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adLeggiad   La Divina Commedia di Dante Alighieri Inferno Canto XXI.

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Note al canto della Divina Commedia Inferno Canto XXI

La Divina Commedia Inferno

Canto I

Canto II

Canto III

Canto IV

Canto V

Canto VI

Canto VII

Canto VIII

Canto IX

Canto X

Canto XI

Canto XII

Canto XIII

Canto XIV

Canto XV

Canto XVI

Canto XVII

Canto XVIII

Canto XIX

Canto XX

Canto XXI

Canto XXII

Canto XXIII

Canto XXIV

Canto XXV

Canto XXVI

Canto XXVII

Canto XXVIII

Canto XXIX

Canto XXX

Canto XXXI

Canto XXXII

Canto XXXIII

Canto XXXIV

LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (INFERNO) - CANTO XXI

Così di ponte in ponte, altro parlando
che la mia comedìa cantar non cura,
venimmo; e tenevarno 'l colmo, quando (3)

restammo per veder l'altra fessura
di Malebolge e li altri pianti vani;
e vidila mirabilmente oscura. (6)

Quale ne l'arzanà de' Viniziani
bolle l'inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani, (9)

ché navicar non ponno - in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che più vïaggi fece; (12)

chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa -: (15)

tal, non per foco ma per divin' arte,
bollia là giuso una pegola spessa?
che 'nviscava la ripa d'ogne parte. (18)

I' vedea lei, ma non vedëa in essa
mai che le bolle che 'l bollor levava,
e gonfiar tutta, e riseder compressa. (21)

Mentr' io là giù fisamente mirava,
lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,
mi trasse a sé del loco dov' io stava. (24)

Allor mi volsi come l'uom cui tarda
di veder quel che li convien fuggire
e cui paura sùbita sgagliarda, (27)

che, per veder, non indugia 'l partire:
e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire. (30)

Ahi quant' elli era ne l'aspetto fero!
e quanto mi parea ne l'atto acerbo,
con l'ali aperte e sovra i piè leggero! (33)

L'omero suo, ch'era aguto e superbo,
carcava un peccator con ambo l'anche,
e quei tenea de' piè ghermito 'l nerbo. (36)

Del nostro ponte disse: «O Malebranche,
ecco un de li anzïan di Santa Zita!
Mettetel sotto, ch'i' torno per anche (39)

a quella terra, che n'è ben fornita:
ogn' uom v'è barattier, fuor che Bonturo;
del no, per li denar, vi si fa ita». (42)

Là giù 'l buttò, e per lo scoglio duro
si volse; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo. (45)

Quel s'attuffò, e tornò sù convolto;
ma i demon che del ponte avean coperchio,
gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto! (48)

qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
però, se tu non vuo' di nostri graffi,
non far sopra la pegola soverchio». (51)

Poi l'addentar con più di cento raffi,
disser: «Coverto convien che qui balli,
sì che, se puoi, nascosamente accaffi». (54)

Non altrimenti i cuoci a' lor vassalli
fanno attuffare in mezzo la caldaia
la carne con li uncin, perché non galli. (57)

Lo buon maestro «Acciò che non si paia
che tu ci sia», mi disse, «giù t'acquatta
dopo uno scheggio, ch'alcun schermo t'aia; (60)

e per nulla offension che mi sia fatta,
non temer tu, ch'i' ho le cose conte,
per ch'altra volta fui a tal baratta». (63)

Poscia passò di là dal co del ponte;
e com' el giunse in su la ripa sesta,
mestier li fu d'aver sicura fronte. (66)

Con quel furore e con quella tempesta
ch'escono i cani a dosso al poverello
che di sùbito chiede ove s'arresta, (69)

usciron quei di sotto al ponticello,
e volser contra lui tutt' i runcigli;
ma el gridò: «Nessun di voi sia fello! (72)

Innanzi che l'uncin vostro mi pigli,
traggasi avante l'un di voi che m'oda,
e poi d'arruncigliarmi si consigli». (75)

Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»;
per ch'un si mosse - e li altri stetter fermi -
e venne a lui dicendo: «Che li approda?». (78)

«Credi tu, Malacoda, qui vedermi
esser venuto», disse 'l mio maestro,
«sicuro già da tutti vostri schermi, (81)

sanza voler divino e fato destro?
Lascian' andar, ché nel cielo è voluto
ch'i' mostri altrui questo cammin silvestro». (84)

