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Grandi Classici Cultura
I Grandi Classici Cultura Didattica Educazione
LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (INFERNO) - CANTO XXXIV
«Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira»,
disse 'l maestro mio, «se tu 'l discerni». (3)
Come quando una grossa nebbia spira,
o quando l'emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che 'l vento gira, (6)
veder mi parve un tal dificio allotta;
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio, ché non lì era altra grotta. (9)
Già era, e con paura il metto in metro,
là dove l'ombre tutte eran coperte,
e trasparien come festuca in vetro. (12)
Altre sono a giacere; altre stanno erte,
quella col capo e quella con le piante;
altra, com' arco, il volto a' piè rinverte. (15)
Quando noi fummo fatti tanto avante,
ch' al mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura ch'ebbe il bel sembiante, (18)
d'innanzi mi si tolse e fé restarmi,
«Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco
ove convien che di fortezza t'armi». (21)
Com' io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch'i' non lo scrivo,
però ch'ogne parlar sarebbe poco. (24)
Io non mori' e non rimasi vivo;
pensa oggimai per te, s'hai fior d'ingegno,
qual io divenni, d'uno e d'altro privo. (27)
Lo 'mperador del doloroso regno
da mezzo 'l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno, (30)
che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant' esser dee quel tutto
ch'a così fatta parte si confaccia. (33)
S'el fu sì bel com' elli è ora brutto,
e contra 'l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto. (36)
Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand' io vidi tre facce a la sua testa!
L'una dinanzi, e quella era vermiglia; (39)
l'altr' eran due, che s'aggiugnieno a questa
sovresso 'l mezzo di ciascuna spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta: (42)
e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di là onde 'l Nilo s'avvalla. (45)
Sotto ciascuna uscivan due grand' ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid' io mai cotali. (48)
Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello: (51)
quindi Cocito tutto s'aggelava.
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
gocciava 'l pianto e sanguinosa bava. (54)
Da ogne bocca dirompea co' denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti. (57)
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso 'l graffiar, che tal volta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla. (60)
«Quell' anima là sù c'ha maggior pena»,
disse 'l maestro, «è Giuda Scarïotto,
che 'l capo ha dentro e fuor le gambe mena. (63)
De li altri due c'hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto!; (66)
e l'altro è Cassio, che par sì membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
è da partir, ché tutto avem veduto». (69)
Com' a lui piacque, il collo li avvinghiai;
ed el prese di tempo e loco poste,
e quando l'ali fuoro aperte assai, (72)
appigliò sé a le vellute coste;
di vello in vello giù discese poscia
tra 'l folto pelo e le gelate croste. (75)
Quando noi fummo là dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l'anche,
lo duca, con fatica e con angoscia, (78)
volse la testa ov' elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com' om che sale,
sì che 'n inferno i' credea tornar anche. (81)
«Attienti ben, ché per cotali scale»,
disse 'l maestro, ansando com' uom lasso,
«conviensi dipartir da tanto male». (84)
Poi uscì fuor per lo fóro d'un sasso
e puose me in su l'orlo a sedere;
appresso porse a me l'accorto passo. (87)
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com' io l'avea lasciato,
e vidili le gambe in sù tenere; (90)
e s'io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
qual è quel punto ch'io avea passato. (93)
«Lèvati sù», disse 'l maestro, «in piede:
la via è lunga e 'l cammino è malvagio,
e già il sole a mezza terza riede». (96)
Non era camminata di palagio
là 'v' eravam, ma natural burella
ch'avea mal suolo e di lume disagio. (99)
«Prima ch'io de l'abisso mi divella,
