LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (PARADISO) - CANTO VIII

Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo; (3)

per che non pur a lei faceano onore
di sacrificio e di votivo grido
le genti antiche ne l'antico errore; (6)

ma Dïone onoravano e Cupido,
quella per madre sua, questo per figlio,
e dicean ch'el sedette in grembo a Dido; (9)

e da costei ond' io principio piglio
pigliavano il vocabol de la stella
che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. (12)

Io non m'accorsi del salire in ella;
ma d'esservi entro mi fé assai fede
la donna mia ch'i' vidi far più bella. (15)

E come in fiamma favilla si vede,
e come in voce voce si discerne,
quand' una è ferma e altra va e riede, (18)

vid' io in essa luce altre lucerne
muoversi in giro più e men correnti,
al modo, credo, di lor viste interne. (21)

Di fredda nube non disceser venti,
o visibili o no, tanto festini,
che non paressero impediti e lenti (24)

a chi avesse quei lumi divini
veduti a noi venir, lasciando il giro
pria cominciato in li alti Serafini; (27)

e dentro a quei che più innanzi appariro
sonava 'Osanna' sì, che unque poi
di riudir non fui sanza disiro. (30)

Indi si fece l'un più presso a noi
e solo incominciò: «Tutti sem presti
al tuo piacer, perché di noi ti gioi. (33)

Noi ci volgiam coi principi celesti
d'un giro e d'un girare e d'una sete,
ai quali tu del mondo già dicesti: (36)

'Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete';
e sem sì pien d'amor, che, per piacerti,
non fia men dolce un poco di quiete». (39)

Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
a la mia donna reverenti, ed essa
fatti li avea di sé contenti e certi, (42)

rivolsersi a la luce che promessa
tanto s'avea, e «Deh, chi siete?» fue
la voce mia di grande affetto impressa. (45)

E quanta e quale vid' io lei far piùe
per allegrezza nova che s'accrebbe,
quando parlai, a l'allegrezze sue! (48)

Così fatta, mi disse: «Il mondo m'ebbe
giù poco tempo; e se più fosse stato,
molto sarà di mal, che non sarebbe. (51)

La mia letizia mi ti tien celato
che mi raggia dintorno e mi nasconde
quasi animal di sua seta fasciato. (54)

Assai m'amasti, e avesti ben onde;
che s'io fossi giù stato, io ti mostrava
di mio amor più oltre che le fronde. (57)

Quella sinistra riva che si lava
di Rodano poi ch'è misto con Sorga,
per suo segnore a tempo m'aspettava, (60)

e quel corno d'Ausonia che s'imborga
di Bari e di Gaeta e di Catona,
da ove Tronto e Verde in mare sgorga. (63)

Fulgeami già in fronte la corona
di quella terra che 'l Danubio riga
poi che le ripe tedesche abbandona. (66)

E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo
che riceve da Euro maggior briga, (69)

non per Tifeo ma per nascente solfo,
attesi avrebbe li suoi regi ancora,
nati per me di Carlo e di Ridolfo, (72)

se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!" (75)

E se mio frate questo antivedesse,
l'avara povertà di Catalogna
già fuggeria, perché non li offendesse; (78)

ché veramente proveder bisogna
per lui, o per altrui, sì ch'a sua barca
carcata più d'incarco non si pogna. (81)

La sua natura, che di larga parca
discese, avria mestier di tal milizia
che non curasse di mettere in arca». (84)

«Però ch'i' credo che l'alta letizia
che 'l tuo parlar m'infonde, segnor mio,
là 've ogne ben si termina e s'inizia, (87)

per te si veggia come la vegg' io,
grata m'è più; e anco quest' ho caro
perché 'l discerni rimirando in Dio (90)

Fatto m'hai lieto, e così mi fa chiaro,
poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso
com' esser può, di dolce seme, amaro». (93)

Questo io a lui; ed elli a me: «S'io posso
mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
terrai lo viso come tien lo dosso. (96)

Lo ben che tutto il regno che tu scandi
volge e contenta, fa esser virtute
sua provedenza in questi corpi grandi. (99)

