La Divina Commedia di Dante Alighieri Paradiso Canto I

 

 

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La Divina Commedia di Dante Alighieri Paradiso Canto I

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LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (PARADISO) - CANTO I

La gloria di colui che tutto move
per l'universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove. (3)

Nel ciel che più de la sua luce prende
fu io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende; (6)

perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire. (9)

Veramente quant' io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro,
sarà ora materia del mio canto. (12)

O buono Appollo, a l'ultimo lavoro
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l'amato alloro. (15)

Infino a qui l'un giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso. (18)

Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsia traesti
de la vagina de le membra sue. (21)

O divina virtù, se mi ti presti
tanto che l'ombra del beato regno
segnata nel mio capo io manifesti, (24)

vedra'mi al piè del tuo diletto legno
venire, e coronarmi de le foglie
che la materia e tu mi farai degno. (27)

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Sì rade volte, padre, se ne coglie
per trïunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna de l'umane voglie, (30)

che parturir letizia in su la lieta
delfica deïtà dovria la fronda
peneia, quando alcun di sé asseta. (33)

Poca favilla gran fiamma seconda:
forse di retro a me con miglior voci
si pregherà perché Cirra risponda. (36)

Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci, (39)

con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella. (42)

Fatto avea di là mane e di qua sera
tal foce, e quasi tutto era là bianco
quello emisperio, e l'altra parte nera, (45)

quando Beatrice in sul sinistro fianco
vidi rivolta e riguardar nel sole:
aguglia sì non li s'affisse unquanco. (48)

E sì come secondo raggio suole
uscir del primo e risalire in suso,
pur come pelegrin che tornar vuole, (51)

così de l'atto suo, per li occhi infuso
ne l'imagine mia, il mio si fece,
e fissi li occhi al sole oltre nostr' uso. (54)

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Molto è licito là, che qui non lece
a le nostre virtù, mercé del loco
fatto per proprio de l'umana spece. (57)

Io nol soffersi molto, né sì poco,
ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,
com' ferro che bogliente esce del foco; (60)

e di sùbito parve giorno a giorno
essere aggiunto, come quei che puote
avesse il ciel d'un altro sole addorno. (63)

Beatrice tutta ne l'etterne rote
fissa con li occhi stava; e io in lei
le luci fissi, di là sù rimote. (66)

Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
qual si fé Glauco nel gustar de l'erba
che 'l fé consorto in mar de li altri dèi. (69)

Trasumanar significar per verba
non si poria; però: l'essemplo basti
a cui esperienza grazia serba. (72)

S'i' era sol di me quel che creasti
novellamente, amor che 'l ciel governi,
tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti. (75)

Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
con l'armonia che temperi e discerni, (78)

parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece alcun tanto disteso. (81)

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La novità del suono e 'l grande lume
di lor cagion m'accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume. (84)

Ond'ella, che vedea me sì com'io,
a quïetarmi l'animo commosso,
pria ch'io a dimandar, la bocca aprio (87)

e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, sì che non vedi
ciò che vedresti se l'avessi scosso. (90)

Tu non se' in terra, sì come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
non corse come tu ch'ad esso riedi». (93)

S'io fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
dentro ad un nuovo più fu' inretito (96)

e dissi: «Già contento requievi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
com' io trascenda questi corpi levi». (99)

Ond' ella, appresso d'un pïo sospiro,
li occhi drizzò ver me con quel sembiante
che madre fa sovra figlio deliro, (102)

e cominciò: «Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l'universo a Dio fa simigliante. (105)

Qui veggion l'alte creature l'orma
de l'etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma. (108)

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Ne l'ordine ch'io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine; (111)

onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l'essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti. (114)

Questi ne porta il foco inver' la luna;
questi ne' cor mortali è permotore;
questi la terra in sé stringe e aduna; (117)

né pur le creature che son fore
d'intelligenza quest' arco saetta,
ma quelle c'hanno intelletto e amore. (120)

