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La Divina Commedia di Dante Alighieri Paradiso Canto I
LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (PARADISO) - CANTO ILa gloria di colui che tutto move Sì rade volte, padre, se ne coglie Molto è licito là, che qui non lece La novità del suono e 'l grande lume Ne l'ordine ch'io dico sono accline Non dei più ammirar, se bene stimo, NOTE AL CANTO I(1-10) La gloria: il divino raggio, o la luce divina. Eccles.: Gloria Domini plenum est opus ejus; risplende: «non solo penetra dentro, ma ancora riluce di fuori» (Varchi). «D., Lett. a Cane: "Penetra quanto all'essenza, risplende quanto all'essere"» (T.); più e meno: D., ivi: «Vediamo alcuna cosa stare in grado più eccellente, e tal altra in inferiore; come appare nel cielo e negli elementi, però che quello è incorruttibile, e questi son corruttibili»; Nel ciel: l'empireo; prende: piglia e riceve; «perché l'empireo tutte cose contiene e da niuna è contenuto, e per la sua sempiterna quiete e pace» (D., ivi); «né sa: raccontare, perché non se ne ricorda; né può: raccontarle per la grandezza loro; il che è tolto da s. Pagolo, quando disse: Et vidit ea quae non licet homini loqui» (V.). D., ivi: «Nescit, quia oblitus; nequit, quia, si recordatur et contentum tenet, sermo tamen deficit»; appressando sé: «quando s'appressa ed appropinqua; al suo disire: al suo disio e desiderio, a Dio. Par., XXXIII, 46-48: E io ch'al fine di tutt'i disii - appropinquava, sì com'io dovea, - l'ardor del desiderio in me finii» (V.); dietro... non può ire: «cioè seguitare l'intelletto, e riserbare i simulacri ed immagini delle cose vedute e contemplate» (V.); Veramente: non pertanto; quant'io, ecc.: D., ivi: «...dicere vult de regno coelesti quidquid in mente sua, quasi thesaurum, potuit retinere».(13-15) O buono Apollo: o benigno Febo, padre delle Muse e dei poeti; a l'ultimo lavoro: in questa terza ed ultima cantica; fammi, ecc.: empimi di maniera della grazia e favore tuo; a dar l'amato alloro: «innanzi che tu coroni e conceda l'alloro amato da te» (V.). Altri: dimanda dar, richiedesi a dare. (16-18) Infino a qui: nelle due cantiche passate; l'un giogo: l'uno dei duoi gioghi, o sommità; Parnaso: monte nella Focide, ha duoi gioghi; assai mi fu: m'era abbastanza; ma or: in questa terza cantica; con amendue: «i gioghi, ed in somma con tutto il monte» (V.). «Nell'uno albergano le Muse, nell'altro Apollo; e vuol dire: Fin qui mi bastò l'aiuto delle scienze umane; ora mi bisogna la sapienza divina o del più alto grado dell'arte» (B. B.); aringo: «come curriculum nella lingua latina, significa non solamente quello che i Greci dicevano stadio, cioè il luogo dove s'esercitavano alla lotta, ed a correre così gli uomini come i cavagli, ma ancora esso corso; così aringo nella nostra lingua significa non solo lo spazio dove si corre, ma ancora il corso; onde si dice: correre il primo aringo o il secondo» (V.); rimaso: «Vaso e Parnaso si pronunziano nell'ultima sillaba col suono non del nostro s, ma della "csi" greca, come si dice rosa ed amorosa ed infiniti altri, non però dovemo pronunziare rimaso in quel medesimo modo, ma col suon propio dell's latino, nè ci deve dar noia la rima o vero consonanza, perciocchè sono di due sorte rime, una propia e l'altra impropia, come è questa; e nel Trionfo del Tempo il Petr. fece che orzo rimò a sforzo ed a divorzo, che senza alcun dubbio sono elementi diversi» (V.). (19-27) tue: tu; sì come: «spirasti, e si deve credere che egli mettesse allora tutto l'ingegno e forze sue» (V.); Marsia traesti, ecc.: «Minerva, avendo dell'osso d'uno stinco fatto un piffero o veramente flauto, e sonando con esso a un convito di Giove, fu uccellata da tutti gl'Iddii, parendo lor brutta cosa che si guastasse il viso col gonfiare delle gote; ond'ella, vedutasi tale nella