E non pur le nature provedute
sono in la mente ch'è da sé perfetta,
ma esse insieme con la lor salute: (102)

per che quantunque quest' arco saetta
disposto cade a proveduto fine,
sì come cosa in suo segno diretta. (105)

Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
producerebbe sì li suoi effetti,
che non sarebbero arti, ma ruine; (108)

e ciò esser non può, se li 'ntelletti
che muovon queste stelle non son manchi,
e manco il primo, che non li ha perfetti. (111)

Vuo' tu che questo ver più ti s'imbianchi?»
E io: «Non già; ché impossibil veggio
che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi». (114)

Ond' elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio
per l'omo in terra, se non fosse cive?».
«Sì», rispuos' io; «e qui ragion non cheggio». (117)

«E puot elli esser se giù non si vive
diversamente per diversi offici?
Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive». (120)

Sì venne deducendo infino a quici;
poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
convien di vostri effetti le radici: (123)

per ch'un nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
che, volando per l'aere, il figlio perse. (126)

La circular natura, ch'è suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue l'un da l'altro ostello. (129)

Quinci addivien ch'Esaù si diparte
per seme da Iacòb; e vien Quirino
da sì vil padre, che si rende a Marte. (132)

Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre a' generanti,
se non vincesse il proveder divino. (135)

Or quel che t'era dietro t'è davanti:
ma perché sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che t'ammanti. (138)

Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sé, com' ogne altra semente
fuor di sua regïon, fa mala prova. (141)

E se 'l mondo là giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente. (144)

Ma voi torcete a la religione
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch'è da sermone;
onde la traccia vostra è fuor di strada». (148)

