I Grandi Classici Cultura I mille perche Astronomia L'Astronomia

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I Grandi Classici Cultura I mille perche Astronomia L'Astronomia














I Grandi Classici Le Mille e Una Notte I MILLE PERCHE' ASTRONOMIA L'ASTRONOMIA

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PERCHÉ LE COMETE HANNO LA CODA?

Tra i corpi celesti che più o meno periodicamente possiamo osservare dalla Terra, ve ne sono alcuni che per il loro aspetto e per il loro particolare comportamento si differenziano dagli altri astri e ci meravigliano per la straordinaria bellezza: le comete.
Esse appaiono formate da un nucleo centrale piuttosto brillante, circondato da un alone dalla luminosità nebulosa, detta «chioma» (latino «coma» da cui il nome «comete»). Alla «testa», all'insieme cioè formato dal nucleo e dalla chioma, è annessa, nella direzione opposta al Sole, una striscia luminosa e chiaramente trasparente: la coda.
Vi sono comete che fanno parte del sistema solare, come la Terra e gli altri pianeti, e descrivono intorno al Sole delle orbite ellittiche più o meno eccentriche: per questo la loro apparizione avviene ad intervalli più o meno lunghi, in rapporto alla grandezza dell'orbita che percorrono.
Fra queste ricordiamo la cometa di Encke che impiega tre anni e 104 giorni fra due apparizioni consecutive, la cometa di Halley che dal 1456 si presenta regolarmente ogni settantasei anni. L'ultima volta che questa fece la sua apparizione, il 18 maggio 1910, la Terra passò un brutto quarto d'ora: questo gigantesco proiettile dal nucleo largo un milione di chilometri e una coda lunga 70 milioni di chilometri, sfiorò fortunatamente il nostro pianeta con la parte esterna della coda senza causare danni.
Ricordiamo, infine, la cometa di Biela che, fino al 1852, si fece vedere ogni sette anni circa: poi non la si è più vista e si presume che sia andata distrutta. Vi sono anche comete che non appartengono al sistema solare e che provengono dallo spazio. Queste, entrando temporaneamente a far parte del nostro sistema, si rendono visibili ma, possedendo orbite estremamente allungate, una volta passate vicino al Sole fuggono nella direzione opposta e non fanno più ritorno.
Le comete che appartengono stabilmente al sistema solare si chiamano «comete periodiche»; le altre, invece, comete «non periodiche».
È interessante sapere, però, che le orbite delle comete periodiche, intersecando talvolta le orbite dei pianeti, possono subire perturbazioni tali da far cambiare direzione alle comete trasformandole addirittura in comete periodiche.
Gli studiosi hanno potuto osservare circa 1500 comete e, grazie ai loro rilevamenti spettroscopici, hanno potuto conoscere la loro probabile costituzione chimica e fisica.
Si è potuto stabilire così che in esse si trovano gas come l'idrogeno, l'elio e il carbonio e minerali come il sodio, il ferro, il nichel, il cromo etc. Si è anche costatato che pur raggiungendo gigantesche dimensioni la loro massa è relativamente minima in quanto il solo nucleo è formato da materiale di una certa consistenza, mentre il resto, chioma e coda, è costituito da materia cosmica assai leggera, assai meno densa dell'aria che respiriamo.
La luminosità delle comete sembra dovuta solo in parte alla luce del Sole riflessa, mentre sembra accertato che per più gran parte sia dovuta alla luminescenza dei gas cometari provocata dall'urto dei raggi emessi dal Sole, soprattutto gli ultravioletti. In questo modo si spiegano, infatti, non solo le forti variazioni nella luminosità che le comete subiscono in vicinanza del Sole ma anche la direzione della coda, volta sempre dalla parte opposta all'astro, come se le radiazioni solari intervenissero sulla leggerissima composizione della materia cosmica che forma la coda, spingendola lontano dal Sole.

PERCHÉ C'È LA VIA LATTEA?

