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adLeggiad   La Divina Commedia di Dante Alighieri Inferno Canto XXVII e le Note al Canto.

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Non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro Paese.
John Fitzgerald Kennedy

La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l'individuo in condizione di fare a meno di essa.
(Ernesto Codignola)

Note al canto XXVII

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LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (INFERNO) - CANTO XXVII

Già era dritta in sù la fiamma e queta
per non dir più, e già da noi sen gia
con la licenza del dolce poeta, (3)

quand' un'altra, che dietro a lei venìa,
ne fece volger li occhi a la sua cima
per un confuso suon che fuor n'uscia. (6)

Come 'l bue cicilian che mugghiò prima
col pianto di colui, e ciò fu dritto,
che l'avea temperato con sua lima, (9)

mugghiava con la voce de l'afflitto,
sì che, con tutto che fosse di rame,
pur el pareva dal dolor trafitto; (12)

così, per non aver via né forame
dal principio nel foco, in suo linguaggio
si convertian le parole grame. (15)

Ma poscia ch'ebber colto lor vïaggio
su per la punta, dandole quel guizzo
che dato avea la lingua in lor passaggio, (18)

udimmo dire: «O tu a cu' io drizzo
la voce e che parlavi mo lombardo,
dicendo "Istra ten va, più non t'adizzo", (21)

perch' io sia giunto forse alquanto tardo,
non t'incresca restare a parlar meco;
vedi che non incresce a me, e ardo! (24)

Se tu pur mo in questo mondo cieco
caduto se' di quella dolce terra
latina ond' io mia colpa tutta reco, (27)

dimmi se Romagnuoli han pace o guerra;
ch'io fui d'i monti là intra Orbino
e 'l giogo di che Tever si diserra». (30)

Io era in giuso ancora attento e chino,
quando il mio duca mi tentò di costa,
dicendo: «Parla tu; questi è latino». (33)

E io, ch'avea già pronta la risposta,
sanza indugio a parlare lncominciai:
«O anima che se' là giù nascosta, (36)

Romagna tua non è, e non fu mai,
sanza guerra ne' cuor de' suoi tiranni;
ma 'n palese nessuna or vi lasciai. (39)

Ravenna sta come stata è molt' anni:
l'aguglia da Polenta la si cova,
sì che Cervia ricuopre co' suoi vanni. (42)

La terra che fé già la lunga prova
e di Franceschi sanguinoso mucchio,
sotto le branche verdi si ritrova. (45)

E 'l mastin vecchio e 'l nuovo da Verrucchio,
che fecer di Montagna il mal governo,
là dove soglion fan d'i denti succhio. (48)

Le città di Lamone e di Santerno
conduce il lïoncel dal nido bianco,
che muta parte da la state al verno. (51)

E quella cu' il Savio bagna il fianco,
così com' ella sie' tra 'l piano e 'l monte,
tra tirannia si vive e stato franco. (54)

Ora chi se', ti priego che ne conte;
non esser duro più ch'altri sia stato,
se 'l nome tuo nel mondo tegna fronte». (57)

Poscia che 'l foco alquanto ebbe rugghiato
al modo suo, l'aguta punta mosse
di qua, di là, e poi diè cotal fiato: (60)

«S'i' credesse che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria sanza più scosse; (63)

ma però che già mai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s'i' odo il vero,
sanza tema d'infamia ti rispondo. (66)

Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero,
credendomi, sì cinto, fare ammenda;
e certo il creder mio venìa intero, (69)

se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!,
che mi rimise ne le prime colpe;
e come e quare, voglio che m'intenda. (72)

Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe
che la madre mi diè, l'opere mie
non furon leonine, ma di volpe. (75)

Li accorgimenti e le coperte vie
io seppi tutte, e sì menai lor arte,
ch'al fine de la terra il suono uscie. (78)

Quando mi vidi giunto in quella parte
di mia etade ove ciascun dovrebbe
calar le vele e raccoglier le sarte, (81)

ciò che pria mi piacëa, allor m'increbbe,
e pentuto e confesso mi rendei;
ahi miser lasso! e giovato sarebbe. (84)

Lo principe d'i novi Farisei,
avendo guerra presso a Laterano,
e non con Saracin né con Giudei, (87)

ché ciascun suo nimico era Cristiano,
e nessun era stato a vincer Acri
né mercatante in terra di Soldano, (90)

né sommo officio né ordini sacri
guardò in sé, né in me quel capestro
che solea fare i suoi cinti più macri. (93)

