LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (PURGATORIO) - CANTO XXI

La sete natural che mai non sazia
se non con l'acqua onde la femminetta
samaritana domandò la grazia, (3)

mi travagliava, e pungeami la fretta
per la 'mpacciata via dietro al mio duca,
e condoleami a la giusta vendetta. (6)

Ed ecco, sì come ne scrive Luca
che Cristo apparve a' due ch'erano in via,
giù surto fuor de la sepulcral buca, (9)

ci apparve un'ombra, e dietro a noi venìa,
dal piè guardando la turba che giace;
né ci addemmo di lei, sì parlò pria, (12)

dicendo: «O frati miei, Dio vi dea pace».
Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
rendéli 'l cenno ch'a ciò si conface. (15)

Poi cominciò: «Nel beato concilio
ti ponga in pace la verace corte
che me rilega ne l'etterno essilio». (18)

«Come!», diss' elli, e parte andavam forte:
«se voi siete ombre che Dio sù non degni,
chi v'ha per la sua scala tanto scorte?». (21)

E 'l dottor mio: «Se tu riguardi a' segni
che questi porta e che l'angel profila,
ben vedrai che coi buon convien ch'e' regni. (24)

Ma perché lei che di e notte fila
non li avea tratta ancora la conocchia
che Cloto impone a ciascuno e compila, (27)

l'anima sua, ch'è tua e mia serocchia,
venendo sù, non potea venir sola,
però ch'al nostro modo non adocchia. (30)

Ond' io fui tratto fuor de l'ampia gola
d'inferno per mostrarli, e mosterrolli
oltre, quanto 'l potrà menar mia scola. (33)

Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli
diè dianzi 'l monte, e perché tutto ad una
parve gridare infino a' suoi piè molli». (36)

Sì mi diè, dimandando, per la cruna
del mio disio, che pur con la speranza
si fece la mia sete men digiuna. (39)

Quei cominciò: «Cosa non è che sanza
ordine senta la religïone
de la montagna, o che sia fuor d'usanza. (42)

Libero è qui da ogne alterazione:
di quel che 'l ciel da sé in sé riceve
esser ci puote, e non d'altro, cagione. (45)

Per che non pioggia, non grando, non neve,
non rugiada, non brina più sù cade
che la scaletta di tre gradi breve; (48)

nuvole spesse non paion né rade,
né coruscar, né figlia di Taumante,
che di là cangia sovente contrade; (51)

secco vapor non surge più avante
ch'al sommo d'i tre gradi ch'io parlai,
dov' ha 'l vicario di Pietro le piante. (54)

Trema forse più giù poco o assai;
ma per vento che 'n terra si nasconda,
non so come, qua sù non tremò mai. (57)

Tremaci quando alcuna anima monda
sentesi, sì che surga o che si mova
per salir sù; e tal grido seconda. (60)

De la mondizia sol voler fa prova,
che, tutto libero a mutar convento,
l'alma sorprende, e di voler le giova. (63)

Prima vuol ben, ma non lascia il talento
che divina giustizia, contra voglia,
come fu al peccar, pone al tormento. (66)

E io, che son giaciuto a questa doglia
cinquecent' anni e più, pur mo sentii
libera volontà di miglior soglia: (69)

però sentisti il tremoto e li pii
spiriti per lo monte render lode
a quel Segnor, che tosto sù li 'nvii». (72)

Così ne disse; e però ch'el si gode
tanto del ber quant' è grande la sete,
non saprei dir quant' el mi fece prode. (75)

E 'l savio duca: «Omai veggio la rete
che qui vi 'mpiglia e come si scalappia,
perché ci trema e di che congaudete. (78)

Ora chi fosti, piacciati ch'io sappia,
e perché tanti secoli giaciuto
qui se', ne le parole tue mi cappia». (81)

«Nel tempo che 'l buon Tito, con l'aiuto
del sommo rege, vendicò le fóra
ond' uscì 'l sangue per Giuda venduto, (84)

col nome che più dura e più onora
era io di là», rispuose quello spirto,
famoso assai, ma non con fede ancora. (87)

Tanto fu dolce mio vocale spirto,
che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
dove mertai le tempie ornar di mirto. (90)

Stazio la gente ancor di là mi noma:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
ma caddi in via con la seconda soma. (93)