Tutte le stelle visibili ad occhio nudo ed anche quelle visibili con il telescopio, fanno parte di un enorme ammasso stellare detto Galassia, comunemente noto anche come Via Lattea, arco biancastro e lattiginoso che attraversa la volta celeste da un estremo all'altro dell'orizzonte.
Il nostro sistema solare vi è incluso e non ne è certo un importante componente: la nostra Galassia, infatti, contiene circa 200 miliardi di stelle!
Ha una forma simile ad una lente biconvessa, estesa per circa 200.000 anni-luce nel senso del diametro maggiore e per circa 20.000 anni-luce nel senso del diametro minore.
Il Sole dista dal centro della Galassia circa 30.000 anni-luce e gira intorno a questo centro con una velocità di 250 chilometri al secondo. Nonostante questa rispettabile velocità il Sole, date le dimensioni della Galassia, per compiere un intero giro impiega 200 milioni di anni.
La Galassia, però, non è l'unico ammasso stellare esistente nel Cosmo. Il telescopio ci ha mostrato nello spazio esterno alla Galassia altre «galassie», altri ammassi stellari chiamati «nebulose extragalattiche» o «isole-universo», che distano dalla Terra da un milione ad un miliardo di anni-luce.
Grazie ai potenti telescopi si è potuto contare più di due milioni di isole-universo e le nostre attuali conoscenze astronomiche ci permettono di concepire una particolare gerarchia nella distribuzione degli astri nel Cosmo.
Il Sole con i suoi pianeti forma un «sistema», il sistema solare con i restanti 200 miliardi di stelle un «universo stellare» detto Galassia e la nostra Galassia con le altre galassie forma il Cosmo, qualcosa che per la sua immensità va al di là della più fervida immaginazione.
Trapani La riparazione in orbita del telescopio Hubble

PERCHÉ CI SONO LE COSTELLAZIONI?

Le stelle, pur seguendo il moto apparente della sfera celeste, mantengono pressoché invariate le distanze tra l'una e l'altra e perciò si chiamano «stelle fisse». Per questa loro stabilità possono essere riunite in raggruppamenti convenzionali, noti con il nome di «costellazioni».
Le costellazioni, che ancor oggi vengono indicate con la nomenclatura fissata dalla fervida fantasia degli antichi, sono circa un centinaio e si distinguono in rapporto alla loro posizione nel cielo in: zodiacali, boreali e australi.
Le costellazioni zodiacali si trovano in una fascia larga 18 gradi detta Zodiaco, divisa in due parti uguali dalla linea tracciata dal percorso del Sole (eclittica solare).
Le costellazioni dello Zodiaco sono: Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone e Vergine contenute nella parte boreale dello Zodiaco; Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario e Pesci contenute nella parte australe dello Zodiaco.
Esse corrispondono ai dodici mesi dell'anno poiché in ognuna di esse si viene a trovare il Sole nel suo moto annuale apparente (dovuto, come si sa, al moto di rivoluzione della Terra).
Tra le costellazioni boreali, poste cioè nell'emisfero settentrionale della sfera celeste, ricordiamo l'Orsa maggiore e l'Orsa minore con la Stella Polare che, come voi saprete, indica il Polo Nord della sfera celeste; quindi la costellazione di Ercole verso cui si sposta il sistema solare, Lira in cui si trova la stella Vega, Pegaso a cui appartiene la Stella Enif, Andromeda, Cigno etc.
Tra le costellazioni australi, poste cioè nell'emisfero meridionale della sfera celeste, ricordiamo la Croce del Sud molto ricca di stelle e assai prossima al Polo Sud della sfera celeste, Centauro in cui si trovano le Stelle Alfa e Proxima Centauri, Cane maggiore alla quale appartiene la stella considerata la più bella dell'emisfero australe: Sirio.

PERCHÉ LE STELLE NON BRILLANO DI GIORNO?

Le stelle, abbiamo detto, sono corpi celesti posti ad enormi distanze dalla Terra, capaci di produrre luce propria. Abbiamo anche detto che la stella più vicina alla Terra è il Sole, dal quale il nostro pianeta trae energia e vita. Di giorno, quando un emisfero terrestre è illuminato dal Sole, la sua luce, grazie alla vicinanza con la Terra, supera in intensità ogni altra luce proveniente dal cosmo. Quindi non è vero che le stelle non brillano di giorno: solo non possiamo vederle poiché la loro luce, pur potente (anche più di quella del Sole), giunge sulla Terra flebile e fiacca, a causa delle distanze enormi che ci separano da esse, soffocata e vinta da quella del Sole.
Solo di notte, dunque, quando il Sole illumina l'altro emisfero ed è nascosto alla nostra vista possiamo vedere le stelle brillare.

