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Letteratura I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni Capitolo V
Letteratura I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni Capitolo V
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I PROMESSI SPOSI di Alessandro Manzoni - CAPITOLO V
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Il qual padre Cristoforo si fermò ritto sulla soglia, e, appena ebbe data
un'occhiata alle donne, dovette accorgersi che i suoi presentimenti non eran
falsi. Onde, con quel tono d'interrogazione che va incontro a una trista
risposta, alzando la barba con un moto leggiero della testa all'indietro,
disse: - ebbene? - Lucia rispose con uno scoppio di pianto. La madre
cominciava a far le scuse d'aver osato... ma il frate s'avanzò, e, messosi a
sedere sur un panchetto a tre piedi, troncò i complimenti, dicendo a Lucia:
- quietatevi, povera figliuola. E voi, - disse poi ad Agnese, - raccontatemi
cosa c'è! - Mentre la buona donna faceva alla meglio la sua dolorosa
relazione, il frate diventava di mille colori, e ora alzava gli occhi al
cielo, ora batteva i piedi. Terminata la storia, si coprí il volto con le
mani, ed esclamò: - o Dio benedetto! fino a quando...! - Ma, senza compir la
frase, voltandosi di nuovo alle donne: - poverette! - disse: - Dio vi ha
visitate. Povera Lucia!
- Non ci abbandonerà, padre? - disse questa, singhiozzando.
- Abbandonarvi! - rispose. - E con che faccia potrei io chieder a Dio
qualcosa per me, quando v'avessi abbandonata? voi in questo stato! voi,
ch'Egli mi confida! Non vi perdete d'animo: Egli v'assisterà Egli vede
tutto: Egli può servirsi anche d'un uomo da nulla come son io, per
confondere un... Vediamo, pensiamo quel che si possa fare.
Cosí dicendo, appoggiò il gomito sinistro sul ginocchio, chinò la fronte
nella palma, e con la destra strinse la barba e il mento, come per tener
ferme e unite tutte le potenze dell'animo. Ma la piú attenta considerazione
non serviva che a fargli scorgere piú distinta mente quanto il caso fosse
pressante e intrigato, e quanto scarsi, quanto incerti e pericolosi i
ripieghi. «Mettele un po' di vergogna a don Abbondio, e fargli sentire
quanto manchi al suo dovere? Vergogna e dovere sono un nulla per lui, quando
ha paura. E fargli paura? Che mezzi ho io mai di fargliene una che superi
quella che ha d'una schioppettata? Informar di tutto il cardinale
arcivescovo, e invocar la sua autorità? Ci vuol tempo: e intanto? e poi?
Quand'anche questa povera innocente fosse maritata, sarebbe questo un freno
per quell'uomo? Chi sa a qual segno possa arrivare?... E resistergli? Come?
Ah! se potessi, pensava il povero frate, se potessi tirar dalla mia i miei
frati di qui, que' di Milano! Ma! non è un affare comune; sarei abbandonato.
Costui fa l'amico del convento, si spaccia per partigiano de' cappuccini: e
i suoi bravi non son venuti piú d'una volta a ricoverarsi da noi? Sarei solo
in ballo; mi buscherei anche dell'inquieto, dell'imbroglione,
dell'accattabrighe; e, quel ch'è piú, potrei fors'anche, con un tentativo
fuor di tempo, peggiorar la condizione di questa poveretta». Contrappesato
il pro e il contro di questo e di quel partito, il migliore gli parve
d'affrontar don Rodrigo stesso, tentar di smoverlo dal suo infame proposito,
con le preghiere, coi terrori dell'altra vita, anche di questa, se fosse
possibile. Alla peggio, si potrebbe almeno conoscere, per questa via, piú
distintamente quanto colui fosse ostinato nel suo sporco impegno, scoprir di
piú le sue intenzioni, e prender consiglio da ciò.
Mentre il frate stava cosí meditando, Renzo, il quale, per tutte le ragioni
che ognun può indovinare, non sapeva star lontano da quella casa, era
comparso sull'uscio; ma, visto il padre sopra pensiero, e le donne che
facevan cenno di non disturbarlo, si fermò sulla soglia, in silenzio.