Ma come Costantin chiese Silvestro
d'entro Siratti a guerir de la lebbre,
così mi chiese questi per maestro (96)

a guerir de la sua superba febbre;
domandommi consiglio, e io tacetti
perché le sue parole parver ebbre. (99)

E' poi ridisse: "Tuo cuor non sospetti;
finor t'assolvo, e tu m'insegna fare
sì come Penestrino in terra getti. (102)

Lo ciel poss' io serrare e diserrare,
come tu sai; però son due le chiavi
che 'l mio antecessor non ebbe care". (105)

Allor mi pinser li argomenti gravi
là 've 'l tacer mi fu avviso 'l peggio,
e dissi: "Padre, da che tu mi lavi (108)

di quel peccato ov' io mo cader deggio,
lunga promessa con l'attender corto
ti farà triunfar ne l'alto seggio". (111)

Francesco venne poi, com' io fu' morto,
per me; ma un d'i neri cherubini
li disse: "Non portar; non mi far torto. (114)

Venir se ne dee giù tra ' miei meschini
perché diede 'l consiglio frodolente,
dal quale in qua stato li sono a' crini; (117)

ch'assolver non si può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente". (120)

Oh me dolente! come mi riscossi
quando mi prese dicendomi: "Forse
tu non pensavi ch'io loico fossi!". (123)

A Minòs mi portò; e quelli attorse
otto volte la coda al dosso duro;
e poi che per gran rabbia la si morse, (126)

disse: "Questi è d'i rei del foco furo";
per ch'io là dove vedi son perduto,
e sì vestito, andando, mi rancuro». (129)

Quand' elli ebbe 'l suo dir così compiuto,
la fiamma dolorando si partio,
torcendo e dibattendo 'l corno aguto. (132)

Noi passamm? oltre, e io e 'l duca mio,
su per lo scoglio infino in su l'altr' arco
che cuopre 'l fosso in che si paga il fio
a quei che scommettendo acquistan carco. (136)

NOTE AL CANTO XXVII

(1-3) Già era dritta, ecc.: non s'agitava, né mormorava più; con la licenza. V. sotto al verso 21.
(7-15) Come 'l bue, ecc.: «Perillo, artefice Ateniese, fece un toro di rame, e lo donò al tiranno d'Agrigento, Falaride, dicendogli che se alcuno sentenziato a morte vi fosse posto entro, e sotto fattovi fuoco, il racchiuso avrebbe muggito come un bue. Falaride fece l'esperimento nello stesso Perillo; onde il toro mugghiò... col pianto, con le grida di chi lo aveva lavorato - dritto: giusto - imperquello che le sottilità e li ingegni delli uomini non denno essere a fine di disperazione e di crudelitade» (Lanèo); de l'afflitto: del tormentato entro al toro; così, ecc.: «ordina: Così per non aver nel foco, per non esservi, via né forame dal principio, né via tra mezzo né foro alla cima, le parole grame, dolorose del dannato, si convertian in suo linguaggio, nel linguaggio proprio della fiamma, in quel mormorio che fa la fiamma agitata dal vento» (F.). Altri legge: del fuoco, riferendolo a via e forame, e spiegando: per uscir dal fuoco. Il Buti: «nel principio di quella fiamma».
(16-24) «viaggio: via, andamento; guizzo: vibrazione; che dato avea loro in lor passaggio, nel passar dalla bocca; lombardo: italiano» (T.). Il Blanc: «E' da credere che issa (Inf., XXIII, 7; Purg., XXIV, 55) e forse anco aizzo ai tempi di Dante fossero in uso, massime nell'Italia settentrionale, e che però Guido li domandi lombardi»; dicendo, ad Ulisse, Istra ten va, ecc.: «Vatti con Dio, io non ti richieggo di più» (Anonimo fiorentino); e ardo: eppure brucio. «S'io ardo et ho voglia di parlare teco, tu che non ardi non ti debbe increscere» (Anonimo fiorentino).
(25-30) pur mo: pur ora; cieco: buio; latina: italiana; ond'io mia colpa tutta reco: accenna d'esser italiano e d'aver vissuto e peccato in Italia. Benv.: «In ea terra exercui magnas calliditates, quibus obtinui magnas victorias; hoc pro tanto dicit quia imaginabatur quod auctor esset aliquis astutus, damnatus, qui nuper venisset ad poenam»; ch'io fui, ecc.: di Montefeltro, posto sopra un monte tra Urbino e la sommità dell'Apennino, dal quale esce il Tevere. Di che, come romagnolo, è naturale che voglia sapere di loro stato.

