che avevano seguito Shams an-Nahàr non lo avessero impedito. Esse li sostennero e li fecero rinvenire gettando loro sul volto dell'acqua profumata e facendo loro fiutare delle essenze. Dopo che ebbero recuperato i sensi, Shams an-Nahàr si guardò intorno, e non vedendo ibn Tàhir, domandò con premura dove fosse. Questi si era infatti allontanato, per rispetto, mentre le donne curavano la loro padrona, e si domandava con qualche preoccupazione, e non a torto, quali conseguenze avrebbe dovuto sopportare per ciò che era accaduto sotto i suoi occhi. Quando seppe che la signora chiedeva di lui, si fece avanti e si presentò davanti a lei. Shams an-Nahàr fu molto contenta vedendo ibn Tàhir, e gli dimostrò la sua gioia con queste parole:"Ibn Tàhir, non so come dimostrarvi la mia riconoscenza per quanto vi debbo. Senza di voi non avrei mai conosciuto il principe di Persia, né amato ciò che al mondo vi è di più amabile. Siate persuaso che non sarò ingrata e che la mia riconoscenza, se è possibile, eguaglierà il beneficio ricevuto". Ibn Tàhir rispose a questo complimento con un profondo inchino e augurò alla favorita ogni bene che potesse desiderare. Shams an-Nahàr si rivolse al principe, seduto vicino a lei e lo guardò con una specie di confusione, dopo quanto era avvenuto tra loro:"Signore", gli disse, "sono certa che m'amate ardentemente e voi non potete dubitare che il mio amore non sia forte quanto il vostro. Ma non illudiamoci; sebbene i vostri ed i miei sentimenti siano uguali, io non vedo per voi e per me se non pene, sofferenze e sciagure mortali. Non vi è altro rimedio ai nostri mali se non di amarci sempre, sottomettendoci alla volontà del cielo, ed aspettando quanto il destino vorrà". "Signora", le rispose il principe di Persia, "mi fareste la più grande ingiustizia del mondo se dubitaste della costanza del mio amore.  Esso è così intimamente unito all'anima mia, che posso dire ne formi la parte migliore e per questo motivo esso durerà dopo la mia morte. Pene, tormenti, ostacoli, non potranno distogliermi dall'amarvi. "Detto ciò lasciò scorrere abbondanti lacrime, e Shams an-Nahàr non poté trattenere le sue. Ibn Tàhir colse questa occasione per parlare alla favorita:"Signora", disse, "permettetemi di farvi osservare che dovreste rallegrarvi di essere insieme, invece di consumarvi nel pianto. Io non capisco davvero il vostro dolore! Che sarà allora quando dovrete separarvi? Ma che dico? E' già ora che ce ne andiamo, perché da molto tempo siamo qui". "Ah, quanto siete crudele!", rispose Shams an-Nahàr.  "Voi conoscete la causa delle mie lacrime e non avete pietà dell'infelice stato in cui mi vedete? Che ho commesso per trovarmi nella infelice situazione di non poter godere dell'unica cosa che desidero?"Ma, poiché era persuasa che ibn Tàhir le avesse parlato così per amicizia, non fu offesa da quanto le aveva detto; anzi ne profittò.

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Infatti fece segno alla schiava sua confidente, che uscì subito, e portò poco dopo della frutta sopra una piccola tavola di argento, che collocò tra la sua padrona e il principe. Shams an-Nahàr scelse quanto vi era di meglio e lo offrì al principe, pregandolo di mangiare per amor suo. Egli lo prese e portò alla bocca la parte che essa aveva toccata. Poi offrì a sua volta qualche cosa a Shams an-Nahàr, che la prese e la mangiò nello stesso modo. La dama non dimenticò d'invitare ibn Tàhir a mangiare con loro; egli però, vedendosi in un luogo dove non si sentiva affatto sicuro, avrebbe preferito essere a casa sua, e mangiò solo per compiacenza. Dopo che la tavola fu sparecchiata, venne portato un catino d'argento, con dell'acqua in un vaso d'oro, e si lavarono le mani insieme. In seguito ripresero il loro posto; e allora tre schiave nere portarono ciascuna un piattino d'oro con una tazza di cristallo di rocca, piena di vino squisito, che posarono davanti a Shams an-Nahàr, al principe di Persia e a ibn Tàhir. Per essere più libera, Shams an-Nahàr trattenne vicino a sé solo le dieci donne nere, e le dieci che sapevano suonare e cantare: e dopo aver congedato le altre, prese una delle tazze e, tenendola in mano, cantò una canzone d'amore, che una donna accompagnò col liuto. Quando ebbe terminato, bevve, poi prese un'altra tazza, la offrì al principe, pregandolo di bere per amor suo come lei beveva per amore di lui. Egli la prese con un impeto d'amore e di gioia, ma, prima di bere, cantò egli pure una canzone, che una donna accompagnò con uno strumento, e, mentre cantava gli scorrevano abbondanti lacrime giù per il volto, così che diventavano vere le parole della sua canzone, che dicevano che non sapeva se stesse bevendo il vino che gli aveva offerto, oppure le lacrime. Shams an-Nahàr offrì infine la terza tazza ad ibn Tàhir che la ringraziò di cuore. Dopo di ciò, ella prese un liuto dalle mani di una schiava, e accompagnò la musica col canto in un modo così appassionato, che sembrava non fosse più padrona di se stessa: il principe di Persia con gli occhi fissi su lei, rimase immobile, come se fosse stato incantato. A un tratto la schiava confidente arrivò ansante, e, rivolgendosi alla padrona:"Signora", le disse, "Masrùr e due ufficiali, con diversi eunuchi, stanno alla porta e chiedono di parlarvi da parte del califfo". Quando il principe di Persia e ibn Tàhir udirono queste parole, impallidirono e cominciarono a tremare, come se fossero certi della loro morte. Ma Shams an-Nahàr li rassicurò con un sorriso. Poi incaricò la schiava sua confidente di andare a trattenere Masrùr e i due altri ufficiali del califfo, fino a che fosse in condizione di riceverli e mandasse a dire di farli passare. Inoltre ordinò di chiudere tutte le finestre della camera e di abbassare le tende dipinte dalla parte del giardino: e dopo aver assicurato il principe e ibn Tàhir che potevano restare lì senza timore, uscì per la porta del giardino, chiudendola dietro di sé. Anche se la dama aveva detto loro di star calmi e di non temere essi rimasero in grandissima incertezza per tutto il tempo in cui furono soli. Shams an-Nahàr, giunta nel giardino con le donne che l'avevano seguita, fece levare tutte le sedie delle donne che avevano suonato dal luogo dove il principe di Persia e ibn Tàhir le avevano udite: e quando vide che tutto era come desiderava, si sedette sul trono d'argento. Allora mandò ad avvertire la schiava sua confidente di condurle il capo degli eunuchi e i due ufficiali subalterni. Essi apparvero, seguiti da venti eunuchi neri, tutti ben vestiti, con la sciabola al fianco ed una cintura d'oro, alta quattro dita. Vedendo la favorita Shams an-Nahàr, le fecero una profonda riverenza, che essa rese loro dall'alto del trono. Quando furono più vicini, ella si alzò ed andò incontro a Masrùr, che camminava davanti agli altri, e gli chiese quali notizie le portasse. Egli rispose:"Signora, il grande califfo mi manda a voi per dirvi che non può vivere più a lungo senza vedervi. Ha deciso di venirvi a visitare questa notte: vengo ad avvertirvene, perché vi prepariate a riceverlo. Egli spera che lo vedrete con tanto piacere quanta è l'impazienza che egli ha di stare con voi". A questo discorso di Masrùr, la favorita Shams an-Nahàr si prostrò con la faccia a terra per mostrare la sottomissione con cui riceveva gli ordini del califfo. Quando si rialzò, disse:"Vi prego di dire al principe dei credenti che io mi farò sempre una gloria d'eseguire i comandi di sua maestà, e che la sua schiava si sforzerà di riceverlo con tutto il rispetto che gli è dovuto". Comandò poi alla sua schiava confidente di mettere il palazzo in ordine per ricevere il califfo, dirigendo le schiave nere destinate a questo compito. Poi congedando il capo degli eunuchi:"Ci vorrà del tempo per preparare ogni cosa; vi supplico quindi di fare in modo che il califfo abbia un poco di pazienza, perché non ci trovi in disordine". Quindi il capo degli eunuchi e il suo seguito si ritirarono e Shams an-Nahàr ritornò nel salone estremamente afflitta perché era costretta a mandar via il principe di Persia, più presto di quanto credesse. Andò da lui con le lacrime agli occhi, e ciò aumentò lo spavento di ibn Tàhir, che pensò si trattasse di qualche disgrazia. "Signora", le disse il principe, "vedo che venite ad annunziarmi che dobbiamo separarci. Spero che il cielo mi darà la forza di sopportare la vostra assenza. ""Ohimè! mio caro cuore, mia cara anima", interruppe la tenera Shams an-Nahàr, "quanto siete felice e quanto sono sciagurata, se confronto il vostro al mio destino! Voi soffrirete senza dubbio di non potermi vedere; ma questa sarà tutta la vostra pena, e potrete consolarvene con la speranza di rivedermi. Io, invece (giusto cielo) a quale dura prova sono sottoposta! Non sarò solamente priva della vista di ciò che unicamente amo, ma mi sarà necessario sopportare chi mi è ora diventato odioso. L'arrivo del califfo non mi farà dimenticare la vostra partenza! E come, occupata dalla vostra cara immagine, potrò mostrare a questo principe la gioia che ha sempre letto nei miei sguardi, ogniqualvolta è venuto? Avrò lo spirito distratto da voi, mentre gli parlerò e le piccole compiacenze con cui dovrò corrispondere alle prove del suo amore, saranno altrettanti colpi di pugnale per il mio cuore. Come potrei gradire le sue parole d'amore e le sue carezze?Giudicate o principe, a quali tormenti sarò esposta, quando non vi vedrò più!... "Le lacrime che scorrevano abbondanti e i singhiozzi le impedirono di proseguire. Il principe di Persia voleva risponderle, ma non ne ebbe la forza; il suo dolore e quello che gli dimostrava la sua amante gli avevano tolta la parola. Ibn Tàhir, che non vedeva l'ora di uscire dal palazzo, fu obbligato a consolarli, esortandoli ad aver pazienza. Ma la schiava confidente venne a interromperlo. "Signora", disse a Shams an-Nahàr, "non c'è più tempo da perdere. Gli eunuchi cominciano ad apparire e voi sapete che il califfo giungerà ben presto. ""Oh cielo! quanto questa separazione è crudele!", esclamò la favorita; indi aggiunse rivolta alla sua confidente: "Affrettatevi, conduceteli entrambi nella galleria che dà da una parte sul giardino e dall'altra sul Tigri: e quando la notte coprirà la terra con la più grande oscurità fateli uscire per la porta di dietro, perché se ne vadano senza pericolo. "A queste parole abbracciò teneramente il principe di Persia, senza potergli dire una sola parola, e poi andò incontro al califfo, nel disordine in cui si trovava. Intanto la schiava confidente condusse il principe e ibn Tàhir nella galleria indicata da Shams an-Nahàr, e li lasciò là chiudendo dall'esterno la porta, dopo averli assicurati che non avevano nulla da temere e che sarebbe tornata per farli uscire, quando fosse stato il momento. Quando la schiava confidente si fu ritirata, il principe di Persia e ibn Tàhir dimenticarono che aveva detto loro che non avevano nulla da temere. Esaminarono tutta la galleria e furono presi da grandissimo spavento, quando videro che non avrebbero in nessun modo potuto fuggire, nel caso che il califfo, o qualcuno dei suoi ufficiali, fosse venuto là. Videro all'improvviso una gran luce dalla parte del giardino, attraverso le gelosie, e mossi alla curiosità si avvicinarono per vedere da dove venisse. Proveniva da cento torce di cera bianca, che altrettanti giovani eunuchi portavano in mano. Questi erano seguiti da altri cento, più vecchi, che facevano parte della guardia delle donne del palazzo del califfo; erano vestiti ed armati di sciabola, come quelli di cui si è già parlato: e il califfo camminava dopo di loro tra Masrùr loro capo e Vassif loro secondo ufficiale. Shams an-Nahàr attendeva il califfo al principio di un viale, accompagnata da donne d'una bellezza sorprendente, ornate di collane e orecchini di grossi diamanti. Esse cantavano al suono dei loro strumenti e il loro concerto era bellissimo. La favorita, non appena vide apparire il califfo, gli andò incontro e si prostrò davanti a lui. Ma ciò facendo, diceva fra sé:"Principe di Persia, se i vostri occhi hanno la sciagura di vedere quanto faccio, giudicate quanto sia triste il mio destino. Innanzi a voi solo vorrei umiliarmi così, e il mio cuore non ne proverebbe ripugnanza". Il califfo esultò nel vedere Shams an-Nahàr. "Alzatevi, signora", le disse, "e avvicinatevi. Sono spiacente di essermi dovuto privare a lungo del piacere di vedervi."

