LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (INFERNO) - CANTO XXXII

S'ïo avessi le rime aspre e chiocce,
come si converrebbe al tristo buco
sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce, (3)

io premerei di mio concetto il suco
più pienamente; ma perch' io non l'abbo,
non sanza tema a dicer mi conduco; (6)

ché non è impresa da pigliare a gabbo
discriver fondo a tutto l'universo,
né da lingua che chiami mamma o babbo. (9)

Ma quelle donne aiutino il mio verso
ch'aiutaro Anfïone a chiuder Tebe,
sì che dal fatto il dir non sia diverso. (12)

Oh sovra tutte mal creata plebe
che stai nel loco onde parlare è duro,
mei foste state qui pecore o zebe! (15)

Come noi fummo giù nel pozzo scuro
sotto i piè del gigante assai più bassi,
e io mirava ancora a l'alto muro, (18)

dicere udi'mi: «Guarda come passi:
va sì, che tu non calchi con le piante
le teste de' fratei miseri lassi». (21)

Per ch'io mi volsi, e vidimi davante
e sotto i piedi un lago che per gelo
avea di vetro e non d'acqua sembiante. (24)

Non fece al corso suo sì grosso velo
di verno la Danoia in Osterlicchi,
né Tanai là sotto 'l freddo cielo, (27)

com' era quivi; che se Tambernicchi
vi fosse sù caduto, o Pietrapana,
non avria pur da l'orlo fatto cricchi. (30)

E come a gracidar si sta la rana
col muso fuor de l'acqua, quando sogna
di spigolar sovente la villana, (33)

livide, insin là dove appar vergogna
eran l'ombre dolenti ne la ghiaccia,
mettendo i denti in nota di cicogna. (36)

Ognuna in giù tenea volta la faccia;
da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo
tra lor testimonianza si procaccia. (39)

Quand' io m'ebbi dintorno alquanto visto,
volsimi a' piedi, e vidi due sì stretti,
che 'l pel del capo avieno insieme misto. (42)

«Ditemi, voi che sì strignete i petti»,
diss' io, «chi siete?». E quei piegaro i colli;
e poi chebber li visi a me eretti, (45)

li occhi lor, ch'eran pria pur dentro molli,
gocciar su per le labbra, e 'l gelo strinse
le lagrime tra essi e riserrolli. (48)

Con legno legno spranga mai non cinse
forte così; ond' ei come due becchi
cozzaro insieme, tanta ira li vinse. (51)

E un ch'avea perduti ambo li orecchi
per la freddura, pur col viso in giùe,
disse: «Perché cotanto in noi ti specchi? (54)

Se vuoi saper chi son cotesti due,
la valle onde Bisenzo si dichina
del padre loro Alberto e di lor fue. (57)

D'un corpo usciro; e tutta la Caina
potrai cercare, e non troverai ombra
degna più d'esser fitta in gelatina: (60)

non quelli a cui fu rotto il petto e l'ombra
con esso un colpo per la man d'Artù;
non Focaccia; non questi che m'ingombra (63)

col capo sì, ch'i' non veggio oltre più,
e fu nomato Sassol Mascheroni;
se tosco se', ben sai omai chi fu. (66)

E perché non mi metti in più sermoni,
sappi ch'i' fu' il Camiscion de' Pazzi;
e aspetto Carlin che mi scagioni». (69)

Poscia vid' io mille visi cagnazzi
fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
e verrà sempre, de' gelati guazzi. (72)

E mentre ch'andavamo inver' lo mezzo
al quale ogne gravezza si rauna,
e io tremava ne l'etterno rezzo; (75)

se voler fu o destino o fortuna,
non so; ma, passeggiando tra le teste,
forte percossi 'l piè nel viso ad una. (78)

Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste?
se tu non vieni a crescer la vendetta
di Montaperti, perché mi moleste?». (81)

E io: «Maestro mio, or qui m'aspetta,
sì ch'io esca d'un dubbio per costui;
poi mi farai, quantunque vorrai, fretta». (84)

Lo duca stette, e io dissi a colui
che bestemmiava duramente ancora:
«Qual se' tu che così rampogni altrui?». (87)

«Or tu chi se' che vai per l'Antenora,
percotendo», rispuose, «altrui le gote,
sì che, se fossi vivo, troppo fora?». (90)

«Vivo son io, e caro esser ti puote»,
fu mia risposta, «se dimandi fama,
ch'io metta il nome tuo tra l'altre note». (93)

