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Note al Canto XI
La Divina Commedia Inferno
Canto I
Canto II
Canto III
Canto IV
Canto V
Canto VI
Canto VII
Canto VIII
Canto IX
Canto X
Canto XI
Canto XII
Canto XIII
Canto XIV
Canto XV
Canto XVI
Canto XVII
Canto XVIII
Canto XIX
Canto XX
Canto XXI
Canto XXII
Canto XXIII
Canto XXIV
Canto XXV
Canto XXVI
Canto XXVII
Canto XXVIII
Canto XXIX
Canto XXX
Canto XXXI
Canto XXXII
Canto XXXIII
Canto XXXIV
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LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (INFERNO) -
CANTO XI
In su l'estremità d'un'alta ripa
che facevan gran pietre rotte in cerchio,
venimmo sopra più crudele stipa; (3)
e quivi, per l'orribile soperchio
del puzzo che 'l profondo abisso gitta,
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio (6)
d'un grand' avello, ov' io vidi una scritta
che dicea: 'Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin de la via dritta'. (9)
«Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s'ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo». (12)
Così 'l maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che 'l tempo non passi
perduto». Ed elli: «Vedi ch'a ciò penso». (15)
«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que' che lassi. (18)
Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti. (21)
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D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista,
ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista. (24)
Ma perché frode è de l'uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale. (27)
Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto. (30)
A Dio, a sé, al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
come udirai con aperta ragione. (33)
Morte per forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno, e nel suo avere
ruine, incendi e tollette dannose; (36)
onde omicide e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
lo giron primo per diverse schiere. (39)
Puote omo avere in sé man violenta
e ne' suoi beni; e però nel secondo
giron convien che sanza pro si penta (42)
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qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov' esser de' giocondo. (45)
Puossi far forza ne la deïtade,
col cor negando e bestemmiando quella,
e spregiando natura e sua bontade; (48)
e però lo minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella. (51)
La frode, ond' ogne coscïenza è morsa,
può l'omo usare in colui che 'n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa. (54)
Questo modo di retro par ch'incida
pur lo vinco d'amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s'annida (57)
ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura. (60)
Per l'altro modo quell' amor s'oblia
che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,
di che la fede spezïal si cria; (63)
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onde nel cerchio minore, ov' è 'l punto
de l'universo in su che Dite siede,
qualunque trade in etterno è consunto». (66)
E io: «Maestro, assai chiara procede
la tua ragione, e assai ben distingue
questo baràtro e 'l popol ch'e' possiede. (69)
Ma dimmi: quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
e che s'incontran con sì aspre lingue, (72)
perché non dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?». (75)
Ed elli a me «Perché tanto delira»,
disse, «lo 'ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira? (78)
Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che 'l ciel non vole, (81)
incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta? (84)
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Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
che sù di fuor sostegnon penitenza, (87)
tu vedrai ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
la divina vendetta li martelli». (90)
«O sol che sani ogne vista turbata,
tu mi contenti sì quando tu solvi,
che, non men che saver, dubbiar m'aggrata. (93)
Ancora in dietro un poco ti rivolvi»
diss' io, «là dove di' ch'usura offende
la divina bontade, e 'l groppo solvi». (96)
«Filosofia», mi disse, «a chi la 'ntende,
nota, non pure in una sola parte,
come natura lo suo corso prende (99)
dal divino 'ntelletto e da sua arte;
e se tu ben la tua Fisica note,
tu troverai, non dopo molte carte, (102)
che l'arte vostra quella, quanto pote,
segue, come 'l maestro fa 'l discente;
sì che vostr' arte a Dio quasi è nepote. (105)
Da queste due, se tu ti rechi a mente
lo Genesì dal principio, convene
prender sua vita e avanzar la gente; (108)
e perché l'usuriere altra via tene,
per sé natura e per la sua seguace
dispregia, poi ch'in altro pon la spene. (111)
Ma seguimi oramai che 'l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta,
e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace,
e 'l balzo via là oltra si dismonta». (115)
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NOTE AL CANTO XI(1-9) ripa: «I Poeti erano
entrati per la porta guardata da diavoli nella città di Dite, la quale era nel
sesto cerchio; questa città, che dalla parte dove entrò Dante, avea le mura
rosse come ferro rovente, dovette aver qui, in luogo di mura, questa ripa
altissima, per la quale scenderanno a suo tempo nell'altro cerchio» (Ces.).