(31-33) in giuso: verso la fossa; mi tentò di costa: mi toccò del gomito leggermente nel fianco. «Mi sottoccò» (B.); questi è latino: questi è italiano, e non greco come gli altri due (cfr. XXVI, 73-75). Latino, contrario di oltramontano. G. Vill., IX, 102: «Grande scandalo e zuffa fu nell'oste della Chiesa, ch'era a Moncia, tra Tedeschi e Latini». «Latino per italiano; se non che tutti coloro i quali Dante dice Latini sono della parte inferiore d'Italia, dal Po in giù; dove coloro ch'ei dice Lombardi son della parte superiore, dal Po in su» (F.).
(37-42) Romagna tua non è, ecc.: Sempre nel cuor de' tiranni di Romagna è discordia e mal talento l'un contra l'altro (qui saepe bellum meditantur; Benv.); ma guerra aperta non era quando scesi quaggiù (nunc actualiter; Benv.); l'aquila da Polenta: L'arme de' Polentani era un'aquila mezzo bianca in campo azzurro, e mezzo rossa in campo d'oro. L'Anonimo fiorentino, Buti e Lanèo: «Un'aquila vermiglia nel campo giallo». Qui l'arme per la famiglia. Benv.: «Est autem Polenta parvum castellum circa Bretenorium, unde isti Nobiles dicuntur olim fuisse». Signoreggiavano Ravenna e Cervia, e di quel tempo era signore Guido, amico al nostro poeta; la si cova: «la tiene in pace» (Anonimo fiorentino). «Fovet et protegit Ravennates sub umbra alarum suarum, sicut aquila filios suos. Et de rei veritate, Ravenna tunc erat satis in florenti statu, quae nunc in languido» (Benv.). Altri, men bene: là si cova; vanni: «L'ala dell'aquila, come degli altri uccelli di ratto, hae nel sommo dell'ala quattro penne, che si chiamano le coltella: poi da questo sommolo infino al grosso dell'ala, cioè dove l'ala si volge e fa gomito, quelle penne che vi sono si chiamano vanni» (Anonimo fiorentino).
(43-45) La terra, ecc.: Forlì. Quando il conte Guido da Montefeltro signoreggiava questa città, Martino IV gli mandò contro soldati, il più Francesi, capitanati da Giovanni d'Apia. Dopo sostenuto un lungo assedio, la lunga prova, per le arti di Guido, nel 1282 fu fatto strage di quei Francesi. Benv.: «Quia diu steterat in contumacia. Est enim gens Forliviensis magis promta ad rebellionem, et tardior ad deditionem, quam aliqua gens Romandiolae»; sanguinoso mucchio: «Comes Joannes habuit in isto praelio circa DCCC equites, de quibus facta est miseranda strages» (Benv.); sotto le branche verdi: sotto la signoria degli Ordelaffi (quelli di Capalboli; B.), la cui arme era un leoncello verde, dal mezzo in su d'oro e dal mezzo in giù con tre liste verdi e tre d'oro. L'Anonimo fiorentino: «uno scudo, dal mezzo in giù addogato, da indi in su uno mezzo leone verde nel campo giallo. - Allora signoreggiava Sinibaldo».
(46-48) 'l mastin vecchio, ecc.: i due Malatesta, padre e figliuolo, signori di Rimini, oriundi di Montefeltro, della Penna de Billi. «Mastini, cani - e chiamali mastini perché erano sforzevoli uomini, e di rapace condizione» (B.). Crudeli tiranni.
«Mastinus enim fortis est et violentus et rapax, qui non de facili dimittit praedam, quam assumit» (Benv.); da Verrucchio: da questo castello, donato dagli Ariminesi al primo de' Malatesta avean preso il titolo; di Montagna: de' Parcitati, cavalier riminese. Il Lanèo: «Quando preseno la signoria della terra, sì lo incarcerarono, poi dopo poco tempo secretamente lo fenno a mal modo morire, e però dice: mal governo, cioè che n'ebbeno mala guardia». Benv.: «Fuit enim Montagna nobilis miles, princeps partis Gibellinae. Quem captum cum quibusdam aliis Malatesta tradidit custodiendum Malatestino filio. Postea petiit ab eo quid factum esset de Montagna. Cui iste respondit: Domine, est sub fida custodia; ita quod si vellet se suffocare, non potest, quamvis sit juxta mare. Et dum iterum, et iterum peteret et replicaret, dixit: Certe dubito, quod nescies ipsum custodire. Malatestinus, notato verbo, fecit ipsum Montagnam mactari cum quibusdam aliis»; là dove soglion: nel lor solito dominio, in Rimini; fan de' denti succhio: «trivello, o vero succhiello; forano e divorano co' denti li Ariminesi» (B.). «Sugunt et mergunt facultates hominum in civitate Arimini, ubi solent sugere» (Benv.).