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Ciò detto la prese per mano, e, senza smettere di dirle parole cortesi, andò a sedersi sul trono d'argento che Shams an-Nahàr gli aveva fatto portare. Lei sedette su una sedia davanti a lui; le venti donne formarono un cerchio intorno a loro, sopra altre sedie, e i giovani eunuchi si dispersero nel giardino a una certa distanza gli uni dagli altri, perché il califfo godesse il fresco della sera più comodamente. Allorché il califfo fu seduto si guardò intorno, e vide con grande soddisfazione tutto il giardino illuminato: ma fu meravigliato vedendo la sala chiusa, e ne domandò la ragione. Infatti, non appena ebbe parlato, le finestre vennero aperte in un momento, e vide una illuminazione assai migliore di quella che aveva veduto prima. "Leggiadra Shams an-Nahàr", esclamò a questo spettacolo, "io vi comprendo: voi avete voluto farmi capire che vi sono delle notti belle come i più bei giorni. Da ciò che vedo, vi do ragione. "Ritorniamo intanto al principe di Persia e ad ibn Tàhir, che abbiamo lasciato nella galleria. Ibn Tàhir non si stancava di ammirare tutto ciò che vedeva. "Io non sono giovane", disse, "e ho veduto grandi feste durante la mia vita: ma non credo si possa vederne di più sorprendenti e di più grandiose. Quanto si dice dei palazzi incantati non può essere paragonato al prodigioso spettacolo che abbiamo davanti agli occhi. Quanta ricchezza e quanto lusso insieme!"Il principe di Persia invece non era affatto attratto da quelle magnificenze che davano tanto piacere a ibn Tàhir. Non aveva occhi che per guardare Shams an-Nahàr, e la presenza del califfo lo addolorava terribilmente. "Caro ibn Tàhir", disse, "piacesse a Dio che avessi l'animo tanto sgombro da poter guardare ciò che dovrebbe suscitarmi ammirazione, come voi! Ma ohimè! io sono in uno stato d'animo ben diverso, tutti questi oggetti non servono che ad aumentare il mio tormento. Posso forse vedere il califfo da solo a solo con colei che amo, e non morire di disperazione? E' possibile che un amore tenero come il mio sia turbato da un rivale potente? Cielo! quanto il mio destino è bizzarro e crudele! Un momento fa mi credevo l'amante più fortunato del mondo, e ora mi sento il cuore ferito da un colpo che mi dà la morte. Non posso resistere, mio caro ibn Tàhir: la mia pazienza è al termine: il mio male mi pesa e il mio coraggio è vinto!"Stava ancora parlando quando nel giardino accadde qualcosa che l'obbligò a tacere e a prestare attenzione. Infatti il califfo aveva ordinato a una schiava di cantare, accompagnandosi con il liuto, e la giovane cominciò a cantare. Le parole del canto erano appassionate, e il califfo, persuaso che le cantasse per ordine di Shams an-Nahàr, che spesso gli aveva dato simili dimostrazioni di tenerezza, pensò fossero rivolte a lui. Ma questa volta l'intenzione di Shams an-Nahàr era diversa. Essa le dedicava al suo caro Ali ibn Bakkàr, e sentì tanto dolore vedendosi invece davanti il califfo di cui non poteva più sopportare la presenza, che svenne. Si rovesciò indietro, e poiché la sedia non aveva spalliera sarebbe caduta, se alcune schiave non l'avessero prontamente soccorsa, prendendola fra le loro braccia, e portandola in un'altra camera. Ibn Tàhir, che era nella galleria, sorpreso da tale avvenimento, si volse al principe di Persia, ma invece di vederlo appoggiato alla gelosia accanto a lui, fu molto meravigliato di vederselo steso ai piedi, immobile. Da questo giudicò quanto fosse grande l'amore che il principe provava per Shams an-Nahàr, e ammirò questo strano effetto di simpatia, che però gli causò una grandissima preoccupazione, a motivo del luogo dove si trovavano. Malgrado ciò fece quanto era in lui per far rinvenire il principe, ma inutilmente. Ibn Tàhir si trovava in una tale situazione, quando la confidente di Shams an-Nahàr aprì la porta della galleria ed entrò senza fiato. "Venite subito", esclamò, "vi farò uscire di qui. C'è una grande confusione, e credo che questo sia l'ultimo dei nostri giorni. ""Eh! com'è possibile partire!", rispose ibn Tàhir con tono triste e mesto. "Avvicinatevi, di grazia, e vedete in quale stato è il principe di Persia. "Quando la schiava lo vide svenuto, corse subito a pigliare dell'acqua. Infine il principe di Persia, dopo che gli ebbero gettata un po' d'acqua sul viso, recuperò i sensi. "Principe", gli disse ibn Tàhir, "corriamo rischio di morire, se restiamo qui ancora: fate dunque uno sforzo e usciamo al più presto. "Il principe era così debole che non poteva alzarsi da solo. Ibn Tàhir e la confidente lo aiutarono, e sostenendolo dai due lati, andarono fino a una piccola porta di ferro che dava sul Tigri. Uscirono per quella porta e avanzarono fino alle sponde d'un piccolo canale, che comunicava col fiume. La confidente picchiò le mani e subito apparve una barchetta con un solo rematore che si accostò alla riva. Ali ibn Bakkàr e il suo compagno si imbarcarono, e la schiava confidente restò sulla sponda del canale. Appena il principe fu seduto in barca, tese una mano verso il palazzo, e, mettendosi l'altra sul cuore:"Caro oggetto dell'anima mia", disse con debole voce, "il mio cuore brucerà eternamente per voi!". Intanto il barcaiolo remava con tutte le sue forze. La schiava confidente di Shams an-Nahàr accompagnò il principe di Persia e ibn Tàhir camminando lungo la riva del canale fino a che giunsero al corso del Tigri; allora, non potendo andar più oltre, si congedò da loro e tornò indietro. Il principe di Persia era sempre debolissimo. Ibn Tàhir lo consolava e lo esortava ad avere coraggio.  "Pensate", gli disse, "che quando saremo sbarcati, avremo molto cammino da fare, prima di giungere a casa mia; mentre è impossibile condurvi a quest'ora e nello stato in cui siete fino alla vostra correndo il rischio di incontrare la pattuglia"Sbarcarono finalmente: ma il principe aveva così poche forze da non poter camminare, ciò che fu di grave impaccio per ibn Tàhir. Ricordando che viveva in quella zona un suo amico, trascinò fin là il principe con moltissima fatica. L'amico l'accolse con gran gioia: e dopo averli fatti sedere domandò loro da dove venissero così tardi. Ibn Tàhir gli rispose:"Ho saputo questa sera che un mio debitore stava per partire per un lungo viaggio, e non volendo perdere la somma, sono andato da lui, e per strada ho trovato questo signore a cui devo molto. Poiché conosce il mio debitore, ha voluto farmi il favore di accompagnarmi. Abbiamo durato fatica a persuadere quell'uomo: ma infine ne siamo venuti a capo. Questo è il motivo per cui siamo in giro a quest'ora. Nel cammino di ritorno, poco lontano da qui, questo buon signore, per cui ho tutta la considerazione, all'improvviso è stato assalito da un grave male, e io mi sono preso la libertà di bussare al vostro uscio. Mi sono lusingato che volentieri ci avreste offerto un asilo per questa notte". L'amico di ibn Tàhir si contentò di questa storia e diede loro il benvenuto. Egli offrì al principe tutta l'assistenza di cui aveva bisogno. Ma ibn Tàhir, parlando a nome del principe, disse che il suo male era tale da non aver bisogno che di riposo. L'amico allora li condusse in un appartamento dove li lasciò perché si coricassero liberamente. Il principe dormì, ma il suo sonno fu turbato da tristi sogni, in cui compariva Shams an-Nahàr svenuta ai piedi del califfo, e queste immagini accrescevano la sua angoscia. Ibn Tàhir aveva grandissima premura di ritornarsene in casa, dubitando a ragione che la sua famiglia fosse in grande inquietudine, poiché non aveva l'abitudine di restare fuori la notte. Si alzò quindi e se ne andò di buon mattino dopo essersi congedato dal suo amico, che si era alzato allo spuntar del giorno, per dire la sua preghiera. Finalmente giunse a casa, col principe di Persia, che lo aveva seguito. Questi, appena arrivato, si gettò su di un sofà, stanco come se avesse fatto un gran viaggio. Non essendo in condizione di andare a casa sua, ibn Tàhir gli fece preparare una camera, e perché non stessero in pensiero per lui mandò a dire ai suoi, lo stato e il luogo in cui era. Pregò poi il principe di Persia di stare tranquillo e di comandare come se fosse a casa sua, facendo ciò che voleva. "Accetto volentieri le vostre offerte cortesi", gli disse il principe, "ma non vorrei darvi imbarazzo, e vi scongiuro di fare come se io non ci fossi. Non vorrei restare qui un altro momento, se pensassi che vi do il minimo disturbo. "Appena ibn Tàhir si vide libero, disse alla sua famiglia quanto era avvenuto nel palazzo di Shams an-Nahàr, e finì ringraziando il cielo d'averlo liberato da quel pericolo. I familiari del principe di Persia vennero in casa di ibn Tàhir a ricevere gli ordini del loro padrone; vennero anche alcuni amici, avvertiti della sua indisposizione. Essi passarono la maggior parte del giorno presso di lui, e se la loro compagnia non poté fare svanire le tristi idee che erano causa del suo male, gli furono di qualche vantaggio, perché almeno lo sollevarono un po'. Egli voleva prender congedo da ibn Tàhir verso la fine del giorno: ma questo amico fedele lo trovò ancora troppo debole, e lo pregò di aspettare l'indomani. Per rallegrarlo lo distrasse con canti e suoni. Ma ciò servì solamente a richiamare alla memoria del principe la sera precedente, ed aumentò il suo dolore invece di alleviarlo. Allora ibn Tàhir non s'oppose più al disegno del principe di ritornare a casa sua. S'incaricò egli stesso di farvelo condurre: e quando si vide solo con lui nel suo appartamento, cercò con mille ragioni di convincerlo che era necessario fare uno sforzo generoso per vincere una passione che non poteva finire bene né per lui, né per la favorita. "Ah! caro ibn Tàhir", esclamò il principe, "quanto è facile per voi dare consigli! Ma per me è altrettanto difficile seguirli! Io capisco che avete ragione senza poterne profittare. L'ho già detto: porterò nella tomba l'amore che nutro per Shams an-Nahàr. "Quando ibn Tàhir vide che non poteva recare nessun giovamento al principe, prese congedo da lui per andarsene. Il principe di Persia lo trattenne dicendogli:"Caro ibn Tàhir, se non posso seguire i vostri saggi consigli, vi supplico di non farmene colpa e di non privarmi della vostra amicizia. Rimanetemi amico e per provarmelo datemi notizie di Shams an-Nahàr se ne avrete. L'incertezza in cui sono a causa del suo svenimento mi procura un male di cui non posso guarire". "Signore", gli rispose ibn Tàhir, "state sicuro che il suo svenimento non ha avuto conseguenze funeste, e che la confidente verrà senza dubbio ad informarmi di quanto è avvenuto. Non appena avrò notizie, non mancherò di venire a riferirvele. "Ibn Tàhir lasciò il principe con questa speranza e ritornò a casa, dove attese inutilmente per tutto il resto del giorno la venuta della confidente di Shams an-Nahàr; nemmeno l'indomani la vide. Egli era anche inquieto per la salute del principe di Persia, e ciò non gli permise di stare più a lungo senza vederlo. Andò da lui col proposito di esortarlo ad avere pazienza. Lo trovò a letto, nello stesso stato di prima, circondato da molti amici e da alcuni medici che impiegavano tutti i segreti della loro scienza per scoprire la causa del suo male. Non appena vide ibn Tàhir, lo guardò sorridendo per dirgli che godeva moltissimo di rivederlo e per mostrargli quanto i suoi medici s'ingannavano nei loro ragionamenti. Gli amici e i medici se ne andarono l'uno dopo l'altro, e ibn Tàhir restò solo con l'ammalato. Si avvicinò al suo letto per domandargli come stava. "Vi dirò", gli rispose il principe, "che il mio amore, che si rafforza continuamente, e l'incertezza del destino dell'amabile Shams an-Nahàr, aumentano ogni momento il mio male riducendomi in uno stato che affligge i miei amici e sconcerta i medici, che non ci capiscono nulla. Voi non potete credere", aggiunse, "quanto soffro nel vedere tante persone che m'importunano e che non posso scacciare. Voi siete il solo la cui compagnia mi sollevi. Ma ora ditemi tutto e non nascondetemi la verità. Quali notizie mi portate di Shams an-Nahàr? Avete visto la sua confidente? Che vi ha detto?"Ibn Tàhir rispose di non averla vista, e appena ebbe detto ciò, il principe cominciò a versare abbondanti lacrime che gli inondavano il volto, senza che potesse articolare una sola parola, tanto aveva il cuore gonfio. "Principe", riprese allora ibn Tàhir, "permettetemi di dimostrarvi che fate di tutto per tormentarvi. In nome del cielo, asciugate le vostre lacrime; qualcuno può entrare da un momento all'altro, e voi sapete con quale cura dovete celare i vostri sentimenti, mentre facendo così li manifestate apertamente. "Qualunque cosa dicesse questo saggio confidente, non fu possibile al principe soffocare le lacrime. "Saggio ibn Tàhir", disse, quando poté infine parlare, "posso impedire alla mia lingua di rivelare il segreto del mio cuore, ma non ho potere sulle mie lacrime e ho ben motivo di piangere temendo per Shams an-Nahàr. Se quest'adorabile ed unico oggetto dei miei desideri non fosse più al mondo, non sopravviverei nemmeno un istante. ""Scacciate un pensiero così funesto", replicò ibn Tàhir, "Shams an-Nahàr vive ancora, e voi non ne dovete dubitare; se non vi ha fatto avere sue notizie, sarà stato perché non le si è presentata l'occasione, e spero che non passerà questa giornata, senza che siate informato su di lei. "Aggiunse a ciò molte altre parole consolanti, dopo di che si ritirò. Non appena ibn Tàhir giunse a casa, venne la confidente di Shams an-Nahàr. Aveva un'aria triste, da cui egli trasse un cattivo presagio. Le domandò notizie della sua padrona. "Ditemi prima le vostre", gli rispose la confidente, "poiché sono stata in grande ansia vedendovi partire, nello stato in cui era il principe di Persia. "Ibn Tàhir le riferì quanto voleva sapere, e quando ebbe finito la schiava aggiunse:"Se il principe di Persia ha sofferto e soffre ancora per la mia padrona, lei non ha penato meno di lui. Dopo che vi lasciai", proseguì, "nel tornare nella camera, trovai Shams an-Nahàr ancora svenuta, ad onta dei rimedi che le erano stati prodigati. Il califfo le stava vicino con grandissimo dolore, e domandava a tutte le donne, e a me in particolare se conoscessimo la causa del suo male. Noi però mantenemmo il segreto e gli dicemmo tutt'altra cosa. Ma piangevamo tutte nel vederla soffrire così a lungo e non lasciavamo nulla d'intentato per soccorrerla. Finalmente, oltre mezzanotte, rinvenne. Il califfo, che aveva avuto la pazienza di aspettare fino a quel momento, dimostrò grande gioia, e domandò a Shams an-Nahàr quale potesse essere la causa del suo male.