«Ripa è, o artificiale o naturale che ella sia, o terreno o pietre, la quale da
alcuna altezza discenda al basso sì diritta che o non presti, o presti con
difficultà la scesa per sé di quell'altezza al luogo nel quale essa discende,
siccome in assai parti si vede nei luoghi montuosi naturalmente essere, o come
per fortificamento delle castella e delle città gli uomini artificiosamente
fanno» (B.). «Estremità è l'ultima parte, ripa è ogni tagliamento di terreno»
(Buti); che facevan, ecc.: «formate di grandi pietre» (B. B.); sopra più crudele
stipa: «Stipa, le cose stipate, cioè accumulatamente poste, siccome i naviganti
le molte cose poste ne' lor legni dicono stivate: e s'intende che sotto il luogo
dove pervennero, erano stivate grandissime moltitudini di peccatori in più
crudel pena, che quelli i quali infino a quel luogo veduti avea» (B.); stipa:
siepe che chiude e circonda; «stivare è empiere bene quanto cape, come si dice:
La nave è stivata» (Buti). Inf., XXIV, 82-83: stipa - di serpenti; soperchio:
eccesso; gitta: esala, svaporando in su; «ci raccostammo indietro, acciocché men
lo sentissimo, che standovi direttamente sopra» (B.); avello: Dittamondo: «Fui
in Cologna Dove son gli tre magi in ricchi avelli»; trasse Fotin de la vita
dritta: «fecelo errare nella fede. Questo Fotino ebbe questa eresia, che in
Cristo non fosse se non una natura; cioè umana tanto, e che Cristo fosse puro
uomo, e così fece credere a papa Anastasio, e tanto vi mise questa eresia in
lui, ch'elli volle restituire (nei Dittici) uno eretico (Acacio) che la Chiesa
avea dannato, se non che i cardinali non consentirono; e finalmente male morì:
imperò che, essendo ito al secreto luogo della natura, per miracolo divino gittò
fuori tutte le intestine» (Buti). Isidoro: «Fotiniani a Fotino Gallograeciae
Sirmiae episcopo nuncupati, qui ebionitarum haeresim suscitans, asseruit
Christum a Maria per Joseph nuptiali coitu fuisse conceptum». Il Venturi volle
che Dante scambiasse l'imperatore Anastasio I con papa Anastasio II. Il
Borghini: «Seguitò quello che aveva scritto Graziano, il quale medesimamente
s'ingannò». Il Blanc, col prof. Thilo di Halle, crede che s'intenda veramente di
papa Anastasio, per essersi mostrato conciliante nelle quistioni prodotte dalla
pubblicazione dell'Enotico, fatta da Zenone Isaurico nell'anno 482, per
consiglio di Acacio, patriarca di Costantinopoli, e per credersi che volesse
rimettere nei libri ecclesiastici il nome di esso Acacio, fattone radere da papa
Gelasio. E pare verosimile ch'egli avesse accolto Fotino, diacono di
Tessalonica, che fu uno dei mediatori della pace. Il Longfellow, appoggiandosi
allo storico del Cristianesimo, Milman, s'accorda col professor Thilo, e vedi
che così l'intese il Buti.
(10-14) tardo: adagio; sì che s'ausi, s'assuefaccia al tristo fiato. Quel
compagno di san Francesco, il quale, nella sua visione infernale, vide la donna
ch'avea falsato la misura del grano e della biada, ardere stretta in una misura
di fuoco (avello singolare), trovò poi un fiume terribile, pieno di serpenti e
di dragoni e di scorpioni, e gittava uno grandissimo puzzo: proprietà
dell'Inferno. - Il Köpisch cita qui il verso del re fratricida in Amleto, III,
3: «O my offence is rank, it smells to heaven!»; no i fia riguardo: non
bisognerà di molto curarsene. «Ab assuetis non fit passio» (B.); compenso:
rimedio; «'l tempo dell'aspettare» (T.).