Allor li fu l'orgoglio sì caduto,
ch'e' si lasciò cascar l'uncino a' piedi,
e disse a li altri: «Omai non sia feruto». (87)

E 'l duca mio a me: «O tu che siedi
tra li scheggion del ponte quatto quatto,
sicuramente omai a me ti riedi». (90)

Per ch'io mi mossi e a lui venni ratto;
e i diavoli si fecer tutti avanti,
sì ch'io temetti ch'ei tenesser patto; (93)

così vid' io già temer li fanti
ch'uscivan patteggiati di Caprona,
veggendo sé tra nemici cotanti. (96)

I' m'accostai con tutta la persona
lungo 'l mio duca, e non torceva li occhi
da la sembianza lor ch'era non buona. (99)

Ei chinavan li raffi e «Vuo' che 'l tocchi»,
diceva l'un con l'altro, «in sul groppone?».
E rispondien: «Sì, fa che gliel' accocchi». (102)

Ma quel demonio che tenea sermone
col duca mio, si volse tutto presto
e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!». (105)

Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo
iscoglio non si può, però che giace
tutto spezzato al fondo l'arco sesto. (108)

E se l'andare avante pur vi piace,
andatevene su per questa grotta;
presso è un altro scoglio che via face. (111)

Ier, più oltre cinqu' ore che quest' otta,
mille dugento con sessanta sei
anni compié che qui la via fu rotta. (114)

Io mando verso là di questi miei
a riguardar s'alcun se ne sciorina;
gite con lor, che non saranno rei». (117)

«Tra'ti avante, Alichino, e Calcabrina»,
cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
e Barbariccia guidi la decina. (120)

Libicocco vegn' oltre e Draghignazzo,
Cirïatto sannuto e Graffiacane
e Farfarello e Rubicante pazzo. (123)

Cercate 'ntorno le boglienti pane;
costor sian salvi infino à l'altro scheggio
che tutto intero va sovra le tane». (126)

«Omè, maestro, che è quel ch'i' veggio?»,
diss' io, «deh, sanza scorta andianci soli,
se tu sa' ir; ch'i' per me non la cheggio. (129)

Se tu se' sì accorto come suoli,
non vedi tu ch'e' digrignan li denti
e con le ciglia ne minaccian duoli?». (132)

Ed elli a me: «Non vo' che tu paventi;
lasciali digrignar pur a lor senno,
ch'e' fanno ciò per li lessi dolenti». (135)

Per l'argine sinistro volta dienno;
ma prima avea ciascun la lingua stretta
coi denti, verso lor duca, per cenno;
ed elli avea del cul fatto trombetta. (139)

NOTE AL CANTO XXI

(1-6) di ponte in ponte: procedendo dal ponte della quarta bolgia a quello della quinta; il colmo: del quinto ponte; fessura: fossa; vani: perché tardi.
(7-15) Quale ne l'arzanà, ecc.: «Entra D. nella quinta bolgia, ch'è una fossa circolare, coperta al fondo da uno stagno di pece bollente a scroscio, ove son puniti i barattieri: officiali e giudici vili, venali, fraudolenti, ecc. Le voci baratto per traffico fraudolento, e barattare per truffare, sono in tutte le lingue romanze, forse da "práttein", mercatare. D. paragona quel lago di pece a' vasi stragrandi, ove nell'arsenale di Venezia facevasi bollire la pece, a calafatare le navi... L'armeria di Venezia chiamasi oggidì arsenale, pari al franc. arsenal, al bisantino "arsenáles". Altri leggono arsenà, abbrev. della forma moderna; ma arzanà è più vicino all'arabico Dar canah (casa d'industria, o d'arte); onde la dàrsena de' Genovesi (porto interno delle galere), la Tershana de' Turchi (il cantiere di Costantinopoli) e il Tarsanah dei Persiani» (Bl.); l'inverno: tempo men opportuno alla navigazione, e però impiegato a riattar le navi; rimpalmare: rimpeciare. «To smear» (Lf.); che navicar non ponno: altri legge ché, intendendo de' Veneziani, e non che relativo di legni; in quella vece: invece del navicare; ristoppa: ritura le fessure con la stoppa o altre materie. «Calfeutre» (Ls.); le coste: i lati del legno; ribatte: «radoube la proue, etc.» (Ls.); volge sarte: attorciglia la canape per far sarte; terzeruolo, ecc.: «La nave porta tre vele: una grande, che si chiama artimone; una mezzana, la quale si chiama la mezzana, et un'altra, la minore, che si chiama terzeruolo» (B.); rintoppa: «rappezza» (B.). Il Blanc crede troppo particolareggiata questa comparazione, non vedendovi altro riscontro che il bollore della pece. Benvenuto la spiega così: «...peripsum (locum) nobis figuraliter repraesentat generale et universale vitium Barateriae. Ergo per Arsenatam intellige omnem curiam sive Comunitatum, sive Daminorum. Et maxime mihi videtur vidisse optimum exemplum in curia Papae».
(17-21) pegola spessa: pece densa; vedea lei: la pece; ma non vedea, ecc.: «non iscorgeva in essa altro che le bolle che il caldo alzava alla superficie. Non vedea gl'immersi, perché i demonj non li lasciavano venir a galla (v. 51)» (Ces.); e riseder, ecc.: ricadere e rappianarsi.
(23-30) Guarda, guarda: guardati, guardati; cui tarda: a cui par l'ora mill'anni; sgagliarda: svigorisce, disanima; che, ecc.: «che per volgersi a guardare non indugia ch'elli si parta meno tosto, però che, guardando, continuamente corre» (Anonimo fiorentino); scoglio: «il sasso che facea ponte su quella bolgia» (L.).