palude Tritonia, gittò via il sufolo, il quale, trovato da un satiro chiamato Marsia, e cominciatolo a sonare, venne in tanta superbia ed arroganza, che egli ardì di voler cantare a pruova con Apollo, ed a giudizio del re Mida, eletto giudice sopra questo fatto, ebbe la sentenza in favore. Ma Pallade, dea della sapienza, giudicò altramente; onde Apollo, per punire Mida del falso giudizio suo, e mostrargli che non se ne intendeva, gli fece gli orecchi d'asino; e Marsia, per gastigarlo della audacia ed arroganza sua, scorticò, e così scorticato appiccò colla pelle pendente a uno albero, acciocché gli altri imparassero. Vagina, guaina» (V.). «Nel principio del Purgatorio ricorda il supplizio delle Piche» (B. B.); O divina virtù: «Se bene invoca colle parole Apollo, come poeta, intende però colla mente Dio come cristiano» (V.). «La virtù intellettiva delle cose celesti» (P. di D.); tanto che... manifesti: «tanto ch'io possa sprimere» (V.); l'ombra: «quel po' che rammento» (T.); al tuo diletto legno: «al legno amato da te e che è in tua protezione. Sopra: amato alloro» (V.); e coronarmi: pigliare la ghirlanda poetica. Par. XXV, 8-9: ed in sul fonte - del mio battesmo prenderò 'l cappello; che: «delle quali foglie» (V.). Il Bianchi: «ché, perocché». (28-36) padre: «Questo nome padre oltra il propio significato, è nome di religione, onde tutti gli Dii anticamente si chiamavano padri, e spezialmente Bacco» (V.); per triunfare o cesare o poeta: «I Poeti ed i Cesari tronfavano tanto di rado, che poche volte bisognava cogliere dell'alloro per far loro la corona» (V.); parturir letizia: generare allegrezza; in su la lieta - delfica deità: «Ad Apollo. A me pare che si possa intendere propiamente a dire, che l'alloro doverrebbe far segno d'allegrezza nel tempio, anzi sull'altare stesso d'Apollo Delfico, cioè che s'adora in Delfi» (V.); la fronda: l'alloro; peneia: di Dafne, chè così si chiama in greco l'alloro, fu figliuola del fiume Peneo; asseta: «rende assetato e desideroso» (V.); seconda: «va dietro e seguita» (V.); di retro a me: dopo di me; con miglior voci: «con parole più accette e che meglio saranno esaudite» (V.); Cirra: «città posta alle radici del monte Parnaso. Qui si piglia il luogo in vece del locato, cioè per Apollo» (V.). (37-42) Surge: nasce e si leva; per diverse foci: «da diversi luoghi e siti» (V.); quattro cerchi: «l'Orizzonte, il Zodiaco; l'Equinoziale ed il Coluro dell'equinozio; giugne: congiugne; con tre croci: perché ciascuno dei tre primi cerchj divide ed interseca, e taglia in croce o vero incrocicchia il Coluro equinoziale» (V.); con migliore? ecc.: «Dichiarano queste parole che egli intendeva dell'equinozio vernale (primaverile) e non dell'autunnale, perché anco nel principio della Libra si congiungono quattro cerchj con tre croci. Con miglior corso, cioè con più propizio e benigno nascimento, o veramente disse così, perché l'Oriente, secondo Aristotile, è la destra parte del cielo, e per conseguente la migliore. Esce congiunta con migliore stella, cioè coll'Ariete, pigliando qui stella in luogo di segno, come i Latini pigliano astrum in luogo di sidus. Il Petr.: "E le stelle migliori acquistan forza"» (V.). «Conv., II, 4: "Le stelle... sono più piene di virtù... quando sono più presso a questo cerchio"» (T.); cera: materia; più, ecc.: «Il sole, il quale genera tutte le cose, mediante il movimento e calore suo, le genera più agevolmente di primavera essendo in Ariete, che d'alcuno altro tempo essendo in altri segni» (V.); tempera: «dispone e riduce meglio a sua simiglianza per la luce e pel calore; suggella: meglio v'imprime la sua virtù, o la sua virtuosa influenza» (B. B.). (43-48) Fatto avea di là, ecc.: «sul monte sorgeva il sole, alla terra nostra cadeva» (T.); quasi: «Il sole era a più gradi d'Ariete, e però disse Dante avvedutissimamente