(49-51) Le città, ecc.: ordina: il leoncel dal nido bianco, ecc. Mainardo Pagani, la cui impresa è un leoncello azzurro (vermiglio; B.) in campo bianco. L'Anonimo fiorentino: «Maghinardo di Piero de' Pagani, che fu d'una villa del contado d'Imola che si chiama Campo Paganico. Portava per arme uno leone bianco nel campo azzurro, benché l'autore pare intendere il contrario». Dante, Purg., XIV, 118, lo chiama demonio; che muta parte: che cambia partito, diventa guelfo o ghibellino da una stagione all'altra, secondo gli mette più conto, da la state: «da Toscana, che è verso mezzodie, al verno, che è Romagna, verso settentrione» (Lanèo). Lasciato impubere dal padre sotto la custodia del Comune di Firenze, fu diligentemente rilevato e protetto: ond'egli era guelfo in tutte quelle cause ove n'andava l'interesse de' Fiorentini, e ghibellino nel resto; conduce: regge; le città di Lamone, ecc.: Faenza, posta presso al fiume Lamone, e Imola, posta sul fiume Santerno; nido: campo dello scudo.
(52-54) e quella, ecc.: e Cesena, a cui il fiume Savio scorre allato, in quella guisa che sie' siede, è situata tra la pianura e il monte Apennino (Caesena enim est plana praeter partem, quae vocatur Murata, ubi est in monte pulcra rocha; Benv.), tra tirannia, ecc., così si vive fra tirannide e libertà. L'Anonimo fiorentino: «Al tempo dell'autore viveva a libertà per sé medesima; et perché ell'era intorno intorno circundata da' tiranni, dice che tra tirannia viveva libera et a popolare stato - avendo, dice Benvenuto, a oriente i Malatesta, a occidente gli Ordelaffi, a settentrione quei da Polenta». Il Lanèo: «Vive tra la signoria de' suoi gentili, ch'elli appella tiranni, et del popolo; quasi a dire ella è a comune».
(55-57) Ora: che ho soddisfatto alla tua dimanda; più ch'altri sia stato: «più che sia stato alcun altro degli spiriti che interrogai» (F.). Benv.: «più che io sia stato a soddisfarti». E così il Buti; tegna fronte: regga, duri famoso.
(58-66) rugghiato - al modo suo: fatto l'usato romore; diè cotal fiato mandò cotal voce; S'i' credesse, ecc.: Fasciato dalla fiamm, non aveva potuto vedere che Dante era vivo; staria sanza più scosse: non darebbe più crollo - mi tacerei; sanza tema d'infamia: senza timore che tu mi possa infamare su nel mondo.
(67-72) uom d'arme: «armigero» (B.); «battagliero» (Lanèo); cordigliero: «cinto di quello cordiglio che portono i frati minori» (Anonimo fiorentino); sì cinto: di quella corda e in quell'abito di penitenza; fare ammenda: espiare i miei peccati; venia intero: si sarebbe avverato. «Videbatur sine dubio emendatus. Nam de veste assumsit habitum, humiliter servavit regulam, et patienter tulit paupertatem. Unde saepe visus est publice mendicando panem per Anconam, in qua mortuus est et sepultus» (Benv.). «Morì nel convento del suo ordine in Assisi» (F.). «Mostrò un po' dell'impazienza di Fanfulla, quando, entrando in Fano a cavallo d'un'asina, ragghiando tutti gli asini ch'erano alla porta, fu a deriso; - ed ei disse: Io sono stato già intorno a Fano con più centinaja d'uomini a cavallo che questi non sono asini: et disse vero, però che sempre, mentre poteo, pericolò Romagna» (Anonimo fiorentino); se non fosse stato. Lat.: fuisset; il gran prete: «il maggiore dei preti. Et ancora gl'Infedeli il chiamono e scrivono in questo modo: al Gran Prete de' Romani» (Anonimo fiorentino). - Bonifazio VIII - a cui mal prenda: che male gl'incolga; ne le prime colpe: «in pristinas fraudes et artes belli» (Benv.); e come e quare: «voglio che sappi il modo e la cagione» (B.).