Alzando la faccia, per comunicare alle donne il suo progetto, il frate
s'accorse di lui, e lo salutò in un modo ch'esprimeva un'affezione consueta,
resa piú intensa dalla pietà.
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- Le hanno detto..., padre? - gli domandò Renzo, con voce commossa.
- Pur troppo; e per questo son qui.
- Che dice di quel birbone...?
- Che vuoi ch'io dica di lui? Non è qui a sentire: che gioverebbero le mie
parole? Dico a te, il mio Renzo, che tu confidi in Dio, e che Dio non
t'abbandonerà.
- Benedette le sue parole! - esclamò il giovane. - Lei non è di quelli che
dan sempre torto a' poveri. Ma il signor curato, e quel signor dottor delle
cause perse...
- Non rivangare quello che non può servire ad altro che a inquietarti
inutilmente. Io sono un povero frate; ma ti ripeto quel che ho detto a
queste donne: per quel poco che posso, non v'abbandonerò.
- Oh, lei non è come gli amici del mondo! Ciarloni! Chi avesse creduto alle
proteste che mi facevan costoro, nel buon tempo; eh eh! Eran pronti a dare
il sangue per me; m'avrebbero sostenuto contro il diavolo. S'io avessi avuto
un nemico?... bastava che mi lasciassi intendere; avrebbe finito presto di
mangiar pane. E ora, se vedesse come si ritirano... - A questo punto,
alzando gli occhi al volto del padre, vide che s'era tutto rannuvolato, e
s'accorse d'aver detto ciò che conveniva tacere. Ma volendo raccomodarla,
s'andava intrigando e imbrogliando: - volevo dire... non intendo dire...
cioè, volevo dire...
- Cosa volevi dire? E che? tu avevi dunque cominciato a guastar l'opera mia,
prima che fosse intrapresa! Buon per te che sei stato disingannato in tempo.
Che! tu andavi in cerca d'amici... quali amici!... che non t'avrebber potuto
aiutare, neppur volendo! E cercavi di perder Quel solo che lo può e lo
vuole! Non sai tu che Dio è l'amico de' tribolati, che confidano in Lui? Non
sai tu che, a metter fuori l'unghie, il debole non ci guadagna? E quando
pure... - A questo punto, afferrò fortemente il braccio di Renzo: il suo
aspetto, senza perder d'autorità, s'atteggiò d'una compunzione solenne, gli
occhi s'abbassarono, la voce divenne lenta e come sotterranea: - quando
pure... è un terribile guadagno! Renzo! vuoi tu confidare in me?... che dico
in me, omiciattolo, fraticello? Vuoi tu confidare in Dio?
- Oh sí! - rispose Renzo. - Quello è il Signore davvero.
- Ebbene; prometti che non affronterai, che non provocherai nessuno, che ti
lascerai guidar da me.
- Lo prometto.
Lucia fece un gran respiro, come se le avesser levato un peso d'addosso; e
Agnese disse: - bravo figliuolo.
- Sentite, figliuoli, - riprese fra Cristoforo: - io anderò oggi a parlare a
quell'uomo. Se Dio gli tocca il cuore, e dà forza alle mie parole, bene: se
no, Egli ci farà trovare qualche altro rimedio. Voi intanto, statevi quieti,
ritirati, scansate le ciarle, non vi fate vedere. Stasera, o domattina al
piú tardi, mi rivedrete -. Detto questo, troncò tutti i ringraziamenti e le
benedizioni, e partí. S'avviò al convento, arrivò a tempo d'andare in coro a
cantar sesta, desinò, e si mise subito in cammino, verso il covile della
fiera che voleva provarsi d'ammansare.