maestro mio», diss' io quando fui dritto,
«a trarmi d'erro un poco mi favella: (102)
ov' è la ghiaccia? e questi com' è fitto
sì sottosopra? e come, in sì poc' ora,
da sera a mane ha fatto il sol tragitto?». (105)
Ed elli a me: «Tu imagini ancora
d'esser di là dal centro, ov' io mi presi
al pel del vermo reo che 'l mondo fóra. (108)
Di là fosti cotanto quant' io scesi;
quand' io mi volsi, tu passasti 'l punto
al qual si traggon d'ogne parte i pesi. (111)
E se' or sotto l'emisperio giunto
ch'è contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto 'l cui colmo consunto (114)
fu l'uom che nacque e visse sanza pecca;
tu haï i piedi in su picciola spera
che l'altra faccia fa de la Giudecca. (117)
Qui è da man, quando di là è sera;
e questi, che ne fé scala col pelo,
fitto è ancora sì come prim' era. (120)
Da questa parte cadde giù dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse,
per paura di lui fé del mar velo, (123)
e venne a l'emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lasciò qui loco vòto
quella ch'appar di qua, e sù ricorse». (126)
Luogo è là giù da Belzebù remoto
tanto quanto la tomba si distende,
che non per vista, ma per suono è noto (129)
d'un ruscelletto che quivi discende
per la buca d'un sasso, ch'elli ha roso,
col corso ch'elli avvolge, e poco pende. (132)
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d'alcun riposo, (135)
salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch'i' vidi de le cose belle
che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle. (139)
Inferno, c. XXXIV, vv. 19-21
Ritratto di Dante Alighieri
NOTE AL CANTO XXXIV
(1-9) Vexilla, ecc.: «I vessilli del re d'Inferno escono - si
manifestano» (B.). Sono le ale sventolanti (volubili; Lanèo) di Lucifero. Le tre
prime parole sono il principio d'un inno del sesto secolo che si cantava nelle
chiese la settimana santa, e scritto da Fortunato, italiano di nascita, ma che
morì vescovo di Poitiers nel 600. Eccone la prima strofa: Vexilla regis
prodeunt, - Fulget crucis mysterium; - Quo carne carnis conditor. - «Suspensus
est patibulo» (Lf.); dinanzi: «in front of thee» (Lf.); se tu 'l discerni:
Lucifero, par di lungi, ecc.: quale da lontano apparisce un mulino a vento;
dificio: edificio, macchina; altra grotta: «altra reparazione» (B.). «Shelter»
(Lf.). «Speco. Difesa contro il vento gelato» (Bl.).
(10-27) il metto in metro: il riferisco in versi; tutte: totalmente; e
trasparien, ecc.: e trasparivano come nel corpo del vetro un fuscellino di
paglia che vi sia racchiuso; erte: ritte; quella col capo: sta erta col capo
all'insù; e quella con le piante: sta erta colle gambe all'insù; rinverte:
ripiega; fatti tanto avante: inoltrati tanto; la creatura, ecc.: Lucifero, prima
della ribellione. «Milton, Parad. Lost, V, 708: "His countenance as the morning
star, that guides - The starry flock"» (Lf.); Dite: Dis. Cfr. v. 28; di
fortezza: «di sicurtà, sì per la diversa e paurosa imagine, e sì che per addosso
lui li convenia passare lo centro del mondo» (Lanèo); fioco: «powerless» (Lf.);
s'hai fior d'ingegno: se hai punto d'ingegno. «Aught of wit» (Lf.). Vedi Inf.,
XXV, 144; d'uno e d'altro privo: «privato del vivere e del morire» (B.).
(28-36) Lo 'mperador, ecc.: «Confronta le descrizioni che il Milton fa di
Satana. Parad. Lost, I, 192, 589; II, 636; IV, 985» (Lf.); e più con un gigante,
ecc.: La mia statura s'avvicina più a quella d'un gigante, che la statura d'un
gigante alla grandezza delle braccia di Lucifero; quel tutto: quel corpo intero;
si confaccia: «corrisponda. Posta a misura fondamentale la pina in Belvedere,
Filalete dà ai giganti un'altezza di 54 piedi di Parigi, e ad un uomo comune, di
piedi 6, cotalché il braccio di Lucifero dovrebb'essere pari almeno a 54x54/6
ovvero a piedi 486 di Parigi. Or se il braccio è al solito il terzo dell'intera
lunghezza del corpo umano, ne viene che l'altezza di Lucifero sia di piedi 1458,
ossia di braccia 810» (Bl.); e contra 'l suo Fattore, ecc.: «e si mostrò tanto
ingrato. Ponam sedem meam in Aquilone et ero similis Altissimo» (Anonimo
fiorentino); ben dee da lui, ecc.: non è meraviglia che da lui proceda ogni
male.