(73-78) Mentre ch'io forma, ecc.: «mentre ch'io fui nel corpo; l'anima è forma del corpo vivo, e lo corpo è materia» (B.); leonine: d'uom forte e generoso; di volpe: d'astuto e frodolento. L'Anonimo fiorentino: «E' il leone ardito e franco e aperto, e le sue operazioni sono palesi et non nascose». Il Lanèo: «Dice che naturalmente fu viziato più che forte: fu scorpionino, secondo astrologia»; le coperte vie: i sotterfugi; sì menai lor arte: e sì abilmente e felicemente giocai d'astuzie; ch'al fine de la terra, ecc.: che n'andò la fama per tutto il mondo. L'Anonimo fiorentino: «In ogni parte corse il nome mio et ragionossi delle mie opere».
(79-84) in quella parte, ecc.: alla vecchiezza. «Presso ai 74» (T.); ove ciascun dovrebbe, ecc.: lasciar le cose del mondo. Nel Conv., IV, 28: «Come il buono marinaro appropinqua al porto, cala le sue vele e soavemente con debile conducimento entra in quello; così noi dovemo calare le vele delle nostre mondane operazioni, e tornare a Dio con tutto nostro intendimento e cuore: sicché a quello porto (della morte) si vegna con tutta soavità e con tutta pace... Certo il cavaliere Lancilotto (finì romito) non volle entrare colle vele alte, né il nobilissimo nostro latino Guido Montefeltrano. Bene questi nobili calaron le vele delle mondane operazioni, ché nella loro lunga età a religione si rendero, ogni mondano diletto e opera diponendo». Guido morì frate di San Francesco nel 1299; raccoglier le sarte: «serrer les cordages» (Ls.); pentuto e confesso: «e pentito e confessato. L'autore tocca tre cose necessarie alla conversione: la contrizione, la penitenza e la confessione» (B.); mi rendei: mi resi frate. «Dedicavi me Deo (Benv.); e giovato sarebbe: e mi sarei salvato.
(85-93) de' nuovi Farisei: degl'ipocriti della Curia romana - Bonifazio VIII. - presso a Laterano: in Roma stessa coi Colonnesi, che aveano i loro palagi presso San Giovanni Laterano; e nessun era stato a vincer Acri: e nessuno de' nemici suoi era stato ad espugnare Acri in compagnia de' Saracini; Acri: o San Giovanni d'Acri, l'Akka dei Turchi, la Tolemaide de' Romani, in Siria, sul mare, espugnata da' Saracini nel 1291; né mercatante, ecc.: né procacciato loro vettovaglie, provvisioni. G. Vill., VII, 145: «Il Soldano ci venne ad assedio, e la prese... Venuta la dolorosa novella in ponente, il papa volea ordinare passaggio generale, e difese con grandi processi e scomuniche quale cristiano andasse in Alessandria o in terra d'Egitto con mercatanzia o vittuaglia, o legname o ferro, o desse per alcuno modo aiuto o favore». Il Buti: «né alcuno de' Colonnesi era ito in Alessandria o in Egitto alle terre del Soldano, a portar mercatanzia; la qual cosa è proibita dalla Chiesa, e senza licenzia del Papa non vi si può navicare per li Cristiani»; né sommo officio, ecc.: né ebbe riguardo alla propria dignità pontificale, né agli ordini sacri, né in me quel capestro, al cordone di San Francesco ond'io era cinto. Par., XI, 87: l'umile capestro. «Del quale vanno cinti i frati minori, i quali dice essere già stati più magri, più divoti a Dio» (Anonimo fiorentino) - e di più aspra penitenza. «Tangit tria, quae non bene competebant rebus bellicis: scilicet summus pontificatus et ordo sacerdotalis ex parte petentis, et habitus sancti Francisci ex parte ejus, a quo petebat» (Benv.).
(94-96) Costantin: Costantino Magno; Silvestro: papa Silvestro; dentro Siratti: Soracte, Monte Sant'Oreste, posto a tramontana di Roma, nelle cui caverne si nascondeva per fuggir la persecuzione mossa ai Cristiani; così mi chiese questi: «Papa Bonifazio fece cercare me dentro alli monti della Vernia, ov'era io a far penitenza» (B.); per maestro: «come medico» (B.).
(97-102) superba febbre: ambizione, mista d'odio, di struggere i Colonnesi; ebbre: da briaco. «Ebbro d'ira e di mal volere» (O.); non sospetti: non abbia dubbio o timore di vendetta del peccato; m'insegna fare: «altri: m'insegni e la cong. e avrebbe senso di «patto» (Ces.); Penestrino: altri: Pellestrino, l'antica Praeneste, oggi Palestrina, terra della campagna di Roma, fortezza de' Colonnesi; in terra getti: atterri.