Ed elli a me: «contrario ho io brama.
Lèvati quinci e non mi dar più lagna,
ché mal sai lusingar per questa lama!». (96)

Allor lo presi per la cuticagna
e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
o che capel qui sù non ti rimagna». (99)

Ond' elli a me: «Perché tu mi dischiomi,
né ti dirò ch'io sia, né mosterrolti
se mille fiate in sul capo mi tomi». (102)

Io avea già i capelli in mano avvolti,
e tratti glien' avea più d'una ciocca,
latrando lui con li occhi in giù raccolti, (105)

quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?
non ti basta sonar con le mascelle,
se tu non latri? qual diavol ti tocca?». (108)

«Omai», diss' io, «non vuo' che più favelle,
malvagio traditor; ch'a la tua onta
io porterò di te vere novelle». (111)

«Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta;
ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
di quel ch'ebbe or così la lingua pronta. (114)

El piange qui l'argento de' Franceschi:
"Io vidi", potrai dir, "quel da Duera
là dove i peccatori stanno freschi". (117)

Se fossi domandato "Altri chi v'era?",
tu hai dallato quel di Beccheria
di cui segò Fiorenza la gorgiera. (120)

Gianni de' Soldanier credo che sia
più là con Ganellone e Tebaldello,
ch'aprì Faenza quando si dormia». (123)

Noi eravam partiti già da ello,
ch'io vidi due ghiacciati in una buca,
sì che l'un capo a l'altro era cappello; (126)

e come 'l pan per fame si manduca,
così 'l sovran li denti a l'altro pose
là 've 'l cervel s'aggiugne con la nuca: (129)

non altrimenti Tidëo si rose
le tempie a Menalippo per disdegno,
che quei faceva il teschio e l'altre cose. (132)

«O tu che mostri per sì bestial segno
odio sovra colui che tu ti mangi,
dimmi 'l perché», diss' io, «per tal convegno, (135)

che se tu a ragion di lui ti piangi,
sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
nel mondo suso ancora io te ne cangi,
se quella con ch'io parlo non si secca». (139)
Inferno, c. XXXII, vv. 19-21