NOTE AL CANTO VIII



(1-12) in suo periclo: «in suo periculo» (B.). «Al tempo che erano li uomini gentili e senza legge» (Lanèo); il folle amore: «lo stolto amore che nasce dall'appetito carnale» (B.); raggiasse: «Conv., II, 7: "Li raggi di ciascuno cielo sono la via per la quale discende la loro virtù in queste cose di quaggiù"» (T.); epiciclo: «lo circoletto (il cui centro è un punto della circonferenza di un cerchio più grande), per lo quale riceve lo pianeta, l'essere diretto, stazionario e retrogrado in suo movimento» (Lanèo). «Conv., II, 4: "In sul dosso di questo cerchio (dell'equatore) nel cielo di Venere... è una speretta che per se medesima in esso cielo si volge, lo cerchio della quale gli astrologi chiamano epiciclo; e siccome la grande spera due poli volge, così questa piccola: e così ha questa piccola lo cerchio equatore, e così è più nobile quanto è più presso di quello. E in sull'arco ovver dosso di questo cerchio è fissa la lucentissima stella di Venere... L'epiciclo nel quale è fissa la stella, è un cielo per sé, ovvero spera; e non ha una essenza con quello che 'l porta, avvegnaché sia più connaturale ad esso che agli altri; e con esso è chiamato uno cielo, e denominansi l'uno e l'altro dalla stella"» (T.); e di votivo grido: «di pregare con voti» (B.); ch'el sedette, ecc.: «Nel primo dell'Eneide, Amore, prese le sembianze del fanciullo Ascanio, figliuolo d'Enea, siede in grembo a Didone per accenderla del suo fuoco. Questo verso, che Alfieri a torto dice cucito, dimostra la dannosa credulità degli antichi che ammettevano una potenza arcana che inspirasse irresistibilmente funeste passioni; e così annientavano la libertà del volere» (B.B.); da costei: da Venere; ond'io principio piglio: da cui movo il presente canto; pigliavano, ecc.: toglievano (i pagani) il nome della stella, appellandola Venere. V. Par., IV, 63; che 'l sol, ecc.: «Coppa o nuca, è la parte di dietro del capo: ciglio l'anteriore. La stella di Venere vagheggia (ragguarda; B.) il sole ora di dietro, quando va dietro a lui e chiamasi Espero; ed ora dinanzi, quando lo precede, e chiamasi Lucifero» (B. B.).
(13-21) in ella: «nel corpo di Venere: imperò che sono continui li cieli, sicché niuna cosa di voto è in mezzo» (B.); fede: certezza; far: farsi; è ferma: «tiene lo canto fermo; va: in su levandosi; e riede: «torna in giù calandosi» (B.). «Quando l'una è ferma, cioè tiensi su di una nota, e l'altra scorre per diverse modulazioni» (B. B.); lucerne: «splendori; erano li spiriti beati li quali si vedeano come si vedeno le faville del fuoco che volano per la fiamma» (B.); al modo: «secondo che ciascuna era allogata nel corpo di Venere - al modo della loro apprensione del sommo bene» (B.).
(22-27) Di fredda nube: «generata da vapori freddi; disceser: ripercossi dal suo contrario» (B.); o visibili: «per vapore» (T.); o non: «o invisibili e solo sensibili per l'impressione da essi fatta ne' corpi» (B. B.); festini: solliciti e tostani, «Vuol qui dipingere il vento messo in fuga al formarsi della gragnuola» (Ces.); il giro: «la revoluzione e rotazione» (B.); cominciato: «Tutti i cieli si muovono col nono cielo a cui preseggono gli Angeli più alti (Conv., II, 6). Di lì comincia ogni inferior movimento» (T.); in li alti Serafini: «nel supremo ordine degli angeli. Li Serafini girano lo primo mobile; li Cherubini, l'ottava spera; li Troni, lo cielo di Saturno; le Dominazioni, lo cielo di Iove; le Virtù, lo cielo di Marte; le Potestati, lo Sole; li Principati, Venere; li Arcangeli, Mercurio; li Angeli, la Luna» (B.).