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Appena ella udì la voce di lui, fece uno sforzo per rialzarsi, e, dopo avergli baciato i piedi, prima che lui avesse potuto impedirglielo:"Sire", disse, "il cielo avrebbe dovuto farmi la grazia di spirare ai piedi di vostra maestà, per dimostrarvi con ciò fino a qual punto sono commossa della vostra bontà". "So bene che voi mi amate", le disse il califfo, "ma vi comando di curarvi per amor mio. A quel che sembra oggi avete fatto qualche fatica che vi ha causato questa indisposizione; abbiatevi cura, e vi prego di astenervene un'altra volta. Sono contento di vedervi in migliori condizioni di salute, e vi consiglio di passare qui la notte invece di andare nel vostro appartamento, per timore che il moto non abbia a farvi male. "Ciò detto, ordinò di portare del vino, e glielo fece bere per darle forza. Dopo di ciò, si congedò da lei, e si ritirò nel suo appartamento. Appena il califfo fu partito, la mia padrona mi fece segno di avvicinarmi, e mi domandò vostre notizie con inquietudine. Le dissi che da lungo tempo non eravate più nel palazzo, e la rassicurai a questo proposito. Mi guardai peraltro di parlarle dello svenimento del principe di Persia, per timore di vederla ricadere nello stato da cui le nostre cure l'avevano tratta con tanta pena, ma la mia precauzione fu inutile come sempre. "Principe", esclamò infatti, "rinuncio ormai a qualunque piacere finché non potrò rivederti. Se ti ho ferito il cuore, non ho fatto che seguire il tuo esempio. Tu non cesserai di versare lacrime finché non ti sarà dato di rivedermi: ed è giusto che io pianga e mi affligga finché tu non sia restituito al mio desiderio di te. "Terminando queste parole svenne una seconda volta tra le mie braccia". "Si durò molta fatica", continuò, "le mie compagne e io, per farla rinvenire. Rinvenne finalmente, ed allora le dissi:"Signora, siete dunque decisa a lasciarvi morire, e a farci morire tutte con voi? Vi supplico, in nome del principe di Persia, per il quale solamente vi preme la vita, di voler conservare i vostri giorni. Deh! lasciatevi persuadere, e fate quello sforzo che dovete a voi stessa, all'amore del principe, e al nostro attaccamento per voi". "Vi sono molto grata", rispose, "delle vostre cure, del vostro zelo e dei vostri consigli. Ma, ohimè! a che mi servono? Non dobbiamo illuderci con false speranze, e solo nella tomba troveremo il termine dei nostri tormenti. "Una mia compagna cercò di distrarla dai suoi tristi pensieri, cantando un'aria sul liuto: ma lei le ordinò di tacere e comandò a lei e a tutte le altre di ritirarsi, trattenendo solamente me, perché passassi la notte con lei. La passò in gemiti e pianti: chiamava continuamente il principe di Persia e si lamentava della sorte, che l'aveva destinata al califfo, che non poteva amare, anziché a lui, che amava perdutamente. L'indomani, non trovandosi a suo agio in quella camera, l'aiutai a tornare nel suo appartamento, e tutti i medici del palazzo vennero a visitarla per ordine del califfo, che, poco dopo, arrivò anche di persona. I rimedi ordinati a Shams an-Nahàr non ebbero nessun effetto perché nessuno conosceva la causa del suo male, e la soggezione in cui la metteva la presenza del califfo, non faceva che aumentarlo. Però questa notte ha riposato un poco, e appena s'è svegliata mi ha imposto di venire a trovarvi per avere notizie del principe. ""Io vi ho già dato sue notizie", le disse ibn Tàhir, "tornate dunque dalla vostra padrona ed assicuratela che il principe attendeva tanto impazientemente sue notizie, quanto lei quelle di lui. Esortatela soprattutto a moderarsi e a contenersi, per non lasciarsi sfuggire davanti al califfo qualche parola, che potrebbe perderci tutti. ""Per me", soggiunse la confidente, "ve lo confesso, ho molta paura. Io mi sono già presa la libertà di dirle il mio pensiero e sono persuasa che non se l'avrà a male, se gliene parlo ancora da parte vostra. "Ibn Tàhir, che era tornato a casa proprio allora dal principe di Persia, non giudicò opportuno ritornarvi così presto trascurando alcuni importanti affari: vi andò dunque alla fine del giorno. Il principe era solo e nello stato della mattina. "Ibn Tàhir", gli disse, vedendolo comparire, "voi avete senza dubbio molti amici: ma essi non conoscono quanto valete. Io sono confuso di quanto fate per me, con tanto affetto, e non so come potrò ricambiare. ""Principe", rispose ibn Tàhir, "lasciamo questi discorsi, ve ne supplico. Io sono pronto non solo a dare uno dei miei occhi per conservarvi l'altro, ma anche a sacrificare la mia vita per la vostra. Ma ora non si tratta di ciò. Io vengo a dirvi che Shams an-Nahàr mi ha mandato la sua confidente, per domandare vostre notizie e intanto per informarvi delle sue. Quanto le ho detto di voi, siatene certo, l'ha convinta ancor più di prima del vostro grande amore per la sua padrona, e della vostra costanza. "Ibn Tàhir gli fece in seguito un minuzioso rapporto di quanto gli aveva detto la schiava confidente. Il principe l'ascoltò, dando volta a volta segni di timore, di gelosia, di tenerezza e di compassione, a seconda dei sentimenti che il discorso gli ispirava, facendo sopra ogni cosa quelle riflessioni ora tristi, ora liete che un amante appassionato come lui può fare. La loro conversazione durò così a lungo che, essendo ormai la notte molto avanzata, il principe obbligò ibn Tàhir a restare con lui. L'indomani, quando fu di ritorno a casa sua, questo fedele amico, vide una donna che gli veniva incontro e riconobbe la confidente di Shams an-Nahàr; quando lo ebbe raggiunto essa gli disse:"La mia padrona vi saluta e vi prega, per mio mezzo, di dare questa lettera al principe di Persia". Lo zelante ibn Tàhir prese la lettera e ritornò dal principe, accompagnato dalla schiava. Quando entrò, pregò la confidente di restare un momento nell'anticamera ad attenderlo. Appena il principe lo vide, gli domandò con premura quali notizie gli portasse. "La migliore che possiate sperare", gli disse ibn Tàhir, "siete amato tanto teneramente quanto voi amate.  La confidente di Shams an-Nahàr è nella vostra anticamera: vi porta una lettera da parte della sua padrona, e non aspetta che il vostro ordine per entrare. ""Che entri!", esclamò il principe con un impeto di gioia: e dicendo così si sedette sul letto per riceverla. Poiché i servi del principe erano usciti, non appena avevano visto entrare ibn Tàhir, per lasciarlo in libertà col loro padrone, andò egli stesso ad aprire la porta e fece entrare la confidente. Il principe la riconobbe e l'accolse con grande cortesia. "Signore", gli disse, "so tutti i mali che avete sofferto dacché ebbi l'onore di chiamare la barca, che vi attendeva per ricondurvi qui. Ma spero che la lettera che vi porto contribuirà alla vostra guarigione. "A queste parole, gli porse la lettera che egli prese. Dopo averla baciata più volte, l'aprì, e lesse le seguenti parole:Shams an-Nahàr al principe di Persia Ali ibn Bakkàr!La persona che vi darà questa lettera vi dirà di me, meglio di quanto io possa fare, poiché io non mi conosco dacché non vi vedo. Priva della vostra presenza, cerco di ingannarmi, scrivendovi queste poche righe, con lo stesso piacere che se avessi la felicità di parlarvi. Si dice che la pazienza è un rimedio a tutti i mali, e invece essa esaspera i miei e non li calma. Quantunque il vostro ritratto sia profondamente scolpito nel mio cuore, i miei occhi desiderano incessantemente rivedere l'originale, e perderebbero tutta la luce se per necessità ne restassero più lungamente privi. Posso sperare che i vostri occhi abbiano la stessa impazienza di vedermi? Sì, lo posso, me l'hanno fatto comprendere coi loro teneri sguardi. Quanto a voi, o principe, sarei felice, se i miei desideri, così uguali ai vostri, non fossero contrariati da ostacoli insuperabili. Simili ostacoli mi affliggono tanto più vivamente in quanto affliggono anche voi. Questi sentimenti che la mia mano traccia, e che esprimo con un piacere incredibile, ripetendoli più volte, vengono dal più profondo del mio cuore e dalla ferita incurabile che mi avete inferta, ferita che io benedico mille volte, ad onta della mia sofferenza per la vostra lontananza. Non mi curerei di ciò che si oppone ai nostri amori se mi fosse concesso qualche volta di vedervi liberamente. Allora vi possederei, e chi potrebbe essere più felice di me?Non supponete che queste mie parole dicano più di quanto penso. Ohimè! Qualunque espressione abbia potuto scrivere, sento che è inferiore a quanto penso. I miei occhi, che sono in continua veglia, versano incessantemente lacrime, aspettando il momento di rivedervi; il mio cuore afflitto non desidera che voi; mi sfuggono sospiri ogni volta che penso a voi, cioè ogni momento; la mia immaginazione non mi rappresenta altri oggetti se non il mio caro principe. I lamenti che innalzo al cielo per la durezza del mio destino: e la mia tristezza, le mie inquietudini, i miei tormenti, che non mi danno nessuna tregua dacché non vi vedo, vi dimostrino la verità di quanto vi scrivo. Non sono forse la più disgraziata e infelice delle donne, io che sono nata per amare, e non ho neppure la speranza di godere della vicinanza di chi amo?Questo pensiero desolante mi opprime al punto che ne morirei se non fossi persuasa che voi mi amate. Una così dolce consolazione compensa la mia disperazione e mi attacca alla vita. Assicuratemi che mi amate sempre; io custodirò la vostra lettera preziosamente: la leggerò mille volte al giorno e sopporterò i miei mali con minore impazienza. Spero che il cielo cessi una buona volta di essere irato contro di noi e ci faccia trovare l'occasione di dirci senza testimoni che ci amiamo e che ci ameremo per sempre. Addio!P.S. Saluto anche ibn Tàhir, a cui dobbiamo ambedue tanta riconoscenza. Il principe di Persia non si accontentò di leggere una volta questa lettera. Gli sembrò di non averlo fatto abbastanza attentamente. Allora la rilesse più lentamente, e, leggendola, emetteva tristi sospiri, o versava abbondanti lacrime, o si lasciava andare a impeti di tenerezza e di gioia, secondo quello che leggeva. Egli non si stancava di scorrere con gli occhi quei caratteri vergati dalla cara mano, e si preparava a leggerli per la terza volta, quando ibn Tàhir gli disse che la confidente non aveva tempo da perdere, e che bisognava pensare a darle la risposta. "Ohimè!", esclamò il principe di Persia, "in qual modo volete che io risponda ad una lettera così affettuosa? In quali termini m'esprimerò nel turbamento in cui sono? Ho lo spirito agitato da mille pensieri crudeli, e i miei sentimenti svaniscono subito per dar luogo ad altri. Finché il mio corpo seguirà le impressioni dell'anima, come potrò tenere una carta e dirigere la penna, per tracciarvi le lettere?"Ciò detto tirò fuori da un piccolo scrittoio della carta, una penna temperata e un corno dov'era l'inchiostro. Prima di scrivere però diede la lettera di Shams an-Nahàr a ibn Tàhir, e lo pregò di tenerla aperta, perché guardandola, potesse sapere ciò che doveva rispondere. Cominciò a scrivere: ma le lacrime, che cadevano sulla carta, l'obbligarono diverse volte a fermarsi per lasciarle scorrere liberamente. Finalmente terminò la lettera e dandola ad ibn Tàhir gli disse:"Leggetela, ve ne prego, e fatemi la grazia di dirmi se il disordine in cui è il mio spirito mi ha permesso di scrivere una risposta ragionevole". Ibn Tàhir la prese e lesse quel che segue:Il principe di Persia alla bella Shams an-Nahàr!Io ero immerso in un'afflizione mortale quando ho ricevuta la vostra lettera. Al solo vederla sono stato invaso da una gioia ineffabile: ed alla vista dei caratteri tracciati dalla vostra bella mano, i miei occhi hanno ricevuto una luce più viva di quella che avevano i vostri, allorché si chiusero a un tratto ai piedi del mio rivale. Le parole che contiene la vostra bella lettera sono altrettanti raggi luminosi che hanno dissipato le tenebre che mi oscurano lo spirito. Esse mi fanno sapere quanto soffrite per me, non ignorando quanto io soffro per voi: e perciò sono di balsamo ai miei mali. Da una parte mi fanno versare abbondanti lacrime, dall'altra infiammano il mio cuore d'un fuoco che lo sostiene e m'impedisce di morire di dolore. Io non ho avuto un momento di riposo dopo la nostra crudele separazione. Solo la vostra lettera reca qualche sollievo ai miei mali. Sono stato mesto e silenzioso, finché non l'ho ricevuta; essa mi ha ridonato la parola. Ero immerso in una profonda malinconia: essa mi ha ispirato una gioia immensa. La mia sorpresa, nel ricevere un favore che non merito, è stata così grande che non sapevo da dove cominciare per dimostrarvene la mia riconoscenza. Finalmente, dopo averla baciata più volte, come una prova preziosa della vostra bontà, l'ho letta e riletta, restando confuso della mia felicità. Voi volete che io vi ripeta che vi amo ancora? Ah! anche se non vi amassi immensamente come vi amo, non potrei non adorarvi dopo tutte le straordinarie prove d'amore che mi avete date. Sì, anima mia, io vi amo, e sono fiero di bruciare per tutta la vita al dolce incendio che avete acceso nel mio cuore. Non mi lamenterò mai del vivo ardore che mi consuma, e per quanto siano crudeli i mali cagionati dalla vostra lontananza, io li sopporterò fieramente con la speranza di vedervi un giorno.  Piacesse al cielo che ciò potesse avvenire in questo stesso momento, e che invece di mandarvi la mia lettera mi fosse permesso di venire ad assicurarvi che muoio d'amore per voi! Le lacrime mi impediscono di dirvi altro. Addio. Ibn Tàhir non poté leggere queste ultime righe senza piangere. Rese la lettera al principe di Persia, assicurandolo che non vi era nulla da correggere. Il principe la chiuse, e quando l'ebbe suggellata, chiamò la confidente di Shams an-Nahàr, che se ne stava un po' discosta. "Eccovi la risposta alla lettera della vostra cara padrona", le disse. "Vi supplico di portargliela e di salutarla da parte mia. "La schiava prese la lettera e se ne andò con ibn Tàhir. Questi, dopo aver accompagnato per qualche tempo la schiava confidente, si separò da lei e ritornò a casa, dove si mise a considerare profondamente l'intrigo amoroso in cui sciaguratamente era immischiato. Gli sembrava che il principe di Persia e Shams an-Nahàr, si comportassero con poca discrezione e non tenessero abbastanza nascosto il loro amore. Trasse da ciò tutte le conseguenze che un uomo di buon senso poteva trarre. "Se Shams an-Nahàr", diceva tra se medesimo, "fosse una donna comune, io farei ogni sforzo per rendere felice il suo amante e lei: ma è la favorita del califfo, e non c'è persona che possa cercare impunemente di piacere a colei che egli ama. La sua collera cadrà dapprima su Shams an-Nahàr, poi costerà la vita al principe di Persia, ed io sarò coinvolto nella sua disgrazia. Inoltre devo salvare il mio onore, il mio riposo, la mia famiglia e i miei beni. Devo dunque, ora che ci penso, liberarmi da questo pericolo. "Questi pensieri l'occuparono per tutto quel giorno. L'indomani andò dal principe di Persia col proposito di fare un ultimo sforzo per vincere la sua passione. Infatti gli ripeté quello che altre volte gli aveva detto inutilmente; che avrebbe fatto meglio ad armarsi di coraggio e sforzarsi di dimenticare l'amore che aveva per Shams an-Nahàr, invece di abbandonarvisi a corpo morto; che questa inclinazione era molto pericolosa perché il suo rivale era più potente. "Insomma signore", soggiunse, "se darete retta alle mie parole penserete a trionfare del vostro amore; altrimenti, correte il rischio di perdervi insieme a Shams an-Nahàr, la cui vita deve esservi più cara della vostra. Io vi do questo consiglio da amico, e verrà un giorno in cui me ne sarete grato. "Il principe ascoltò con impazienza ibn Tàhir, ma lo lasciò dire tutto quello che volle; poi, prendendo la parola a sua volta, rispose:"Ibn Tàhir, credete possibile che io possa cessare d'amare Shams an-Nahàr che mi ama con tanta tenerezza? Ella non teme di esporre la sua vita per me, e voi credete che io sia capace di preoccuparmi di conservare la mia? Ma, qualunque sciagura possa capitarmi, io voglio amare Shams an-Nahàr fino all'ultimo respiro". Ibn Tàhir, sdegnato dell'ostinazione del principe di Persia, lo lasciò bruscamente e tornò a casa sua, dove, ricordandosi delle riflessioni del giorno precedente, si mise a pensare seriamente al partito da prendere. In questo frattempo un gioielliere, suo intimo amico, venne a trovarlo. Questo gioielliere si era accorto che la confidente di Shams an-Nahàr andava da ibn Tàhir più spesso del solito, e che ibn Tàhir stava quasi sempre dal principe di Persia, la cui malattia era nota a tutti senza peraltro che se ne conoscesse la causa. Tutto ciò aveva destato in lui dei sospetti. Siccome vide che ibn Tàhir era meditabondo, immaginò che qualche affare importante l'imbarazzasse, e pensando che quello ne fosse il motivo, gli chiese ciò che voleva da lui la schiava confidente di Shams an-Nahàr. Ibn Tàhir restò un po' interdetto a questa domanda, e cercò di cavarsela dicendo che essa veniva spesso da lui per una bagatella. Ma l'amico gli replicò:"Voi non mi parlate sinceramente, e con la vostra reticenza mi convincete che questa bagatella sia un affare più importante di quanto avessi dapprima creduto". Ibn Tàhir, vedendosi incalzato, disse:"E' vero, questo affare è della massima importanza: io avevo deciso di tenerlo segreto, ma poiché conosco l'interesse che prendete a tutto ciò che mi riguarda, preferisco dirvi la verità piuttosto di lasciarvi sospettare cose che non sono. Io non vi raccomando il segreto perché vedrete voi stesso quanto sia importante custodirlo". Dopo questo preambolo, gli narrò gli amori del principe di Persia e di Shams an-Nahàr. "Voi sapete", aggiunse, "in quale considerazione sono tenuto a corte e nella città, presso i signori più ragguardevoli. Quale vergogna per me se questi temerari amori venissero scoperti! Ma che dico! Saremmo perduti tutti, la mia famiglia e io! Ecco ciò che mi opprime l'anima; ma ho preso una decisione. Ho debitori e creditori: mi darò grandissima premura di pagare i miei debiti e di incassare i miei erediti, e appena avrò messo al sicuro tutti i miei beni, mi ritirerò a Bassora, dove resterò finché la tempesta non sarà passata. L'amicizia che nutro per Shams an-Nahàr e per il principe di Persia mi addolora per le sciagure che potranno capitare loro, e prego il cielo di far loro comprendere il pericolo a cui sono esposti e di conservarli: ma se il destino vuole che i loro amori vengano scoperti dal califfo, io sarò almeno al sicuro dal suo risentimento, poiché non li credo così cattivi da volermi coinvolgere nella loro disgrazia. La loro ingratitudine sarebbe estrema se giungessero a tanto, perché sarebbe contraccambiare malamente i servizi che ho reso loro e i buoni consigli che ho dato, specialmente al principe di Persia, che, se volesse, potrebbe ancora salvarsi dal precipizio, insieme a Shams an-Nahàr, allontanandosi da Bagdàd come me: la lontananza lo guarirebbe pian piano da una passione che invece aumenterà sempre, se si ostina a rimanere qui. ""Quanto m'avete detto, è molto importante, e non comprendo come Shams an-Nahàr e il principe di Persia siano stati capaci di abbandonarsi a una passione così violenta.

