I MILLE PERCHÉ - MEZZI DI TRASPORTO - L'AUTOMOBILE

PERCHÉ L'AUTOMOBILE HA GLI ABBAGLIANTI E GLI ANABBAGLIANTI?

L'automobile, come tutti sanno, è provvista di fari per viaggiare di notte. Una batteria, ovvero un accumulatore di corrente elettrica, fornisce l'energia sufficiente ad illuminare un tratto di strada e scorgervi eventuali ostacoli. Grazie ai fari, dunque, possiamo usare la automobile anche di notte e la loro potenza ci assicura una notevole visibilità e quindi una certa sicurezza.
Ma, attenzione! Quella stessa potenza può essere, oltre che un valido aiuto per noi, anche un pericolo per gli altri automobilisti che compiono un tragitto contrario al nostro.
Essi infatti, incrociandoci sulla strada, vengono colpiti ed abbagliati dai nostri fari perdendo così la capacità di vedere, per diversi secondi, ciò che hanno davanti. Per ovviare a questo inconveniente assai pericoloso e causa di moltissimi incidenti, i fari sono dotati di speciali lampade a doppio filamento.
Procediamo con ordine: come è fatto un faro di automobile e come funziona?
Il faro è uno specchio parabolico che, per la sua particolare forma, è atto a convogliare in un'unica direzione i raggi luminosi provenienti dalla lampada.
Questa, come abbiamo detto, ha due filamenti: il primo, posto esattamente nel «fuoco» dello specchio, è «abbagliante» e dà un'illuminazione intensa e profonda (200-300 m.); il secondo, posto anteriormente al «fuoco» dello specchio è dotato di un piccolo schermo che, situato nella parte inferiore del filamento, impedisce ai raggi di colpire la parte inferiore dello specchio e di propagarsi verso l'alto.
Questo è il filamento «antiabbagliante» la cui portata è di circa 60 m. e che funziona a comando. Mediante una leva il conducente, non appena incrocia un'altra auto, deve spegnere il filamento abbagliante ed accendere quello anabbagliante così da permettere all'autista dell'altro veicolo di mantenere la visibilità.

PERCHÉ L'AUTOMOBILE PUO' VARIARE LA VELOCITA'?

Abbiamo già parlato dell'automobile e del perché si muove: sappiamo che, grazie al motore, una quantità di energia raggiunge le ruote, le mette in movimento e consente all'automobile di correre velocemente.
Però, nell'osservare il viavai sulle strade, notiamo che le automobili non si muovono tutte alla stessa velocità: c'è quella che procede lentamente, quella che sfreccia velocissima, scattando rapida in avanti.
Perché, dunque, le automobili possono muoversi a velocità diverse?
Ciò dipende, fondamentalmente, dalla potenza dei rispettivi motori, dal numero e dalla grandezza dei cilindri che li compongono.
Eppure anche automobili della stessa potenza, della stessa «cilindrata», possono muoversi a velocità diverse, sfruttando opportunamente l'energia sprigionata dai motori a seconda delle particolari condizioni in cui si trovano.
I dispositivi meccanici che consentono alle automobili di variare la velocità sono due: l'acceleratore e il cambio. Il primo serve a far entrare una maggior quantità di miscela benzina-aria nei cilindri e a far si che il motore aumenti il numero dei giri; il secondo, invece, è il congegno preposto allo sfruttamento della potenza.
Il cambio di velocità serve a variare il rapporto fra i giri del motore e i giri dell'albero della trasmissione e quindi delle ruote.
L'intero meccanismo è racchiuso in una scatola in lega leggera ed è composto da quattro alberi e da vari ingranaggi completamente immersi nell'olio. Dalle varie combinazioni assunte dagli ingranaggi e determinate dallo spostamento della leva del cambio da parte del conducente, dipendono la natura della marcia ingranata (prima, seconda, terza, quarta, «folle» e retromarcia) e un tipo diverso di sfruttamento dell'energia del motore.
Quando l'automobile è in folle non si muove, anche se l'acceleratore fa aumentare il numero dei giri del motore, poiché il sistema delle marce che fa da ponte di collegamento fra motore e ruote è staccato.
Non appena l'autista vuol far muovere l'automobile, deve ingranare la prima marcia.
Per spostare un mezzo pesante ed immobile occorre una spinta notevole e la combinazione degli ingranaggi che costituiscono la prima marcia fa in modo che tutta la potenza di cui è capace il motore raggiunga integralmente le ruote.
Naturalmente l'auto, in prima, non può raggiungere alte velocità poiché per sfruttare al massimo la potenza, il rapporto tra gli ingranaggi non consente un alto numero di giri delle ruote.
Questo rapporto tra ingranaggi cambia non appena l'auto è in movimento e dalla prima marcia si passa alla seconda, alla terza e, infine, alla quarta.
Quando il mezzo è in movimento le varie marce consentono di sfruttare opportunamente la potenza del motore e, man mano che cresce la velocità, grazie alla forza di inerzia che consente di impiegare la potenza del motore per un maggior numero di giri delle ruote, di elevare al massimo il rapporto tra potenza e velocità.
Così, dopo aver ingranato la prima, si passa alla seconda che presenta ancora un rapporto più potente che agile; quindi alla terza, capace ormai di sfruttare la spinta iniziale data al mezzo dalle prime due e di far muovere l'auto ad una velocità notevole; infine alla quarta, chiamata anche per la sua particolare funzione «presa diretta», capace di sfruttare direttamente la potenza viva del motore.
Se le prime tre marce, grazie alla combinazione dei vari ingranaggi hanno utilizzato più la potenza del motore che non la sua velocità di rotazione, la quarta marcia, quando ormai l'auto è in corsa e non ha più gran bisogno di forza bruta per vincere la resistenza e l'attrito, può finalmente sfruttare l'energia del motore in funzione della velocità.
Detto ciò si spiega anche perché, non appena si incontra una salita, occorre «scalare» le marce, ritornare cioè alla terza o addirittura alla seconda, per vincere la resistenza opposta dalla pendenza della strada: così, grazie all'apposito congegno del cambio, l'auto torna a sfruttare l'energia del motore in funzione della potenza e a scapito proporzionale della velocità.