NOTE AL CANTO XXXII



(1-12) S'io avessi, ecc.: se dall'italica lingua mi fossero date; chiocce: «mal resonanti» (B.). «Roche. Petr. "Rime aspre e fioche far soavi e piane".» (T.). «Stridulous» (Lf.); al tristo buco: al tristo pozzo o fondo infernale; pontan: s'appuntano, gravitano, siccome su loro centro; rocce: «ripe scoscese de' cerchj infernali» (F.); io premerei, ecc.: io esprimerei meglio il mio concetto. L'Anonimo fiorentino: «Io pesterei l'erba del mio concetto, sì ch'io ne trarrei ogni sostanzia»; non l'abbo: non le ho; non sanza tema: «di potere satisfare alla materia» (B.); da pigliare a gabbo: «a beffe» (B.) - ma seria e difficile. «To take in jest» (Lf.); discriver fondo, ecc.: «descriver il fondo, il centro di questa sfera mondiale. Parla secondo il sistema tolemaico» (B. B.); né da lingua, ecc.: di bimbo. Petr.: «Che dal latte si scompagne». «Da esser presa da fanciullo e da chi abbia ingegno fanciullesco, ma da perfetto ingegno e con diligenza» (B.). «Da lingua bambina, come veramente potea dirsi il volgare italiano a que' tempi» (B. B.); quelle donne: le muse; Anfïone: «figlio di Giove e d'Antiope, sonando - facea muovere li sassi (dal monte Citerone) e venire l'uno sopra l'altro, e così fece lo muro intorno intorno» (B.); a chiuder: di mura; Tebe: «Non senza ragione Dante nomina questa città che fu il teatro de' più atroci delitti ne' tempi antichi» (K.); sì che dal fatto, ecc.: sì che le parole sien pari al subietto.
(13-15) Oh sovra tutte, ecc.: o turba vile d'anime sciagurate sovra tutte l'altre che sono in inferno. «O vous, la lie du peuple maudit!» (Ls.); nel luogo: nel già detto centro dell'Inferno; duro: malagevole; mei foste, ecc.: meglio per voi se foste state in questo mondo pecore o capre. Matth., XXVI, 24.
(17-21) sotto i piè, ecc.: più al basso di quello che fossero i piedi del gigante. «Anche in questo nono cerchio il suolo va sempre dechinando verso il centro» (F.); alto muro: del profondo pozzo, ove gli avea posati Anteo; dicere udimmi: «udii dire a me» (T.); Guarda come passi: «Le parole sono dirette solamente a Dante, o perché l'ombra che parla si è accorta ch'egli solo ha corpo; o perché, vedendolo inteso a tutt'altro, temeva che pestasse lui o suo fratello, ch'erangli i più vicini. Sono questi i due fratelli Alberti» (B. B.). Cfr. vv. 55-57; calchi con le piante: «scalpiti co' piedi» (B.).
(22-30) Per ch'io: per la qual cosa io; un lago: Cocito; per gelo: per esser gelato; la Danoia in Osterlicchi: il Danubio in Austria non fece mai di verno sì grosso velo al corso suo (upon its current; Lf.), sì grossa crosta di ghiaccio alle sue acque, né Tanai, la Tana o il Don, là sotto il freddo cielo, sotto il gelato clima della Moscovia, come, ecc.; che se il monte Tambernicchi o l'altro di Pietrapiana vi fosse caduto sopra, non si sarebbe quel ghiaccio smosso, né avrebbe scricchiolato neppure dall'orlo, ove suol essere più sottile, e prima si stacca. «Non sarebbe pure (il lago) sgrossato dalle sponde, né fatto suono cri cri» (B.). «Que les bords même n'auraient pas craqué» (Ls.); Tambernicchi: «Non è ben sicuro quale monte abbia voluto indicare: probabilmente la Frusta Gora, vicino a Tovarnico in Schiavonia, o il Javornick, cioè il monte degli Aceri, vicino ad Adelsberg, nella Carniola» (Bl.). L'Anonimo ficrentino: «Tabernich è una montagna in Schiavonia et è altissima e tutta petrosa, quasi senza terra, che pare tutto uno masso a vederla»; Pietrapiana: «o Pietra Apuana, monte in Garfagnana, sopra Lucca» (F.). «E' altissima, e pare tutta una pietra, et è in alcuna parte forata» (Anonimo fiorentino).
(32-39) quando sogna, ecc.: Indica il principio della state, quando la villana spigola, e l'ora della notte quando essa villana sogna sovente di spigolare, solendosi sognare la notte quello che durante il giorno ci ha molto occupati; di spigolar: «di coglier le spighe rimase, che si chiama ristoppiare» (B.); insin là dove appar vergogna: «infino al volto, che è quella parte del corpo che dimostra la vergogna, e questo si manifesterà di sotto quando dirà: Poscia vid'io mille visi, cagnazzi» (B.). «Agli occhi, che Aristotile dice sede della vergogna. Petr.: "Vergogna con man dagli occhi forba"» (T.). Altri: Insin dove si mostrano le parti pudende; mettendo i denti, ecc.: «tremando a dente a dente, e percotendo li denti l'uno con l'altro, come fa la cicogna quando percuote lo becco di sotto con quel di sopra» (B.); da bocca il freddo... tra lor, ecc.: tra quella gente il freddo fa fede di sé per la bocca, con lo sbattere de' denti, e il cuor tristo, addolorato, fa fede di sé per gli occhi gonfi di pianto.