(103-105) Lo ciel, ecc.: io posso dare e togliere lo cielo a cui io voglio; come tu sai: «Ogni fedel cristiano dee sapere che il papa può ogni cosa, non errante la chiave» (B.). E questo simboleggian le chiavi, di cui non calse a Celestino, che le rinunziò Inf., III, 59-60. «Quasi dicat per irrisionem, quod fuit unus ignarus. Ita dicebat Julius Caesar de Lucio Sylla, quod ignoraverat literas, quia renuntiaverat dictaturae» (Benv.).
(106-111) Allor mi pinser, ecc.: allora gli argomenti autorevoli m'indussero a parlare; là 've, ecc.: in un caso che il tacere mi parve fosse il peggior partito, e per la disubbidienza al capo della Chiesa, e per la pena che avrebbe potuto darmene; da che tu mi lavi, ecc.: dacché mi assolvi anticipatamente del peccato che sono per commettere; prometti molto, mantieni poco e verrai al tuo intento. «Prometti largo e attienti stretto» (Anonimo fiorentino). «Tota aqua Tiberis non lavisset eum» (Benv.). Ricorda la macchia incancellabile della mano di lady Macbeth; ne l'alto seggio: «in sede papali, in civitate romana, qua nulla est altior inter christianos» (Benv.). «Il Papa lo intese, mise trattatori in mezzo, ché volea fare pace e restituire li cardinali nel suo titolo e li secolari nel suo stato; e fece grandissime profferte. Questi si fidonno e tornonno a Roma e rendenno le fortezze. Quando costui gli ebbe bene per la coppa, diessi alla volta, fece disfare le loro fortezze e cacciolli via» (Lanèo).
(112-120) Francesco venne, ecc.: Quando io fui morto, san Francesco venne per prendermi, ma uno de' diavoli gli disse: lascialo stare; non mi torre il mio; egli dee venir giù tra i miei servi di pena; ma un de' neri cherubini: «Gli ordini degli angioli sono nove, et di ciascuno ordine cadde in Inferno, et ciascuno ordine ha la sua proprietà. Questi Cherubini, che tengono il secondo grado degli angioli, sanno per natura tutto 'l senso delle Scritture, bench'egli abbino perduto la scienza; onde non senza cagione l'autor tolse uno Cherubino a disputazione, piuttosto che uno dimonio degli altri ordini angelici» (Anonimo fiorentino); dal quale in qua: dopo il qual consiglio l'ho sempre tenuto pe' capelli; pentére e volere: pentirsi del peccato e volerlo. «Et soggiugne, disputando con santo Francesco: chiunque non si pente del peccato non può essere assoluto: questi innanzi al peccato chiese il perdono; onde non si poté pentere; e s'elli non si poté pentere, ergo, ecc.» (Anonimo fiorentino). Vedi Inf., XXI, 2; Purg., V, 104, e segg. Questa controversia tra il diavolo e i santi o gli angeli sopra l'anima di un peccatore agli estremi, è spesso tratteggiata con grande efficacia drammatica nelle vecchie leggende. V. Passav., D. II, c. 1.
(121-129) mi riscossi: trasalii, o uscii dalla falsa securtà datami da Bonifazio; ch'io loïco fossi: ch'io sapessi sì bene valermi del principio di contraddizione. «Ch'io sapessi le ragioni loicali» (B.); A Minòs mi portò: cfr. c. V, sul principio; e quelli attorse, ecc.: mi dannò all'ottava bolgia, cingendosi otto volte con la coda; del foco furo: «Elli è degno dell'ottava bolgia, ove l'anime sono appiattate nelle fiamme» (B.); perduto: dannato; e, sì vestito: fasciato di questa fiamma; mi rancuro: peno e mi dolgo.
(131-136) dolorando: lamentando; il corno: la punta; Noi passamm'oltre: noi andammo avanti; il fosso: la nona bolgia; si paga il fio la pena; e il Buti spiega fio, il salario e la mercè; scommettendo: mettendo divisioni e discordie; acquistan carco: di peccato, e si fan debitori di pena alla divina giustizia. «En semant la division, chargent leurs âmes» (Ls.).

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