La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa 'l ciel sempre quïeto
nel qual si volge quel c'ha maggior fretta; (123)

e ora lì, come a sito decreto,
cen porta la virtù di quella corda
che ciò che scocca drizza in segno lieto. (126)

Vero è che, come forma non s'accorda
molte fïate a l'intenzion de l'arte,
perch' a risponder la materia è sorda, (129)

così da questo corso si diparte
talor la creatura, c'ha podere
di piegar, così pinta, in altra parte; (132)

e sì come veder si può cadere
foco di nube, sì l'impeto primo
l'atterra torto da falso piacere. (135)

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Non dei più ammirar, se bene stimo,
lo tuo salir, se non come d'un rivo
se d'alto monte scende giuso ad imo. (138)

Maraviglia sarebbe in te se, privo
d'impedimento, giù ti fossi assiso,
com' a terra quïete in foco vivo».
Quinci rivolse inver' lo cielo il viso. (142)

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NOTE AL CANTO I

(1-10) La gloria: il divino raggio, o la luce divina. Eccles.: Gloria Domini plenum est opus ejus; risplende: «non solo penetra dentro, ma ancora riluce di fuori» (Varchi). «D., Lett. a Cane: "Penetra quanto all'essenza, risplende quanto all'essere"» (T.); più e meno: D., ivi: «Vediamo alcuna cosa stare in grado più eccellente, e tal altra in inferiore; come appare nel cielo e negli elementi, però che quello è incorruttibile, e questi son corruttibili»; Nel ciel: l'empireo; prende: piglia e riceve; «perché l'empireo tutte cose contiene e da niuna è contenuto, e per la sua sempiterna quiete e pace» (D., ivi); «né sa: raccontare, perché non se ne ricorda; né può: raccontarle per la grandezza loro; il che è tolto da s. Pagolo, quando disse: Et vidit ea quae non licet homini loqui» (V.). D., ivi: «Nescit, quia oblitus; nequit, quia, si recordatur et contentum tenet, sermo tamen deficit»; appressando sé: «quando s'appressa ed appropinqua; al suo disire: al suo disio e desiderio, a Dio. Par., XXXIII, 46-48: E io ch'al fine di tutt'i disii - appropinquava, sì com'io dovea, - l'ardor del desiderio in me finii» (V.); dietro... non può ire: «cioè seguitare l'intelletto, e riserbare i simulacri ed immagini delle cose vedute e contemplate» (V.); Veramente: non pertanto; quant'io, ecc.: D., ivi: «...dicere vult de regno coelesti quidquid in mente sua, quasi thesaurum, potuit retinere».

(13-15) O buono Apollo: o benigno Febo, padre delle Muse e dei poeti; a l'ultimo lavoro: in questa terza ed ultima cantica; fammi, ecc.: empimi di maniera della grazia e favore tuo; a dar l'amato alloro: «innanzi che tu coroni e conceda l'alloro amato da te» (V.). Altri: dimanda dar, richiedesi a dare.

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(16-18) Infino a qui: nelle due cantiche passate; l'un giogo: l'uno dei duoi gioghi, o sommità; Parnaso: monte nella Focide, ha duoi gioghi; assai mi fu: m'era abbastanza; ma or: in questa terza cantica; con amendue: «i gioghi, ed in somma con tutto il monte» (V.). «Nell'uno albergano le Muse, nell'altro Apollo; e vuol dire: Fin qui mi bastò l'aiuto delle scienze umane; ora mi bisogna la sapienza divina o del più alto grado dell'arte» (B. B.); aringo: «come curriculum nella lingua latina, significa non solamente quello che i Greci dicevano stadio, cioè il luogo dove s'esercitavano alla lotta, ed a correre così gli uomini come i cavagli, ma ancora esso corso; così aringo nella nostra lingua significa non solo lo spazio dove si corre, ma ancora il corso; onde si dice: correre il primo aringo o il secondo» (V.); rimaso: «Vaso e Parnaso si pronunziano nell'ultima sillaba col suono non del nostro s, ma della "csi" greca, come si dice rosa ed amorosa ed infiniti altri, non però dovemo pronunziare rimaso in quel medesimo modo, ma col suon propio dell's latino, nè ci deve dar noia la rima o vero consonanza, perciocchè sono di due sorte rime, una propia e l'altra impropia, come è questa; e nel Trionfo del Tempo il Petr. fece che orzo rimò a sforzo ed a divorzo, che senza alcun dubbio sono elementi diversi» (V.).