(44-51) E quei piegaro i colli: all'indietro, staccandosi l'uno dall'altro per poter guardare in su; le labbra: gli orli delle palpebre; poiché nel gran freddo non avrebbero le lagrime avuto il tempo di scendere fino alla bocca. Altri legge: «giù per le labbra, indicando la bocca» (B. B.); e 'l gelo strinse, agghiacciò le lacrime tra essi occhi e li riserrò; spranga: «caso retto» (T.).
(52-66) E un: altro dannato; pur col viso in giue: continuando a tenere il capo basso; ti specchi: rimiri. Il ghiaccio rifletteva l'immagine come vetro (v. 24), onde il dannato vedeva anche col viso in giù; Bisenzo: «piccolo fiume di Toscana, che passa vicino a Prato, e sbocca nell'Arno sotto Firenze, di contro alla Lastra» (Bl.); di lor fue: fu possessione d'Alberto degli Alberti loro padre e di loro. «Questi due fratelli furono Napoleone et Alessandro de' conti Alberti (conti di Mangona), i quali furono di sì perverso animo, che per tôrre l'uno all'altro le fortezze che avevano in val di Bisenzio, vennono a tanta ira et a tanta malvagità d'animo, che l'un uccise l'altro, e così insieme morirono» (Anonimo fiorentino); D'un corpo usciro: nacquero d'una stessa madre; in gelatina: nella ghiaccia infernale; scherzosamente. «Come i polli nella gelatina» (B.). «Pulci, XXII, 104: "Ognun volea pur Gano in gelatina"» (T.); non quelli, ecc.: «Il re Artù si mosse di Cammellotto per andare assediare Lancillotto. Mordaret rimase vicario del re, ch'era nipote del re, figliuolo della sirocchia ch'era reina d'Orgama. Fece Mordaret contraffare lettere e il suggello del re, et mostrò che messer Calvano scrivesse da sua parte come il re Artù era stato sconfitto et morto, et quasi tutta sua gente, et che il re non si trovava, e pertanto non facessono ragione di lui... Si fece coronare... Il re Artù venne verso Cammellotto colla sua forza: fu grande battaglia fra loro: infine Mordaret si scontrò col re Artù. Il re il passò per lo petto d'una lancia dall'uno lato all'altro, et al trarre della lancia, il sole passò per la fedita, sì che ivi si ruppe l'ombra del corpo di Mordaret. Mordaret ferì il re in sul capo d'una spada, e così uccise l'uno l'altro» (Anonimo fiorentino). «Nell'antico romanzo Lancelot du Lac, Mordrec si ribella da Artù, suo padre, gli tende un aguato per ucciderlo, e n'è trapassato di lancia. Et dit l'histoire que apprés l'ouverture de la lance, passa parmy la playe un ray de soleil si évidemment, que Girfiet le vit bien. Purg., III, 16: Lo sol... rotto m'era dinanzi a la figura» (Bl.); non Focaccia: «Affrettò la morte d'un suo zio, ch'era gran ricco uomo, per godersi più presto il retaggio di lui» (Anonimo fiorentino). Nelle Storie Pist.: «Era... de' Cancellieri della parte Bianca: figliuolo di M. Bertacca: prode e gagliardo molto di sua persona. Non attendea ad altro che a uccisioni o ferite: (fuggiva al bisogno e scusavasi) che meglio era dire: Quinci fuggio il Focaccia, che: Quivi fu morto il Focaccia»; non questi: che col capo mi sta dinanzi, e m'impedisce di vedere più oltre; Sassol Mascheroni: uccise l'unico figlioletto d'un suo ricco zio. «Fatto lusingare il fanciullo, il menò fuori della terra, et ivi l'uccise, et sconosciuto si partì. Non si sapea chi morto l'avesse. Tornò Sassolo d'ivi a un tempo a Firenze; giugne a casa; fa lo scarpore grande di questo suo cugino, et prese il reditaggio del zio ch'era già morto. Infine il fatto si scoperse: fu preso costui, et confessato il malefizio, fu messo in una botte d'aguti, et fu strascinato rotolando la botte per la terra, e poi gli fu mozzo il capo» (Anonimo fiorentino). «Essendo tutore d'un suo nipote, per rimanere erede, l'uccise» (O.).