(38-45) tre facce... sovresso 'l mezzo: «sul mezzo appunto dell'una e
dell'altra spalla sorgevano lateralmente le altre due faccie, che, come in un
punto comune, andavano a riunirsi sul vertice del capo ov'è la cresta (simbolo
di superbia)» (B. B.). «La faccia dinanzi tiene la parte anteriore del capo,
laddove le altre due che vi s'aggiungono, si attaccano all'occipite sì che
rimane luogo solo per una cresta. La ragione di siffatta positura si è che
Satanasso possa misurare a un tratto col guardo da tutte le parti l'intero suo
regno, e come gli conviene, signoreggiarlo» (Bl.). Per le tre faccie di diverso
colore, intende forse le tre parti della terra allora conosciute, dalle quali
piovono senza cessare le anime a lui, che siede signore su le acque d'abisso.
Vermigli di volto sono generalmente gli Europei; tra bianchi e gialli gli
Asiatici (Mongoli); neri gli Africani (Negri); ed è situato in modo che ha
l'Europa davanti, l'Asia a destra, e l'Africa a sinistra. Risponde la posizione
a quella del Veglio di Creta. «Avea tre facce contrarie et opposite alle tre
persone della Trinità; la vermiglia significa l'avarizia, infiammata di
desiderio e a cui ogni cosa manca; contraria della potenza, attribuita al Padre;
la livida, tra bianca e gialla, significa l'invidia, ed è contraria allo Spirito
Santo, a cui è attribuito l'amore; la nera significa l'ignoranza, contraria al
Figliuolo, al quale è attribuita la sapienza» (Anonimo fiorentino). Questo
riscontro lampeggiò pure alla mente del Blanc, che oppone altresì il vento che
movea da Lucifero allo spirito di Dio che si movea sulla faccia dell'acque; di
là onde 'l Nilo s'avvalla: l'Etiopia. «La regione intorno alle cateratte del
Nilo» (Lf.).
(48-60) cotali: sì grandi. «Milton, Parad., Lost, II, 527: "At last his
sail-broad vans, - He spreads for flight, and in the surging smoke, - Uplifted
spurns the ground"» (Lf.); di vispistrello: «di cartilagini» (L.); svolazzava:
dibatteva; quindi: per cagion d'essi venti; dirompea: stritolava; maciulla:
strumento composto di due legni, uno de' quali entra in una incanalatura che è
nell'altro; serve a dirompere il lino e la canape e mondarli delle materie
legnose; A quel dinanzi: a quello che era nella bocca della faccia dinanzi;
verso 'l graffiar: «a rispetto del graffiar ch'elli facea con li artigli delle
branche sue» (B.); brulla: «nuda - tutta netta, che ne la portavano li unghioni»
(B.).
(61-68) là su: inculca l'altezza di Lucifero; Giuda: il traditore di
Cristo; il capo di sotto: pendono a capo in giù. «La positura di Giuda - dice il
Rossetti - è la stessa di quella dei papi simoniaci, e i morsi di Lucifero
rispondono al bacio ond'ei tradì Cristo»; par: appar; sì membruto: complesso.