(19-27) tue: tu; sì come: «spirasti, e si deve credere che egli mettesse allora tutto l'ingegno e forze sue» (V.); Marsia traesti, ecc.: «Minerva, avendo dell'osso d'uno stinco fatto un piffero o veramente flauto, e sonando con esso a un convito di Giove, fu uccellata da tutti gl'Iddii, parendo lor brutta cosa che si guastasse il viso col gonfiare delle gote; ond'ella, vedutasi tale nella palude Tritonia, gittò via il sufolo, il quale, trovato da un satiro chiamato Marsia, e cominciatolo a sonare, venne in tanta superbia ed arroganza, che egli ardì di voler cantare a pruova con Apollo, ed a giudizio del re Mida, eletto giudice sopra questo fatto, ebbe la sentenza in favore. Ma Pallade, dea della sapienza, giudicò altramente; onde Apollo, per punire Mida del falso giudizio suo, e mostrargli che non se ne intendeva, gli fece gli orecchi d'asino; e Marsia, per gastigarlo della audacia ed arroganza sua, scorticò, e così scorticato appiccò colla pelle pendente a uno albero, acciocché gli altri imparassero. Vagina, guaina» (V.). «Nel principio del Purgatorio ricorda il supplizio delle Piche» (B. B.); O divina virtù: «Se bene invoca colle parole Apollo, come poeta, intende però colla mente Dio come cristiano» (V.). «La virtù intellettiva delle cose celesti» (P. di D.); tanto che... manifesti: «tanto ch'io possa sprimere» (V.); l'ombra: «quel po' che rammento» (T.); al tuo diletto legno: «al legno amato da te e che è in tua protezione. Sopra: amato alloro» (V.); e coronarmi: pigliare la ghirlanda poetica. Par. XXV, 8-9: ed in sul fonte - del mio battesmo prenderò 'l cappello; che: «delle quali foglie» (V.). Il Bianchi: «ché, perocché».

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(28-36) padre: «Questo nome padre oltra il propio significato, è nome di religione, onde tutti gli Dii anticamente si chiamavano padri, e spezialmente Bacco» (V.); per triunfare o cesare o poeta: «I Poeti ed i Cesari tronfavano tanto di rado, che poche volte bisognava cogliere dell'alloro per far loro la corona» (V.); parturir letizia: generare allegrezza; in su la lieta - delfica deità: «Ad Apollo. A me pare che si possa intendere propiamente a dire, che l'alloro doverrebbe far segno d'allegrezza nel tempio, anzi sull'altare stesso d'Apollo Delfico, cioè che s'adora in Delfi» (V.); la fronda: l'alloro; peneia: di Dafne, chè così si chiama in greco l'alloro, fu figliuola del fiume Peneo; asseta: «rende assetato e desideroso» (V.); seconda: «va dietro e seguita» (V.); di retro a me: dopo di me; con miglior voci: «con parole più accette e che meglio saranno esaudite» (V.); Cirra: «città posta alle radici del monte Parnaso. Qui si piglia il luogo in vece del locato, cioè per Apollo» (V.).