(34-36) L'omero suo: accus.; aguto e superbo: «appuntato ed alto» (B.); carcava: premea. L'Antaldino: calcava; con ambo l'anche: con ambedue le coscie serrandosi al demonio; sedendogli a cavalcione sulle spalle; il nerbo: «il garetto con gli artigli suoi perché non gli fuggisse» (B.). Così gli altri; ma il Blanc crede intenda la corda magna, il tendine di Achille, ch'è il posto più sicuro e più facile d'afferrare.
(37-40) Del nostro ponte disse: O Malebranche: dello scoglio in su che eravamo Virgilio ed io, disse quel demonio: O Malebranche; «questo è il nome di tutti quelli demonj che sono posti a tormentare quelli che hanno avuto male mani ad uncinare e pigliare danari e doni di quello che non si dee pigliare» (B.). Altri ordina: Disse, o Malebranche del nostro ponte, ecc. «Pare che i ponti siano le varie stazioni de' demonj custodi, i corpi di guardia, come si manifesta dal v. 47 e dal 67 e segg.» (Bl.); de li anzian: «Idest de Rectoribus, qui vocabantur Antiani Lucae, sicut etiam Bononiae, sed Florentiae appellantur Priores» (Benv.). «Elders» (Lf.). Questo si crede fosse Martin Bottai, morto, secondo il Buti, nel 1300; santa Zita: «vergine lucchese, compatrona della città. Si conserva anche ai dì nostri il corpo a Lucca, in San Frediano, in una cappella dei Fatinelli, al cui servigio v'è tradizione che fosse addetta mentre visse» (Poggiali). «Sainte Zita est la Paméla de la légende: c'était une pauvre servante que son maître voulait séduire» (Ampère). «E possiamo intendere che l'autore dica questo per irrisione, in quanto adorano quel corpo che non è canonizzato dalla Chiesa» (B.); per anche: per prenderne altri; ch'i' ho ben: il Witte: ch'i' n'ho ben.