(31-45) l'un: «E' Carlo Martello, il maggiore de' figli di Carlo II, detto il Ciotto o lo Zoppo, e di Maria d'Ungheria, figlia di Stefano V, e sorella di Ladislao IV re d'Ungheria. Morto Ladislao nel 1290, Carlo Martello per diritto materno si trovò legittimo erede della corona d'Ungheria; sebbene quegli che veramente regnò fu il suo emulo Andrea III, che morì nel 1301. Carlo Martello morì nel 1295 d'anni ventitrè, vivente tuttora il padre di lui; ma nel 1291 avea sposata Clemenza, figlia di Rodolfo di Habsburgo, imperator d'Alemagna, da cui ebbe un figlio chiamato Carlo Roberto, e per contrazione Caroberto, che fu riconosciuto ed eletto re d'Ungheria nel 1308. Carlo II di Napoli morì nel 1309, e avendo creduto Caroberto, figlio del suo primogenito, abbastanza provvisto, fece erede de' suoi Stati il suo terzogenito Roberto duca di Calabria poiché il secondogenito Luigi, che fu poi santo, era vescovo di Tolosa. Caroberto non s'acquetò di questo arbitrio del nonno suo, e pretese la successione negli Stati di Napoli e Provenza, come figlio del primogenito di Carlo II. Ma rimessa la cosa al giudizio di papa Clemente V, questi sentenziò in favore di Roberto» (B. B.). «In costui regnò molta bellezza e assai innamoramento» (Chiose); presti: «apparecchiati» (B.); ti gioi: «prendi giovamento e diletto» (Lan.); Gioisca, dall'antico: gioiare; ci volgiam: «ci volgiamo in giro intorno a Dio; coi Principi celesti: cogli angeli; d'un giro: per un medesimo cerchio (dentro la medesima orbita; B. B.); l'un girare: d'una medesima forma di girare (con un medesimo moto circolare; B. B.); e d'una sete: e d'uno medesimo desiderio (di tendere al cielo empireo; B. B.)» (B.); Voi, ecc.: «Fece Dante nella sua iovanezza molte canzoni morali, et una incomincia: Voi che 'ntendendo, ecc. (la prima del Convito) nelle quali parole dirizzò lo sermone suo ai principati, che hanno a muovere lo terzo cielo di Venere: 'ntendendo, collo intelletto apprendendo la voluntà d'Iddio; e gli angeli si chiamano intelligenzie: imperò che continuamente intendono Iddio» (B.). «Isti motores tertii coeli dicuntur principatus, ideo quod sibi subditis quae sunt agenda disponunt, et eis ad explenda divina mysteria principontur» (P. di D.); non fia men dolce: del girare; di quiete: a di riposo e cessamento dal girare per un poco» (B.); Poscia che li occhi miei, ecc.: «posciaché, senza far motto, con uno sguardo pieno di riverenza ebbi domandato alla mia donna se ell'era contenta ch'io parlassi, ed ella gli avea fatti contenti del suo sorriso, e certi della sua approvazione, ecc.» (B. B.); a la luce, ecc.: «a quella beata anima» (B.) «che mi avea fatte così larghe profferenze di sé e degli altri» (Ces.); Deh, ecc.: altri: Di' che se' tu; impressa: «spinta» (B.). «Scolpita» (Ces.).
(46-57) far piue: farsi più grande e bella; Così fatta: così bella qual vedi. «Tale era la mia interiore bellezza, quale ora la luce» (T.); stato: «se fossi più vissuto» (T.); molto, ecc.: imperò ch'io l'arei stroppiato (impedito)» (B.). «Dante fa qui profetizzare i mali delle guerre cagionate da Roberto per opporsi all'ingrandimento di Arrigo VII» (B. B.); quasi animal: «come baco da seta chiuso nel suo bozzolo» (B. B.). «Siccome la seta del filugello asconde lo vermicello che v'è dentro» (Lan.); m'amasti: «Carlo Martello venne giovinetto a Firenze, ed ivi strinse amicizia con Dante» (B. B.). Benv.: «Cum isto Dantes habuit certam familiaritatem, quum venisset semel Florentiis cum CC juvenibus accinctis in pari habitu vestium et equis magnifice ornatis, more neapolitano... Venerat enim obviam patri, qui redibat de Gallia, facta pace cum domino Jacobo, rege Aragonum. Quo tempore Dantes florebat in patria, juvenis XXV annorum»; di mio amor, ecc.: «io t'arei mostrato lo mio amore coi benefici e non colle parole» (B.). «Lo frutto» (Lanèo).
(58-75) si lava: «s'imbagna, et imbagnando si lava» (B.); per suo segnore: «la Provenza che s'appartiene al reame di Puglia dovea essere signoreggiata da me; a tempo: poiché fusse morto Carlo Zoppo mio padre; m'aspettava; a me s'apparteneva la signoria» (B.); che s'imborga: «hae per borghi, cioè per cittadi» (B.). «Circoscrive il reame di Napoli: Bari accenna alla costa Adriatica; Gaeta al Mediterraneo; Catona alla punta quasi estrema della Calabria; il Tronto e il Verde ai confini con gli Stati della Chiesa tra l'uno e l'altro mare, giacché il Verde non è che il Liri» (Antonelli); Catona: borgo vicino a Reggio di Calabria; da ove, ecc.: «cominciando da quel punto in cui il Tronto, ecc. Il Tronto sbocca nell'Adriatico, e il Verde nel