(18) di grado in grado: digradanti; come que' che lassi: «com'hai veduto
delli sei passati, così de' essere de' tre che sono a vedere» (Buti).
(19-21) maladetti: dannati; perché poi ti basti pur la vista: a ciò che
non abbi poi a domandare; intendi come e perché, ecc.: «vedi lo modo e la
cagione» (Buti); costretti: stretti insieme, stivati. Il Todeschini, a cui
s'accosterebbe volentieri il Blanc, riferisce non bene costretti ai cercbj
spiegando: «stretti, serrati l'un dentro l'altro».
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(22-23) malizia: Alfr. Maury: «Cette méchanceté de l'homme, souillé de
vices, est ce qu'Apulée nomme malitia (De dogmat. Platon.); expression qui fut
adoptée dans le même sens par les chrétiens». «E' malizia di corpo e malizia
d'animo; uno arbore quando è in alcuna parte guasto, si dice: egli è maliziato»
(Anonimo fiorentino); acquista: in mal senso. Petr.: «Biasmo s'acquista»;
ingiuria è 'l fine: «qualche atto ingiusto ne è lo scopo» (L.). Dittam.: «Eran
giganti, a forza e con ingiuria A libito viveano...».
(25) frode, ecc.: consistendo nell'abuso della ragione, dote propria di
lui e non comune, come la forza, agli altri animali.
(26-27) sutto: lat.: subtus, sotto; più dolor li assale: sono oppressi da
maggior tormenti.
(28-33) è tutto: «perciocché il distingue in tre parti, le quali tutte e
tre son piene di violenti» (B.); a tre persone: a tre sorte di persone; cose:
Inf., XIX, 2: ...le cose di Dio; ragione: dimostrazione.
(34-36) Morte per forza: «come uccidere col coltello, col veleno, col
capestro, col fuoco, o in altra maniera» (B.); nel suo avere: nelle sue
possessioni e ricchezze; ruine: «come è disfargli le case, e incendi, come è
ardergliele o ardergli le biade, e tollette dannose, come è il rubargli le sue
cose, torgli la moglie, la figliuola, il bestiame, e simili sustanze» (B.);
tollette: «tolte, sustantivo. Noi, d'una mercanzia comperata da noi, di cui s'è
avuto piacere e buon mercato, diciamo: "Ella è stata per noi una buona tolta";
qui ruberie» (Salv.). Tollette, latrocinj, spiega il Blanc, con gli antichi
interpreti, rispondendo a predon, come ruine, incendi a guastatori. Par., V, 33:
mal tolletto, bene di mal acquisto. Altri per gabella, estorsione, dalla voce
medieva tolletum: exatio quae per vim fit, onde malatolta, maltolletum, male
tolletum, di qua il francese mal tote (da tollere: rubare). Altri legge
collette, e questa lezione piace al Foscolo, che dice: «Io trovo nell'aurea
latinità collectam exigere (Cicero, De Orat., II, 57), e parmi che Dante alluda
alle tante taglie e tasse e concussioni, sotto nome di doni gratuiti per
pubblico bene, imposte da principi e magistrati, e perciò vi aggiugne dannose.
Altrove (nel Convito) s'adira ch'ei le vedeva da per tutto in Italia, e qui
fors'anche ebbe in mente il passo della Scrittura: "Popolum meum exactores sui
spoliaverunt (Isaìa, III, 12)"».
(37-39) onde omicide: il Bocc. legge odj, ecc., e spiega: «Odj, coloro
che odio portano al prossimo, volendo per questo s'intendano coloro in questo
medesimo luogo esser dannati, i quali, quantunque queste violenze non facciano,
le farebbono volentieri, se potessono, e perché più non possono, hanno in odio
il prossimo; omicide (plur. di omicida) e ciascun che mal fiere, a distinguer da
questi cotali coloro, i quali, posti per esecutori della giustizia, giustamente
uccidono e feriscono; guastatori, come sono incendiarj e simili uomini, e
predon, cioè rubatori, corsari, e tiranni e simiglianti»; «lo giron primo del
settimo cerchio, per diverse schiere, cioè guastatori con guastatori, predoni
con predoni, ecc., quantunque nel girone medesimo» (L.).