(37-42) Surge: nasce e si leva; per diverse foci: «da diversi luoghi e siti» (V.); quattro cerchi: «l'Orizzonte, il Zodiaco; l'Equinoziale ed il Coluro dell'equinozio; giugne: congiugne; con tre croci: perché ciascuno dei tre primi cerchj divide ed interseca, e taglia in croce o vero incrocicchia il Coluro equinoziale» (V.); con migliore? ecc.: «Dichiarano queste parole che egli intendeva dell'equinozio vernale (primaverile) e non dell'autunnale, perché anco nel principio della Libra si congiungono quattro cerchj con tre croci. Con miglior corso, cioè con più propizio e benigno nascimento, o veramente disse così, perché l'Oriente, secondo Aristotile, è la destra parte del cielo, e per conseguente la migliore. Esce congiunta con migliore stella, cioè coll'Ariete, pigliando qui stella in luogo di segno, come i Latini pigliano astrum in luogo di sidus. Il Petr.: "E le stelle migliori acquistan forza"» (V.). «Conv., II, 4: "Le stelle... sono più piene di virtù... quando sono più presso a questo cerchio"» (T.); cera: materia; più, ecc.: «Il sole, il quale genera tutte le cose, mediante il movimento e calore suo, le genera più agevolmente di primavera essendo in Ariete, che d'alcuno altro tempo essendo in altri segni» (V.); tempera: «dispone e riduce meglio a sua simiglianza per la luce e pel calore; suggella: meglio v'imprime la sua virtù, o la sua virtuosa influenza» (B. B.).

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(43-48) Fatto avea di là, ecc.: «sul monte sorgeva il sole, alla terra nostra cadeva» (T.); quasi: «Il sole era a più gradi d'Ariete, e però disse Dante avvedutissimamente quasi. Non si riferisce a Fatto avea» (V. e B.). Il Bianchi: Tal foce e quasi, ecc., e spiega: «E all'indicato punto del cielo (donde s'alza il sole dell'equinozio) era spuntato il mattino, e dice quasi, perché l'emisfero s'illumina e s'ottenebra a gradi»; in sul sinistro fianco: «Il Purgatorio essendo posto da Dante antipodo al monte Sion, e venendo ad essere al di là del tropico del Capricorno, chi là è volto a levante, deve avere il sole nascente a sinistra» (B. B.); aquila, ecc.: «non s'affisse al sole, e non lo riguardò fisamente; unquanco: mai ancora» (V.).

(49-54) E sì come secondo raggio, ecc.: «e come il raggio di riflessione si genera da quello d'incidenza, ecc.» (B. B.); risalire in suso: cioè ritornare verso onde uscì; infuso: mandato o entrato, per traslazione de' liquori, e quasi ispirato; ne l'imagine mia: nell'immaginazione o vero fantasia; il mio: atto; si fece: «degli atti suoi, non vuol dir altro l'atto mio si fece degli atti suoi, se non che gli atti suoi furon cagione del mio, cioè in sentenza, che avendo io veduto e considerato quello che ella faceva, così volli fare io, e quello de non dimostra che quelle parole gli atti suoi sieno genitivi, ma è quello che i Latini direbbero ex» (V.); oltre nostr'uso: «sopra l'uso umano» (V.).

(55-60) Molto è licito là: «nel Paradiso terrestre, nel qual luogo i sentimenti umani così esterni come interni potevano molto più che qua non possono» (V.); fatto, ecc.: «perché egli fu creato ed eletto da Dio per la specie umana solamente, cioè per gli uomini soli e non per altri animali» (V.); nol soffersi: non potei durare a riguardarlo; molto: tempo; né sì poco: «né tanto corto tempo» (V.).

(61-69) e di subito, ecc.: «gli parve che lo splendore del dì fusse raddoppiato» (V.); le luci: i miei occhi; fissi affisai; di là su: dall'eterne mote; rimote: «rimosse» (V.); Nel suo aspetto, ecc.: «Dante nel rimirare Beatrice si deifica» (V.); qual si fe' Glauco, ecc.: «Glauco fu un pescatore che, avendo preso una volta di molti pesci, stracco dal portargli, gli gittò nel mezzo della via, ove accadde che un pesce già presso che morto, gustata d'una certa erba, risuscitò; Glauco ne mangiò anco egli, e così divenne immortale; ma rincresciutogli il vivere, si gittò in mare» (V.); 'l fe' consorto, ecc.: «lo fece compagno; diventò Dio Marino» (V.)

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(70-72) Transumanar: passare dallo stato umano a più nobile condizione o natura; verba: parole. Jacopone: «Di Dio le sante verba»; esemplo: di Glauco; cui: «a chi la grazia riserba il provarlo» (T.).