Al mio ardor fuor seme le faville,
che mi scaldar, de la divina fiamma
onde sono allumati più di mille; (96)

de l'Eneïda dico, la qual mamma
fummi, e fummi nutrice, poetando:
sanz' essa non fermai peso di dramma. (99)

E per esser vivuto di là quando
visse Virgilio, assentirei un sole
più che non deggio al mio uscir di bando». (102)

Volser Virgilio a me queste parole
con viso che, tacendo, disse 'Taci';
ma non può tutto la virtù che vuole; (105)

ché riso e pianto son tanto seguaci
a la passion di che ciascun si spicca,
che men seguon voler ne' più veraci. (108)

Io pur sorrisi come l'uom ch'ammicca;
per che l'ombra si tacque, e riguardommi
ne li occhi ove 'l sembiante più si ficca; (111)

e «Se tanto labore in bene assommi».
disse, «perché la tua faccia testeso
un lampeggiar di riso dimostrommi?». (114)

Or son io d'una parte e d'altra preso:
l'una mi fa tacer, l'altra scongiura
ch'io dica; ond' io sospiro, e sono inteso (117)

dal mio maestro, e «Non aver paura»,
mi dice, «di parlar; ma parla e digli
quel ch'e' dimanda con cotanta cura». (120)

Ond' io: «Forse che tu ti maravigli,
antico spirto, del rider ch'io fei;
ma più d'ammirazion vo' che ti pigli. (123)

Questi che guida in alto li occhi miei,
è quel Virgilio dal qual tu togliesti
forza a cantar de li uomini e d'i dèi. (126)

Se cagion altra al mio rider credesti,
lasciala per non vera, ed esser credi
quelle parole che di lui dicesti». (129)

Già s'inchinava ad abbracciar li piedi
al mio dottor, ma el li disse: «Frate,
non far, ché tu se' ombra e ombra vedi». (132)

Ed ei surgendo: «Or puoi la quantitate
comprender de l'amor ch'a te mi scalda,
quand' io dismento nostra vanitate,
trattando l'ombre come cosa salda». (136)