quasi. Non si riferisce a Fatto avea» (V. e B.). Il Bianchi: Tal foce e quasi, ecc., e spiega: «E all'indicato punto del cielo (donde s'alza il sole dell'equinozio) era spuntato il mattino, e dice quasi, perché l'emisfero s'illumina e s'ottenebra a gradi»; in sul sinistro fianco: «Il Purgatorio essendo posto da Dante antipodo al monte Sion, e venendo ad essere al di là del tropico del Capricorno, chi là è volto a levante, deve avere il sole nascente a sinistra» (B. B.); aquila, ecc.: «non s'affisse al sole, e non lo riguardò fisamente; unquanco: mai ancora» (V.). (49-54) E sì come secondo raggio, ecc.: «e come il raggio di riflessione si genera da quello d'incidenza, ecc.» (B. B.); risalire in suso: cioè ritornare verso onde uscì; infuso: mandato o entrato, per traslazione de' liquori, e quasi ispirato; ne l'imagine mia: nell'immaginazione o vero fantasia; il mio: atto; si fece: «degli atti suoi, non vuol dir altro l'atto mio si fece degli atti suoi, se non che gli atti suoi furon cagione del mio, cioè in sentenza, che avendo io veduto e considerato quello che ella faceva, così volli fare io, e quello de non dimostra che quelle parole gli atti suoi sieno genitivi, ma è quello che i Latini direbbero ex» (V.); oltre nostr'uso: «sopra l'uso umano» (V.). (55-60) Molto è licito là: «nel Paradiso terrestre, nel qual luogo i sentimenti umani così esterni come interni potevano molto più che qua non possono» (V.); fatto, ecc.: «perché egli fu creato ed eletto da Dio per la specie umana solamente, cioè per gli uomini soli e non per altri animali» (V.); nol soffersi: non potei durare a riguardarlo; molto: tempo; né sì poco: «né tanto corto tempo» (V.). (61-69) e di subito, ecc.: «gli parve che lo splendore del dì fusse raddoppiato» (V.); le luci: i miei occhi; fissi affisai; di là su: dall'eterne mote; rimote: «rimosse» (V.); Nel suo aspetto, ecc.: «Dante nel rimirare Beatrice si deifica» (V.); qual si fe' Glauco, ecc.: «Glauco fu un pescatore che, avendo preso una volta di molti pesci, stracco dal portargli, gli gittò nel mezzo della via, ove accadde che un pesce già presso che morto, gustata d'una certa erba, risuscitò; Glauco ne mangiò anco egli, e così divenne immortale; ma rincresciutogli il vivere, si gittò in mare» (V.); 'l fe' consorto, ecc.: «lo fece compagno; diventò Dio Marino» (V.) (70-72) Transumanar: passare dallo stato umano a più nobile condizione o natura; verba: parole. Jacopone: «Di Dio le sante verba»; esemplo: di Glauco; cui: «a chi la grazia riserba il provarlo» (T.). (73-75) S'i' era, ecc.: «se io di Dante, cioè d'uomo mortale, composto d'anima e di corpo, era diventato quello solamente che m'avevi fatto tu, cioè tutto fuoco e tutto ardente di carità e disiderio delle cose divine, ed in somma, s'io era d'umano fatto divino» (V.); sol: «col corpo lassù o in ispirito» (T.); novellamente: «in ultimo luogo. La parte dell'uomo creata ultima è l'anima razionale» (B. B.). Purg., XXV. E quel di S. Paolo: Sive in corpore nescio, sive extra corpus nescio; Deus scit; col tuo lume: «colla tua grazia illuminante» (V.). (76-81) la rota: il cielo; sempiterni: fai volgere in eterno; desiderato: «come amato e come fine, non come efficiente, cioè non volgi e giri il cielo movendo attualmente, ma sei cagione che egli si giri e volga essendo amato e desiderato da lui» (V.); a sé mi fece atteso: «fece ch'io mi volsi ed attesi, badai e posi mente» (V.); temperi, ecc.: «fai una e varia» (T.); parvemi tanto, ecc.: «mi parve sì grande spazio del cielo allumato» (V.). «Essendoché fosse giunto alla sfera del fuoco» (B. B.); disteso: «lungo» (V.); ampio. (82-84) suono: «delle sfere» (T.); m'accesero un disio: «m'infiammarono sì fattamente di sapere le cagioni loro, ed onde ciò venisse» (V.); di cotanto acume: sì acuto.
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