Vogliono scambiasse il Cassio cospiratore, ch'era magro e sparuto, col Cassio di
cui Cicerone, nella III Catilinaria, spregia la corpulenza; Bruto e Cassio:
Nella mia Rivista critica, Anno I, parlando dei Dialoghi del Giannotti, intorno
ai giorni che Dante consumò nel cercare l'Inf. e il Purg., si legge: «La
questione più importante è quella intorno a Bruto e a Cassio, uccisori di
Cesare, che il Giannotti, come repubblicano e odiatore dei tiranni, avrebbe
voluto veder collocati nella parte più onorata del Paradiso, e non nella
Giudecca entro alle bocche di Lucifero. Essere sviscerato di Dante e della
repubblica, e vederlo volgersi contro ai suoi vindici, mentre poi il poeta
aborriva i tiranni e li tuffava nel bollore vermiglio! Michelangelo soccorre ai
dubbii del Giannotti, dimostrando come Dante teneva opinione che per speciale
provvidenza di Dio, l'impero del mondo fosse ridotto in potestà dei Romani, e
poi degl'imperatori; onde parevagli che qualunque tradisce la maestà dell'impero
romano debb'essere punito dove e come i traditori della maestà divina. Avendo
dunque a metter esempj di chi avesse tradito l'impero romano, prese, come di
maggior fama, gli ammazzatori di Cesare. Senzaché Dante poté credere che Cesare
avrebbe forse un dì imitato Silla, e restituito la libertà. "Non sapete voi,
egli dice, quanta ruina nacque nel mondo dalla morte di quello? Non vedete che
sciagurata successione d'imperadori egli ebbe? Non era egli meglio che vivesse e
menasse ad effetto i suoi pensieri?... A me alcuni sono assai gravi e noiosi, i
quali pensano che il bene non si possa introdurre se non si comincia dal male,
cioè dalle morti; né pensano che i tempi variano, nascono accidenti nuovi, le
volontà si mutano, gli uomini si straccano; onde molte volte fuori di speranza,
e senza opera e pericolo di persona nasce quel bene, che altri ha sempre
desiderato". Queste parole il Giannotti le dice degne d'essere scritte a lettere
d'oro»; Ma la notte risurge, ecc.: «Son le sei dopo mezzo giorno, stanteché
siamo all'equinozio di primavera. Per arrivar qua spesero 24 ore, ché al II, 1,
quando si mossero, è detto: Lo giorno se n'andava; al VII, 98: già ogni stella
cade; è mezzanotte passata; all'XI, 113: i Pesci guizzan su per l'orizzonta;
poco prima dello spuntar del sole; al XX, 125-126: e tocca l'onda - sotto
Sobilia Caino e le spine; è sul far del giorno; al XXI, 112: Ier, più oltre
cinqu'ore che quest'otta; la prima ora del giorno; al XXIX, 10: E già la luna è
sotto i nostri piedi; è mezzogiorno». Così il Blanc. V. il Giannotti, l. c.
(71-72) poste: «colse il punto e il luogo dove avesse la presa più
pronta e sicura» (Ces.); assai: «tanto da aggrapparlo, prima che, spiegate del
tutto, tornino a chiudersi» (B.).
(73-75) vellute coste: costole pelose; «tra 'l folto pelo di Lucifero, e
le gelate croste, l'incrostatura del ghiaccio che vestiva la cavità interiore di
quel pozzo» (L.).
(76-84) là dove la coscia... sul grosso de l'anche: «sulla prominenza che
fanno l'anche, ossia tra i fianchi e le cosce» (L.). «Alla fine dell'anche, ove
s'incaviglia e s'annoda la coscia» (B.). Iliade, V, 305. Il Monti: «Percosse
Enea nell'osso - Che alla coscia s'innesta ed è nomato - Ciotola» Il Salvini:
«Dove la coscia nello scio si volge». «Où la cuisse tourne sur la saillie de la
jambe» (Ls.). «Giunti presso a Lucifero, il quale è sì fitto nel ghiaccio che
solo il capo e il petto sporgono all'insù (come le gambe sporgono dalle rupi
alla parte opposta), vuolsi trovare una via che dal centro li riconduca alla
superficie della terra e proprio verso la parte opposta alla terra abitata. Né
v'è altro che scendere prima al centro tra esso e il ghiaccio e le roccie non
tocche dal corpo suo, e di là risalire. E così accade, e Virgilio, con Dante in
collo, fa questo passaggio. Giunto dove le gambe di Lucifero spaziano libere in
aria, Virgilio depone Dante sull'orlo dello scoglio, chè là finisce» (Bl.);
Attienti ben: al mio collo; da tanto male: «quanto è l'Inferno» (B.).