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Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d'una bicocca,
sulla cima d'uno de' poggi ond'è sparsa e rilevata quella costiera. A questa
indicazione l'anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a
scriverne alla buona il nome) era piú in su del paesello degli sposi,
discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del
poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un
mucchietto di casupole, abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la
piccola capitale del suo piccol regno. Bastava passarvi, per esser chiarito
della condizione e de' costumi del paese. Dando un'occhiata nelle stanze
terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro
schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e
fiaschetti da polvere, alla rinfusa. La gente che vi s'incontrava erano
omacci tarchiati e arcigni, con un gran ciuffo arrovesciato sul capo, e
chiuso in una reticella; vecchi che, perdute le zanne, parevan sempre
pronti, chi nulla nulla gli aizzasse, a digrignar le gengive; donne con
certe facce maschie, e con certe braccia nerborute, buone da venire in aiuto
della lingua, quando questa non bastasse: ne' sembianti e nelle mosse de'
fanciulli stessi, che giocavan per la strada, si vedeva un non so che di
petulante e di provocativo.
Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salí per una viuzza a chiocciola, e
pervenne sur una piccola spianata, davanti al palazzotto. La porta era
chiusa, segno che il padrone stava desinando, e non voleva esser
frastornato. Le rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da
imposte sconnesse e consunte dagli anni, eran però difese da grosse
inferriate, e quelle del pian terreno tant'alte che appena vi sarebbe
arrivato un uomo sulle spalle d'un altro. Regnava quivi un gran silenzio; e
un passeggiero avrebbe potuto credere che fosse una casa abbandonata, se
quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria, di fuori,
non avesser dato un indizio d'abitanti. Due grand'avoltoi, con l'ali
spalancate, e co' teschi penzoloni, l'uno spennacchiato e mezzo roso dal
tempo, l'altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un
battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche
poste a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d'esser chiamati
a goder gli avanzi della tavola del signore. Il padre si fermò ritto, in
atto di chi si dispone ad aspettare; ma un de' bravi s'alzò, e gli disse: -
padre, padre, venga pure avanti: qui non si fanno aspettare i cappuccini:
noi siamo amici del convento: e io ci sono stato in certi momenti che fuori
non era troppo buon'aria per me; e se mi avesser tenuta la porta chiusa, la
sarebbe andata male -. Cosí dicendo, diede due picchi col martello. A quel
suono risposer subito di dentro gli urli e le strida di mastini e di
cagnolini; e, pochi momenti dopo, giunse borbottando un vecchio servitore;
ma, veduto il padre, gli fece un grand'inchino, acquietò le bestie, con le
mani e con la voce, introdusse l'ospite in un angusto cortile, e richiuse la
porta. Accompagnatolo poi in un salotto, e guardandolo con una cert'aria di
maraviglia e di rispetto, disse: - non è lei... il padre Cristoforo di
Pescarenico?
- Per l'appunto.
- Lei qui?
- Come vedete, buon uomo.
- Sarà per far del bene. Del bene, - continuò mormorando tra i denti, e
rincamminandosi, - se ne può far per tutto -. Attraversati due o tre altri
salotti oscuri, arrivarono all'uscio della sala del convito. Quivi un gran
frastono confuso di forchette, di coltelli, di bicchieri, di piatti, e sopra
tutto di voci discordi, che cercavano a vicenda di soverchiarsi. Il frate
voleva ritirarsi, e stava contrastando dietro l'uscio col servitore, per
ottenere d'essere lasciato in qualche canto della casa, fin che il pranzo
fosse terminato; quando l'uscio s'aprí. Un certo conte Attilio, che stava
seduto in faccia (era un cugino del padron di casa; e abbiam già fatta
menzione di lui, senza nominarlo), veduta una testa rasa e una tonaca, e
accortosi dell'intenzione modesta del buon frate, - ehi! ehi! - gridò: - non
ci scappi, padre riverito: avanti, avanti -. Don Rodrigo, senza indovinar
precisamente il soggetto di quella visita, pure, per non so qual
presentimento confuso, n'avrebbe fatto di meno. Ma, poiché lo spensierato
d'Attilio aveva fatta quella gran chiamata, non conveniva a lui di tirarsene
indietro; e disse: - venga, padre, venga -. Il padre s'avanzò, inchinandosi
al padrone, e rispondendo, a due mani, ai saluti de' commensali.