NOTE AL CANTO XXI



(1-6) La sete natural: di sapere; non sazia: non si sazia. «Naturalis sitis, idest desiderium sciendi, unde Aristoteles, in principio Metaphysicae, ait: "Omnes homines natura scire desiderant" humanitus, in aqua hujus seculi non extinguitur, idest in scientia mundana, sed in divina gratia quae est aqua viva, a qua manat possibilitas omnia sciendi» (P. di D.). «Nulla cosa può quetare tal sete se non vedere la essenzia di quello che diè la grazia alla Samaritana» (Lan.). «La visione di Dio» (O.); dimandò la grazia: Giovanni, IV, 14-15: «Chi berrà dell'acqua ch'io gli darò, non avrà sete in eterno; anzi, l'acqua ch'io gli darò, diverrà in lui una fonte d'acqua sagliente in vita eterna. La donna gli disse: Signore, dammi cotesta acqua, acciocchè io non abbia sete». «Mai non è sazia se non con l'abbondanza dello spirito santo preveniente, dalla quale la femminetta - sammaritana dimandò la grazia illuminante, cooperante et consumante da Cristo et ebbela» (B.); pungeami: mi spronava; la fretta: «dell'andare» (B.); 'mpacciata: dall'anime che giacean per terra; e condoleami, ecc.: «e mi condolea. Avea compassione alla pena che iustamente portavano» (B.).
(7-15) Luca, 24; a' due: discepoli, s. Jacopo e s. Giovanni, che andavano in Emaus; già surto fuor: risuscitato e levato; buca: fossa. «Clausura del sepolcro» (B.); dal piè guardando: «avendo cura di non scalcare col piè» (B.); dal piè: al suolo; ne ci addemmo di lei: né ci accorgemmo di lei; sì parlò pria: fin che non ebbe prima parlato; dea: dia; 'l cenno ch'a ciò si conface: sì conviene; le rendè il saluto; Inf., IV, 98: ...salutevol cenno. «Rispose cioè: et cum Spiritu tuo» (Lan.).
(16-24) Nel beato concilio: Nel concilio de' beati; in Paradiso.
Ps. I: In concilio justorum; la verace corte: il tribunale infallibile di Dio; che me rilega, ecc.: nel Limbo; e parte andavam forte: e intanto camminavam sollecitamente. Andava, vorrebbe il Cesari: «altrimenti - egli dice - converrà credere che i poeti (i quali, udendosi salutare dall'ombra che venia lor dietro, s'erano rivolti a renderle il saluto) di presente sieno tornati sull'andar forte, lasciandosela pur correr dietro: si è conveniente, che avendo essi preso un passo moderato per aspettarla, ella s'affrettasse di raggiungerli»; su non degni: non vi faccia degni d'essere in vita eterna; chi v'ha, ecc.: chi v'ha guidate sì gran tratto per lo monte del Purgatorio, ch'è scala al cielo; segni: i P; ne restavano tre; profila: delinea. Il Buti: «Profilare è ornare la parte estrema, o di sopra o di sotto; ora lo piglia per la parte di sopra»; coi buon: «con quelli di Paradiso» (B.).
(25-30) perché lei, ecc.: colei. Altri: Po' colei, o poiché colei. Lachesi; tratta ancora: filata. «Ancora compiuto a trarre; imperò che chi fila, a poco a poco tira giù lo lino o la stoppa tanto, che fa lo filo, et a filo a filo tira dalla rocca tutto lo pennecchio e la roccata» (B.); la conocchia: «quella parte del pennecchio e della roccata» (B.); impone: soprappone alla rocca. Il Buti: «compila, insieme raccoglie». «Avvolge ed aggiusta sulla rocca» (Ces.). «Ristringe andandole intorno con la mano. Cloto assegna lo stame, la quantità di vita, che dee viver ciascuno, e Lachesi lo fila» (F.). Intende che non è anche morto; ch'è tua e mia serocchia: ch'è d'una medesima natura che la tua e la mia e creata dal medesimo Dio; al nostro modo non adocchia: non intende e non vede come noi. «Non guata per intelletto; ma guata come i mortali, che considerano per l'amministrazione de' sensati apprendimenti» (O.).
(31-36) de l'ampia gola: dalla vasta bocca o entrata dell'Inferno, ch'è il Limbo. Inf., IV, 24: Il Limbo è il primo e più ampio cerchio che l'abisso cigne; per mostrarli: il cammino e le cose; mia scola: il mio magistero. «La mia dottrina, imperò che Dante non può comprendere della dottrina di Virgilio se non la punizione de' dannati e la purgazione de' salvati, e però finge che alla entrata del paradiso delitiarum, inanti che passi lo fiume Lete, Virgilio l'abbandoni e lassilo» (B.); tai crolli: tai scossi; tutti: gli spiriti che si aggirano per questo monte; ad una: voce; infino ai suoi piè molli: infino alle radici di esso monte bagnate dall'Oceano.