(85-96) per lo fóro d'un sasso: «Lucifero è fitto in una specie di tubo
che la metà di sopra è fatta dal ghiaccio, la metà di sotto dagli scogli; come
intorno alla parte superiore del suo corpo stendesi il ghiaccio della Giudecca,
così intorno alla parte inferiore si stendono gli scogli, come dice Virgilio al
v. 116: tu hai i piedi in su picciola spera, - che l'altra faccia fa de la
Giudecca, e a quel modo che Virgilio dall'orlo della superficie gelata poté
raggiungere il corpo del mostro, così dal corpo di lui può raggiungere l'orlo
delle rupi ove pone Dante a sedere, puose me in su l'orlo a sedere, e appresso
porse a me l'accorto passo, ossia fece accortamente ii passo verso me, si pose
vicino a me» (Bl.); porse: «oustretched» (Lf.); credetti vedere: perché, come
sopra è detto, avea creduto tornare nell'Inferno; lasciato: «col capo e con
l'alie» (B.); travagliato: confuso, inquieto; la gente grossa, ecc.: idiota;
che, ignara delle leggi fisiche, non conosce qual è quel punto, ecc. La
difficoltà dell'arrampicarsi accennata al v. 78 ed al v. 83, è attribuita alla
gravità che il poeta, con gli antichi, crede massima al centro della terra. Il
Blanc all'incontro: «Noi, alla superficie della terra, sentiamo il massimo della
gravità, poiché siamo attratti dalla intera massa terrestre? il che vieta che
nella grande velocità onde l'asse della terra si gira, non siamo scaraventati
nello spazio. Se per un pozzo che si profondasse a traverso tutta la terra fosse
possibile arrivare al centro di essa, e di là, in direzione opposita, salire
alla superficie, ad ogni passo verso il centro sentiremmo meno la gravità,
perché già ci sovrasterebbe una parte della massa terrestre, la quale ci
attrarrebbe e affievolirebbe l'attrazione delle altre masse maggiori. Giunti al
centro, la gravità sarebbe per noi = 0, stanteché saremmo attratti ugualmente da
tutte parti, né troveremmo la menoma difficoltà a risalire alla superficie in
qualsivoglia direzione. Ma la gravità crescerebbe ad ogni passo, ché ad ogni
passo verso la superficie, la massa sotto di noi si farebbe maggiore di quella
sopra di noi, e la piena forza della gravità la risentiremmo solo arrivando
novellamente alla superficie. Del resto se Dante, quando Virgilio giunto al
centro della terra si volse, e cominciò a risalire, credette di tornare indietro
in inferno, cadde in errore sì, ma assai naturale. I più, se un pozzo si
profondasse diametralmente nella terra, crederebbero di poter raggiungere
l'opposita superficie continuamente scendendo, senza badare, come Virgilio ben
nota: qual è quel punto ch'io avea passato»; la via è lunga: «perché devono
trascorrere tutto il semidiametro della terra» (F.); e già il sole, ecc.: «Il
giorno è diviso in quattro parti uguali: terza, sesta, nona e vespro; mezza
terza è l'ottava parte del giorno. Avendo detto Virgilio pur dianzi nell'altro
emisfero, che risorgeva la notte, è naturale che in questo dica dopo alcune ore
che è scorsa l'ottava parte del giorno; poiché, mentre all'uno emisfero il sole
si nascondeva, veniva a mostrarsi nell'altro. Se il sole tramontava quando il
Poeta s'appigliava a Lucifero per varcare il centro terrestre, nell'altro
emisfero dovea sorgere: ma, fatto il passaggio, avverte che è già mezza terza,
un'ora e mezzo di sole; dunque un'ora e mezzo ha durato quel passaggio» (B. B.).
(97-102) Non era caminata, ecc.: «Non era sala da palazzo: i signori
usano di chiamare le loro sale camminate, massimamente in Lombardia; e questo
dice perché le sale de' palagi de' signori sogliono esser ben piane e ben
luminose, e quivi era lo spazzo disiguale et aspro et eravi grande oscurità»
(B.); burella: «luogo oscuro, ove non si vede raggio di sole» (B.). Fossa,
passaggio sotterraneo; ch'avea dal suolo, ecc.: che avea cattivo e scabroso
suolo, e scarsezza di lume. «With floor uneven» (Lf.); mi divella: «mi svella -
mi spacci» (B.); quando fui dritto: fin allora era rimasto a sedere sull'orlo
del sasso; a trarmi d'erro: per togliermi d'errore, o di dubbio. «Erro s'ode
tuttora nel contado in Toscana» (C. Giannini).