(67-69) non mi metti in più sermoni: non mi faccia altre domande. «Per tagliar le chiacchiere» (Ces); 'l Camicion de' Pazzi: «Alberto Camicione. Fu de' Pazzi di Valdarno: et andando un dì a diletto messer Ubertino de' Pazzi, suo cugino, et egli, perocché avevono certe fortezze comuni, come consorti, Camicione pensa di pigliarle per sé, morto messer Ubertino: così cavalcando gli corse addosso con uno coltello, et diegli più colpi, et finalmente l'uccise» (Anonimo fiorentino); Carlin che mi scagioni: «con la grandezza del suo peccato ammorzerà il mio» (O.). «Mi scolpi. Ezechiello, XVI, 51. Dio a Gerusalemme: "Justificasti sorores tuas (Samaria e Sodoma) in omnibus abominationibus tuis, quas operata est"» (Ces.). «Nel 1302, essendo l'oste del comune di Firenze intorno a Pistoia, si rubellò a' Fiorentini il castello di Piano di Trevigne in Val d'Arno, per Carlino de' Pazzi di Val d'Arno, et in quello, col detto Carlino, de' migliori uomini (nuovi; G. Vill., VIII, 53) di Firenze usciti, Ghibellini et Bianchi, grandi e popolani si rinchiusono e faceano grande guerra et danno nel Val d'Arno disopra... I Fiorentini n'andarono al detto castello, ed a quello stettono ad assedio per ventotto dì; alfine, per tradimento di Carlino, per moneta ch'elli n'ebbe, ebbono il castello. Essendo Carlino di fuori, fece a' suoi fedeli dare l'entrata del castello: onde molti vi furono morti et presi, pure dei migliori usciti di Firenze» (Anonimo fiorentino). «In cujus occupatione occisi sunt unus frater patris et unus consanguineus ejus» (Benv.).
(70-72) cagnazzi: paonazzi o morelli. Il Blanc: «cagneschi». Chi abbia veduto trasportarsi d'inverno i prigioni di guerra, si ricorderà, altresì inorridendo con Dante, de' visi cagnescamente scontorti e deformati dalla fame e dal freddo; riprezzo: «arricciamento di freddo a ricordarmene» (B.). Un canto popolare della Brettagna, ancora in voga ma che non risale al di là del secolo XV, intitolato: L'Inferno, tocca della pena del gelo: Leur chair et leurs os seront jétés au feu, pour alimenter la fournaise immense de l'enfer. Après qu'ils auront été laissés quelque temps dans les flammes, ils seront plongés, par Satan, dans un lac de glace; et du lac de glace replongés dans les flammes, et des flammes dans l'eau, comme la barre de fer en forge. - Le feu qui les brûlera en enfer sera si vif que leur moëlle bouillira dans leurs os. Si noti quest'altro passo, che il Villemarqué dice degno di Dante, e che arieggia al gettito delle chiavi della Torre della fame: L'enfer est un abîme profond, plein de ténèbres, où ne luit jamais la plus petite clarté; les portes ont été fermées et verrouillés par Dieu, et il ne les ouvrira jamais; la clef en est perdue. Nel poema in vecchio dialetto inglese, della Northumbria, di Rolle de Hampole, Lo stimolo della coscienza, è notata questa vicenda di tormento in fuoco e gelo, sopra l'autorità di sant'Agostino. Questo gelo, dice il poeta, è sì intenso, che una montagna ardente gettatavi entro agghiaccerebbe; guazzi: stagni.
(73-78) E mentre ch'andavamo, ecc.: entrando nella seconda sfera, detta Antenora, andavano verso il centro della terra, al quale tutti i gravi tendono per loro natura; rezzo: «ombra - freddo» (B.); se voler fu: «di Dio» (F.). Inf., XV, 46: Qual fortuna o destino.
(79-84) mi peste: mi pesti, calpesti; se tu non vieni, ecc.: ad accrescermi il castigo che soffro pel tradimento che feci a Mont'Aperti, perché mi molesti? «Quando i Sanesi et i Fiorentini Ghibellini, usciti di Firenze, uscirono di Siena contro all'oste de' Fiorentini, ch'era a Monte Aperti, più Ghibellini, ch'erano nel campo de' Fiorentini et a cavallo et al piè, veggendo appressare le schiere de' nemici, come era ordinato il tradimento, si fuggirono dall'altra parte, et ciò furono di quelli della Pressa et degli Abati et più altri: et come la schiera de' Tedeschi percossono ruinosamente la schiera de' Fiorentini, ov'era la 'nsegna della cavalleria, la qual portava messer Jacopo de' Pazzi, uomo di gran valore, il traditore di messer Bocca degli Abati, ch'era in sua schiera et presso di lui, colla spada fedì messer Jacopo, et tagliòli la mano colla quale tenea la 'nsegna del Comune di Firenze, onde i Fiorentini furono sconfitti» (Anonimo fiorentino). V. Inf., X, 85-87; sì ch'io esca, ecc.: d'un dubbio che mi è venuto intorno la persona di costui quando egli nominò Montaperti; quantunque: quanto.