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Anche se la simpatia li trascinava l'uno verso l'altra, essi non dovevano cedere vilmente, ma resistere e fare miglior uso della ragione. Come hanno potuto non darsi pensiero delle tristi conseguenze dei loro amori? Quanto è deplorevole questo accecamento! Ne vedo come voi tutte le conseguenze. Ma voi siete saggio e prudente, e io approvo la vostra decisione. Solamente in questo modo potete sfuggire ai terribili avvenimenti che dovete paventare. "Poi il gioielliere si alzò e si congedò da ibn Tàhir. Prima, però, che se ne andasse, ibn Tàhir lo supplicò, per l'amicizia che li univa, di non dir nulla a nessuno di quanto gli aveva confidato. "State tranquillo", gli rispose il gioielliere, "custodirò il segreto, a costo della mia vita!"Due giorni dopo questa conversazione, il gioielliere passò davanti alla bottega di ibn Tàhir, e, vedendola chiusa, non dubitò che avesse messo in atto il suo proposito. Per accertarsene, domandò a un vicino perché la bottega non fosse aperta. Il vicino gli disse che sapeva soltanto che ibn Tàhir era andato a fare un viaggio. Non ebbe bisogno di sapere altro, e subito pensò al principe di Persia. "Infelice principe", disse tra sé, "come vi addolorerà questa notizia, quando la saprete! Come potrete continuare a scambiare lettere con Shams an-Nahàr? Io temo che ne morirete di dispiacere. Quanta compassione ho per voi! Bisogna che vi compensi della perdita di un confidente troppo timido. "La faccenda per cui era uscito non essendo di grande importanza la trascurò, e, benché non conoscesse il principe di Persia, se non per avergli venduti alcuni gioielli, andò da lui. Si rivolse a un servo e lo pregò di dire al suo padrone che desiderava parlargli per un affare importantissimo. Il servo andò, e tornando l'introdusse nella camera del principe che era mezzo coricato, con la testa sui guanciali. Ricordandosi d'aver veduto il gioielliere, s'alzò per riceverlo dandogli il benvenuto, e, dopo averlo pregato di sedersi, gli chiese in che potesse servirlo. "Principe", gli rispose il gioielliere, "benché non abbia l'onore di essere da voi conosciuto particolarmente, il desiderio di servirvi mi ha fatto prendere la libertà di venire a casa vostra a darvi una notizia che vi riguarda, e spero vorrete perdonare la mia audacia considerando la mia buona intenzione. "Dopo questa premessa entrò in argomento, proseguendo in tal modo:"Principe, ho l'onore di dirvi che la somiglianza del carattere e i molti affari hanno unito ibn Tàhir e il vostro servo in strettissima amicizia. Io so che egli è vostro amico e che si è impegnato finora a servirvi in quanto ha potuto; questo l'ho saputo da lui stesso, poiché egli non ha segreti per me, né io per lui. Sono passato stamane davanti alla sua bottega e, con mia sorpresa, l'ho trovata chiusa: ho domandato a un vicino se ne conoscesse la causa, ed egli mi ha risposto che ibn Tàhir da due giorni si è congedato dai vicini, chiedendo se avevano da affidargli commissioni per Bassora, dove andava per un affare di grande importanza. Questa risposta non mi ha soddisfatto, e l'interesse che prendo per quanto lo riguarda, mi ha spinto a venire da voi per chiedervi se sapete nulla di particolare intorno ad una partenza così precipitosa". A questo discorso, arrangiato dal gioielliere in modo da riuscire meglio nel suo intento, il principe di Persia impallidì. "Ciò che mi dite, mi sorprende. Non poteva capitarmi una sciagura maggiore. Sì! Se quanto mi dite è vero, se ibn Tàhir, in cui avevo riposte tutte le mie speranze, mi abbandona, non è più possibile che io continui a vivere!"Il gioielliere non ebbe bisogno d'udire di più per essere pienamente convinto della violenta passione del principe di Persia, di cui ibn Tàhir gli aveva parlato. La semplice amicizia non parla un tale linguaggio; non c'è che l'amore che possa provocare sentimenti così forti. Il principe restò alcuni momenti immerso nei più tristi pensieri. Alzò poi la testa, e volgendosi a un suo servo:"Andate", gli disse, "fino da ibn Tàhir. Parlate a qualcuno dei suoi domestici, e accertatevi se è vero che egli è partito per Bassora. Correte e ritornate prontamente a dirmi quanto avrete saputo". Aspettando il ritorno del servo, il gioielliere, per compiacere il principe, parlò di cose indifferenti, ma costui non vi prestò alcuna attenzione. Egli era in preda a un'inquietudine mortale. Non poteva persuadersi che ibn Tàhir fosse partito, ma poi si persuadeva che fosse vero riflettendo al discorso che gli aveva fatto l'ultima volta che era venuto a trovarlo e al brusco modo in cui l'aveva lasciato. Finalmente il servo del principe ritornò e disse di aver parlato con un domestico di ibn Tàhir, che lo aveva assicurato che il suo padrone non era a Bagdàd, e che era partito da due giorni per Bassora. "Nell'uscire dalla casa di ibn Tàhir", aggiunse, "ho incontrato una schiava ben vestita che mi è venuta incontro e, dopo avermi domandato se avevo l'onore di appartenervi, alla mia risposta affermativa, mi ha detto che doveva parlarvi, e mi ha pregato nello stesso tempo di condurla qui. Essa è nell'anticamera, e credo che abbia una lettera da darvi da parte di qualche persona di considerazione. "Il principe comandò di farla entrare subito: era la confidente di Shams an-Nahàr. Il gioielliere la riconobbe, avendola vista parecchie volte da ibn Tàhir. Non poteva giungere più a proposito per impedire al principe di abbandonarsi alla disperazione. Nell'entrare lo salutò. Il principe di Persia rese il saluto alla confidente di Shams an-Nahàr. Il gioielliere si era alzato vedendola comparire, e si era messo in disparte per lasciarli parlare liberamente. La confidente, dopo aver chiacchierato un poco col principe, si congedò e se ne andò, lasciandolo tutt'altro di quello che era prima. I suoi occhi erano più brillanti e il suo viso più gaio: ciò che fece giudicare al gioielliere che la schiava gli avesse dette cose favorevoli al suo amore. Il gioielliere, avendo ripreso il posto vicino al principe, gli disse sorridendo:"A quel che vedo, caro principe, avete affari importanti al palazzo del califfo". Il principe di Persia, meravigliato e allarmato da simile discorso, rispose al gioielliere:"Da che arguite che io abbia affari al palazzo del califfo?". "Dalla schiava che è uscita ora", soggiunse il gioielliere. "E a chi credete appartenga questa schiava?", replicò il principe. "A Shams an-Nahàr, favorita del califfo", rispose il gioielliere. "Conosco questa schiava e anche la sua padrona, che mi ha fatto qualche volta l'onore di venire da me a comprare delle pietre preziose. So inoltre che Shams an-Nahàr non ha segreti per la sua schiava, e da più giorni la vedo andare per le strade, molto imbarazzata; credo si tratti di qualche affare importante che riguarda la sua padrona. "Queste parole del gioielliere turbarono molto il principe di Persia. "Non parlerebbe in tal modo", disse tra sé, "se non sospettasse, o piuttosto non sapesse il mio segreto. "Rimase alcuni momenti in silenzio, non sapendo a quale partito appigliarsi. Finalmente riprese la parola, dicendo al gioielliere:"Voi mi avete detto delle cose, che mi fanno credere che ne sappiate più di quanto dite. E' necessario per la mia pace che ciò sia chiarito; quindi vi supplico, di non nascondermi niente". Allora il gioielliere, che non cercava altro, riferì esattamente il colloquio avuto con ibn Tàhir. In tal modo fece sapere al principe che egli era al corrente dei suoi amori con Shams an-Nahàr, e non tralasciò di dirgli che ibn Tàhir, spaventato dal pericolo in cui la sua posizione lo metteva, gli aveva comunicato il suo proposito di ritirarsi a Bassora, e di rimanervi fino a che la tempesta, che temeva, non si fosse dissipata. "Questo è quanto ha fatto", aggiunse il gioielliere, "e mi meraviglio che abbia potuto risolversi ad abbandonarvi nello stato in cui eravate. In quanto a me, principe, vengo ad offrirvi i miei servizi, e se mi fate la grazia di accettarli, m'impegno a esservi fedele quanto ibn Tàhir. Vi prometto d'altra parte una maggiore fermezza, poiché sono pronto a sacrificarvi il mio onore e la mia vita. "Queste parole rassicurarono il principe, consolandolo della lontananza di ibn Tàhir. "Sono molto contento", disse al gioielliere, "di poter grazie a voi riparare alla perdita subita. Non trovo parole sufficienti per esprimervi la mia gratitudine.  Prego il cielo di ricompensare la vostra generosità, e accetto di buon grado l'offerta cortese che mi fate. La confidente di Shams an-Nahàr è venuta a parlarmi di voi, dicendomi che siete stato voi a consigliare ibn Tàhir ad allontanarsi da Bagdàd. Sembrava molto convinta di quello che diceva, ma non vi rende giustizia; non dubito che sia in errore dopo quanto m'avete detto. ""Principe", replicò il gioielliere, "io ho avuto l'onore di farvi un racconto fedele del colloquio avuto con ibn Tàhir; è vero che quando mi ha dichiarato di volersi ritirare a Bassora, io non mi ci sono opposto, e gli ho detto che agiva da uomo saggio e prudente: ma ciò non toglie che non dobbiate avere fiducia in me; io sono pronto a servirvi con tutto l'ardore possibile. Se poi decideste diversamente ciò non impedirà che io mantenga religiosamente il vostro segreto, come mi sono impegnato con giuramento. ""Vi ho già detto", soggiunse il principe, "che non prestavo fede alle parole della confidente. Il suo zelo ha destato in lei questo sospetto che non ha alcun fondamento, e voi dovete scusarla come io la scuso. "Continuarono ancora per qualche tempo a parlare, e stabilirono insieme i mezzi più sicuri per mantenere la corrispondenza del principe con Shams an-Nahàr. Poiché era innanzi tutto necessario rassicurare la confidente, così ingiustamente prevenuta contro il gioielliere, il principe s'incaricò di farlo appena l'avesse vista, pregandola anche di rivolgersi a lui quando avesse avuto lettere da portargli, o qualche altra cosa da dirgli da parte della sua padrona. Poi decisero di non vedersi per qualche tempo, per non far scoprire quello che bisognava invece tener segreto. Finalmente il gioielliere si alzò, e dopo aver nuovamente pregato il principe di Persia di avere una completa fiducia in lui, si ritirò. Ritirandosi, scorse per terra una lettera che qualcuno aveva lasciato cadere. La raccolse, e siccome non era sigillata, l'aprì e trovò che c'era scritto così:Shams an-Nahàr al principe di Persia!Ho saputo dalla mia confidente una notizia, che mi dà una grande afflizione. Perdendo ibn Tàhir, noi perdiamo davvero molto, ma ciò non impedisce che non dobbiate pensare a conservarvi. Se il nostro confidente ci abbandona per timore, consideriamolo come un male che non abbiamo potuto evitare, e di cui dobbiamo darci pace. Vi confesso che ibn Tàhir ci manca proprio nel momento in cui abbiamo più bisogno di lui; ma opponiamo la pazienza a questo colpo imprevisto e non cessiamo di amarci costantemente. Siate forte contro questa disgrazia, quello che si desidera non si ottiene mai senza pena. Non ci scoraggiamo speriamo che il cielo ci sia alla fine favorevole, di modo che dopo tante sofferenze possiamo vedere il felice compimento dei nostri desideri. Addio. Mentre il gioielliere conversava col principe di Persia, la confidente aveva avuto il tempo di ritornare al palazzo ad annunziare a Shams an-Nahàr la triste notizia della partenza di ibn Tàhir. Shams an-Nahàr aveva subito scritto questa lettera, e aveva rimandata la sua confidente, per portarla al principe immediatamente; ma la confidente per negligenza l'aveva lasciata cadere in terra. Il gioielliere fu molto contento di averla trovata, perché gli forniva il mezzo per giustificarsi con la confidente, e per portarla al punto che desiderava. Aveva appena terminato di leggerla, quando vide la schiava che la cercava con molta inquietudine, guardando da tutte le parti. La richiuse prontamente e la nascose: ma la schiava aveva visto il suo gesto ed era corsa da lui. "Signore", gli disse, "mi è caduta una lettera che voi ora avete raccolto; vi supplico di volermela rendere. "Il gioielliere fece finta di non capire, e, senza rispondere, continuò il suo cammino fino a casa, ma non chiuse la porta dietro di sé, in modo che la confidente, che lo seguiva, potesse entrare. Ella non mancò di farlo, e, quando fu nella camera, gli disse:"Signore, voi non potete fare nessun uso della lettera che avete trovato, e me la rendereste senza difficoltà se sapeste da chi è scritta, e a chi è diretta. D'altra parte, perdonate se vi dico che non potete in buona coscienza trattenerla". Prima di rispondere alla confidente, il gioielliere la fece sedere poi disse:"Non è forse vero che questa lettera è scritta da Shams an-Nahàr ed è diretta al principe di Persia?". La schiava, che non s'aspettava tale domanda, impallidì. "La domanda v'imbarazza", egli aggiunse, "ma sappiate che non ve la faccio per indiscrezione. Avrei potuto darvi la lettera in strada, ma ho voluto condurvi qui per chiarire alcuni punti con voi. E' giusto, ditemi, di accusare di un triste avvenimento persone che non ne hanno colpa? Intanto voi avete detto al principe di Persia, che io avevo consigliato ad ibn Tàhir di uscire da Bagdàd per la sua sicurezza. Io non voglio perdere il tempo a giustificarmi con voi, basta che il principe di Persia sia pienamente persuaso della mia innocenza sopra questo punto. Vi dirò solo che, invece di aver contribuito alla partenza di ibn Tàhir, ne sono estremamente afflitto, non tanto per l'amicizia che nutro per lui, quanto perché ho compassione dello stato in cui ha lasciato il principe, di cui mi aveva rivelato gli amori con Shams an-Nahàr. Appena fui certo che ibn Tàhir non era più a Bagdàd, corsi a presentarmi al principe, nella cui casa m'avete trovato, per dargli questa notizia e offrirgli gli stessi servigi che gli faceva ibn Tàhir. Sono riuscito nel mio proposito, e se avrete altrettanta fiducia in me quanta ne avevate in ibn Tàhir, potreste facilmente giovarvi della mia cooperazione. Comunicate alla vostra padrona quanto vi ho detto, ed assicuratele che, quand'anche dovessi morire mettendomi in un intrigo pericoloso, non mi pentirò mai di essermi sacrificato per due amanti così degni l'uno dell'altra. "La confidente, dopo aver ascoltato il gioielliere con molta