PERCHÉ IL CLACSON SUONA?

Fin dal giorno della sua nascita l'automobile ha avuto bisogno di un congegno di segnalazione acustica per avvertire i passanti e gli altri conducenti della sua presenza.
In origine per segnalare l'arrivo di un bolide d'acciaio si utilizzò una comune tromba azionata a mano. In seguito il meccanismo si perfezionò e il clacson divenne elettrico.
Abbiamo già parlato del funzionamento della suoneria elettrica, del campanello posto alla porta della nostra casa. Abbiamo visto come un'elettrocalamita opportunamente eccitata dalla corrente elettrica attirava un'ancora metallica che, conseguentemente, batteva su una campana.
Il funzionamento del clacson delle automobili sfrutta il medesimo principio.
Il conducente, schiacciando il pulsante posto al centro del volante, fa giungere una certa quantità di energia elettrica proveniente dalla «batteria» dell'auto ad una elettrocalamita che pone in vibrazione una membrana metallica.
Questa vibrazione genera il suono caratteristico dei clacson, che noi udiamo opportunamente amplificato da trombe foggiate a padiglione, a conchiglia o a cornetto.
Questo è il sistema di segnalazione acustica più ampiamente usato ma è interessante conoscere anche altri sistemi. La membrana può essere messa in vibrazione anche da una ruota dentata azionata da un motorino elettrico e vi sono anche dei meccanismi, detti «a sirena», a funzionamento pneumatico, nei quali la membrana vibra sotto l'azione di un dispositivo ad aria compressa. Si può trovare infine in alcune auto speciali trombe pneumatiche costituite da «canne» sonore poste in vibrazione dai gas di scarico dell'autoveicolo.

PERCHÉ LE GOMME DELL'AUTO SONO PIENE D'ARIA?