(90-96) sì che, se fossi vivo, troppo fora: sarebbe troppo - sarebbe la percossa stata troppo forte; tra l'altre note: «del mio canto» (T.); Del contrario: di non esser nominato: lagna: noia - cagion di lamento; ché mal sai lusingar: lusinghi a vôto; per questa lama: «per questo luogo pendente» (B.). I traditori cercano l'oblio.
(97-102) per la cuticagna: pei capelli della cuticagna ch'è la parte concava e deretana del capo. Cfr. v. 37; Perché tu mi dischiomi: Per dischiomarmi o strapparmi i capelli che tu faccia; né mostrerolti: alzando la faccia; sul capo mi nomi: tomare, cadere - qui: mi percuota. Cfr. v. 78.
(105-107) in giù raccolti: volti al basso; sonar con le mascelle: fare strepito con le mascelle, battendole pel freddo.
(109-123) che tu favelle: che parli più; la lingua pronta: a manifestarti il mio nome; l'argento: «voce ironica. E come se dicesse: Egli piange qui Pargent de' Francesi» (Bl.); quel da Duera: G. Vill., VII, 4: «I Franceschi (di Guido di Monforte, capitano di Carlo d'Angiò) passarono senza contasto di battaglia e arrivarono a Parma. Bene si disse che uno messer Buoso della casa di que' da Duera di Chermona, per danari ch'ebbe da' Franceschi, mise consiglio per modo che l'oste di Manfredi non fosse al contasto al passo, com'erano ordinati. Onde poi il popolo di Chermona a furore distrussono il legnaggio di quegli da Duera». Post modicum expulsus de Cremona, reduxit se ad unum suum castellum, nomine Rotera, ubi congregaverat magnas divitias. Ubi diu obsessus, finaliter recessit cum modica pecunia; et senex et exul et pauper finivit vitam suam, odiosus Guelphis, quorum erat hostis, et Gibellinis, quia fecerat recedere Marchionem Ubertum de Cremona, et fuerat ad exterminium Eccelini; stanno freschi: in ghiaccio; quel di Beccheria: Tesauro di Beccaria. «Negli anni di Cristo 1258, del mese di settembre, il popolo di Firenze fece pigliare l'abate di Valombrosa, il quale era gentile uomo de' signori di Beccheria di Pavia (legato di Alessandro IV), essendogli apposto che a petizione de' Ghibellini usciti di Firenze, trattava tradimento; et quello per martorio gli feciono confessare, et scelleratamente in sulla piazza di Sant'Apollinare gli feciono, a grido di popolo, tagliare la testa, non guardando a suo ordine sacro; per la qual cosa il Comune di Firenze et i Fiorentini dal Papa furono scomunicati, et dal Comune di Pavia e da quelli di Beccheria, suoi consorti, i Fiorentini che passavano per Lombardia ne ricevevono molto danno» (Anonimo fiorentino); gorgiera, fig.: gola; Gianni de' Soldanier: G. Vill., VII, 14: «I grandi (Ghibellini) ordinarono di mettere la terra a romore e disfare l'oficio dei trentasei (ordinato dai due frati Godenti). Ogni uomo fu all'arme... e messer Gianni de' Soldanieri si fece capo del popolo per montare in istato, non guardando al fine che doveva riuscire a sconcio di parte Ghibellina e suo dammaggio»; più là: più presso al centro; Ganellone: Gano. V. Inf., XXXI, 15-17; Tebaldello: o Tribaldello de' Zambrani, secondo Benv., nobile, ma spurio, tradì Faenza per vendicarsi de' Lambertazzi, esuli bolognesi, rifuggiti in quella città, che gli avevan rubato due porci. I Lambertazzi, sorpresi, in gran parte scapolarono nudi. N'andò famoso. D'un uomo di mal aspetto si dicea in Romagna: «Questi pare colui che tradì Faenza». Fu fatto cavaliere dai Bolognesi, ai quali aprì Faenza di notte tempo. Perì nella strage che i Forlivesi fecero de' Francesi.
(125-139) ch'io vidi: quando io vidi; in una buca: «in uno foro di ghiaccia» (B.). «La buca in che stanno questi due spiriti è la cavità circolare dello spartimento che divide l'Antenora, ove siam tuttora, dalla Tolomea, che immediatamente segue, poiché l'uno d'essi tradì la patria, l'altro l'amicizia. Essi dunque sono confinanti, e in loro si toccano le due classi» (B. B.); cappello: coverchio; si manduca: «is devoured» (Lf.); 'l sovran: colui che stava di sopra; Tideo: «figliuolo d'Enèo, re di Calidonia, e Menalippo, tebano, combatterono presso Tebe, e si ferirono a morte. Tideo, sopravvivendo al nemico, si fe' recare la testa di lui, e per rabbia la si rose» (B. B.); per tal convegno: con tal patto; ti piangi: ti duoli; la sua pecca: il peccato commesso contro di te; io te ne cangi: te ne renda il cambio, col pubblicare le tue ragioni e i torti di lui; se quella, ecc.: se la mia lingua non ammutolisce per morte.

 

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