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L'uomo onesto in faccia al malvagio, piace generalmente (non dico a tutti)
immaginarselo con la fronte alta, con lo sguardo sicuro, col petto rilevato,
con lo scilinguagnolo bene sciolto. Nel fatto però, per fargli prender
quell'attitudine, si richiedon molte circostanze, le quali ben di rado si
riscontrano insieme. Perciò, non vi maravigliate se fra Cristoforo, col buon
testimonio della sua coscienza, col sentimento fermissimo della giustizia
della causa che veniva a sostenere, con un sentimento misto d'orrore e di
compassione per don Rodrigo, stesse con una cert'aria di suggezione e di
rispetto, alla presenza di quello stesso don Rodrigo, ch'era lí in capo di
tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato d'amici, d'omaggi, di tanti
segni della sua potenza, con un viso da far morire in bocca a chi si sia una
preghiera, non che un consiglio, non che una correzione, non che un
rimprovero. Alla sua destra sedeva quel conte Attilio suo cugino, e, se fa
bisogno di dirlo, suo collega di libertinaggio e di soverchieria, il quale
era venuto da Milano a villeggiare, per alcuni giorni, con lui. A sinistra,
e a un altro lato della tavola, stava, con gran rispetto, temperato però
d'una certa sicurezza, e d'una certa saccenteria, il signor podestà, quel
medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo
Tramaglino, e a fare star a dovere don Rodrigo, come s'è visto di sopra. In
faccia al podestà, in atto d'un rispetto il piú puro, il piú sviscerato,
sedeva il nostro dottor Azzecca-garbugli, in cappa nera, e col naso piú
rubicondo del solito: in faccia ai due cugini, due convitati oscuri, de'
quali la nostra storia dice soltanto che non facevano altro che mangiare,
chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un commensale,
e a cui un altro non contraddicesse.
- Da sedere al padre, - disse don Rodrigo. Un servitare presentò una sedia,
sulla quale si mise il padre Cristoforo, facendo qualche scusa al signore,
d'esser venuto in ora inopportuna. - Bramerei di parlarle da solo a solo,
con suo comodo, per un affare d'importanza, - soggiunse poi, con voce piú
sommessa, all'orecchio di don Rodrigo.
- Bene, bene, parleremo; - rispose questo: - ma intanto si porti da bere al
padre.
Il padre voleva schermirsi; ma don Rodrigo, alzando la voce, in mezzo al
trambusto ch'era ricominciato, gridava: - no, per bacco, non mi farà questo
torto; non sarà mai vero che un cappuccino vada via da questa casa, senza
aver gustato del mio vino, né un creditore insolente, senza aver assaggiate
le legna de' miei boschi -. Queste parole eccitarono un riso universale, e
interruppero un momento la questione che s'agitava caldamente tra i
commensali. Un servitore, portando sur una sottocoppa un'ampolla di vino, e
un lungo bicchiere in forma di calice, lo presentò al padre; il quale, non
volendo resistere a un invito tanto pressante dell'uomo che gli premeva
tanto di farsi propizio, non esitò a mescere, e si mise a sorbir lentamente
il vino.
- L'autorità del Tasso non serve al suo assunto, signor podestà riverito;
anzi è contro di lei; - riprese a urlare il conte Attilio: - perché
quell'uomo erudito, quell'uomo grande, che sapeva a menadito tutte le regole
della cavalleria, ha fatto che il messo d'Argante, prima d'esporre la sfida
ai cavalieri cristiani, chieda licenza al pio Buglione...
- Ma questo - replicava, non meno urlando, il podestà, - questo è un di piú,
un mero di piú, un ornamento poetico, giacché il messaggiero è di sua natura
inviolabile, per diritto delle genti, jure gentium: e, senza andar tanto a
cercare, lo dice anche il proverbio: ambasciator non porta pena. E, i
proverbi, signor conte, sono la sapienza del genere umano. E, non avendo il
messaggiero detto nulla in suo proprio nome, ma solamente presentata la
sfida in iscritto...
- Ma quando vorrà capire che quel messaggiero era un asino temerario, che
non conosceva le prime...?
- Con buona licenza di lor signori, - interruppe don Rodrigo, il quale non
avrebbe voluto che la questione andasse troppo avanti: - rimettiamola nel
padre Cristoforo; e si stia alla sua sentenza.
