L’ATTORE DAL MEDIOEVO A OGGI
Nel Medioevo continua la
tradizione del mimo, che genera nel IX sec. la figura del giullare, primo
esempio di attore che passa dal dilettantismo al servizio presso le corti,
sostituito nel XII sec. dal menestrello (da
minister, uomo di casa), che
riflette anche nel nome la stabilizzazione del mestiere d'attore. Se il giullare
rappresenta l'aspetto laico del teatro, condannato dalla chiesa proprio per
l'immoralità della pratica scenica dell'attore vista come fonte di
tentazione, è però altrettanto rilevante l'espressione teatrale
nata sotto il patrocinio della chiesa mediante l'elaborazione in forma di
dialogo delle formule del rito. I primi
attori di questi drammi liturgici
sono proprio i sacerdoti e i chierici, ai quali, poi, si affiancano anche i
laici, il cui apporto è reso necessario dalla crescente
spettacolarità delle sacre rappresentazioni. Ciò prelude al
passaggio al professionismo e alle prime organizzazioni degli attori in
corporazioni e confraternite. Nel Rinascimento si torna al dilettantismo,
praticato da aristocratici ed accademici, accomunati dalla passione per il
repertorio tragico. La tendenza alla specializzazione si compie invece nella
figura del comico dell'arte, vero e proprio
tecnico di mimica,
recitazione e acrobatismo. Qui la tradizione italiana tocca il culmine del
successo, esportando in tutta Europa la scuola dei suoi comici, maestri
dell'improvvisazione. Nel Settecento la riforma illuministica del teatro secondo
i principi della ragione e della naturalezza porta non solo a bandire le
sguaiatezze dalla recitazione, ma anche a moralizzare il costume di vita degli
attori, incoraggiandoli allo studio e alla disciplina all'interno
dell'organizzazione ormai matura della compagnia. Nel XIX sec. si definisce la
fisionomia moderna dell'attore, vero professionista dell'interpretazione,
depositario di cultura e di stile, modello sociale per eccellenza di un pubblico
borghese.