(73-75) S'i' era, ecc.: «se io di Dante, cioè d'uomo mortale, composto d'anima e di corpo, era diventato quello solamente che m'avevi fatto tu, cioè tutto fuoco e tutto ardente di carità e disiderio delle cose divine, ed in somma, s'io era d'umano fatto divino» (V.); sol: «col corpo lassù o in ispirito» (T.); novellamente: «in ultimo luogo. La parte dell'uomo creata ultima è l'anima razionale» (B. B.). Purg., XXV. E quel di S. Paolo: Sive in corpore nescio, sive extra corpus nescio; Deus scit; col tuo lume: «colla tua grazia illuminante» (V.).

(76-81) la rota: il cielo; sempiterni: fai volgere in eterno; desiderato: «come amato e come fine, non come efficiente, cioè non volgi e giri il cielo movendo attualmente, ma sei cagione che egli si giri e volga essendo amato e desiderato da lui» (V.); a sé mi fece atteso: «fece ch'io mi volsi ed attesi, badai e posi mente» (V.); temperi, ecc.: «fai una e varia» (T.); parvemi tanto, ecc.: «mi parve sì grande spazio del cielo allumato» (V.). «Essendoché fosse giunto alla sfera del fuoco» (B. B.); disteso: «lungo» (V.); ampio.

(82-84) suono: «delle sfere» (T.); m'accesero un disio: «m'infiammarono sì fattamente di sapere le cagioni loro, ed onde ciò venisse» (V.); di cotanto acume: sì acuto.

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(85-93) Ond'ella, ecc.: che vedea nel mio interno al pari di me medesimo; ti fai grosso: «tu medesimo sei cagione de' tuoi dubbi; chiamando grosso quello che i Latini dicono crasso, di tardo ingegno» (V.); col falso imaginar: «immaginando quello che veramente non era» (V.) d'essere sempre in terra; se l'avessi scosso: «se tu avessi tolto via quella falsa immaginazione» (V.); ma folgore, ecc.: «gli soggiugne, come egli se ne tornava al cielo, che è il propio luogo dell'uomo, più velocemente che non va una saetta, la quale fugge il luogo suo propio. Il proprio sito, il propio luogo, cioè la seconda regione dell'aria, o vero l'elemento del fuoco. Ad esso, tuo propio sito, il cielo; riedi, ritorni» (V.).

(94-108) disvestito: spogliato; per le sorrise parolette brevi: «mediante quelle poche parole che Beatrice m'avea detto sorridendo» (V.); ad un nuovo: dubbio; inretito: «inviluppato» (V.); requïevi: «mi sono riposato; risponde al detto di sopra: a quïetarmi l'animo commosso» (V.); di grande ammirazion: «da gran maraviglia che egli aveva avuto della dolcezza del suono e della grandezza del lume» (V.); com'io: corpo grave; trascenda: passi e sorvoli; questi corpi levi: «l'aria, la quale egli aveva di già passata, ed il fuoco ch'egli passava tuttavia, salendo al cielo della luna, e però disse trascenda, nel tempo presente» (V.); appresso: dopo; con quel sembiante: con quel garbo o piglio; fa: guarda e dirizza gli occhi; deliro: «fuori del cervello» (V.); Le cose, ecc.: «tutte le cose hanno un fine: dell'uomo è Dio: e però l'uomo tende a salire» (T.); hanno ordine tra loro: sono ordinate l'una con l'altra; e questo: «l'aver tutte le cose un ordine fra loro» (V.); forma: «dà unità e vita al mondo» (T.); Qui: in questo ordine dell'universo; alte creature: le ragionevoli; at quale, ecc.: «per cagione di cui fu fatto l'ordine accennato» (V.).

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(109-114) accline: «inchinate» (V.). «Disposte» (T.); tutte nature: «tutte le cose o vero spezie» (V.); sorti: «condizioni di dignità» (T.); al principio loro: «a Dio» (V.); a diversi porti: a diversi fini; per lo gran mar de l'essere: «non poteva Dante usare locuzione più appropiata, perciocché l'essere è comune a tutte le cose» (V.). Benv.: «Per magnitudinem et profunditatem naturae rerum».