- Bene, benissimo, - disse il conte Attilio, al quale parve cosa molto
garbata di far decidere un punto di cavalleria da un cappuccino; mentre il
podestà, piú infervorato di cuore nella questione, si chetava a stento, e
con un certo viso, che pareva volesse dire: ragazzate.
- Ma, da quel che mi pare d'aver capito, - disse il padre, - non son cose di
cui io mi deva intendere.
- Solite scuse di modestia di loro padri; - disse don Rodrigo: - ma non mi
scapperà. Eh via! sappiam bene che lei non è venuta al mondo col cappuccio
in capo, e che il mondo l'ha conosciuto. Via, via: ecco la questione.
- Il fatto è questo, - cominciava a gridare il conte Attilio.
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- Lasciate dir a me, che son neutrale, cugino, - riprese don Rodrigo. - Ecco
la storia. Un cavaliere spagnolo manda una sfida a un cavalier milanese: il
portatore, non trovando il provocato in casa, consegna il cartello a un
fratello del cavaliere; il qual fratello legge la sfida, e in risposta dà
alcune bastonate al portatore. Si tratta...
- Ben date, ben applicate, - gridò il conte Attilio. - Fu una vera
ispirazione.
- Del demonio, - soggiunse il podestà. - Battere un ambasciatore! persona
sacra! Anche lei, padre, mi dirà se questa è azione da cavaliere.
- Sí, signore, da cavaliere, - gridò il conte: - e lo lasci dire a me, che
devo intendermi di ciò che conviene a un cavaliere. Oh, se fossero stati
pugni, sarebbe un'altra faccenda; ma il bastone non isporca le mani a
nessuno. Quello che non posso capire è perché le premano tanto le spalle
d'un mascalzone.
- Chi le ha parlato delle spalle, signor conte mio? Lei mi fa dire
spropositi che non mi son mai passati per la mente. Ho parlato del
carattere, e non di spalle, io. Parlo sopra tutto del diritto delle genti.
Mi dica un poco, di grazia, se i feciali che gli antichi Romani mandavano a
intimar le sfide agli altri popoli, chiedevan licenza d'esporre
l'ambasciata: e mi trovi un poco uno scrittore che faccia menzione che un
feciale sia mai stato bastonato.
- Che hanno a far con noi gli ufiziali degli antichi Romani? gente che
andava alla buona, e che, in queste cose, era indietro, indietro. Ma,
secondo le leggi della cavalleria moderna, ch'è la vera, dico e sostengo che
un messo il quale ardisce di porre in mano a un cavaliere una sfida, senza
avergliene chiesta licenza, è un temerario, violabile violabilissimo,
bastonabile bastonabilissimo...
- Risponda un poco a questo sillogismo.
- Niente, niente, niente.
- Ma ascolti, ma ascolti, ma ascolti. Percotere un disarmato è atto
proditorio; atqui il messo de quo era senz'arme; ergo...
- Piano, piano, signor podestà.
- Che piano?
- Piano, le dico: cosa mi viene a dire? Atto proditorio è ferire uno con la
spada, per di dietro, o dargli una schioppettata nella schiena: e, anche per
questo, si posson dar certi casi... ma stiamo nella questione. Concedo che
questo generalmente possa chiamarsi atto proditorio; ma appoggiar quattro
bastonate a un mascalzone! Sarebbe bella che si dovesse dirgli: guarda che
ti bastono: come si direbbe a un galantuomo: mano alla spada. E lei, signor
dottor riverito, in vece di farmi de' sogghigni, per farmi capire ch'è del
mio parere, perché non sostiene le mie ragioni, con la sua buona tabella,
per aiutarmi a persuader questo signore?
- Io... - rispose confusetto il dottore: - io godo di questa dotta disputa;
e ringrazio il bell'accidente che ha dato occasione a una guerra d'ingegni
cosí graziosa. E poi, a me non compete di dar sentenza: sua signoria
illustrissima ha già delegato un giudice... qui il padre...
- E' vero; - disse don Rodrigo: - ma come volete che il giudice parli,
quando i litiganti non vogliono stare zitti?
- Ammutolisco, - disse il conte Attilio. Il podestà strinse le labbra, e
alzò la mano, come in atto di rassegnazione.