Le ruote dell'automobile sono costituite da quattro cerchiature di gomma contenenti aria a pressione e servono non solo per assorbire il più possibile gli sbalzi provocati dalle asperità della sede stradale ma anche per un più agevole scorrimento dell'autoveicolo unito ad una maggiore «tenuta».
Prima dell'adozione dei pneumatici moderni si usava ricoprire le ruote con cerchioni di gomma piena. È facilmente intuibile quanto fosse poco piacevole percorrere in macchina le sassose strade dell'epoca con le ruote tanto dure: la gomma, pur essendo elastica, non poteva assorbire completamente gli urti allora tanto frequenti.
Si deve a Dunlop (1888) l'idea di sostituire i cerchioni di gomma piena con pneumatici veri e propri, a camera d'aria. Nel pneumatico, all'elasticità della gomma, si aggiunge l'azione dell'aria compressa: incontrando la ruota un ostacolo, il copertone può comprimersi notevolmente, e, non appena superato l'ostacolo, grazie alla spinta dell'aria compressa, tornare subito nella posizione naturale: questo con grande piacere del conducente che evita il fastidio delle scosse (grazie anche al sistema di sospensioni e di ammortizzatori) e può compiere un lungo viaggio senza stancarsi eccessivamente.
Una gomma d'automobile, oltre ad una camera d'aria che serva a tenerla gonfia, consta di vari elementi tra cui i «talloni», fettucce di gomma rese inestensibili da uno o più fili metallici, poste alla base del pneumatico a contatto con il cerchione di ferro della ruota.
Ai talloni sono ancorate le tele che costituiscono la carcassa del pneumatico, il cui tessuto è formato da moltissimi fili di ordito e pochi fili di trama.
I fili delle tele sono ritorti e, per questo, chiamati «tortiglie»: un tempo erano di cotone oggi sono di rajon o di nailon. Pneumatici assai resistenti sono quelli che hanno tele fatte di un tessuto di acciaio.
La parte esterna del copertone è formata, infine, dal «battistrada» che è una fascia di gomma scolpita, destinata ad aderire al manto stradale. In genere, dunque, le ruote di un'auto sono ricoperte da siffatte cerchiature composte da un copertone e da una camera d'aria di gomma gonfiata a pressione che lo rende duro, ben teso e capace di sopportare il peso della macchina. La camera d'aria è molto importante poiché in caso di foratura il copertone può essere ancora utilizzato dopo aver riparato la sola camera d'aria.
Esistono anche copertoni «senza camera», fatti più o meno come quelli già descritti, resi impermeabili da uno strato di butile applicato sulla faccia interna, con i talloni ben in presa con il cerchio metallico della ruota.
Per limitare al massimo le probabilità di sgonfiamento in questo tipo di pneumatici, è stato inserito al di sotto del battistrada uno strato di materiale plastico: se un chiodo provoca la foratura il materiale lo avvolge e l'aria non fuoriesce: tolto il chiodo, il foro si richiude immediatamente assicurando una perfetta tenuta.

PERCHÉ LE GOMME DELL'AUTO HANNO IL BATTISTRADA?

La parte superiore della copertura dei pneumatici, come sappiamo, è costituita da uno strato di gomma scolpita detto «battistrada». Se il battistrada fosse liscio e non scolpito, l'auto, soprattutto nelle curve e con il terreno bagnato, slitterebbe paurosamente con effetti disastrosi. Gli intagli e i solchi scolpiti sul battistrada, invece, hanno il compito di aumentare notevolmente l'aderenza delle gomme al terreno e garantire così al veicolo una buona tenuta di strada.
Che cosa determina questa aderenza del battistrada al terreno?
Oltre alla naturale maggior tenuta che un corpo scabroso può sviluppare nei confronti di un corpo levigato, il peso dell'automezzo, comprimendo le gomme e schiacciandole sul terreno, fa sì che i solchi del battistrada agiscano sull'asfalto come delle ventose, aumentandone la presa.
Come viene scolpito il battistrada?
La striscia di gomma, senza disegno, dopo essere stata «calandrata», ridotta cioè ad uno spessore uniforme ed opportunamente pressata, viene tagliata in misura e quindi, durante il processo di vulcanizzazione che serve, come abbiamo detto, per rendere la gomma relativamente indeformabile e resistente al calore, il disegno è ottenuto per mezzo di stampi.
Sezione del pneumatico di un'automobile

PERCHÉ QUANDO SI FRENA SI ACCENDONO GLI STOP?