(40-42) Puote omo: fare forza a sé medesimo, uccidendosi; e ne' suoi
beni: ardendoli e disfacendoli, giocando e gittando il suo; si penta: «pentire
in questa parte s'intende sostenere pena et avere stimolo e dolore d'aver fatto
tal peccato» (Buti).
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(45) e piange là dove esser de' giocondo: «nell'altra vita, ove
dovrebbe avere allegrezza» (Buti).
(47-49) col cuor negando, ecc.: Salmi: «Dixit insipiens in corde suo: Non
est Deus»; spregiando natura sua bontade: «adoperando contro alle naturali
leggi» (B.). «sua bontade: i suoi doni» (T.); minor: quel di mezzo più stretto
del primo. «Nel detto girone piove falde di fuoco sopra quelle tre fitte di
peccatori, e quelle fiamme cadendo lor sulla carne, a modo di marchio rovente,
la segnano e suggellano colle piaghe, onde que' corpi sono impressi, a colore
del sangue delle cotture e delle ulceri» (Ces.).
(50-54) Caorsa: latino: Cadurcum, già capoluogo dell'alto Quercy, ora
capoluogo del dipartimento del Lot, venuto in mala voce ai tempi di Dante per
vizio di usura. Vedi Paradiso, XXVII, 58. «Caorsa è una città sì del tutto data
al prestare a usura, che in quella non è né uomo né femmina, né vecchio né
giovane, né piccolo né grande che a ciò non intenda; e non che altri, ma ancora
le serventi, non che il lor salario, ma se d'altra parte sei o otto denari
venisser loro alle mani, tantosto gli dispongono e prestano ad alcun prezzo; per
la qual cosa è tanto questo lor miserabile esercizio divulgato, e massimamente
appo noi, che come l'uom dice d'alcuno: Egli è Caorsino, così s'intende che egli
sia usuraio» (B.). Matteo Paris, nella sua Historia Major, all'anno 1235:
«Invaluit autem his diebus adeo Caursinorum pestis abominanda, ut vix esset
aliquis in tota Anglia, maxime Praelatus, qui retibus illorum jam non
illaquearetur. Etiam ipse Rex, debito inestimabili eis tenebatur obligatus.
Circumveniebant enim in necessitatibus indigentes, usuram sub specie
negotiationis palliantes: et nescire dissimulantes, quod quicquid accrescit
sorti, usura est, quocumque nomine censeatur». Qui dà la formula delle
obbligazioni che i Caorsini imponevano ai debitori; e suggella: «Judaei novum
genus usurae in Christianis comperientes. Sabbatha nostra non immerito
deridebant». E lo stesso altrove: «Temporibus sub eisdem (1251), usurari
Transalpini, quos Caursinos appellamus, adeo multiplicati sunt, et ditati, quod
nobilissima palatia Londini sibi comparantes, stabilem sibi more civium
indigenarum mansionem statuerunt. Nec sunt ausi Praelati obmutire, quia se
mercatores domini Papae extitisse affirmarunt: nec audebant cives obloqui, quia
Magnatum quorundam, quorum, ut dicebatur, pecuniam ad multiplicandum seminabant,
exemplo Romanae curiae, favore defendebantur». E di questo favore che dava lor
Roma, si doleva il vescovo di Lincoln (1253). «Nunc domini Papae mercatores vel
scambiatores, obmurmurantibus Judaeis, palam Londini foenerantur». E spiega il
modo di quest'usura: «Mutuo accipio marcas per annum pro centum libris: cogor
conficere scriptum et signare, in quo confiteor me centum libras mutuo in fine
anni solvendas recepisse. Et si forte sortem pecuniae tibi infra mensem vel dies
pauciorem adquisitam usurario Papali solvere volueris, non recipiet, nisi
integraliter centum libras; quae conditio gravior est quam Judaeorum, quia
quandocunque sortem Judaeo attuleris, recipiet benigne, cum tanto lucro quod
tempori tanto se commensurat»; e chi: «colui che fintamente, per mondano utile o
tema, spaccia credenza in Dio, ed internamente lo nega e bestemmia. V. verso 47»
(L.); è morsa: «Questo dice perché ciascuno che l'usa n'ha rimordimento di
coscienza» (Buti). Cic., pro Rosc. Amer.: «Sua quemque fraus, et suus terror
maxime vexat; suum quemque scelus agitat». O perché tutti, più o meno, n'eran
macchiati a quei tempi; non imborsa: «il quale non ha fidanza nel fraudolente»
(B.). «Inf., XXIV: La speranza ringavagna. Dal metter la speranza in borsa al
metterla in paniere non corre gran cosa». (T.).