- Ah sia ringraziato il cielo! A lei, padre, - disse don Rodrigo, con una
serietà mezzo canzonatoria.
- Ho già fatte le mie scuse, col dire che non me n'intendo, - rispose fra
Cristoforo, rendendo il bicchiere a un servitore.
- Scuse magre: - gridarono i due cugini: - vogliamo la sentenza.
- Quand'è cosí, - riprese il frate, - il mio debole parere sarebbe che non
vi fossero né sfide, né portatori, né bastonate.
I commensali si guardarono l'un con l'altro maravigliati.
- Oh questa è grossa! - disse il conte Attilio. - Mi perdoni, padre, ma è
grossa. Si vede che lei non conosce il mondo.
- Lui? - disse don Rodrigo: - me lo volete far ridire: lo conosce, cugino
mio, quanto voi: non è vero, padre? Dica, dica, se non ha fatta la sua
carovana?
In vece di rispondere a quest'amorevole domanda, il padre disse una parolina
in segreto a sé medesimo: «queste vengono a te; ma ricordati, frate, che non
sei qui per te, e che tutto ciò che tocca te solo, non entra nel conto».
- Sarà, - disse il cugino: - ma il padre... come si chiama il padre?
- Padre Cristoforo - rispose piú d'uno.
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- Ma, padre Cristoforo, padron mio colendissimo, con queste sue massime, lei
vorrebbe mandare il mondo sottosopra. Senza sfide! Senza bastonate! Addio il
punto d'onore: impunità per tutti i mascalzoni. Per buona sorte che il
supposto è impossibile.
- Animo, dottore, - scappò fuori don Rodrigo, che voleva sempre piú
divertire la disputa dai due primi contendenti, - animo, a voi, che, per dar
ragione a tutti, siete un uomo. Vediamo un poco come farete per dar ragione
in questo al padre Cristoforo.
- In verità, - rispose il dottore, tenendo brandita in aria la forchetta, e
rivolgendosi al padre, - in verità io non so intendere come il padre
Cristoforo, il quale è insieme il perfetto religioso e l'uomo di mondo, non
abbia pensato che la sua sentenza, buona, ottima e di giusto peso sul
pulpito, non val niente, sia detto col dovuto rispetto, in una disputa
cavalleresca. Ma il padre sa, meglio di me, che ogni cosa è buona a suo
luogo; e io credo che, questa volta, abbia voluto cavarsi, con una celia,
dall'impiccio di proferire una sentenza.
Che si poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti da una sapienza cosí
antica, e sempre nuova? Niente: e cosí fece il nostro frate.
Ma don Rodrigo, per voler troncare quella questione, ne venne a suscitare
un'altra. - A proposito, - disse, - ho sentito che a Milano correvan voci
d'accomodamento.
Il lettore sa che in quell'anno si combatteva per la successione al ducato
di Mantova, del quale, alla morte di Vincenzo Gonzaga, che non aveva
lasciata prole legittima, era entrato in possesso il duca di Nevers, suo
parente piú prossimo. Luigi XIII, ossia il cardinale di Richelieu, sosteneva
quel principe, suo ben affetto, e naturalizzato francese: Filippo IV, ossia
il conte d'Olivares, comunemente chiamato il conte duca, non lo voleva lí,
per le stesse ragioni; e gli aveva mosso guerra. Siccome poi quel ducato era
feudo dell'impero, cosí le due parti s'adoperavano, con pratiche, con
istanze, con minacce, presso l'imperator Ferdinando II, la prima perché
accordasse l'investitura al nuovo duca; la seconda perché gliela negasse,
anzi aiutasse a cacciarlo da quello stato.
- Non son lontano dal credere, - disse il conte Attilio, - che le cose si
possano accomodare. Ho certi indizi...
- Non creda, signor conte, non creda, - interruppe il podestà. - Io, in
questo cantuccio, posso saperle le cose; perché il signor castellano
spagnolo, che, per sua bontà, mi vuole un po' di bene, e per esser figliuolo
d'un creato del conte duca, è informato d'ogni cosa...
- Le dico che a me accade ogni giorno di parlare in Milano con ben altri
personaggi; e so di buon luogo che il papa, interessatissimo, com'è, per la
pace, ha fatto proposizioni...