Mediterraneo» (B. B.); Fulgìemi, ecc.: «Carlo Martello, vivente suo padre, fu coronato re d'Ungheria, per la quale passa il Danubio sceso dalla Germania» (B. B.); Trinacria: «la Sicilia, che si chiama così da tre monti altissimi che ha: Peloro, Pachino e Lilibeo; caliga: oscura e fa fummo» (B.); tra Pachino e Peloro: «tra Siracusa e Messina. Pachino, ora Capo Passaro; Peloro, ora Capo Faro; 'l golfo: di Catania; Euro: vento di Levante; maggior: che d'altro vento; briga: guerra» (T.); non per Tifeo: «Vuol dire che non fa fummo Etna per lo gigante Tifeo, che fingeno li poeti che sia posto soto la Sicilia» (B.); «ma per le miniere di zolfo che alimentano il fuoco» (B. B.); attesi avrebbe, ecc.: «la Sicilia non si sarebbe ribellata alla nostra casa, dandosi a Pietro re di Aragona, ma avrebbe aspettati come suoi legittimi re i discendenti di Carlo Primo mio avolo, nati di lui per mio mezzo, e di Rodolfo d'Habsburg imperadore, mediante la figliuola di lui Clemenza, mia consorte» (B. B.); accora, ecc.: «fa gagliardi, o animosi per disperazione» (B.). Contrista e muove ad ira; Mora, mora: «lo iustizieri e li altri Franceschi che v'erano» (B.). «Accenna al Vespro, o alla strage de' Francesi (30 marzo 1282)» (B. B.).
(76-84) E se mio frate, ecc.: «Se Roberto antivedesse il pericolo dell'avere ministri avari ed indiscreti, e si specchiasse nella rivolta siciliana, già fin d'ora prima pur di giungere al trono, fuggirebbe da quei Catalani (da lui conosciuti quando v'era statico), affinché non gli avesse a nuocere. Altri riferisce gli ai popoli suggetti» (B. B.); l'avara povertà, ecc.: «Elli avea per officiali catalani li quali facevano mal trattamento dei sudditi; sì perché erano poveri e sì perché erano avari» (B.); milizia: «officiali» (B.); che di larga, ecc.: «fu ingenerata taccagna da padre splendido» (Ces.); di mettere in arca: «d'avanzare per mettere nella torre della Bruna, che era in Napoli, dove era lo tesoro del re Roberto; e non facesse maggiore oppressione ai sudditi che possino portare» (B.). «Arca: Crescenzio: "Cassa da riporre roba"» (T.).
(85-96) Però ch'i' credo, ecc.: Parla Dante a Carlo Martello; l'alta letizia: grande e profonda; là 've, ecc.: «in Dio, unde viene ogni bene, e dove torna ogni bene» (B.); rimirando in Dio: «riguardando in Dio, nel quale riluce ogni cosa siccome nello specchio - dove si vede ogni vero; terrai 'l viso: lo vedrai chiaro, come si vedono le cose che l'uomo ha innanzi li occhi» (B.).
(97-114) Lo ben, ecc.: «Aveva il Poeta dimandato Carlo in che modo fosse possibile che di un seme dolce si generasse un frutto amaro. Al che, volendo colui rispondere, dice, che il sommo e unico vero Bene dispone talmente il girare de' cieli, che, facendosi per ciascuno de' ministri l'uffizio suo, tutte le cose da quella mente divinissima prevedute, fanno gli stessi effetti che da quella sono ordinati, perché ella non solamente le vede tutte come elle sono in particolare, ma le vede col miglior essere che sia possibile all'ornamento e al servizio dell'universo. Conciossiaché tutto quello che dalla celeste virtù è mosso a essere, non viene a caso, ma guidato e indirizzato dalla provvidenza di Dio, e quel fine stesso dove a lei piace che si conduca, quasi freccia che, mediante l'arco che la pigne direttamente, corre al bersaglio dove primieramente l'indirizzò la volontà di chi la tirava... Tutte le cose mosse dal cielo non vengono a caso né vacillando, ma tutte dirittamente corrono al fine che da Dio è proposto loro, guidate, e da provvidenza di propria natura, chiamata volgarmente instinto naturale, o da una intelligenza non errante. Imperocché ciascuna sostanza creata ha un'operazione propria per la quale ella può conseguire quel fine che il Poeta chiama fine preveduto, per dimostrarci che quella mente divinissima, sino davanti la areazione vide e conobbe tutto quello che ella vuole che sia, e non le accade correggerlo di mano in mano come a tutti gli altri architetti che spesso mutano consiglio, per gli errori che nel fare si discoprono, perché ella infallibilmente in tutte le cose procedendo