soddisfazione, lo pregò di perdonare la cattiva opinione che aveva di lui a causa dello zelo che aveva per la sua padrona. "Provo una grandissima gioia", aggiunse, "al pensiero che Shams an-Nahàr e il principe abbiano trovato in voi un uomo capace di supplire ibn Tàhir. Non mancherò di far apprezzare alla mia padrona la vostra bontà a suo riguardo. "Dopo che la confidente ebbe dimostrato al gioielliere la sua gioia nel vederlo disposto a rendere servizio a Shams an-Nahàr e al principe di Persia, egli trasse la lettera dal petto e gliela porse, dicendole:"Tenete, portatela subito al principe di Persia, e al ritorno passate di qui, perché io veda la sua risposta. Non dimenticate di narrargli il nostro colloquio". La confidente prese la lettera e la portò al principe, il quale rispose all'istante. Essa ritornò dal gioielliere mostrandogli la risposta:Il principe di Persia a Shams an-Nahàr!La vostra preziosa lettera ha prodotto su di me un grande effetto, ma non così grande come avrei desiderato. Voi vi affliggete della perdita di ibn Tàhir. Ohimè! benché sia già travagliatissimo, questa non è che la minima parte dei mali che mi tormentano. Voi li conoscete, questi mali, e sapete che la sola vostra presenza potrebbe guarirli. Quando verrà il tempo in cui potrò godere, senza timore di esserne privato? Quanto mi sembra lontano! Ma lo vedremo mai? Voi mi comandate di conservarmi: vi obbedirò, poiché ho rinunciato alla mia volontà per seguire solamente la vostra. Addio. "Io corro, signore, per fare in modo che la mia padrona abbia in voi la stessa fiducia che aveva in ibn Tàhir. Domani avrete mie notizie. "Infatti il giorno seguente la vide giungere con un'aria giuliva. "Il vostro aspetto", le disse, "mi fa capire che avete convinto Shams an-Nahàr conformemente ai nostri desideri. ""E' vero", rispose la confidente, "e vi dirò come ne sono venuta a capo. Ieri trovai Shams an-Nahàr che mi attendeva con impazienza. Le diedi la lettera del principe: la lesse piangendo, e quando l'ebbe terminata, vedendo che stava per abbandonarsi ai suoi soliti trasporti:"Signora", le dissi, "senza dubbio voi siete afflitta per l'allontanamento di ibn Tàhir: ma permettetemi di dirvi in nome del cielo che non dovete abbattervi più oltre per tal cosa. Abbiamo un altro simile a lui, il quale si offre di servirvi con altrettanto zelo e con maggior coraggio". Allora le parlai di voi", continuò la schiava, "e le raccontai la causa che v'aveva spinto ad andare dal principe di Persia. Mi parve che fosse molto consolata dopo il mio discorso:"Ah! quale riconoscenza dobbiamo", esclamò, "il principe di Persia e io, all'onesto uomo di cui mi parlate! Voglio conoscerlo, vederlo, per sentir dalla sua bocca quanto mi avete detto, e per ringraziarlo della sua generosità inaudita verso persone a cui non è legato da nessun interesse o affetto. La sua vista mi farà molto piacere, e non tralascerò nulla che possa confermarlo in così buoni sentimenti. Non vi dimenticate d'andarlo a prendere domani e di condurmelo". Perciò, signore, datevi la pena di venire con me fino al palazzo. "Questo discorso imbarazzò il gioielliere. "La vostra padrona", rispose, "mi permetterà di osservare che la sua proposta non è prudente. Il favore di cui godeva ibn Tàhir presso il califfo gli dava accesso dappertutto, e gli ufficiali che lo conoscevano lo lasciavano andare e venire liberamente nel palazzo di Shams an-Nahàr; ma io come oserò entrarvi? Vedete voi stessa che ciò è impossibile. Vi supplico di riferire a Shams an-Nahàr le ragioni che mi impediscono di darle questa soddisfazione, e tutte le tristi conseguenze che potrebbero derivarne. "La confidente cercò di rassicurare il gioielliere. "Credete", gli disse, "che Shams an-Nahàr sia così irragionevole da esporvi al minimo pericolo, facendovi andare da lei, quando invece aspetta da voi favori così considerevoli? Non vi è la minima ombra di pericolo per voi. Siamo troppo interessati in quest'affare la mia padrona e io, per porvi in un impaccio inutilmente. Voi potete fidarvi di me. Quando la cosa sarà fatta riconoscerete facilmente che il vostro timore era mal fondato. "Il gioielliere si arrese ai discorsi della confidente e si alzò per seguirla: ma quantunque si vantasse di essere coraggioso per natura, lo spavento si era impadronito di lui, e tremava come una foglia. "Nello stato in cui siete", gli disse la confidente, "vedo bene che è meglio che ve ne restiate a casa vostra e che Shams an-Nahàr prenda altre misure per trovarsi con voi. Senza dubbio è tanto grande il suo desiderio di vedervi, che verrà di persona a trovarvi; perciò, signore, non uscite. "La confidente aveva visto giusto; non appena ebbe riferito a Shams an-Nàhar lo spavento del gioielliere, ella si vestì e andò da lui.

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Egli la ricevette con tutti i segni d'un profondo rispetto. Quando si sedette essendo un poco stanca del cammino fatto, si levò il velo e lasciò vedere al gioielliere una bellezza, che gli fece comprendere quanto il principe di Persia fosse scusabile per aver dato il suo cuore alla favorita del califfo. Dopo che lo ebbe salutato in modo lusinghiero, gli disse:"Non appena ho saputo con quale ardore vi siete offerto di aiutare il principe di Persia e me, ho formato il proposito di ringraziarvene io medesima. Rendo grazie al cielo d'averci così presto compensati della perdita di ibn Tàhir". Shams an-Nahàr disse ancora molte altre cose cortesi al gioielliere, dopo di che si ritirò nel suo palazzo. Il gioielliere andò sull'istante a riferire di questa visita al principe di Persia, che vedendolo gli disse:"Io vi aspettavo con impazienza; la schiava confidente mi ha portato una lettera della sua padrona, ma essa non m'ha affatto sollevato. Per quanto mi possa dire l'amabile Shams an-Nahàr, io non oso sperare e la mia pazienza è al termine. Non so più che fare. La partenza di ibn Tàhir mi getta nella disperazione. Egli era il mio sostegno e perdendolo ho perso tutto". A queste parole pronunciate dal principe con tanta vivacità, il gioielliere rispose:"Principe, nessuno può partecipare ai vostri mali più di me, e se voleste avere la pazienza di ascoltarmi vedreste che posso portarvi sollievo". A questo discorso il principe tacque, e prestò ascolto. "Io so", riprese il gioielliere, "che l'unico mezzo di rendervi contento è di fare in modo che possiate trovarvi liberamente con Shams an-Nahàr; io voglio procurarvi questa soddisfazione, e da domani mi metterò all'opera. Non è opportuno che vi esponiate a entrare nel palazzo di Shams an-Nahàr; sapete per esperienza quanto ciò sia pericoloso. "Quando il gioielliere ebbe dette queste parole, il principe l'abbracciò con trasporto. "Voi ridate la vita, con questa bella promessa", gli disse, "a uno sciagurato amante che era già condannato a morte. A quel che vedo ho riparato pienamente alla perdita di ibn Tàhir; quanto farete sarà ben fatto; mi rimetto interamente a voi. "L'indomani la confidente di Shams an-Nahàr venne dal gioielliere; questi le disse di aver fatto sperare al principe di Persia di fargli vedere di lì a poco Shams an-Nahàr. "Vengo proprio", rispose quella, "per prendere accordi con voi su ciò. Mi sembra che questa casa sia assai comoda per tale abboccamento. ""Potrebbe benissimo venir qui", aggiunse il gioielliere, "ma ho pensato che sarebbe più in libertà in un'altra casa che attualmente nessuno abita. La metterò subito in condizione di riceverli. ""D'accordo", rispose la confidente, "non ci resta ormai che da convincere Shams an-Nahàr. Vado a parlargliene, e presto vi porterò la risposta. "Infatti fu assai sollecita. Non tardò molto a ritornare, e disse al gioielliere che la sua padrona non avrebbe mancato di trovarsi sul posto sul finire del giorno. Ciò detto, gli mise tra le mani una borsa con il denaro occorrente per comperare la cena. Il gioielliere la condusse subito nella casa dove gli amanti dovevano incontrarsi, perché ne conoscesse il luogo e vi potesse condurre la sua padrona. Appena si furono separati, egli andò a prendere in prestito dai suoi amici vasellami d'oro e d'argento, tappeti, guanciali ricchissimi e altre suppellettili, di cui addobbò magnificamente la casa. Quand'ebbe messo tutto in ordine, andò dal principe di Persia. Figuratevi la gioia del principe quando il gioielliere disse che veniva a prenderlo per condurlo nella casa preparata per lui e Shams an-Nahàr. Questa notizia gli fece dimenticare ogni dolore e ogni sofferenza. Vestì un abito magnifico, e uscì senza scorta col gioielliere, che, dopo averlo fatto passare per molte strade fuori mano, perché nessuno li notasse, l'introdusse finalmente nella casa, dove cominciarono a conversare aspettando Shams an-Nahàr. La donna troppo appassionata non si fece attendere a lungo. Giunse dopo la preghiera del tramonto del sole, con la sua confidente e due altre schiave. E' impossibile ridire con parole la gioia provata dai due amanti nel rivedersi. Si sedettero su un sofà, guardandosi per qualche tempo senza poter parlare, tanto erano fuori di sé. Ma quando riebbero l'uso della parola, si rifecero di questo silenzio, dicendosi frasi così tenere, che il gioielliere, la confidente e le altre due schiave ne piansero. Il gioielliere si asciugò le lacrime, per pensare alla cena. Gli amanti bevvero e mangiarono poco; poi si sedettero di nuovo sul sofà, e Shams an-Nahàr domandò al gioielliere se avesse un liuto o qualche altro strumento. Il gioielliere portò un liuto che dapprima accordò; poi ella toccò le corde e si mise a cantare. Mentre Shams an-Nahàr dilettava il principe di Persia, esprimendogli la sua passione con parole improvvisate per la circostanza, si udì un gran rumore e una schiava venne tutta spaventata a dire che stavano sfondando la porta. Aveva domandato chi fosse: ma invece di risponderle avevano raddoppiati i colpi. Il gioielliere, spaventato, lasciò Shams an-Nahàr e il principe per andare a verificare la triste notizia. Era già nel cortile, quando scorse nell'oscurità una schiera di gente armata di pugnali e di sciabole che, sfondata la porta, gli veniva incontro. Egli si rannicchiò contro il muro senza farsi scorgere. Poiché non poteva essere di aiuto al principe di Persia e a Shams an-Nahàr, si contentò di compiangerli e prese il partito di fuggire. Usci di casa e ando a rifugiarsi da un vicino, che non si era ancora coricato. Egli non dubitava che tale violenza fosse fatta per ordine del califfo, che era stato senza dubbio informato dell'appuntamento di Shams an-Nahàr col principe di Persia. Dalla casa in cui s'era rifugiato sentiva il baccano che si faceva nella sua e che durò fino a mezzanotte. Allora, sembrandogli che tutto fosse tranquillo, pregò il vicino di prestargli una sciabola, e, munito di quest'arma, uscì e si avvicinò alla porta della sua casa, entrò nella corte e scorse con spavento un uomo, a cui domandò chi egli fosse. Riconobbe dalla voce che era uno dei suoi schiavi. "Come hai fatto", gli disse, "a non essere preso dalla pattuglia?""Signore, io mi sono nascosto in un angolo della corte, e non ne sono uscito se non quando non ho più sentito rumore. Ma non sono state genti d'armi che hanno forzato la vostra casa, sono stati ladri, che pochi giorni or sono ne hanno saccheggiata un'altra in questa contrada. Avendo probabilmente notato la ricchezza delle suppellettili che avevate portato qui, hanno creduto bene di appropriarsene. "Il gioielliere trovò l'ipotesi del suo schiavo assai plausibile, visitò la sua casa e vide infatti che i ladri avevano portato via il meglio dalla camera dove aveva ricevuto Shams an-Nahàr e il suo amante; si erano presi tutto il vasellame d'oro e d'argento, non lasciandovi nulla. Egli ne fu desolato. "Oh cielo!", esclamò, "sono perduto senza scampo! Che diranno i miei amici, e quale scusa troverò, quando dirò loro che i ladri hanno forzato la mia casa e rubato quanto mi avevano generosamente prestato? Dovrò risarcirli della loro perdita. D'altra parte, che ne sarà stato di Shams an-Nahàr e del principe di Persia? Questa cosa farà gran rumore e giungerà senza dubbio alle orecchie del califfo. Egli saprà di questo incontro e io sarò vittima della sua collera. "Lo schiavo, che gli era molto affezionato, cercò di consolarlo. "Per quanto riguarda Shams an-Nahàr", gli disse, "i ladri si saranno contentati di spogliarla, poi si sarà ritirata nel suo palazzo con le sue schiave; il principe di Persia avrà avuto la medesima sorte. In tal modo potete sperare che il califfo ignori per sempre questa avventura. In quanto alla perdita subita dai vostri amici, è una sciagura che non potevate evitare. Essi sanno che i ladri sono così numerosi che hanno già avuto l'audacia di saccheggiare non solo la casa di cui vi ho parlato, ma anche diverse altre, dei principali signori della corte, e non ignorano che, ad onta degli ordini emanati per prenderli e delle perquisizioni fatte, non se n'è potuto prendere ancora nemmeno uno. Ve la caverete coi vostri amici col valore delle cose rubate, e a voi resteranno ancora, grazie a Dio, molti beni. "In attesa che spuntasse il giorno, il gioielliere fece accomodare alla meglio dal suo schiavo la porta di strada che era stata forzata: indi ritornò nella sua solita casa facendo tristi riflessioni sopra quanto era avvenuto. "Ibn Tàhir", disse tra sé, "è stato più saggio di me; egli aveva previsto questa sciagura, mentre io vi sono coinvolto. Piacesse a Dio che non mi fossi mai immischiato in un intrigo che mi costerà forse la vita. "Non appena fu giorno, la notizia della casa saccheggiata volò di bocca in bocca e portò in casa sua una folla di amici e di vicini, la maggior parte dei quali, con il pretesto di compiangerlo per l'incidente, venivano a curiosare. Egli li ringraziò dell'affetto che gli dimostravano.  