(55-57) «Questo modo di retro, della frode contro chi non si fida, par
ch'uccida, rompa, pur lo vinco d'amor, lo legame d'amor naturale tra l'uno uomo
e l'altro» (Buti); che fa: caso obliquo; uccida: altri legge: incida. «Incidere
vincoli suona più positivo; ma uccidere i vincoli della natura fa sentire anima
in essi e intendere i sentimenti e gli affetti scambievoli fra uomo e uomo»
(Fosc.); s'annida: «l'è dato per stanza, s'alloga» (B.).
(58-60) «ipocrisia, che è mostrarsi buono ed essere reo, e questo intende
l'ipocriti; lusinghe, li lusinghieri, e chi affattura, li maliosi; falsità,
falsatori di moneta, di scrittura e d'ogni altra cosa; ladroneccio, rubatori che
usano ladroneccio, e simonia, di chi mercata le cose sacre; ruffian, ingannatori
di femmine; baratti, barattieri che vendono le grazie de' lor signori, e simile
lordura, altre spezie simili a queste» (Buti). «Ipocrisia, Inf., XXIII.
Lusinghe, XVIII. Affattura, XX. Falsità, XXIX-XXX. Ladroneccio, XII. Simonia,
XIX. Ruffian, XVIII. Baratti, XXI-XXII» (T.).
(61-63) «Per l'altro modo, per l'usar frode in colui che d'altrui si fida
- quel (amore) ch'è poi aggiunto al naturale, o per amistà, o per beneficj
ricevuti, o per parentado; di che, delle quali cose, la fede spezial si cria, la
singulare e intera confidenza che l'uno uomo prende dell'altro, per singulare
amicizia congiuntogli» (B.); natura: caso retto.
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(64-66) «onde nel cerchio minore, nono et ultimo, ov'è 'l punto - de
l'universo, centrale, non della terra, ma dell'universo, cioè di tutti li cerchj
de' cieli; e questo dice per verificare la fizione, che porrà di sotto, della
terra, che essa venisse più su verso il nostro emisperio per fuggire lo
lucifero, quando cadde dal cielo, in su che Dite, cioè Plutone, secondo li
poeti, lo quale è Lucifero, secondo la fizione dell'autore siede; imperò che
l'autor finge che Lucifero, quando cadde, venisse infino al centro e qui si
fermasse; imperò che le cose gravi non possono andare, se non infino al centro»
(Buti); «qualunque trade, tradisce, in eterno è consunto, tormentato» (B.).
(69) questo baratro, ecc.: «questa voragine e li peccatori che ci sono»
(Buti). «Ci desta alla dolorosa meditazione che l'Inferno è l'unica possessione,
la quale avanza ai dannati» (Fosc.).
(70-72) «quei de la palude pingue, gli iracondi e gli accidiosi, i quali
son tormentati nella palude di Stige, la quale cognomina pingue per la sua
grassezza del loto e del fastidio il quale v'è dentro; e quelli che mena il
vento, i lussuriosi, che son di sopra nel secondo cerchio, e quelli che batte la
pioggia, i golosi, i quali sono di sopra nel terzo cerchio, e quelli che
s'incontran con sì aspre lingue, gli avari e prodighi, i quali sono nel quarto
cerchio» (B.).
(73-78) roggia: rossa; se non li ha in ira; a tal foggia puniti?; delira:
«esce dal solco, si svia» (Buti); la mente dove altrove mira, si svaga. Altri la
mente tua.
(80-84) tua Etica: «Tua, per darne a vedere che questo libro fosse
familiarissimo all'autore» (B.); pertratta: tratta distesamente. Voce assai
famigliare a Dante ne' suoi scritti latini; disposizion: abiti viziosi. V.