(37-39) Sì mi diè... per la cruna: «per lo mezzo» (B.). Imbroccò talmente il mio desiderio con questa sua domanda che pur, ecc.: che sol con la speranza di udire la soluzione del dubbio; men digiuna: «alquanto cibata e contenta» (Lan.). «Bocc.: "Oh quanto cotal domanda diede per lo mio desio"» (T.).
(40-48) la religione - de la montagna: il sacro monte; religïone: «Virg., Aen., VII: Religio... loci» (T.); sanza - ordine: fuor dell'ordine. «In questo purgatorio, ch'è religione dell'anime che si purgano, non c'è niuna cosa temeraria e senza ordine» (B.); Libero è qui, ecc.: Questo luogo è esente da tutte quelle alterazioni, a che va soggetta la terra, come tremuoti, fulmini, nebbie, ecc. «Qui sta per sostantivo. Purg., IX, 54: ...li fiori ond'è là adorno» (T.); quel: l'anime; da sé: «spontaneamente. Trema il monte per cagione che un'anima sale al cielo, il quale le riceve in sè, venenti da sè di lor libero moto» (T.). «La cagione delle novità che in questa montagna accadono, non può esser da altro che di quel, da quello che il cielo da sé, da lei, riceve in sè medesimo, dalle anime che passano dal Purgatorio al cielo» (L.). «Può esserci alterazione per quel che il cielo riceve in sè da sè, cioè rispetto a que' mutamenti di che il ciclo è causa a sè stesso; e non per altra cagione. Brevemente dal Purgatorio non può vedersi alterazione veruna di cielo, tranne i diversi aspetti o apparenze ch'ad esso cielo sono date, relativamente ad ogni luogo dal suo natural moto di rotazione. Coelum, dice Aristotile, non est alterabile, nisi secundum locum et per partes» (B. B.). «Qui può bene essere lo mutamento che fa lo cielo quanto al sito delle sue parti: imperò che fa la volta tonda, et altri corpi sono lo dì sopra, et altri la notte, e quando vi si fa dì e quando notte» (B.); grando: grandine; la scaletta, ecc.: La breve scaletta de' tre gradi è quella che monta su alla porta del Purgatorio, dove sta l'angelo con le chiavi. Purg., IX, 76 e segg.
(49-51) non paion: non compaiono; né corruscar: né lampeggiare, né lampi; né figlia di Taumante: l'iride - l'arcobaleno. «Iris (una delle Oceanidi, figlia di Taumante e d'Elettra; Lf.), la quale Giuno tirò a sé in cielo, e fecela sua donzella, perch'ella sempre li avea fatto sacrificio, e perch'ella andasse di cielo in terra a fare le sue ambasciate, fece quello arco di diversi colori, lo quale è la via per che va Iris» (B.); che di là, ecc.: che in terra muta luogo, secondo l'opposizione del sole. «Imperò che sempre non appare in uno luogo, anzi sempre in opposito al sole» (B.); di là: «dice, perché nell'altra emisferio, dove egli era allora, non si vede, fingendolo inabitato» (L.).
(52-54) secco vapor: «Aristotile (Metaph., II) distingue l'umido vapore e il secco: dall'umido la pioggia, la neve, la grandine, la rugiada, la brina; dal secco il vento; vento se il vapore è sottile, se più forte, terremoto» (T.). Il Buti: «Secco vapor, ch'è quel che genera li venti e li fulguri e le saette e li tuoni quando è in aire e li tremuoti quando è nelle caverne della terra, non surge, non si leva più dalla terra inverso 'l cielo, che al terzo scalone dove tiene li piedi l'angiulo, che sta alla porta del Purgatorio, e figura lo sacerdote ch'è vicario di s. Pietro». Ini:., I, 134: La porta di san Pietro; ch'io parlai: di che io parlai sopra al v. 48.
(55-60) Trema forse, ecc.: «Avvertendo che può bensì piovere, grandinare, ecc., sulla porzione del monte al di sotto del Purgatorio, senza che piova, grandini, ecc., sulla porzione al di sopra, ma che non può naturalmente essere scossa dal terremoto la stessa inferior porzione del monte, senza apportar scotimento anche alla soprapposta parte, perciò, del terremoto parlando, qui muta stile; e dubitando se al di sotto alcun terremoto succeda, restringesi ad asserire di certo, che per vento sotterraneo non risentì mai la porzione alta scotimento veruno; quasi dica: o perchè neppur al di sotto mai terremoto succeda, o perchè prodigiosamente impedisca Dio che il terremoto dal basso all'alto si comunichi» (L.); poco od assai: «si riferisce a più giù» (B. B.); Tremaci: in questo luogo il monte; monda: «mondata per la penitenzia che hae fatta del suo peccato» (B.); sì che surga: quando trovisi in luogo vicino alle scale; si mova, ecc.: «quando sentasi mondo e trovisi in parte che dalle scale sia lontana, talchè prima di salire convengale girare del piano, nel quale sta; nel qual atto non sale, ma muovesi per salire» (L.); che surga: «in tutto si levi dalla pena purgata per andare in vita eterna, o che si mova, del suo girone, purgata di quel peccato, per salir su all'altro balzo, per purgarsi dell'altro peccato» (B.); e tal grido: dell'inno Gloria in excelsis, ecc. «Segue dopo il tremare» (Tor.).