Abbiamo visto come la automobile, per viaggiare di notte, sia provvista di fari, abbaglianti e anabbaglianti. Essi sono necessari, grazie alla loro potenza, per poter procedere nella oscurità, usufruendo il conducente di una sufficiente visibilità. Ma i fari non sono le sole luci che un'auto abbia a disposizione per poter viaggiare regolarmente e in piena sicurezza.
Nella parte anteriore del mezzo, poste sotto i fari, ci sono due altre piccole luci bianche, dette «luci di posizione», che consentono all'automobile di procedere e d'essere visibile in centri abitati dotati di una buona illuminazione stradale.Le stesse luci di posizione, rosse però, sono poste nella parte posteriore dell'auto, per poter rivelare di notte la sua presenza agli altri automezzi che procedono nello stesso senso di marcia. Per segnalare le eventuali svolte l'auto ha inoltre le cosiddette «frecce», di solito di colore arancione, poste davanti, inserite nelle stesse luci di posizione, sui fianchi e accanto alle luci posteriori. Esse sono facilmente visibili perché, oltre il colore particolare, si accendono in modo intermittente.
Una funzione particolarmente importante, sempre attiva sia di giorno che di notte, compiono le luci di arresto, comunemente chiamate «stop» Esse sono inserite nell'insieme che costituisce le luci posteriori e sono collegate ai freni.
Per segnalare agli automezzi che seguono non solo un brusco arresto ma anche una leggerissima frenata, gli stop si accendono emanando una vivida luce rossa non appena il conducente ha esercitato una pressione di qualsiasi entità sul pedale del freno.

PERCHÉ L'AUTOMOBILE PUO' MUTARE DIREZIONE?

In un automezzo la coppia di ruote posteriori è fissa mentre quella anteriore è mobile. Tutti sanno il perché: il conducente, girando il volante, può variare opportunamente la posizione delle ruote anteriori e far sì che l'auto effettui delle curve. Il meccanismo che serve a dirigere l'auto si chiama sterzo ed è composto da un volante di direzione che fa girare un'asta d'acciaio contenuta in un tubo. All'estremità, l'asta, chiamata in termine tecnico «piantone», porta una «vite senza fine» che, girando insieme al volante, fa muovere un settore circolare dentato, che comanda due tiranti ognuno dei quali muove una ruota.
Ad ogni piccolo movimento del volante corrisponde quindi un equivalente moto rotatorio della vite senza fine, lo spostamento di uno o più denti del settore dentato e conseguentemente dei bracci articolati a cui sono attaccate le ruote.
Questo è il semplice funzionamento dello sterzo di un autoveicolo. Ma occorre considerare un'altra interessante particolarità che si riferisce al comportamento delle ruote in curva.
Le ruote, mosse dal motore alla stessa velocità in un percorso rettilineo, in curva devono variare la velocità. Per capire il principio basta aver osservato una compagnia di soldati in marcia: quando il quadrato deve girare, per mantenere le file ben allineate, i soldati che si trovano dalla parte verso cui viene effettuata la svolta segnano il passo mentre quelli che si trovano all'esterno devono allungarlo. Non appena l'intero quadrato ha mutato direzione, tutti riprendono a marciare regolarmente.
Anche l'auto, in curva, presenta lo stesso comportamento. La ruota motrice posteriore che si trova all'interno riduce il numero di giri, quella all'esterno li aumenta. Se ciò non avvenisse sarebbe molto difficile mantenere l'auto in curva poiché le ruote, girando alla stessa velocità, tenderebbero a proiettarla fuori strada forzandola a tenere una direzione rettilinea.
A questa funzione è preposto un meccanismo chiamato «differenziale», un insieme di ingranaggi capace, in curva, di far recuperare alla ruota esterna i giri perduti dalla ruota interna.

PERCHÉ METTIAMO L'OLIO NEL MOTORE?