(41-42) Bonturo: Bonturo Dati; è detto per ironia, essendo egli peggior barattiere di tutti gli altri. Benv.: «Nam Bonturus fuit archibaraterius, quia sagaciter docebat et versabat illud Commune totum, et dabat officia quibus volebat. Unde quum semel ivisset legatus ad papam Bonifacium, Bonifacius, magnus mareschalcus hominum, qui cognoscebat laqueos ejus, cepit eum per brachium et vibravit. Cui ille respondit: Tu quassasti dimidiam Lucam. Et bene convenit sibi nomen quia bene sciebat obturare unum foramen vacuum. Et bene sciebat tergere unam maculam infamiae». Costui fece sorprendere i Lucchesi dai Pisani, il 18 novembre 1315, onde una cronaca cita questi versi scritti sulla porta di Lucca: Or ti specchia, Bontur Dati, - Ch' e' Lucchesi hai consigliati - Lo die di san Frediano - Alle porte di Lucca sul Pisano. - Del no, ecc.; «ita: sì; del no si fa sì, si falsa il vero; o anche graficamente, facendo un i e un t delle due aste dell'n, e dell'o un a, aggiungendovi una linea curva» (F.). Il Lanèo: «Usanzia è a Lucca che al Consiglio si vae due bussoli attorno, uno dove si mette la ballotta del sie, l'altro è quello dove si mette la ballotta del noe. E dice elli ch'essi sono sì corrotti a danari torre, che, dovendo mettere per lo ben comune nel bossolo del noe, ed elli baratta per denari, e mettelo in lo bussolo del sie».
(43-45) per lo scoglio: pel sasso che facea il ponte, sopra al quale stavano i Poeti, ed era quel demonio venuto; mai non fu mastino sciolto, ecc.: «ordinando: non fu mai mastino sciolto con tanta fretta, si guasterebbe la similitudine, che non consiste già nella fretta con cui è disciolto, ma sì nella fretta onde il cane sciolto seguita il ladro. Bene il Lombardi: non mai mastino dal padrone sciolto ed aizzato fu a seguitar con tanta fretta il ladro» (Bl.).
(46-48) Quel s'attuffò, e tornò su convolto, ecc.: «Il demonio dal ponte getta giù nella pegola il peccatore, e questi naturalmente vi si attuffa, e poco appresso, com'accade di ogni corpo più leggiero del liquido in che s'immerge, torna a galla, ma convolto, converso; quindi non colla testa all'insù, ma colla schiena, sicché testa e gambe restano nella pece» (Bl.); convolto: piegato in arco, in arcum convolutus, col capo all'ingiù, atteggiamento di chi profondamente adora, onde il sarcasmo seguente. V. anche XXII, 22; del ponte avean coperchio: stavano sotto al ponte; Qui non ha luogo il Santo Volto: «qui non vale gridare: Santo Volto, aiutami; invocare il Santo Volto, tanto venerato a Lucca, che fu indicato anche in alcune monete. Secondo Filalete è un'antichissima statua del Redentore, bella di nobili fattezze, lavoro, a quanto credesi, bisantino; è tuttavia venerata in una cappelletta particolare nel mezzo al Duomo di Lucca» (Bl.). L'Ampère: «Quant au Santo Volto, je n'ai pu le voir; mais à Pistoia on montre un fac-simile, d'après le quel il est aisé de se convaincre que l'original est un crucifix bysantin en bois noir, probablement d'une assez haute antiquité, et pouvant remonter au VIII siècle, époque où l'on dit que Lucques reçut la précieuse image. Dans ce siècle, qui fut celui des Iconoclastes, beaucoup d'objets pareils durent être transportés en Occident par ceux qui fuyaient la persécution des empereurs isauriens... Voici, selon la légende, l'histoire du Santo Volto. Après la mort et l'ascension du Sauveur, Nicodème voulut sculpter de souvenir la figure de Jésus-Christ crucifié; déjà il avait taillé en bois la croix et le buste, et tandis qu'il s'efforçait de se rappeler les traits de son divin modèle, il s'endormit; mais à son réveil il trouva la sainte tête sculptée et son oeuvre achevée par une main céleste».