PERCHÉ ALTRI PIANETI POTREBBERO ESSERE ABITATI?

I pianeti, come senz'altro saprete, sono quei corpi celesti più piccoli delle stelle che non posseggono luce propria ma la ricevono dall'astro intorno al quale girano. Si possono distinguere nel cielo perché, naturalmente, non hanno una luminosità continua e scintillante come quella delle stelle (perché, appunto, è luce riflessa) e poi perché cambiano continuamente posizione al contrario delle stelle fisse.
Moltissimi devono essere i pianeti che girano intorno alle stelle ma, a causa dell'enorme distanza che ci separa da essi e delle loro ridotte dimensioni, non possiamo avere notizie intorno alla loro condizione neppure tramite i telescopi più potenti.
Conosciamo la loro esistenza, infatti, soprattutto perché, quando passano davanti ad una stella, il loro corpo opaco determina una variazione nello splendore dell'astro.
Per quanto riguarda i pianeti, dunque, dobbiamo limitare le nostre possibilità di indagine e di conoscenza ai pianeti del sistema solare.
I pianeti, per il fatto di non essere ammassi di materia incandescente, possono presentare delle condizioni adatte alla vita.
La presenza di atmosfera e il determinarsi di temperature e di pressioni accettabili possono in teoria consentire la formazione e lo sviluppo di esseri viventi.
Nel nostro sistema solare, oltre alla Terra, anche altri pianeti possiedono un'atmosfera benché diversa dalla nostra e composta in prevalenza di anidride carbonica: le indagini più accurate però sembrano escludere per il momento forme di vita nel senso terrestre del termine.
Occorre però dire subito che la forma, le dimensioni e le caratteristiche che contraddistinguono gli esseri viventi che abitano la Terra dipendono dall'incontro di fattori diversi quali le dimensioni del nostro pianeta e le conseguenti condizioni relative alla gravità, la composizione dell'atmosfera, la pressione da essa esercitata sugli esseri viventi, la temperatura media (10 gradi) che il Sole determina sulla superficie terrestre e così via.
Teoricamente non si può escludere che su alcuni pianeti del sistema solare (ad es. Marte) variando notevolmente il valore di tutti questi fattori, possano esistere forme di vita a noi sconosciute anche se assai diverse dalle nostre.
Chi può escludere categoricamente, poi, che nei moltissimi pianeti esistenti nella nostra galassia e nelle altre galassie non si siano verificate condizioni analoghe a quelle toccate in sorte alla Terra nei lontanissimi tempi della sua formazione e che quindi in uno o più luoghi della immensità cosmica esistano forme di vita simili alle nostre?
È un problema tutt'oggi assai controverso, un problema lasciato completamente alla soggettiva discrezione delle coscienze, in quanto la scienza fino ad oggi non ha potuto dimostrare la presenza di altre forme di vita nell'universo eccetto quelle esistenti sulla Terra.
Si può pensare, quindi, forse pretenziosamente, che gli uomini siano gli unici esseri intelligenti del creato... oppure che Dio abbia reso abitabili ed abitati altri mondi ponendoli in gara col nostro per vedere quale, tra tutti, risulti il migliore. A voi la scelta.

PERCHÉ MOLTI CORPI CELESTI SI MUOVONO DESCRIVENDO DELLE ORBITE?