Aristotile, nel principio del VII libro dell'Etica a Nicomaco; matta: «perché al
tutto è accecato l'intelletto» (Buti). Il Blanc, col Boccaccio, al rovescio
degli altri interpreti, pensa che nel settimo cerchio si punisca la bestialità e
nel seguente la malizia: sia perché Aristotile dice la bestialità non esser sì
gran male quanto la malizia morale, e alla bestialità ascrive le passioni
snaturate; sia perché presso lo stesso Dante le persone mitologiche del settimo
cerchio, il Minotauro, i Centauri e le Arpie inferiscono degenerazione bestiale
della natura umana, quindi bestialità.
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(87-90) su di fuor: della città di Dite; vendetta: altri: giustizia;
li martelli: «tormenta, e dice men crucciata, imitando nel parlare il costume
umano, il quale, quanto più di cruccio porta verso alcuno, tanto più crudelmente
il batte» (B.).
(94-96) in dietro ti rivolvi: ritorna alla sentenza già detta, e 'l
groppo solvi: sviluppa il nodo, sciogli il dubbio, ecc.
(97-105) a chi la 'ntende: il Tomm. legge: a chi l'attende, e cita quel
passo del Convivio: «Aristotele pare ciò sentire, chi bene lo attende, nel primo
di cielo e mondo». «Natura lo suo corso prende, suo processo da divino
intelletto, perché Idio è prima cagione di tutte le cagioni, e da sua arte, dal
suo operare; lo suo operare è il suo volere, imperò che come Idio intende, così
vuole, e come vuole, così opera; imperò che così le cose vengono ad effetto. Non
dopo molte carte, presso al principio del libro, dice "Ars imitatur naturam in
quantum potest"» (Buti); note: riguardi; nepote: il Tasso: «L'arte è prima
nell'intelletto divino, secondo i Platonici, e poi nella natura, e ultimamente
nell'intelletto dell'uomo; la qual arte è in terzo grado lontana dal divino
artifizio».
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(107-108) Genesì: il Tomm. legge Genesis, e dice: «L'accento posa
sull'ultima come in Semiramìs. Inf., V, 58». Fazio degli Uberti: «Come nel
Genesis trovar puoi tu». Vi si legge: «Oportuit ab initio saeculi humanum genus
sumere vitam et excedere», ecc.; prender sua vita: «l'ordine e il modo del
vivere, ed avanzar la gente, li uomini avanzare l'uno l'altro nelle ricchezze e
beni temporali» (Buti). Il Fraticelli: «Le parole son queste: Posuit Deus
hominem ut operaretur... Vesceris in sudore vultus tui». Il Foscolo:
«Dall'esempio del primo padre conviene a noi procacciarci vita dalla natura e
dall'arte». E il Ls.: «De ces deux (arts, celui de la nature et le vôtre) il
convient que l'homme tire sa vie et son progrès».
(109-110) e perché l'usuriere: «L'usura è una figliatura della pecunia,
perciò detta dai Greci "tokos", cioè parto; e usurae usurarum, gl'interessi
degl'interessi, "anatokismos", cioè rifigliamento. Gli Ebrei l'usura la chiamano
morso, e santo Ambrogio le chiama sanguinolenti» (Salv.); altra via tene:
«imperò ch'elli vuole che il danaio faccia danaio, la quale cosa è contro
natura» (Buti); tua seguace: l'arte.
(112-115) Ma seguimi oramai: «Finora sono stati fermi presso la tomba di
papa Anastasio. V. verso 6» (B. B.); ché i Pesci, ecc.: «I Pesci, ossia le
stelle che formano il segno dei Pesci zodiacali, son nel punto dell'oriente due
ore prima del sole, quando questo è in Ariete. Si viene qui dunque ad accennare
il principio dell'aurora» (B. B.); orizzonta: orizzonte. Fazio degli Uberti:
Camaleonta; e 'l Carro, ecc.: «L'orsa maggiore era scesa sopra il luogo onde
trae il Ponente maestro, detto Caurus, Coro» (Ces.); 'l balzo: l'alta ripa; via
là oltra: lontano di qui.
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Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea
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Dizionario di matematica iniziale:
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