vede a un tratto lo stesso vero, e a quello indirizzò e indirizza sempre le cagioni, i mezzi e gli effetti, e tutti senza ritegno vi corrono sempre, in quella maniera stessa che la freccia spinta dall'arco corre al bersaglio. E pone la cocca per la saetta, essendo la cocca solamente quella parte che si commette nella corda» (Giambullari); che tu scandi: «che tu monti di lume in lume» (Ces.); cammine: cerchi; arti: «cose fatte con ordine e con ragione; ma ruine: imperò che andrebbono le cose senza ordine e con temerità; li 'ntelletti: «gli angeli» (B.); manchi: defuttuosi et imperfetti; non li ha perfetti: «non gli avesse fatto perfetti. Boezio: Quis enim, coercente in ordinem cuncta Deo, locus esse ullus temeritati reliquus potest?» (B.); più ti s'imbianchi: «più ti si faccia chiaro» (B.); la natura, ecc.: «naturante, che è Iddio, vegna meno nelle cose necessarie» (B.).
(116-126) cive: «cittadino - che non fosse cittadinanza, cioè polizia» (Lanèo); e qui, ecc.: questo è tanto chiaro, che non ha di ragione bisogno; diversamente, ecc.: «che l'uno faccia uno esercizio e l'altro un altro; se 'l maestro vostro: Aristotile - scrive lo vero» (B.). «Se le radici delle nostre affezioni fossero tutte d'una maniera, di una sola maniera ancora sarebbero tutte le azioni e gli effetti nostri. Il che quanto fosse a proposito lo consideri chiunque conosce che la beatitudine dell'uomo in questa vita mortale consiste per lo più nell'essere civile, e che civile non può essere, se diversamente non si adopera per ciascuno negli esercizi che ci bisognano. Perché se verbigrazia tutti gli uomini fossero dottori, chi con l'armi difenderebbe? Chi eserciterebbe l'agricoltura? Chi l'altre cose necessarissime alla vita nostra? non essendo già possibile che un solo faccia da sé medesimo tutte le cose che egli ha di bisogno per istar bene» (Giambullari); Solone: «legislatore di repubblica» (T.); Serse: «re senza legge» (T.); Melchisedech: «sacerdote» (B.); quello: Dedalo.
(127-132) La circular natura, ecc.: «La virtù attiva de' cieli circolanti, la quale come fa il suggello nella cera, imprime nei corpi mortali le indoli diverse, fa l'ufficio suo, ma non differenzia una casa dall'altra, e non dà sempre indole regia ai figliuoli dei re, o ingegno a quelli de' sapienti» (B. B.); ch'Esaù, ecc.: «ben che fusseno d'uno seme, l'uno si partì dall'altro per condizione e disposizione; Quirino: Romulo; che si rende: si attribuisce; a Marte: la sua genitura» (B.).
(133-138) Natura, ecc.: «il generato sarebbe simile al genitore, se Dio non disponesse altrimenti per l'ordine della società» (T.); di te mi giova: «m'importa di te, perché t'amo» (T.); t'ammanti: «prenda e sovrapponga quasi manto alla veste» (T.).
(139-148) natura: «Le facoltà naturali sono combattute dalla fortuna» (T.); fuor di sua regïon, ecc.: «Arreca l'andattulo (il dattero) da Tunizi in Italia, e vedrai che non frutterà» (B.); al fondamento: «alla inclinazione che l'uomo ha naturalmente; voi torcete: voi uomini del mondo li vostri figliuoli piegate ad altro che non sono atti; ch'è da sermone: che, secondo la sua inclinazione naturale, sarebbe da essere religioso per sermocinare e predicare» (B.). «Sermone. Grave odio aveva Dante a Roberto, sostegno perpetuo de' Guelfi, che inviò a Roma il fratello perché contrastasse all'entrata di Enrico VII. E Roberto scrisse sermoni sacri. E a Venezia nella Biblioteca di San Giovanni e Paolo se ne conservava parecchi: per Capitoli di frati, per solennità religiose; tra gli altri, uno in lode della guelfa Bologna. Gio. Villani: "Roberto gran chierico in iscrittura"» (T.). «Petrarcha nimis commendat eum semper et ubique dando sibi omnes artes et omnes virtutes. Dantes vero nimis culpat eum ab avaritia... Ideo bene cancellarius suus, quum Robertus diceret: Spiritus, ubi vult, spirat, jocose dixit: Robertus ubi vult, piliat» (Benv.); la traccia vostra, ecc.: «lo cammino vostro è fuora della via diritta, e però vi smarrite, e non venite al debito fine delle vostre industrie» (B.).

 

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