Tra i corpi celesti immersi nel Cosmo, esiste un equilibrio dinamico che assicura, tramite leggi ferree, l'ordine e l'armonia di tutto l'universo. Prendiamo i pianeti del sistema solare: essi ruotano intorno al Sole descrivendo delle orbite ben definite.
Queste orbite sono raffigurate geometricamente da un figura piana, detta ellisse: in questa figura dall'aspetto ovoidale si distinguono due «fuochi», posti sull'asse maggiore.
Si deve a Keplero (1571-1630) la scoperta che le orbite descritte dai pianeti sono appunto delle ellissi di cui il Sole occupa uno dei fuochi. La stessa legge vale anche per i satelliti rispetto ai loro pianeti i quali prendono il posto dell'astro. Keplero, però, nell'enunciare questa legge, non indicò la causa che determina il particolare comportamento dei pianeti e dei satelliti.
Perché, dunque, i pianeti descrivono delle orbite ellittiche intorno al loro astro senza mai cambiar percorso nello spazio?
Spetta a Isacco Newton (1642-1727) il merito di aver saputo trovare l'interpretazione dinamica delle leggi di Keplero, introducendo la ormai famosa «forza di attrazione» tra i corpi celesti come base dell'equilibrio dinamico dell'universo. Nacque così la fondamentale legge della gravitazione universale valida sia per il sasso che cade dall'alto sulla terra sia per il pianeta che gira intorno al proprio astro.
Questa legge, nella sua enunciazione più semplice, dice che la forza d'attrazione tra due corpi è uguale al prodotto delle loro masse diviso il quadrato della distanza.
In tempi recenti, sorta la necessità di coordinare i fenomeni meccanici dell'universo con quelli elettromagnetici, è stata formulata da Einstein una teoria unitaria che pur lasciando invariata l'antica formula ne ha ampliato il significato. Le ardite vedute del «genio» dei tempi moderni mirano ad abolire la tradizionale indipendenza dello spazio e del tempo e a ritenere queste unità di misura una cosa unica, indissolubilmente legata alla materia, per cui la gravitazione verrebbe ad essere una proprietà ed una caratteristica metrica dell'universo.

PERCHÉ L'ANNO HA 365 GIORNI?

Fin dai tempi più antichi l'uomo ha compreso l'importanza del tempo, la necessità cioè di prender coscienza della periodicità delle manifestazioni metereologiche, climatiche e biologiche. Per far ciò si è servito di punti di riferimento offerti dalla natura stessa. Il susseguirsi e la durata del moto apparente del cielo, o meglio della rotazione terrestre, hanno costituito il suo primordiale orologio.
Quindi, basandosi sulla periodicità delle lunazioni e dei cicli stagionali, si è servito anche della durata del moto di rivoluzione del nostro pianeta intorno al Sole.
Sono nate così le due unità fondamentali di misura del tempo, il giorno e l'anno, il primo uguale alla durata del moto di rotazione, il secondo uguale alla durata del moto di rivoluzione della Terra, su cui ancor oggi è fondato il nostro calendario.
Il giorno solare od astronomico è l'intervallo di tempo compreso fra due passaggi consecutivi del Sole sullo stesso meridiano: la sua durata media è di 24 ore.
Precisando, infatti, che il giorno solare vero non ha una durata media costante e che la Terra cioè, procedendo con velocità variabile nei vari punti della sua orbita ellittica, vede il Sole al culmine in anticipo di 4 minuti nei primi giorni di gennaio (perielio) e in ritardo di 4 minuti nei primi giorni di luglio (apelio), è sorta la necessità di trovare una unità di misura costante: ed è così che si è scelto il «giorno solare medio» che rappresenta la media aritmetica di tutti i giorni solari dell'anno.
Questo, dunque, si divide in 24 ore, di cui ogni ora, si divide, a sua volta in 60 minuti primi, e ciascuno di questi in 60 minuti secondi.
È interessante ricordare che la misurazione del giorno basata sul movimento della Terra non è perfettamente esatta: si è potuto stabilire che la lunghezza del giorno aumenta di circa due millesimi di secondo ogni secolo a causa delle maree che frenano il moto di rotazione del nostro pianeta.
L'anno solare, l'altra fondamentale unità di tempo, che misura la durata della rivoluzione della Terra intorno al Sole e precisamente il periodo di tempo compreso fra due passaggi successivi del Sole all'equinozio di primavera, dura esattamente 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi, in giorni solari medi.
Per comodità pratica l'anno è convenzionalmente stabilito in 365 giorni ma, ogni 4 anni, per recuperare le sei ore circa, tralasciate, l'anno dura 366 giorni e si chiama «anno bisestile». Questa trovata si deve a Giulio Cesare che inserì il nuovo giorno in Febbraio, nel mese «corto e maledetto» per i Romani, mese dedicato agli dei dell'inferno.
Per non andar contro alla superstizione del popolo che voleva i mesi dei giorni pari dedicati agli inferi, Cesare non aggiunse un 29° giorno, ma si limitò a raddoppiare il 24 di questo mese ossia il sesto giorno prima delle calende di Marzo, che diventò «bisextus ante calendas martias», e da cui deriva l'attuale termine «bisestile».
Il calendario giuliano però, nell'inserire un giorno ogni 4 anni, non tenne conto dei 12 minuti mancanti all'anno solare per essere esattamente formato da 365 giorni e 6 ore.
In 15 secoli questa differenza aveva portato ad un ritardo di 10 giorni.
A ciò provvide Papa Gregorio XIII che nel 1582 corresse questa differenza ordinando che si saltassero i 10 giorni di divario e stabilendo che degli anni secolari fosse bisestile uno ogni quattro: così il 1600 è stato bisestile, il 1700, il 1800 e il 1900 no, mentre sarà bisestile l'anno 2000.