Ebbe almeno la consolazione di non sentir parlare di Shams an-Nahàr e del principe di Persia: il che gli fece credere che fossero o nelle loro case, o in qualche luogo sicuro.Quando il gioielliere fu solo, i suoi servi gli servirono il pranzo, ma non mangiò quasi niente. Era circa mezzogiorno quando uno schiavo venne a dirgli che alla sua porta c'era un uomo sconosciuto, che voleva parlargli. Il gioielliere, non volendo ricevere uno sconosciuto, si alzò ed andò a parlargli sulla porta. "Benché voi non conosciate me", gli disse costui, "io conosco voi e debbo parlarvi d'un affare importante. "Il gioielliere a queste parole lo pregò di entrare. "No", soggiunse lo sconosciuto, "abbiate la bontà di venire con me fino all'altra vostra casa. ""Come sapete", rispose il gioielliere, "che ho un'altra casa, oltre questa?""Lo so", riprese lo sconosciuto. "Seguitemi senza nulla temere; ho qualche cosa da comunicarvi che vi farà piacere. "Il gioielliere andò con lui, e, dopo avergli raccontato in qual modo la casa fosse stata spogliata, gli disse che non era ora in condizione di potervi ricevere gente. Quando furono davanti alla casa, e lo sconosciuto vide la porta mezzo fracassata:"Andiamo più avanti", disse al gioielliere, "vedo bene che mi avete detto la verità. Vi condurrò in un luogo dove staremo più comodamente". Ciò detto, continuarono a camminare, e proseguirono per tutto il resto del giorno, senza arrestarsi. Il gioielliere, stanco per il lungo cammino, e spiacente di vedere approssimarsi la notte, mentre lo sconosciuto andava sempre avanti senza dirgli dove voleva condurlo, cominciava già a perdere la pazienza, quando giunsero in un luogo che conduceva al Tigri. Giunti a riva, s'imbarcarono in una piccola barca e passarono dall'altra parte. Allora lo sconosciuto condusse il gioielliere per una lunga strada, dove non era mai stato in tutta la sua vita, e, dopo avergli fatto traversare infiniti viottoli, s'arrestò a una porta. Fattovi entrare il gioielliere, la richiuse e poi lo condusse in una camera dove c'erano altri dieci uomini, non meno sconosciuti al gioielliere di quello che l'aveva condotto là. Questi dieci uomini accolsero il gioielliere senza troppi complimenti. Gli dissero di sedersi, e ne aveva bisogno, perché era affaticato dal lungo cammino, e perché tremava di paura nel vedersi circondato da gente così poco raccomandabile; tra una cosa e l'altra non avrebbe proprio potuto stare in piedi. Essi aspettavano il loro capo per cenare, e non appena giunse, fu servito. Si lavarono le mani e obbligarono il gioielliere a fare lo stesso e a mettersi a tavola con loro. Dopo il pasto, questi uomini domandarono al gioielliere se sapesse con chi stava parlando, ed egli rispose di no, poiché ignorava perfino il luogo in cui si trovava. "Raccontateci la vostra avventura di questa notte", gli dissero, "e non nascondeteci nulla. ""Signori miei, a quel che sembra, voi ne siete di già al corrente. ""Questo è vero", risposero, "il giovane e la giovane signora che erano in casa vostra ieri sera ce ne hanno parlato; ma noi lo vogliamo sapere dalla vostra bocca. "Non occorse altro per far comprendere al gioielliere che stava parlando con i ladri che avevano forzato e saccheggiato la casa. "Signori", esclamò, "io sono molto in pena per loro; me ne potreste dare notizie?"A questa domanda fatta dal gioielliere risposero:"Non state in pena, essi sono in luogo sicuro e stanno benissimo". Ciò detto, gli mostrarono due stanzette, e l'assicurarono che essi erano là dentro separatamente. "Hanno detto che voi solo", soggiunsero i ladri, "sapete quanto li riguarda. Quando l'abbiamo saputo, abbiamo avuto per loro tutta la considerazione possibile per riguardo a voi. Non abbiamo fatto loro la minima violenza, e anzi abbiamo usato loro ogni sorta di buoni trattamenti. Diciamo lo stesso per voi, e potete aver fiducia nelle nostre parole. "Il gioielliere, rassicurato e contento di sapere che il principe di Persia e Shams an-Nahàr erano ancora in vita, lodò i ladri, li lusingò con mille benedizioni. "Signori", disse loro, "non ho l'onore di conoscervi: ma è una grande felicità per me di non esservi sconosciuto, e non so come ringraziarvi del bene che mi avete fatto.  Senza parlare di una grande azione di umanità vedo che siete capaci di custodire un segreto così fedelmente da non temere che sia mai rivelato, e che vi si può affidare qualunque difficile impresa. Voi sapete portar tutto a buon termine col vostro coraggio e con la vostra audacia.  Convinto di tali qualità, non farò difficoltà a raccontarvi la mia storia, e quella delle due persone trovate in casa mia, con tutta la fedeltà che potete desiderare. "Dopo aver preso questa precauzione per far sì che i ladri prendessero interesse a ciò che stava per confidare loro, e che avrebbe certo fatto loro buona impressione, per quanto poteva giudicare, il gioielliere raccontò, senza nulla omettere, gli amori del principe di Persia e di Shams an-Nahàr, dal principio fino all'appuntamento che aveva organizzato in casa sua. I ladri furono meravigliati di tutti questi fatti. "Come", esclamarono quando il gioielliere ebbe terminato, "è possibile che il giovane signore sia l'illustre Ali ibn Bakkàr, principe di Persia e la signora sia la bella e celebre Shams an-Nahàr?"Il gioielliere giurò che quella era la pura verità e aggiunse che non doveva sembrar loro strano che quelle nobili persone avessero avuto ripugnanza a farsi riconoscere. A questa notizia i ladri andarono a gettarsi ai piedi del principe e di Shams an-Nahàr, l'uno dopo l'altro, e li supplicarono di perdonare loro protestando che non li avrebbero trattati in quel modo se fossero stati informati del loro grado prima di forzare la casa del gioielliere.

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"Ciò nonostante procureremo", aggiunsero, "di riparare in parte il fallo commesso. "Si rivolsero al gioielliere e gli dissero:"Siamo molto spiacenti di non potervi rendere quanto è stato rubato dalla vostra casa, perché una parte non è più in mano nostra, ma vi preghiamo di contentarvi dell'argenteria, che vi restituiamo subito". Il gioielliere si considerò fin troppo fortunato per questa grazia. Quando i ladri gli ebbero consegnato l'argenteria, fecero venire il principe di Persia e Shams an-Nahàr, e dissero loro, come pure al gioielliere, che li avrebbero portati in un luogo, da dove avrebbero potuto tornare tranquillamente alle loro case; ma prima dovevano giurare di non tradirli. Il principe di Persia, Shams an-Nahàr e il gioielliere risposero che sarebbe bastata una promessa e che avrebbero potuto fidarsi, ma poiché lo desideravano, giurarono solennemente di non tradirli. Allora i ladri, soddisfatti dal giuramento, uscirono con loro. Mentre erano in cammino, il gioielliere, sorpreso di non vedere la confidente e le due schiave, s'avvicinò a Shams an-Nahàr e la supplicò di dargliene notizia. "Io non ne so niente", rispose quella, "non posso dirvi altro se non che fummo rapiti da casa vostra, ci fecero attraversare un corso d'acqua e fummo condotti nella casa da cui veniamo. "Shams an-Nahàr e il gioielliere non dissero altro. Si lasciarono condurre insieme col principe dai ladri, che li fecero passare dall'altra parte del fiume. Mentre il principe di Persia e il gioielliere sbarcavano, si udì il rumore della pattuglia a cavallo, che giunse nel momento in cui il battello si allontanava portando via i ladri a forza di remi. Il comandante del drappello chiese al principe, a Shams an-Nahàr e al gioielliere da dove venissero a quell'ora e chi fossero. Presi dal terrore, e temendo di dire cosa che potesse recar loro danno, rimasero interdetti. Ma bisognava rispondere e il gioielliere, che era il più tranquillo, se ne assunse l'incarico. "Signore", disse, "posso assicurarvi innanzi tutto che siamo degli onesti cittadini.  Quelli che sono nel battello dal quale siamo scesi e che ritornano indietro, sono ladri, che ieri hanno sfondato la porta della casa dove eravamo, per saccheggiarla. Poi ci condussero nel loro rifugio e lì, a forza di blandirli siamo riusciti a convincerli di lasciarci liberi e di riportarci fin qui. Ci hanno anche reso buona parte del bottino fatto; eccolo. "Il comandante non si contentò della risposta del gioielliere, ma avvicinandosi a lui e al principe di Persia li guardò attentamente l'uno dopo l'altro:"Ditemi la verità", disse infine, "chi è questa signora, come la conoscete e dove abitate?". Questa domanda li turbò molto, perché non sapevano cosa rispondere. Shams an-Nahàr li trasse dalle difficoltà; prese da parte il comandante. Gli sussurrò alcune parole all'orecchio; allora lui si inchinò con rispetto e cortesia. Egli comandò ai suoi di far venire subito due barche. Poi il comandante fece imbarcare Shams an-Nahàr nell'una, il principe ed il gioielliere nell'altra, con due dei suoi uomini e ordinò di portarli fin dove dovevano andare. Le due barche presero vie differenti. Noi non parleremo se non di quella in cui erano il principe di Persia ed il gioielliere. Il principe indicò ai rematori la sua abitazione; ma ad onta di ciò essi fecero approdare il battello davanti al palazzo del califfo. Il principe ed il gioielliere furono colti da un terribile spavento anche se non lo diedero a vedere. Ma l'intenzione dei rematori non era cattiva. Quando li ebbero sbarcati, siccome dovevano raggiungere la loro brigata, li raccomandarono a un ufficiale del califfo, che diede loro due soldati di scorta perché li accompagnassero via terra alla casa del principe di Persia, molto distante dal fiume. Alla fine vi giunsero, ma erano così stanchi ed assetati, da potersi appena muovere. Il principe poi era tanto addolorato dall'incidente che era capitato a lui e a Shams an-Nahàr, e che gli toglieva ormai la speranza d'un altro incontro, che cadde svenuto sopra un sofà. Mentre la maggior parte delle sue genti cercava di farlo tornare in sé, gli altri attorniarono il gioielliere, volendo sapere da lui quello che era avvenuto al principe la cui assenza aveva procurato loro molta inquietudine. Il gioielliere, non volendo rivelare niente, rispose che era accaduta una cosa molto straordinaria, ma che quello non era il momento di parlarne, poiché era molto più importante pensare a soccorrere il principe. Per buona sorte questi ritornò in sé, e coloro che stavano interrogandolo dovettero tirarsi da parte, rispettosamente, pieni di gioia perché lo svenimento non era stato di lunga durata. Sebbene il principe avesse recuperato i sensi, era tuttavia così debole da non poter aprire bocca per parlare, e non rispondeva se non a segni anche ai propri parenti. L'indomani era ancora in questo stato quando il gioielliere si congedò da lui. Il principe gli rispose solo con un cenno della testa e tendendogli la mano, ma quando lo vide carico dell'argenteria restituita dai ladri, fece segno ad un suo servo di prenderla e di portargliela fino a casa. Il gioielliere era atteso con grande impazienza dalla sua famiglia. La moglie, i figli ed i servi se ne stavano abbattuti e in pianto allorché giunse. Provarono una grande gioia nel rivederlo, ma furono turbati nel ritrovarlo così cambiato dall'ultima volta che l'avevano visto. La gran fatica del giorno precedente e la notte passata in grandi timori e senza dormire, l'avevano reso quasi irriconoscibile. Sentendosi stanco, rimase due giorni in casa per rimettersi: e durante quel tempo ricevette soltanto la visita dei suoi più intimi amici, che aveva ordinato di lasciar entrare. Il terzo giorno, sentendosi più in forze, pensò di ristabilirsi del tutto prendendo un po' d'aria. Andò nella bottega di un ricco mercante suo amico, e vi si trattenne lungamente.  Nell'alzarsi per prendere congedo, vide una donna che gli faceva segno e riconobbe la confidente di Shams an-Nahàr. Ne provò insieme timore e gioia e si ritirò prontamente senza guardarla. Lei lo seguì, come appunto lui pensava che avrebbe fatto, poiché il luogo dove erano non era adatto a una conversazione riservata. Poiché il gioielliere camminava un po' in fretta, la confidente non poteva seguirlo allo stesso passo, e allora gridava di tempo in tempo d'aspettarla. Egli la sentiva: ma dopo quanto gli era già capitato, non voleva parlare in pubblico, temendo di far nascere sospetti sulle sue relazioni con Shams an-Nahàr. Difatti si sapeva in Bagdàd che la schiava apparteneva a questa favorita e che le faceva tutte le commissioni. Egli continuò a camminare con lo stesso passo, e arrivò ad una moschea poco frequentata; dopo di lui arrivò la confidente, in quel luogo ebbero tutta la libertà di parlare senza testimoni. Il gioielliere e la confidente di Shams an-Nahàr si manifestarono reciprocamente la gioia che provavano nel rivedersi, dopo la strana avventura dei ladri. Il gioielliere voleva che la confidente cominciasse a raccontargli come era scappata con le due schiave, e in seguito gli narrasse quello che era avvenuto a Shams an-Nahàr da che non l'aveva veduta. Ma la confidente dimostrò tanta premura di sapere prima quello che era capitato a lui dopo la loro separazione, che fu obbligato ad accontentarla. "Ecco", disse dopo aver terminato, "quanto desideravate sapere da me. Ditemi, ora vi prego, quello che vi ho già domandato. ""Appena vidi apparire i ladri", disse la confidente, "pensai senza averli ben guardati che fossero soldati della guardia del califfo, che egli, informato dell'uscita di Shams an-Nahàr, avesse mandato per uccidere lei, il principe di Persia e tutti noi. Così prevenuta, salii di corsa sul terrazzo della vostra casa con le due altre schiave, mentre i ladri entravano nella camera dov'erano il principe di Persia e Shams an-Nahàr. Di terrazzo in terrazzo giungemmo alla casa di alcune oneste persone che ci accolsero con molta cortesia, e ci ospitarono per la notte. La mattina seguente, dopo aver ringraziato il padrone di casa del piacere fattoci, ritornammo al palazzo di Shams an-Nahàr. Vi entrammo in gran disordine e molto afflitte perché non sapevamo quale fosse il destino dei due sfortunati amanti. Le altre donne di Shams an-Nahàr furono molto meravigliate di vederci ritornare senza di lei. Noi dicemmo loro che era rimasta in casa di una sua amica e che ci avrebbe mandate a chiamare per andarla a riprendere, quando volesse tornare, e quelle si accontentarono di simile scusa. Passai la giornata in una grande inquietudine.  