(49-54) qui si nuota, ecc.: «Scherno diabolico, per dirgli che ivi il nuotare facevasi tutto sotto, senza ber gocciol d'aria uscendone con la testa» (Ces.); Serchio: «è uno fiume presso a Lucca, ove sogliono bagnarsi i Lucchesi la state, et era consuetudine che per una festa, cioè di San Quirico, li cavalieri lucchesi andavano al monte San Quirici e bagnavansi nel Serchio, entrandovi co' panni e passando di là» (B.). «Shelley, in una sua poesia, The Boat, on the Serchio, lo descrive come un impetuoso torrente: "Which fervid from its mountain source, - Shallow, smooth, and strong, doth come; - Swift as fire, tempestuously - It sweeps into the affrighted sea - In morning's smile its eddies coil - Its billows sparkle, toss, artd boil - Torturing all its quiet light - Into columns fierce and bright"» (Lf.); non far, ecc.: non venir a galla; Poi: poiché; l'addentar, ecc.: li ficcarono a dosso i denti di più di cento raffi, spingendolo sotto; raffi: «tanto è a dire quanto graffio. Questo è uno strumento di ferro con li denti uncinuti et ancor n'ha uno appuntato lungo» (B.); Coverto: sotto la pece; nascostamente: «è equivoco qui, e val tanto, nascosto sotto la pegola, quanto, con tanta arte che non si paiano le tue truffe» (Ces.); accaffi: rubi; come facevi vivo.
(55-57) vassalli: «servi e guatteri» (B.). «Aides» (Ls.); galli: «galleggi. Acciò che si cuoca, e non prenda alcun fumo» (Lanèo).
(58-63) non si paia: non si vegga; t'acquatta: t'abbassa e nascondi; dopo: «dietro l'una delle pile d'uno di quelli ponticelli» (Lanèo); t'aia: tu ti abbia; nulla offension: qualsivoglia offesa; conte: cognite; sono esperto; fui a tal baratta: mi trovai a tal contrasto; quando fu congiurato da quella Eritón cruda. Inf., IX, 23.
(65-66) su la ripa sesta: «Essendo ogni ponte posato tra due ripe, doveva di là dal capo del ponte quinto, sul quale stavano i Poeti, esser la ripa sesta, quella cioè che partiva la quinta dalla sesta fossa» (L.); sicura fronte: aspetto intrepido.
(67-75) tempesta: impeto, violenza; chiede: per l'amor di Dio; ove s'arresta: «alla casa ove si regge (ferma)» (B.); fello: «è colui che pensa di mal fare ad altrui» (B.); arruncigliarmi: «stracciarmi» (B.); si consigli: «deliberisi tra voi» (B.).
(78-82) Che li approda?: «che cagione è che il fa venir a questa proda della bolgia?» (B.). Il Blanc: «Che cosa potrà giovargli? perch'io vada a lui, non ne sarà già salvo (approdare per giovare)»; «schermi al mio passaggio» (T.); destro: favorevole.
(85) li fu l'orgoglio sì caduto: si raumiliò così.
(93) temetti ch'ei tenesser patto: che non osservassero quello cke a Virgilio promesso avea Malacoda.
(94-96) li fanti: i fanti lucchesi; ch'uscivan patteggiati: per accordo sgombravan il castello di Caprona, tolto già ai Pisani; Caprona: «è uno castello del contado di Pisa, di lungi dalla città forse cinque miglia, che è ora disfatto, ma ancora appaiono le vestigie: cioè le mura d'intorno et una torre; et è in su uno monte presso all'Arno» (B.); tra nimici cotanti, che gridavano: Appicca! appicca! Il conte Guido da Montefeltro, capitano dei Pisani, gli aveva fatti legare tutti ad una fune, acciò che non si partissono l'uno dall'altro, et andando spartiti non fossono morti dai contadini; e quando furono alla via d'Asciano, all'antiporto di pace, furon lasciati andare sani e salvi. Dante, secondo Benvenuto, vi si trovò e aveva allora 25 anni.
(99-102) non buona: minacciosa, fiera; Ei chinavan: «abbassavano verso me - quasi mettendoli in resta» (Ces.); tocchi: percuota; groppone: parte del corpo appiè della schiena, sopra i fianchi; glil'accocchi: glielo attacchi il raffio. Accoccare, propr. è attaccare la corda dell'arco alla cocca, ossia tacca della freccia. «Accroche-le par là» (Ls.).
(106-111) Più oltre andar per questo - iscoglio, ecc.: «Il demonio vuole ingannarli, mescolando vero e falso, poiché, com'appare al XXIII, 133 e segg., sopra la sesta bolgia ch'è degl'ipocriti, son tutti i ponti ruinati; grotta: argine dirupato» (F.); che via face: «That yields a path» (Lf.).