- Cosí dev'essere; la cosa è in regola; sua santità fa il suo dovere; un
papa deve sempre metter bene tra i principi cristiani; ma il conte duca ha
la sua politica, e...
- E, e, e; sa lei, signor mio, come la pensi l'imperatore, in questo
momento? Crede lei che non ci sia altro che Mantova a questo mondo? le cose
a cui si deve pensare son molte, signor mio. Sa lei, per esempio, fino a che
segno l'imperatore possa ora fidarsi di quel suo principe di Valdistano o di
Vallistai, o come lo chiamano, e se...
- Il nome legittimo in lingua alemanna, - interruppe ancora il podestà, - è
Vagliensteino, come l'ho sentito proferir piú volte dal nostro signor
castellano spagnolo. Ma stia pur di buon animo, che...
- Mi vuole insegnare...? - riprendeva il conte; ma don Rodrigo gli dié
d'occhio, per fargli intendere che, per amor suo, cessasse di contraddire.
Il conte tacque, e il podestà, come un bastimento disimbrogliato da una
secca, continuò, a vele gonfie, il corso della sua eloquenza. -
Vagliensteino mi dà poco fastidio; perché il conte duca ha l'occhio a tutto,
e per tutto; e se Vagliensteino vorrà fare il bell'umore, saprà ben lui
farlo rigar diritto, con le buone? o con le cattive. Ha l'occhio per tutto,
dico, e le mani lunghe; e, se ha fisso il chiodo, come l'ha fisso, e
giustamente, da quel gran politico che è, che il signor duca di Nivers non
metta le radici in Mantova, il signor duca di Nivers non ce le metterà; e il
signor cardinale di Riciliú farà un buco nell'acqua. Mi fa pur ridere quel
caro signor cardinale, a voler cozzare con un conte duca, con un Olivares.
Dico il vero, che vorrei rinascere di qui a dugent'anni, per sentir cosa
diranno i posteri, di questa bella pretensione. Ci vuol altro che invidia;
testa vuol esser: e teste come la testa d'un conte duca, ce n'è una sola al
mondo. Il conte duca, signori miei, - proseguiva il podestà, sempre col
vento in poppa, e un po' maravigliato anche lui di non incontrar mai uno
scoglio:
- il conte duca è una volpe vecchia, parlando col dovuto rispetto, che
farebbe perder la traccia a chi si sia: e, quando accenna a destra, si può
esser sicuri che batterà a sinistra: ond'è che nessuno può mai vantarsi di
conoscere i suoi disegni; e quegli stessi che devon metterli in esecuzione,
quegli stessi che scrivono i dispacci, non ne capiscon niente. Io posso
parlare con qualche cognizion di causa; perché quel brav'uomo del signor
castellano si degna di trattenersi meco, con qualche confidenza. Il conte
duca, viceversa, sa appuntino cosa bolle in pentola di tutte l'altre corti;
e tutti que' politiconi (che ce n'è di diritti assai, non si può negare)
hanno appena immaginato un disegno, che il conte duca te l'ha già
indovinato, con quella sua testa, con quelle sue strade coperte, con que'
suoi fili tesi per tutto. Quel pover'uomo del cardinale di Riciliú tenta di
qua, fiuta di là, suda, s'ingegna: e poi? quando gli è riuscito di scavare
una mina, trova la contrammina già bell'e fatta dal conte duca...
Sa il cielo quando il podestà avrebbe preso terra; ma don Rodrigo, stimolato
anche da' versacci che faceva il cugino, si voltò all'improvviso, come se
gli venisse un'ispirazione, a un servitore, e gli accennò che portasse un
certo fiasco.
- Signor podestà, e signori miei! - disse poi: - un brindisi al conte duca;
e mi sapranno dire se il vino sia degno del personaggio -. Il podestà
rispose con un inchino, nel quale traspariva un sentimento di riconoscenza
particolare; perché tutto ciò che si faceva o si diceva in onore del conte
duca, lo riteneva in parte come fatto a sé.
- Viva mill'anni don Gasparo Guzman, conte d'Olivares, duca di san Lucar,
gran privato del re don Filippo il grande, nostro signore! - esclamò,
alzando il bicchiere.