Venuta la notte, aprii la piccola porta di dietro e vidi una barchetta sul Canale. Chiamai il barcaiolo e lo pregai di andarsene lungo il fiume per vedere se scorgeva una signora e, in caso la incontrasse, la portasse lì. Aspettai il suo ritorno con le due schiave, ed era quasi mezzanotte quando lo stesso barcaiolo arrivò con due uomini e una donna coricata a poppa. Quando la barca approdò, i due uomini aiutarono la donna ad alzarsi e a sbarcare, e io riconobbi in lei Shams an-Nahàr; la gioia che provai nel rivederla fu tanta, che non posso descriverla. ""Diedi la mano a Shams an-Nahàr", continuò la confidente, "per aiutarla a scendere. Ella aveva gran bisogno di questo aiuto, poiché non poteva quasi sostenersi. Quando fu sbarcata, mi disse all'orecchio d'andare a prendere una borsa di mille pezzi d'oro e di darla ai due soldati che l'avevano accompagnata. Affidai la mia padrona alle due schiave perché la sostenessero, e dopo aver detto ai soldati di aspettarmi un momento, corsi a prendere la borsa, e ritornai di corsa. Diedi loro il danaro, pagai il barcaiolo, e chiusi la porta. Raggiunsi Shams an-Nahàr che non era ancora arrivata alla sua camera. Senza perder tempo la spogliammo e la mettemmo a letto; sembrava che stesse per morire. Il giorno seguente le altre sue donne mostrarono gran premura di vederla: ma io dissi loro che era stanca e aveva bisogno di riposo per rimettersi. Io e le altre donne la curavamo intanto in tutti i modi possibili. Dapprima s'ostinò a non voler prendere niente, e disperavamo già di salvarla, quando ci accorgemmo che il vino che le davamo di tempo in tempo, le faceva riprender forza. Finalmente, a furia di preghiere, vincemmo la sua ostinazione e l'obbligammo a mangiare. Quando la vidi in condizione di parlare (poiché non aveva fatto che piangere, gemere e sospirare fino a quel momento), le domandai di dirmi per quale fortuna era sfuggita dalle mani dei ladri. "Perché esigete da me", mi rispose con un gran sospiro, "che io rinnovi il ricordo di una grande sciagura? Fosse piaciuto al cielo, che i ladri mi avessero tolta la vita, invece di conservarmela! I miei mali sarebbero almeno finiti. ""Signora", ripresi, "vi supplico di non rifiutarmi questa grazia! Voi non ignorate che gli infelici provano una specie di consolazione nel confidare a persona amica le loro disgrazie. Quello che vi domando vi solleverà, se avrete la bontà di appagare i miei desideri. ""Ascoltate dunque", mi disse, "la cosa più desolante che mai possa succedere ad una persona tanto innamorata come me. Quando vidi entrare i ladri con la sciabola e il pugnale in mano, credetti che per il principe di Persia e per me fosse giunto l'ultimo giorno della nostra vita, e la morte non mi spaventava, pensando di morire con lui. Invece di gettarsi su di noi per trapassarci il cuore, come credevo, furono designati due uomini a custodirci, mentre gli altri facevano man bassa su quanto v'era nella camera dove stavamo e nelle altre vicine.  Quando ebbero terminato e si furono caricati sulle loro spalle i loro fagotti, uscirono e ci condussero con loro. Per la strada, uno di quelli che ci accompagnavano mi domandò chi fossi; gli risposi che ero una ballerina. Fu fatta la stessa domanda al principe, che rispose di essere un borghese. Arrivati nella loro casa, non ci furono risparmiati nuovi motivi di terrore. Essi si riunirono intorno a me, e, dopo aver concluso che io dovevo aver mentito sulle mie qualità, mi dissero:'Una ballerina non va vestita come voi. Diteci dunque la verità, chi siete?'. Poiché non rispondevo nulla, soggiunsero, rivolgendosi al principe di Persia:'Chi siete voi, dunque? Vediamo che non siete un semplice borghese, come avete detto'. Egli non li soddisfece più di me su questo punto. Disse loro solamente di essere andato a trovare il gioielliere per stare a divertirsi con lui. 'Io conosco il gioielliere', soggiunse allora uno dei ladri che sembrava essere il capo degli altri, 'e ho un debito di riconoscenza con lui, anche se lui non lo sa. Mi incarico di farlo venire qui domani. Non vi rilasceremo se non sapremo prima chi siete. Intanto non vi verrà fatto alcun torto. 'Il gioielliere fu condotto l'indomani, e pensando di aiutarci, come fece veramente, dichiarò ai ladri chi eravamo. I ladri vennero a domandarmi perdono e fecero lo stesso col principe di Persia, che era in un altro luogo, e mi assicurarono che non avrebbero forzato la casa in cui eravamo, se avessero saputo che apparteneva al gioielliere. Subito, presero il principe di Persia, il gioielliere e me, e ci condussero fino alla riva del fiume, dove ci fecero imbarcare in un battello che ci traghettò dall'altra parte, ma non appena sbarcati incontrammo una pattuglia a cavallo.

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Io presi il comandante da parte, mi feci riconoscere da lui e gli dissi che la sera precedente, ritornando dalla casa di un amico, i ladri mi avevano fermata e condotta con loro: e che avendo detto loro chi ero, mi avevano rilasciata, facendo lo stesso, per riguardo a me, con le due persone presenti. Egli subito scese a terra per omaggiarmi, e, dopo avermi mostrato la sua gioia di potermi essere utile in qualche cosa, fece venire due barche e mi fece imbarcare nell'una con due dei suoi soldati i quali mi hanno scortata fin qui: in quanto al principe di Persia e al gioielliere, li fece imbarcare nell'altra, con due dei suoi, per accompagnarli e condurli fino alle loro case. ""Credo", aggiunse, terminando, e prorompendo in lacrime, "che non sarà loro accaduto nulla di male dopo la nostra separazione. Il gioielliere, che ci ha soccorso con tanto affetto, merita di essere ricompensato della perdita subita per amor nostro. Non mancate domani mattina di prender due borse di mille pezzi d'oro ciascuna e di portargliele da parte mia, domandandogli notizie del principe di Persia. "Quando la mia buona padrona ebbe terminato, mi ingegnai, poiché mi aveva ordinato di procurarmi notizie del principe di Persia, a persuaderla a fare degli sforzi per vincere se stessa, dopo il pericolo passato e da cui era scampata solo per un miracolo. "Tacete", soggiunse, "ed eseguite quello che vi ho ordinato. "Fui costretta a tacere e son venuta a eseguire i suoi ordini. Sono stata a casa vostra, e non avendovi trovato, né sapendo se avrei potuto incontrarvi nel luogo indicatomi, sono stata sul punto di andare dal principe di Persia, ma non ho osato farlo. Ho lasciato le due borse, passando, a una persona di mia conoscenza: attendetemi qui, non tarderò a portarle. "La confidente ritornò infatti molto presto dal gioielliere, nella moschea dove l'aveva lasciato, e gli disse, dandogli le due borse:"Prendete, e soddisfate i vostri amici". "Ce n'è", rispose il gioielliere, "assai più di quanto occorra, ma io non oserò ricusare il regalo che una signora cortese e generosa vuole fare al suo umilissimo servo. Vi supplico di assicurarla che le sarò eternamente grato. "Si accordò con la confidente perché venisse a cercarlo alla casa dove l'aveva veduto la prima volta, quando avesse da dirgli qualche cosa da parte di Shams an-Nahàr o volesse notizie del principe di Persia; poi si separarono. Il gioielliere ritornò a casa molto contento, non solo di poter soddisfare pienamente i suoi amici, ma anche di vedere che nessuno sapeva a Bagdàd, che il principe di Persia e Shams an-Nahàr si erano incontrati nella sua casa il giorno in cui era stata saccheggiata. E' vero che aveva confidato la cosa ai ladri, ma aveva fiducia nella loro discrezione. Costoro, d'altra parte, non avevano relazioni col mondo e non c'era quindi da temere alcun pericolo da parte loro, quand'anche avessero divulgato la notizia. L'indomani visitò gli amici che gli avevano fatto il prestito, e non durò molta fatica a contentarli. Ciò nonostante gli restò molto danaro per arredare molto bene l'altra sua casa e vi mandò ad abitare alcuni suoi servi. In tal modo scordò il pericolo corso e la sera stessa andò in casa del principe di Persia. I servi del principe gli dissero che arrivava molto a proposito, perché il principe era ancora in uno stato che faceva temere per la sua vita, e non si poteva trarre da lui una sola parola. Venne introdotto nella camera senza rumore e trovò il principe coricato, con gli occhi chiusi e in uno stato compassionevole. Lo salutò toccandogli la mano ed esortandolo ad avere coraggio. Il principe di Persia, avendolo riconosciuto alla voce, aprì gli occhi e lo guardò in modo da fargli capire che la sua afflizione era infinitamente più grande di quella provata dopo aver veduto la prima volta Shams an-Nahàr; gli prese e strinse la mano in segno di amicizia e gli disse con voce debole che gli era molto grato per la sua visita. "Principe", riprese il gioielliere, "non parliamo, ve ne supplico, di gratitudine: vorrei avervi reso dei favori con miglior successo; parliamo piuttosto della vostra salute; nello stato in cui vi vedo, temo fortemente vi lasciate deperire di proposito e che non prendiate il nutrimento che vi è necessario. "Le persone vicine al principe, loro padrone, colsero questa occasione per dire al gioielliere che tutti gli sforzi fatti per fargli mangiare qualche cosa erano stati inutili. Allora il gioielliere supplicò il principe di permettere che i suoi servi gli portassero qualche nutrimento e di prenderlo, e dopo molta insistenza l'ottenne. Dopo che il principe di Persia ebbe mangiato, impose ai suoi di lasciarlo solo col gioielliere, e quando tutti se ne furono andati:"In tutte le sciagure che m'opprimono", disse, "provo un grandissimo dolore per la perdita che avete subita per amor mio, ed è giusto ch'io pensi a risarcirvene: ma prima, vi prego di dirmi se avete avuto notizie di Shams an-Nahàr, dopo che sono stato costretto a separarmi da lei". Il gioielliere, che aveva avuto le notizie dalla confidente, gli raccontò tutto quello che sapeva dell'arrivo di Shams an-Nahàr al palazzo, e dello stato di salute di lei, dicendogli anche che aveva mandato la confidente a prendere notizie di lui. Il principe di Persia non rispose al discorso del gioielliere se non con sospiri e lacrime; poi, avendo fatto uno sforzo per alzarsi, chiamò i suoi servi, andò di persona nel suo guardaroba, fece fare molti pacchi di ricche suppellettili e di argenteria e ordinò che venissero portati in casa del gioielliere. Questi volle rifiutare il dono, dicendo che Shams an-Nahàr gli aveva già inviato più di quanto era necessario per risarcire gli amici di quanto avevano perduto, ma il principe volle essere obbedito. Il gioielliere, vedendo che non poteva più rifiutare il dono, gli mostrò gratitudine per la sua liberalità, dicendogli di non poterlo ringraziare a sufficienza. Dopo di ciò voleva andarsene: ma il principe lo pregò di restare e conversarono per buona parte della notte. Il giorno dopo il gioielliere, prima di andarsene, vide un'altra volta il principe di Persia, che lo fece sedere accanto a sé e gli disse:"Voi sapete che ognuno, qualunque cosa faccia, ha uno scopo, e che lo scopo di un amante è di possedere l'oggetto amato senza ostacoli; se egli perde questa speranza, non può più pensare a vivere: comprenderete quindi che questa è la triste condizione in cui mi trovo. Due volte ho creduto di aver raggiunto il colmo dei miei desideri, e ogni volta sono stato strappato dal fianco di colei che amo ardentemente. Dopo di ciò non mi resta che pensare alla morte; me la sarei già data se la mia religione non mi proibisse il suicidio, ma non c'è bisogno che mi dia la morte; sento che non tarderà a venire". Ciò detto, tacque, soffocato da gemiti, sospiri, singhiozzi ed abbondanti lacrime. Il gioielliere che non sapeva come distorglierlo da questo pensiero disperato, se non parlandogli di Shams an-Nahàr e dandogli qualche speranza, gli disse che temeva che la confidente fosse venuta nel frattempo e che credeva fosse ormai tempo di tornare a casa. "Vi lascio andare", gli disse il principe, "e se la vedete vi supplico di raccomandarle di assicurare Shams an-Nahàr che, se debbo morire, come presto avverrà, io l'amerò fino all'ultimo sospiro e anche nella tomba. "Il gioielliere ritornò in casa e vi restò in attesa della confidente, la quale giunse poche ore dopo, in lacrime e con le vesti in disordine. Il gioielliere spaventato le domandò che avesse. "Shams an-Nahàr, il principe di Persia, voi e io", rispose la confidente, "siamo tutti perduti! Ascoltate la triste notizia che ho saputo ieri rientrando a palazzo, dopo avervi lasciato. Shams an-Nahàr aveva fatto castigare per alcune negligenze una delle schiave, che voi vedeste con lei il giorno dell'appuntamento nell'altra vostra casa. La schiava, indispettita da questi maltrattamenti, trovando la porta del palazzo aperta, è uscita e senza dubbio è andata a rivelare tutto a un eunuco della guardia, il quale le ha dato asilo. Ma non è tutto: l'altra schiava, sua compagna, è fuggita anch'essa, e si è rifugiata nel palazzo del califfo e abbiamo ogni ragione per credere che gli abbia rivelato ogni cosa, ed eccone la ragione. Oggi il califfo ha mandato a prendere Shams an-Nahàr da una ventina di eunuchi. Io ho trovato il mezzo di scappare e di venirvi ad avvertire. Non so quello che sia avvenuto, ma non prevedo nulla di buono.  Checché ne sia, vi supplico di custodire il segreto. "La confidente aggiunse che pensava fosse necessario andare a trovare il principe di Persia, senza perder tempo, per avvertirlo dell'accaduto perché si tenesse pronto a qualunque evento e tenesse fede alla causa comune. Ciò detto si ritirò rapidamente, senza aspettare risposta. Che avrebbe potuto rispondere il gioielliere nello stato in cui si trovava? Restò immobile e come stordito dal colpo. Poi, rendendosi conto che la cosa era di grande importanza, si fece coraggio e andò a trovare il principe di Persia.  Quando fu alla sua presenza, disse con aria che rivelava la triste notizia che veniva ad annunciargli:"Principe, armatevi di pazienza, di coraggio e di costanza, e preparatevi al più terribile assalto che abbiate dovuto sostenere in vita vostra". "Ditemi, di che si tratta?", rispose il principe.  "Son pronto a morire se occorre. "Il gioielliere gli raccontò quanto aveva saputo dalla confidente. "Voi vedete", continuò, "che la vostra perdita è sicura. Alzatevi, e mettetevi subito in salvo, perché il tempo è prezioso. Non dovete esporvi alla collera del califfo. "Poco mancò che il principe morisse d'afflizione, di dolore e di spavento. Ma, fattosi coraggio, domandò al gioielliere che cosa gli consigliasse di fare. "Non c'è scelta", rispose il gioielliere. "Dovete salire a cavallo al più presto, e prendere la strada d'Aubar per giungervi domani prima del giorno.  