(112-114) Ier, ecc.: fecero 1266 anni, che rovinò lo scoglio. Si credeva allora che, come la concezione di Cristo seguì il 2,5 marzo, così pure la nascita fosse avvenuta il 25 dicembre, e il 25 marzo la morte. Altresì che Cristo alla sua morte avesse 33 anni e 3 mesi; ai quali aggiungendo l'anno dalla concezione alla nascita (in tutto 34 anni), ne viene che D. finge d'aver fatto il suo viaggio nell'anno 1300, il che, essendo egli nato nel 1265, riscontra col primo verso della Commedia; che qui, ecc.: «D. afferma che il tremuoto avvenuto alla morte di Cristo fu la cagione di siffatte rovine. Così Virgilio (XII, 36) dice che una parte della roccia cingente il cerchio de' violenti era cascata poco pria della discesa di Cristo all'Inferno (IV, 56), a significare che la morte di lui fu causata dalla somma violenza e ipocrisia de' Farisei; onde quel terremoto dovette sentirsi in Inferno per appunto ne' cerchj de' violenti e degli ipocriti. Or se la ruina accadde alla morte di Cristo, il giorno di ieri è di necessità un venerdì santo, e il colloquio segue nel sabato. Resta a vedere se D. abbia avuto mente al giorno della morte di Cristo, cioè al 25 marzo, nel quale, secondo allora si credeva, Iddio creò il mondo (I, 37 e segg.), ed occorse altresì il plenilunio, o al venerdì santo del 1300. Ma la determinazione del plenilunio del 1300 non si accorda punto all'ultimo presupposto, essendo che nel 1300 cadde il plenilunio al 4 aprile, e Pasqua al 10; ond' e' precedette il venerdì santo (8 aprile) di quattro giorni. Ponendo dunque che la determinazione del plenilunio del 1300 sia certa, e' sarebbe un martedì il giorno del colloquio, e il detto del demonio che il giorno avanti eran ruinati i ponti, non avrebbe più relazione colla morte di Cristo; e dall'altro lato supponendo che il giorno innanzi, come D. dice chiaro, fosse il venerdì santo, non vi concorda più il plenilunio. Pertanto val meglio ammettere che egli abbia seguito anco qui la credenza de' suoi tempi, e che noi a questo passo ci troviamo al 26 marzo in giorno di sabato. E il plenilunio si spiega quale finzione poetica, alla quale fa piede la tradizione sulla creazione del mondo. - Rispetto all'ora del colloquio, tutto dipende dall'ora in che Cristo morì. Gli Evangelisti non concordano a pieno; solo san Matteo (XXVII, 45 e segg.) pone la crocifissione all'ora sesta, la morte e il terremoto alla nona. A tal ragione, se la rovina avvenne cinque ore più tardi del colloquio, questo non seguì già alla prima ora, come molti affermano, ma sibbene alla quarta, o altrimenti, secondo la nostra maniera di contare le ore, non alle 7, ma alle 10 di giorno» (Bl.).
(115-117) di questi miei: demonj, che son sotto al mio comando; s'alcun se ne sciorina: se alcun de' dannati esce all'aria. «Doth air himself» (Lf.); non saranno rei: «non vi faranno male» (L.).
(118-124) Alichino, ecc.: Ecco un saggio delle etimologie che il Buti dà de' nomi di questi demonj; Calcabrina: si può interpretare calcans pruinam, idest gratiam, quia pruina gratiam significat, cioè dispregiante la grazia; Ciriatto: come noi diciamo al porco cin-cin, così altri sono che dicono ciri-ciri, e però Ciriatto è detto questo demonio, ch'è figura et operazione di porco, imperò che ferisce e fa ferire. Le etim. del Landino piacquero al Köpisch, che le ritrasse nella sua versione tedesca. L'Ottimo commento: «Questi nomi de' dimoni posti qui, bene che l'uomo possa dal fatto allegorizzare il nome, niente meno imposti furon come all'autore piacque»; decina: con Barbariccia son dieci. Scarmiglione resta fuori; sannuto: che ha sanne. V. Inf., XXII, 55 e segg.; pane: panie.
(125-126) costor sien salvi, ecc.: «raccomandazione finta, com'è falso che l'altro scheggio, cioè il seguente scoglio intersecante quelle fosse, va, passi intero sopra le tane, sopra le fosse, e intendi tutte, eziandio sopra la sesta» (L.).
(127-135) Ohmè: ohimè; se tu sa' ir (Inf., IX, 30 e in questo canto) come dicesti; con le ciglia: con lo sguardo bieco; duoli: guai. Il Blanc, men bene: per doli, inganni; lessi; altri: lesi; come offesi, al IX, 123.
(136-139) Per l'argine sinistro: per la parte dell'argine che dal ponte scendendo, stava alla sinistra mano; la lingua stretta: «atto di chi vuol beffare senza farsi sentire a ridere» (L.). Nel Novellino, del Gallo, contro al quale si presentò a combattere. T. Mallio: «Follemente si gioiva, e per gabbo traeva fuori la lingua»; verso lor duca per cenno: verso Barbariccia, accennandogli il poco accorgimento di Virgilio in credere e persuadere il compagno, che digrignassero così i denti per li lessi dolenti. Il B.: per cenno, per segno che seguitasse i compagni suoi; ed elli: Barbariccia, sonava con la bocca di sotto a modo d'una trombetta.

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