Privato, chi non lo sapesse, era il termine in uso, a que' tempi, per
significare il favorito d'un principe.
- Viva mill'anni! - risposer tutti.
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- Servite il padre, - disse don Rodrigo.
- Mi perdoni; - rispose il padre: - ma ho già fatto un disordine, e non
potrei...
- Come! - disse don Rodrigo: - si tratta d'un brindisi al conte duca. Vuol
dunque far credere ch'ella tenga dai navarrini?
Cosí si chiamavano allora, per ischerno, i Francesi, dai principi di
Navarra, che avevan cominciato, con Enrico IV, a regnar sopra di loro.
A tale scongiuro, convenne bere. Tutti i commensali proruppero in
esclamazioni, e in elogi del vino; fuor che il dottore, il quale, col capo
alzato, con gli occhi fissi, con le labbra strette, esprimeva molto piú che
non avrebbe potuto far con parole.
- Che ne dite eh, dottore? - domandò don Rodrigo.
Tirato fuor del bicchiere un naso piú vermiglio e piú lucente di quello, il
dottore rispose, battendo con enfasi ogni sillaba: - dico, proferisco, e
sentenzio che questo è l'Olivares de' vini: censui, et in eam ivi
sententiam, che un liquor simile non si trova in tutti i ventidue regni del
re nostro signore, che Dio guardi: dichiaro e definisco che i pranzi
dell'illustrissimo signor don Rodrigo vincono le cene d'Eliogabalo; e che la
carestia è bandita e confinata in perpetuo da questo palazzo, dove siede e
regna la splendidezza.
- Ben detto! ben definito! - gridarono, a una voce, i commensali: ma quella
parola, carestia, che il dottore aveva buttata fuori a caso, rivolse in un
punto tutte le menti a quel tristo soggetto; e tutti parlarono della
carestia. Qui andavan tutti d'accordo, almeno nel principale; ma il fracasso
era forse piú grande che se ci fosse stato disparere. Parlavan tutti
insieme. - Non c'è carestia, - diceva uno: - sono gl'incettatori...
- E i fornai, - diceva un altro: - che nascondono il grano. Impiccarli.
- Appunto; impiccarli, senza misericordia.
- De' buoni processi, - gridava il podestà.
- Che processi? - gridava piú forte il conte Attilio: - giustizia sommaria.
Pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica,
son conosciuti come i piú ricchi e i piú cani, e impiccarli.
- Esempi! esempi! senza esempi non si fa nulla.
- Impiccarli! impiccarli!; e salterà fuori grano da tutte le parti.
Chi, passando per una fiera, s'è trovato a goder l'armonia che fa una
compagnia di cantambanchi, quando, tra una sonata e l'altra, ognuno accorda
il suo stromento, facendolo stridere quanto piú può, affine di sentirlo
distintamente, in mezzo al rumore degli altri, s'immagini che tale fosse la
consonanza di quei, se si può dire, discorsi. S'andava intanto mescendo e
rimescendo di quel tal vino; e le lodi di esso venivano, com'era giusto,
frammischiate alle sentenze di giurisprudenza economica; sicché le parole
che s'udivan piú sonore e piú frequenti, erano: ambrosia, e impiccarli.
Don Rodrigo intanto dava dell'occhiate al solo che stava zitto; e lo vedeva
sempre lí fermo, senza dar segno d'impazienza né di fretta, senza far atto
che tendesse a ricordare che stava aspettando; ma in aria di non voler
andarsene, prima d'essere stato ascoltato. L'avrebbe mandato a spasso
volentieri, e fatto di meno di quel colloquio; ma congedare un cappuccino,
senza avergli dato udienza, non era secondo le regole della sua politica.
Poiché la seccatura non si poteva scansare, si risolvette d'affrontarla
subito, e di liberarsene; s'alzò da tavola, e seco tutta la rubiconda
brigata, senza interrompere il chiasso. Chiesta poi licenza agli ospiti,
s'avvicinò, in atto contegnoso, al frate, che s'era subito alzato con gli
altri; gli disse: - eccomi a' suoi comandi -; e lo condusse in un'altra
sala.
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