PERCHÉ L'ANNO È FORMATO DA 12 MESI?

L'anno, che abbiamo visto diviso in 365 giorni e 6 ore circa, è l'unità di misura che si basa sul moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole.
Per dividere l'anno si usa anche un'altra unità di misura: il mese che si basa sul moto di rivoluzione della Luna intorno alla Terra.
Il valore medio dell'intervallo di tempo che passa fra due congiunzioni successive della Luna con il Sole (rispetto naturalmente alla Terra) è di 29 giorni, 12 ore e 44 minuti e prende il nome di mese lunare o «lunazione».
In un anno avvengono perciò 12 lunazioni corrispondenti ai 12 mesi del calendario: l'anno lunare naturalmente è più breve di circa 11 giorni dell'anno solare. Il numero dei giorni che, al 31 dicembre, sono trascorsi dopo l'ultimo novilunio (fase della Luna in congiunzione col Sole, inizio della lunazione) si chiama «epatta» e indica la cosiddetta «età della Luna», al 31 dicembre di ogni anno.
Come i mesi sono basati sull'intero ciclo della lunazione, così le settimane sono fondate sulla durata delle varie fasi lunari (novilunio, primo quarto, plenilunio, ultimo quarto) ma sia gli uni che le altre nel computo convenzionale non corrispondono esattamente ai periodi astronomici da cui derivano.

PERCHÉ CI SONO I FUSI ORARI?

L'ora solare media è la stessa per tutti i punti della superficie terrestre situati sul meridiano e si chiama «ora locale».
Ciò determina una variazione d'ora tra luoghi diversi della stessa nazione. Se ad esempio a Roma è mezzogiorno, in Puglia il mezzogiorno è già passato e in Liguria deve ancora arrivare. L'impiego dell'ora locale si protrasse in passato finché i vari centri urbani vivevano di vita propria ma non appena gli scambi commerciali si intensificarono sorse la necessità di uniformare l'ora in uno stesso territorio politico.
Nacque così l'ora nazionale regolata sull'ora media del meridiano passante per la capitale dei vari stati.
Ma con lo sviluppo dei rapporti internazionali anche l'ora nazionale si dimostrò insufficiente e per questo si è convenzionalmente introdotta anche un'ora internazionale, regolata in base ai cosiddetti «fusi orari».
Questo sistema divide la Terra in 24 spicchi ognuno dei quali è delimitato da due meridiani che distano l'uno dall'altro 15° di longitudine (360 gradi l'intero globo, diviso per 24, dà appunto 15 gradi). Poiché ad ogni grado corrisponde un meridiano, un fuso orario comprende perciò 15 meridiani.
Ora tutti i paesi situati entro uno stesso fuso si regolano sull'ora media del meridiano centrale che divide il fuso in due parti uguali, sì che la differenza oraria massima non supera la mezza ora. Ogni fuso così differisce sempre di un'ora dal precedente e dal seguente.
Il meridiano fondamentale è quello di Greenwich, a Londra.
Così il primo fuso comprende l'Inghilterra, la Francia, la Spagna, il Portogallo, etc. Il secondo fuso, che ha l'ora media del meridiano dell'Etna, comprende la Svezia, la Norvegia, la Germania, la Svizzera l'Italia e così via...

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