Parlando del funzionamento del motore della automobile abbiamo detto come la scintilla di una candela faccia esplodere una miscela di benzina ed aria e come lo scoppio imprima una spinta al pistone.
Questa spinta, trasmessa ad un braccio chiamato biella, viene comunicata ad un albero metallico che, posto in rotazione, grazie ad un insieme di ingranaggi, consente alle ruote di girare a velocità variabili e al mezzo di muoversi. Pistone, bielle, albero-motore, ingranaggi, ogni parte metallica in movimento nel motore è soggetto a riscaldarsi e, conseguentemente, a dilatarsi. Provate ad immaginare che cosa avverrebbe se questo inconveniente non fosse eliminato: dopo qualche chilometro due pezzi vicini, le cui superfici si muovono l'una in contatto con l'altra, a causa dell'attrito si scaldano a dismisura, si dilatano e finiscono per «grippare», per unire, cioè, saldamente le superfici in contatto bloccando il funzionamento del motore.
Per fare in modo che le parti metalliche del motore possano ruotare o muoversi liberamente occorre lubrificarle costantemente con olio.
Abbiamo già detto come l'olio, grazie alla sua viscosità, possa tendersi eccezionalmente fino a formare una sottilissima pellicola: la lubrificazione delle parti metalliche del motore sfrutta proprio questa proprietà dell'olio che, scorrendo tra di esse sotto forma di pellicola isolante, separa le superfici metalliche evitando il contatto diretto tra loro.
Grazie alla sua untuosità, inoltre, l'olio favorisce lo scorrimento dei pezzi e, raffreddato dall'acqua (della cui funzione parleremo tra poco), contribuisce al raffreddamento costante delle parti lubrificate.
L'olio viene immerso in una «coppa» posta nella parte inferiore del motore: il motore stesso, girando, aziona una pompa che aspira il lubrificante e lo spinge a forza tra le parti metalliche in movimento; l'olio, infine, ritorna nella coppa per effetto della gravità, per naturale caduta e inizia nuovamente il ciclo.

PERCHÉ SI METTE L'ACQUA NEL RADIATORE?

Abbiamo appena detto che le parti metalliche del motore in movimento, a causa del forte attrito, si riscaldano a dismisura: il notevole riscaldamento provoca la dilatazione del metallo e due superfici in contatto finiscono prima o poi per «grippare».
L'olio costituisce sì un notevole mezzo di protezione, ma da solo non potrebbe bastare: in breve, infatti, il calore eccessivo lo brucia e gli impedisce così di compiere la sua funzione.
Ed ecco perché, in ogni automezzo, esiste un impianto di raffreddamento che consente di mantenere il motore in movimento ad una temperatura non eccessivamente elevata.
Nella maggior parte dei motori il raffreddamento è affidato all'acqua.
L'acqua viene messa in un serbatoio collegato con un radiatore, un insieme di tubicini di piccola sezione. Il motore, girando, aziona una pompa che aspira l'acqua dal radiatore e la immette a forza negli appositi canali di raffreddamento scavati opportunamente nel motore in corrispondenza delle parti in cui avviene il maggior attrito. L'acqua a contatto con le parti metalliche roventi, toglie loro il calore eccessivo e si riscalda. Dopo aver percorso i canali scavati nel motore entra nuovamente nel radiatore e prende a scendere lentamente nei tubicini. Grazie alla lenta caduta, al vento che batte sul radiatore dell'auto in corsa e ad una ventola che, girando velocissima, indirizza un getto d'aria continuo sui tubicini, l'acqua si raffredda, viene raccolta nella parte inferiore del radiatore e nuovamente pompata nel motore dove attinge nuovo calore... e così via.
L'impianto di raffreddamento come è facile intuire, riveste un'importanza fondamentale nella automobile, per il buon funzionamento del motore.
Le parti metalliche convenientemente raffreddate possono prolungare il movimento e l'attrito senza «grippare» ed un buon raffreddamento inoltre, mantiene l'olio nella sua naturale integrità così che possa compiere completamente la sua funzione lubrificante.
Non tutti i motori, comunque, utilizzano l'acqua per il raffreddamento: alcuni tipi, infatti, hanno un impianto di raffreddamento ad aria, che viene convogliata nel motore e strappa il calore eccessivo alle parti metalliche in attrito.

PERCHÉ METTIAMO LE CATENE ALLE RUOTE QUANDO NEVICA?

Parlando dei pneumatici abbiamo detto come i solchi scolpiti nella gomma funzionino come delle ventose aumentando 1' aderenza delle gomme sulla strada. Quando il battistrada è consumato, infatti. la vettura ha una «tenuta» assai limitata poiché le gomme liscie scivolano più facilmente sul terreno e il procedere si fa pericoloso.
Quando nevica, anche se la nostra vettura ha le gomme nuove con il battistrada intatto, è come se questo non ci fosse: la neve, infatti, riempie i solchi delle gomme rendendole affatto lisce.
In più occorre considerare che la neve, ghiacciando, non costituisce certo un fondo stradale ideale! Viaggiare, allora, diventa un vero problema. In questo caso l'uomo avvolge le ruote con delle catene le quali non solo limitano l'accumularsi della neve sui pneumatici ma, mordendo la coltre nevosa che ricopre la strada come un insieme di rampini, consente di procedere, se pure a velocità ridotta, senza pericolo di sbandamenti.