(115-117) ne porta il foco inver la luna: «è cagione che il fuoco saglia sempre nel luogo suo ed alla sua spera, la quale è immediate sotto la luna» (V.); ne' cor mortali è permotore: «muove ed indirizza i cuori mortali, cioè gli uomini» (V.). «Eccita i primi moti del cuore, dai quali dipende la vita di tutti gli animali» (B. B.); questi la terra, ecc.: «Rende la ragione in questo verso perché la terra, intendendo per la terra tutte le cose gravi, come di sopra per lo fuoco tutte le cose leggeri, si stringa ed aduni in sé, cioè tenda e s'appallattoli al centro» (V.).

(118-120) né pur: né solamente; le creature che son fore - d'intelligenza: «cioè mancano d'intelletto, se bene parte hanno l'anima, come i bruti, e parte ne sono prive, come gli elementi; quest'arco, questo istinto naturale, saetta, fiere e coglie, me quelle creature c'hanno intelletto ed amore, e queste sono gli Angeli e gli uomini» (V.).

(121-126) assetta: «ordina e dispone, o vero acconcia, che i Latini direbbero componit» (V.); fa 'l ciel sempre quïeto: «il cielo empireo, il quale non si muove mai. Quïeto, immobile» (V.); nel qual: «cielo lucidissimo e sempre quieto, si volge e gira quel cielo c'ha maggior fretta, cioè, ponendo la cagione per lo effetto, che si muove più velocemente di tutti gli altri; e questo è il primo mobile, cioè il nono cielo, che i teologi pongono sopra il fermamento, il quale è l'ottavo e l'ultimo, secondo i filosofi, due altri cieli: uno mobile, chiamato da loro aqueo o vero cristallino, e l'altro immobile, chiamato empireo, cioè ignito o vero affuocato, il quale, per lo essere l'ultimo a noi e primo agli Angeli, contiene ed abbraccia tutti gli altri e primieramente il cristallino» (V.); fretta: «Convito: "Il quale per lo suo ferventissimo appetito d'essere congiunto col divinissimo cielo e quieto, in quello si rivolve con tanto desiderio, che la sua celerità è quasi incomprensibile". Purg., XXXIII, 90: il ciel che più alto festina» (T.); lì: quivi, al cielo empireo; sito decreto: «luogo ordinato e determinato per l'anime umane» (V.); drizza: indirizza; lieto: «perché tutte le cose s'allegrano andando al fine loro, e giuntevi godono» (V.).

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(128-135) a l'intenzion de l'arte: all'intendimento dell'artefice; è sorda: «non corrisponde all'intenzione dell'artefice» (V.); da questo corso si diparte: da questo istinto naturale, non correndo al cielo; la creatura, c'ha podere, ecc.: «L'uomo di tutti gli animali ha il libero arbitrio, cioè può eleggere, avendo la volontà libera, così il male come il bene» (V.); di piegar: di volgersi; così pinta: sospinta e tirata; in altra parte: «altrove, cioè dovrebbe naturalmente salire al cielo, scende per sua volontà verso la terra» (V.); sì l'impeto primo: così l'istinto naturale dell'uomo; s'atterra: si rivolge verso la terra; torto: piegato e spinto; da falso piacere: «dai piaceri mondani, che non son veri piaceri, ma falsissimi» (V.).

(136-142) Non dèi: tu non debbi; più ammirar: maravigliarti più; se bene stimo: se io giudico dirittamente; lo tuo salir: del salir tuo e montare al cielo; se non come d'un rivo: se non come tu ti meraviglieresti d'un rio o piccolo fiumicello, se dalla cima e sommità d'alcuno luogo alto e rilevato, cade giù a basso ed al piano; Maraviglia sarebbe in te: allora ti dovresti maravigliare, se tu privato di cosa che t'impedisse; assiso: asseduto; com'a terra quïete: come sarebbe maraviglia se si stesse a terra senza salire; foco vivo: la fiamma. Altri: «Il fuoco elementale» (V.).

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