(61-66) De la mondizia, ecc.: Ordina: fa prova de la mondizia, che l'anima è netta dal peccato, sol voler (supplisci salire al cielo), che, il qual volere, tutta libera a mutar convento, stanza, sorprende, invade, l'alma, ecc. «Perché, come dice poi, l'anima vorrebbe anche prima, ma il di lei volere vien reso inefficace dal talento. Quando dunque questo contrario talento cessa, sorprende, investe e muove allor l'anima un voler tutta libera e di voler le giova, e non va senza effetto il di lei volere, come dirà appresso che andava prima» (L.). Il Buti: «Solo la volontà che viene all'anima di salire è prova ch'ella sia monda del peccato; le giova, ne prende diletto»; Prima vuol ben, ecc.: «Nel vero anche prima vuole salire; ma non lascia, ma non la lascia libera questa sua voglia il talento, l'appetito, di purgarsi; il qual talento la divina giustizia, al tormento, in Purgatorio, pone contra voglia, oppone alla voglia di salire al cielo, appunto, come nel peccare su nel mondo, questo talento fece guerra alla voglia del bene» (B.B.); contra voglia: «La divina giustizia infonde nell'anima purgante un desiderio di proseguire ne' tormenti, contra sua propria voglia, che è quella di salire al cielo, a quel modo che le infuse in vita un desiderio al bene, contra quella voglia che l'inclinava al peccato» (Tor.). Il Buti: «L'anima hae due volontà: l'una assoluta e simplice, e questa sempre vuole lo bene sommo e perfetto, nè non può non volerlo, essendole mostrato; l'altra volontà è respettiva, e questa nol vuole se non per iusto modo, e questa così fatta volontà è quella che fa prova della mondizia, cioè quando non contraddice alla volontà naturale; imperò che se non fusse monda contradirebbe, e chiamala l'autore talento». «La volontà sempre vuole l'ultimo e perfetto fine, ma la giustizia di Dio vuole, acciocch'ella sia tutta intera satisfatta, che siccome lo peccatore ebbe volontà di peccare e peccò, così abbia talento di stare e stia; e a sua suggezione e purgazione; sicchè lo talento e volontà secundum quid» (Lan.). Il Lomb.: con tal voglia, e spiega: «Con quella inefficace voglia con la quale fu l'uomo contrario al peccato, mentre a peccare si determinò, con la medesima vorrebbe nel Purgatorio sorgere dal tormento, mentre per inclinazione a soddisfare alla divina giustizia, si determina ad ivi
rimanere».
(68-72) cinquecent'anni, ecc.: «Dall'anno, di G. C. 96, circa il quale Stazio morì, al 1300, in cui finge Dante questo suo viaggio, scorsero anni più di milledugento. Avendone dunque Stazio passati in questo quinto girone cinquecento e più, e nel quarto degli accidiosi, come nel seguente canto dirà, restato essendo più che il quarto centesmo, dee il rimanente intendersi consumato nei luoghi anteriori» (L.); pur mo: ora soltanto; libera volontà: «non impacciata dal talento» (B.); soglia: «di salire a migliore luogo» (B.); render lode: «della mia esaltazione» (B.); che tosto su li 'nvii: che, acciocchè presto invii anch'essi al cielo. Il Buti: «Ecco che prega Stazio per loro». E così B. B.: «che io prego gl'invii su subito al cielo».
(73-75) e però ch'el si gode, ecc.: E perché l'uomo tanto si compiace d'intendere, quanto è grande il desiderio che n'ha, non saprei dire quant'ei mi dilettasse.
(76-81) la rete: «la giustizia di Dio che li tiene» (Lan.); si scalappia: «si dislaccia» (Lan.). «Si scioglie e spaccia da questa rete» (B.); ci trema: in questo luogo; congaudete: fate insieme allegrezza; mi cappia: «mi sia manifesto» (B.). «Cappia, sia contenuto nel tuo dire, perché» (T.).