PERCHÉ LE MACCHINE DA CORSA SONO BASSE E LARGHE?

Le macchine da corsa, dovendo raggiungere altissime velocità, devono possedere il loro centro di gravità il più possibile vicino al suolo; questa è la ragione per cui esse si presentano così basse. Infatti, se tra il telaio ed il suolo vi fosse uno spazio rilevante, l'eccezionale massa d'aria che vi penetra, raggiungendo il mezzo velocità notevolissime, renderebbe assai precaria la sua stabilità, spingendolo a decollare come un aereoplano.
Sempre per garantire sicurezza e stabilità le auto da corsa sono, oltre che basse, anche larghe, così da poggiare su di una superficie più ampia possibile: ciò torna utile soprattutto in curva dove il mezzo deve vincere la forza centrifuga tanto più rilevante quanto maggiore è la sua velocità.
La notevole distanza delle ruote tra loro consente, infatti, di sopportare il forte attrito causato dalla curva e di mantenere l'equilibrio: se invece le ruote fossero troppo vicine, com'è facilmente intuibile, il mezzo sarebbe portato a rotolare, per effetto della forza centrifuga.
La carrozzeria, insieme naturalmente a tutte le parti meccaniche, in un'auto da corsa è studiata accuratamente: oltre a rispondere a determinate proporzioni in virtù delle quali, come abbiamo visto, si presenta larga e schiacciata sul terreno, la sua forma è appositamente studiata affinché consenta la maggiore penetrazione possibile nella aria, ed è per questo che molto si avvicina alla forma ottimale suggerita dall'aereodinamica.
Modello tridimensionale di Bugatti da competizione

Modello tridimensionale di Alfa Romeo 2300 da competizione

Modello tridimensionale di Bentley da competizione

Modello tridimensionale della Bugatti EB 110

PERCHÉ SI FANNO LE CORSE AUTOMOBILISTICHE?

Più volte abbiamo avuto occasione di osservare come sia insito nella natura dell'uomo competere con i propri simili e con la natura per mettere a dura prova le sue capacità, il suo coraggio, le sue conoscenze tecniche. Lo sport, anche se questo comporta rischi particolarmente gravi, esprime questo antico umano comportamento, dettato in ogni individuo singolo dal desiderio di provare a se stesso la capacità di vincere la paura e di affermare la propria superiorità sugli altri.
Dal giorno in cui un'automobile cominciò a percorrere faticosamente le strade polverose si cominciò a pensare alla competizione: non appena due automobili si incontrarono lungo quelle strade, la gara automobilistica in pratica esisteva già.
Si distinguono tre forme precise di gara automobilistica: la prima si riferisce alla conquista del record di velocità; questa pericolosissima gara viene effettuata da un solo uomo contro il tempo, l'attrito, la resistenza delle strutture e delle parti meccaniche. Le auto sono appositamente costruite per vincere le tremende sollecitazioni a cui sono sottoposte e i motori impiegati sono generalmente motori d'aereo: il record supera di molto i seicento chilometri orari.
La seconda è la classica gara di velocità tra autovetture, che si svolge in un autodromo dove il pilota combatte contro gli altri piloti e vince grazie al suo coraggio, alla sua abilità ed alla buona messa a punto della vettura.
Questa gara contempla molteplici e gravi rischi che portano annualmente alla morte di molti piloti e, non di rado, di molti spettatori.
In virtù del progresso tecnico sempre crescente che porta alla fabbricazione di vetture sempre più perfette e più veloci, i rischi di questo tipo di competizioni aumentano ogni anno di più. Molti lottano per l'abolizione delle gare automobilistiche proprio per evitare lo spreco di vite umane ma, sia perché si ritiene necessario considerare le corse come un banco di prova per i nuovi modelli, per i nuovi materiali e per le parti meccaniche, sia perché non è facile estinguere nell'animo umano il desiderio di competere anche e soprattutto pericolosamente, le corse automobilistiche continuano anche se si cerca con ogni mezzo di eliminare tutti i rischi possibili.
La terza forma di gara, infine, è la cosiddetta «gara di regolarità», aperta alle vetture sportive e «turismo», che consiste nel percorrere un determinato itinerario attraverso dati punti di passaggio in base alle medie orarie stabilite per ogni tratto di percorso da apposite tabelle di marcia.
 

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