Prendete quanti servi giudicherete necessari, e buoni cavalli, e permettetemi di fuggire con voi. "Il principe di Persia ordinò di preparare subito ogni cosa, si munì di danaro e di gioielli, e dopo aver preso congedo da sua madre, partì, allontanandosi subito da Bagdàd col gioielliere, e i servi scelti per la circostanza. Camminarono per tutto il resto del giorno e tutta la notte senza fermarsi in alcun luogo, fino a due o tre ore prima dello spuntare del sole. Finalmente, stanchi del lungo cammino, scesero a terra per riposarsi, anche perché i cavalli non ne potevano più. Avevano appena avuto il tempo di respirare, quando si videro assaliti tutt'a un tratto da una grossa schiera di ladri. Si difesero per qualche tempo coraggiosamente, ma alla fine tutti i domestici del principe furono uccisi. Questo obbligò il principe e il gioielliere a deporre le armi e ad arrendersi. I ladri lasciarono loro la vita; ma, dopo essersi impadroniti dei cavalli e dei bagagli, li spogliarono, lasciandoli così malconci. Quando i ladri si furono allontanati:"Ebbene", disse il principe desolato al gioielliere, "che vi sembra della nostra avventura e dello stato in cui siamo ridotti? Non sarebbe stato meglio che fossimo rimasti a Bagdàd ad attendere la morte?". "Principe", rispose il gioielliere, "quest'è un decreto della volontà di Dio: ci vuole provare con le afflizioni. Il nostro dovere è di non lagnarci e di ricevere queste sciagure con una cieca sottomissione. Non fermiamoci oltre qui e cerchiamo asilo, dove possiamo essere soccorsi nella nostra disgrazia. ""Lasciatemi morire", gli disse il principe di Persia, "morire qui o altrove non è la stessa cosa? Forse in questo momento mentre noi parliamo Shams an-Nahàr non è più, e io non debbo cercare di vivere dopo di lei!"Il gioielliere lo persuase finalmente a forza di preghiere: camminarono qualche tempo e finalmente videro una moschea aperta, vi entrarono e vi passarono il resto della notte. Allo spuntare del giorno un uomo solo entrò in quella moschea; dopo aver fatto la sua preghiera, scorse, nell'uscire, il principe di Persia e il gioielliere. Si avvicinò, salutando con molta cortesia. "A quel che posso capire", disse loro, "siete stranieri?"Il gioielliere prese la parola. "Non v'ingannate", rispose, "questa notte siamo stati derubati venendo da Bagdàd, come potete vedere dallo stato in cui siamo, e abbiamo bisogno di soccorso, ma non sappiamo a chi rivolgerci. ""Se volete prendervi la pena di venire a casa mia", riprese l'uomo, "vi darò volentieri l'assistenza di cui avete bisogno. "A questa offerta generosa il gioielliere si volse al principe di Persia e gli disse all'orecchio:"Quest'uomo, principe, non ci conosce, come vedete, e non abbiamo da temere d'essere riconosciuti; quindi non dobbiamo, mi sembra, rifiutare la grazia che ci vuol fare". "Voi siete il padrone", rispose il principe, "e io acconsento a quanto vorrete. "L'uomo vedendo che il gioielliere e il principe di Persia bisbigliavano insieme, immaginò che stessero consigliandosi se accettare la sua proposta; domandò loro che cosa avessero deciso. "Siamo pronti a seguirvi", rispose il gioielliere, "quello che ci sgomenta è che siamo nudi, e abbiamo vergogna a comparire in questo stato. "Per buona sorte l'uomo poté dare a ciascuno di che coprirsi per condurli fino a casa sua. Appena giunti, il loro ospite fece portare a ciascuno di loro un abito assai bello e, immaginando che avessero gran bisogno di mangiare, ma che preferissero restare soli, fece loro portare dei cibi da una schiava. Ma loro non mangiarono quasi nulla, soprattutto il principe di Persia, che si trovava in uno stato di languore così miserevole da far temere al gioielliere per la sua vita. Il loro ospite venne da loro diverse volte nella giornata e, verso sera, sapendo che avevano bisogno di riposo, li lasciò presto. Ma il gioielliere fu obbligato poco dopo a chiamarlo per assistere alla morte del principe di Persia, essendosi accorto che costui respirava male e rantolava; da ciò avevano capito che gli restavano solo pochi momenti da vivere. Il principe gli disse:"Sono spacciato, come vedete, e sono contento che siate testimoni dell'ultimo sospiro della mia vita. Io muoio volentieri, e non ve ne dico la ragione, perché la sapete. Il mio solo rincrescimento è di non morire tra le braccia della mia cara madre, che mi ha sempre amato teneramente, e per la quale ho sempre avuto il più grande rispetto. Ella sarà molto addolorata di non aver avuto la triste consolazione di chiudermi gli occhi e di seppellirmi con le sue mani. Ditele la pena che ne provo, e pregatela da parte mia di far trasportare il mio corpo a Bagdàd, perché bagni con le sue lacrime la mia tomba e mi assista con le sue preghiere". Non dimenticò di ringraziare il suo ospite della accoglienza generosa e, dopo avergli chiesto in grazia di tenere il suo corpo in casa finché non lo venissero a prendere, spirò!Il giorno dopo la morte del principe di Persia il gioielliere, profittando del passaggio d'una carovana molto numerosa diretta a Bagdàd, a cui si unì, si recò nella casa del principe di Persia, dove tutti si spaventarono di non vederlo con lui. Pregò di avvertire la madre del principe, che desiderava parlarle, e non tardò molto ad essere introdotto in una sala dove la donna si trovava con diverse schiave. "Signora", le disse il gioielliere con aria mesta, "Iddio vi conservi, e vi colmi della sua bontà! Voi non ignorate che Iddio dispone di noi come gli piace. "La signora non diede nemmeno il tempo al gioielliere di proseguire:"Ah!", esclamò, "voi mi annunciate la morte di mio figlio!". E nello stesso tempo lanciò delle spaventevoli grida, che unite a quelle delle sue donne, rinnovarono le lacrime del gioielliere. Ella si angosciò e si afflisse a lungo prima di lasciarlo proseguire; poi, sospendendo le lacrime e i gemiti, lo pregò di continuare, senza nasconderle nessun particolare. Egli la soddisfece, e quando ebbe terminato, lei gli domandò se il principe suo figlio non l'avesse incaricato di dirle qualche cosa di particolare negli ultimi momenti della sua vita. Il gioielliere l'assicurò che egli aveva avuto gran dispiacere di morire lontano da lei, e che aveva espresso il desiderio che il suo corpo venisse trasportato a Bagdàd. Il giorno seguente sul far dell'alba lei si mise in viaggio, accompagnata dalle sue donne e dalla maggior parte dei suoi schiavi. Il gioielliere, appena l'ebbe vista partire, ritornò a casa sua, tutto triste, con gli occhi bassi e grandissimo cordoglio per la morte prematura di un principe, così cortese ed amabile. Mentre camminava tutto assorto, una donna gli si fermò davanti. Il gioielliere riconobbe la confidente di Shams an-Nahàr, vestita a lutto e in lacrime. A questo spettacolo, rinnovò le sue lacrime e continuò a camminare fino alla sua casa, dove la confidente lo seguì ed entrò con lui. Si sedettero, e il gioielliere, parlando per primo, domandò alla confidente con un gran sospiro, se aveva già saputo della morte del principe di Persia, e se fosse per lui che piangeva. "Ohimè! no", esclamò quella, "come? Questo principe così grazioso è morto? Non ha vissuto a lungo dopo la sua cara Shams an-Nahàr. Belle anime", aggiunse, "in qualunque luogo voi siate, dovete essere molto contente di potervi amare senza ostacoli. I vostri corpi erano un ostacolo ai vostri desideri, e il cielo ve ne ha liberati, per unirvi!"

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Il gioielliere non sapendo nulla della morte di Shams an-Nahàr, ebbe nuovi motivi di afflizione nell'apprendere questa notizia. "Come, Shams an-Nahàr è morta?", esclamò. "Purtroppo è morta!", riprese, nuovamente in pianto, la confidente, "ed è per lei che io porto il lutto. I particolari della sua morte sono singolari: ma prima ditemi come è morto il principe di Persia. "Avendo il gioielliere accontentata la confidente raccontandole la morte del principe di Persia, fino alla partenza della madre di lui per riportarne il corpo a Bagdàd, ella gli disse:"Voi non avete dimenticato che vi dissi che il califfo aveva mandato a prendere Shams an-Nahàr. Era vero, come avevamo avuto motivo di credere, che egli era stato informato degli amori del principe di Persia e di Shams an-Nahàr dalle due schiave che aveva interrogato separatamente. Voi pensate senza dubbio che fosse sdegnato contro Shams an-Nahàr e avesse dimostrato grande gelosia e propositi di vendetta contro il principe di Persia. Niente affatto; non pensò neppure un momento al principe di Persia e piangeva solamente Shams an-Nahàr. Probabilmente si credeva responsabile dell'accaduto, per averle permesso di andare liberamente in città senza essere accompagnata da eunuchi. Non si può immaginare altro motivo per il comportamento straordinario che tenne con lei, come sentirete. Il califfo la ricevette sorridendo e, quando ebbe notato la tristezza da cui era oppressa, che nondimeno non diminuiva per nulla la sua bellezza (poiché ella comparve davanti a lui senza alcun segno di sorpresa o di spavento). "Shams an-Nahàr, non posso sopportare che veniate davanti a me", le disse con una bontà degna di lui, "con un aspetto che mi affligge infinitamente. Sapete con quale passione vi ho sempre amata, e dovete esserne persuasa da tutte le prove che ve ne ho date. Non sono cambiato e vi amo più che mai. Voi avete dei nemici, che mi hanno fatto dei rapporti sulla vostra condotta: ma quanto hanno potuto dire non mi ha fatto la minima impressione. Non siate dunque triste e disponetevi a farmi passare questa sera in modo piacevole secondo il solito. "Le disse poi altre cose cortesi, e la fece entrare in un appartamento magnifico, vicino al suo, dove la pregò di aspettarlo. L'afflitta Shams an-Nahàr fu commossa da tante testimonianze di stima. Ma più si rendeva conto di quanto doveva essere riconoscente al califfo, più la crucciava il pensiero di essere allontanata, e per sempre forse, dal principe di Persia, senza il quale non poteva più vivere". "Questo colloquio di Shams an-Nahàr e del califfo", continuò la confidente, "avvenne mentre io venivo qui a parlarvi, e ne ho saputo i particolari dalle mie compagne: ma appena vi lasciai, andai a raggiungere Shams an-Nahàr e fui testimone di quanto accadde la sera. La trovai nell'appartamento di cui vi ho parlato e avendo immaginato che avessi parlato con voi, mi fece avvicinare, e senza che nessuno ci sentisse:"Vi sono molto grata", mi disse, "del favore che mi avete fatto e che sarà probabilmente l'ultimo". Non disse altro, e io non potevo consolarla. Il califfo entrò la sera, prese Shams an-Nahàr per mano e la fece sedere vicino a sé sul sofà. Ella si fece violenza per compiacerlo, ma lo sforzo fu tale che la vedemmo morire pochi momenti dopo. Infatti, non appena seduta, si rovesciò indietro. Il califfo credette che fosse svenuta, e noi tutte credevamo lo stesso. Ci affrettammo a soccorrerla, ma non ritornò più in sé. Il califfo l'onorò delle sue lacrime, che non poté trattenere, e prima di ritirarsi nel suo appartamento, ordinò di spezzare tutti gli strumenti: il che fu subito eseguito. Io restai tutta la notte vicina al suo corpo, lo lavai, bagnandolo con le mie lacrime; l'indomani fu seppellita, per ordine del califfo, in una tomba magnifica che le aveva già fatto costruire in un luogo scelto da lei medesima: e giacché mi avete detto", aggiunse, "che si deve portare il corpo del principe a Bagdàd, sono decisa a fare in modo che sia messo nella stessa tomba. "Il gioielliere fu sorpreso della decisione della confidente. "Non pensateci nemmeno", esclamò, "il califfo non lo permetterà mai!""Voi credete la cosa impossibile", riprese la confidente, "ma non lo è; ne converrete anche voi quando saprete che il califfo ha dato la libertà a tutte le schiave di Shams an-Nahàr, con una pensione sufficiente per vivere, e ha incaricato me della cura e della guardia del sepolcro, con una rendita considerevole per mantenerlo in ordine e per mantenermi. D'altra parte, il califfo, non ignorando gli amori del principe e di Shams an-Nahàr, come vi ho detto, e non essendone scandalizzato, non ne sarà neppure sdegnato. "Il gioielliere non ebbe altro da dire, e pregò la confidente di guidarlo a quella tomba per farvi la sua preghiera. La sua sorpresa fu grande nel giungervi, perché vi trovò una folla immensa che era accorsa da tutte le parti di Bagdàd. Non poté neppure avvicinarsi e dovette fare la sua preghiera da lontano. Poi, rivolgendosi alla confidente, esclamò:"Io non trovo più impossibile ottenere quanto avete immaginato. Non abbiamo che da rendere pubblico ciò che sappiamo di questo grande amore, e i particolari della morte del principe di Persia avvenuta quasi nello stesso momento di quella di Shams an-Nahàr e prima che il corpo arrivi, tutta Bagdàd chiederà a gran voce che non sia separato da quello di Shams an-Nahàr". La cosa riuscì, e il giorno in cui si seppe che il corpo doveva arrivare, un'infinità di gente, oltre ventimila persone, gli andò incontro. La confidente attese alla porta della città, dove si presentò alla madre del principe e la supplicò, in nome di tutto il popolo, di permettere che i corpi dei due amanti, che avevano avuto un solo cuore da quando avevano cominciato ad amarsi fino alla morte, avessero una sola tomba. Ella acconsentì, e il corpo fu portato al sepolcro di Shams an-Nahàr, accompagnato da un numeroso seguito di persone di ogni grado. D'allora in poi tutti gli abitanti di Bagdàd, e anche gli stranieri di tutti i paesi del mondo dove abitano dei musulmani, non hanno cessato di avere una grande venerazione per quel sepolcro e di andarvi a fare le loro preghiere. "Ecco, sire", disse allora Shahrazàd, che si era accorta che era spuntato il giorno, "ciò che volevo raccontarvi degli amori della bellissima favorita del califfo Harùn ar-Rashìd e del principe di Persia. "Quando Dunyazàd vide che la sorella aveva finito di parlare, la ringraziò calorosamente per il piacere che le aveva dato con quel racconto. "Se il sultano vorrà sopportarmi fino a domani, vi racconterò la storia del principe Qamar az-Zamàn, che vi darà ancor più piacere. "Shahrazàd tacque e il sultano non seppe ancora decidersi a farla morire e la notte seguente si rimise ad ascoltarla.

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