(105-108) da sera a mane ha fatto il sol tragitto?: «Ora era sera, come
dicesti (ma la notte risurge) et io veggio diventato così tosto mattina?» (B.);
mi presi: m'appigliai; al pel: di Lucifero, che trafora e traversa il centro
della terra.
(109-114) cotanto: tempo. «So long as» (Lf.); al qual punto tendono da
ogni parte tutti i gravi; e se' or, ecc.: «ordina: Ed ora sei sotto l'emisfero
celeste, ch'è opposto al nostro, il quale a guisa di vôlta sta sopra alla gran
secca, alla terra (chiamata arida nella Scrittura. - Which overhangs The vast
Dryland; Lf.), e sotto il più alto punto del quale (nostro emisfero) fu
consunto, ucciso Cristo, che nacque e visse senza peccato. Imagina che
Gerusalemme sia posta nel punto medio dell'emisfero boreale, il solo, secondo le
idee di quei tempi, abitato; e che l'emisfero opposto, l'australe, sia tutto
mare, tranne il punto antipodo a Gerusalemme, su cui s'alza la montagna del
Purgatorio» (B. B.); consunto: «Joan, XIX, 30: "Consummatum est"» (K.).
(118-126) è da man: è il mattino; Da questa parte cadde giù, ecc.: «Finge
che Lucifero cadesse colla testa riversa da quell'emisfero al quale or si
dirige, e con tanta veemenza, che sprofondò fino al centro della terra; che la
terra, prima sporgentesi nell'emisfero australe, impaurita a quella vista,
rientrò, e si sporse dall'emisfero opposto, sicché gran parte del mare, che
questo in primo totalmente copriva, corse ad invader quello; e che il tratto
interno di terra per cui egli passò, preso pur esso di orrore, ricorse in su, e
fece quella montagna che s'eleva sulle acque dell'emisfero australe» (B. B.).
(127-132) Luogo è là giù, ecc.: «I passeggieri salgono contro il corso
d'un ruscello, il quale, cadendo poco da alto (poco pende), discende spiralmente
dalla superficie della terra (col corso ch'elli avvolge) fino a Lucifero, per
unirsi qui con Cocito... Per tomba è da intendere l'intero Inferno, e spiegare:
lo spazio ove scende il ruscello dalla superficie della terra, e dove corre il
cammino de' passeggieri, va tanto lungi da Lucifero verso la superficie
dell'altro emisfero, quanto da Lucifero per tutto l'Inferno (tomba)
all'emisferio nostro; con che è indicata chiara la via che essi devon fare. Che
il ruscello scenda a Lucifero dalla superficie della terra opposita alla nostra,
è detto precisamente, onde non si può prenderlo per uno sbocco de' fiumi
infernali, nel qual caso dovrebbe correre all'insù. Anzi è un contrapposto de'
fiumi infernali; come questi nascono da' peccati degli uomini, e scendono
all'Inferno, così esso scende dal monte del Purgatorio; e supporrei, col
Rossetti, che sia uno sbocco di Lete, che porti giù nell'Inferno le colpe
espiate. Concorda il passo del Purg., I, 40: Chi siete voi, che contro al cieco
fiume - fuggita avete la pregione eterna?» (Bl.); che non per vista, ecc.: «Che
per essere oscurissimo, non si fa noto agli occhi, ma agli orecchi pel suono di
un ruscelletto che quivi discende per il foro d'un sasso che nei lunghi secoli
ha roso col perenne corso ch'egli avvolge, ch'egli mena tortuoso, ed è poco
inclinato (onde chi va lungh'esso ha non difficil salita)» (B. B.).
(137-139) tanto ch' i', ecc.: «Tanto che per un pertugio tondo, in cima
alla caverna, io vidi parte delle cose belle, che il cielo porta in giro nel suo
movimento» (B. B.). «Essendo mezza terza quando cominciarono a salire, e
dicendosi al Purg., I, 19 e segg., che il sole era per levare, ne viene ch'essi
fecero la via da Lucifero alla superficie della terra in men di 24 ore» (Bl.); a
riveder le stelle: ogni cantica finisce con la parola stelle.
[Explicit prima pars Comedie Dantis Alagherii in qua tractatum est de
Inferis]
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