(83-102) del sommo rege: Dio; vendicò le fóra: le ferite, dalle quali uscì il sangue di Gesù Cristo, venduto da Giuda. - Tito distrusse Gerusalemme. «L'assedio di Gerusalemme fu nell'anno 70. Stazio nacque a Napoli sotto il regno di Claudio; scrisse le Selve, o poesie miscellanee, la Tebaide, poema epico in 12 libri, e cominciò l'Achilleide, dove voleva condurre Achille dalla nascita fin dopo la rovina di Troia. Scrisse anche una tragedia, Agave, perduta. Nell'Ecloga V del libro III delle Selve a Claudia sua moglie, descrivendo le bellezze di Partenope, la chiama: amborum genetrix altrixque» (Lf.); tolosano: «Allora, non essendosi probabilmente trovate ancora le Selve, si credea di Tolosa, confodendo Papinio Stazio con un Surcolo od Ursolo Stazio. Bocc., Am. Vis.: "E Stazio di Tolosa ancora caro"» (L.); col nome, ecc.: «di poeta. Cassiodoro: Perpetua fruitur laude, est honor in nomine» (P. di D.); ma non con fede ancora: ma non ancora credente nella fede di Cristo, mio vocale spirto: il mio canto. «Tanto ebbe dolce prolazione e facundia di lingua, che Juvenale satirico scrive di lui (Sat. VII, 82 e segg.): Curritur ad vocem iucundam et carmen amicae Thebaidos: quando Stazio recitava in Roma, tutto 'l popolo vi correa» (B.). Nel Conv. Dante lo chiama dolce poeta; tempie: «Aen., VII: Tempora ramo Implicat» (T.); mirto: «non come poeta amoroso, ma come men nobile. Buc., II: E vos o lauri, carpam, et te, proxima myrte» (T.). Petr.: «Qual vaghezza di lauro? o qual di mirto» (L.); ma caddi in via, ecc.: Morì prima di finir l'Achilleide; ardor: poetico; allumati: «fatti famosi e gloriosi - sì li poeti e sì le persone nominate da' poeti» (B.); mamma: «madre, cioè puppola, dalla quale io abbo succhiato, come lo fanciullo lo latte nutritivo della sua vita, così lo modo della mia poesi abbo cavato quindi» (B.); dramma: e l'ottava parte d'un'oncia. «Senza la poesi di Virgilio io non fermai nulla nella mia» (B.); di là: nel mondo; assentirei, ecc.: acconsentirei di stare un giro di sole, un anno di più ch'io non deggia in questo esiglio del Purgatorio.
(104-114) con viso: con atto nel volto; la virtù che vuole: la volontà; vuole: Petr.: «E chi discerne è vinto da chi vuole»; ché riso e pianto: seguono così vivamente alla passione, da cui l'uno e l'altro procede, che negli uomini più veritieri e sinceri meno obbediscono alla volontà nell'esternarsi; passion: «Somma: "Ogni moto dell'appetito sensitivo è passione"» (T.); ammicca: accenna. «Io feci come chi ammicca, che guizzando l'occhio sorride» (Ces.). «Qui inclinat faciem annuendo, vel affirmando aliquid» (Benv.); per che: per lo qual sorridere; ove il sembiante: «l'atto esteriore d'allegrezza o di dolore, più si ficca, che in nessuna altra parte del corpo umano: imperò che nel riso l'occhio s'apre e grilla, e nel pianto chiude e getta fuor lagrime» (B.). «Il sembiante qui è l'imagine, la vista dell'affetto, che si ficca, s'impronta e si scolpisce negli occhi» (Ces.). Plinio: Profecto in oculis animus inhabitat; tanto labore: il tuo faticoso viaggio; in bene assommi: arrechi a buon fine; testeso: testé; di riso: altri: d'un riso. Il Buti: «uno aprimento di riso; imperò che Dante fece come fa lo lampo, che prima apre l'aire quando esce fuora e poscia chiude».
(115-129) d'una parte e d'altra: da Virgilio e da Stazio. «Virgilio li pose silenzio, e Stazio lo scongiurava che parlasse» (Lan.); ond'io sospiro: «perché non so che mi faccia» (B.); e sono inteso: da Virgilio, quantunque io non parli. Seguiamo il Witte. Altri: E sono inteso. Di' il mio Maestro; quel ch'e' dimanda, ecc.: «che tanto gli preme di sapere» (Ces.); guida in alto, ecc.: a vedere la vetta del monte; togliesti: apprendesti; forza a cantar: a cantare altamente; ed esser credi, ecc.: e la cagione del mio sorridere credi essere state quelle parole, che tu dicesti di lui, non pensando ch'ei fosse presente.
(130-136) Già s'inchinava: Onorava Virgilio per doppia ragione; non far: non abbracciare. «Le tue braccia non chiuderebbono sustanzia, come fanno tra' mortali, e però non ti affaticare, fratello mio Stazio, indarno» (O.); surgendo: rialzandosi; quantitate: «Conv.: "La fama dilata lo bene e lo male oltre la vera quantità"» (T.); a te mi scalda: verso te mi accende; dismento: dimentico che noi siamo ombre vane, impalpabili. «L'ombre sono impalpabili se non a sostenere pena» (B.); come cosa salda: come fossero corpi solidi.
 

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