I Grandi Classici Cultura Arte Le Ultime Tendenze

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I Grandi Classici Le Mille e Una Notte - CULTURA - ARTE - LE ULTIME TENDENZE

IL REALISMO

Il panorama artistico internazionale dopo il '45 appare frantumato in una molteplicità di movimenti, correnti e orientamenti di ricerca, che non è facile ridurre ad unità e coerenza sia per quanto riguarda le loro linee di sviluppo interno sia per l'intreccio dei loro reciproci rapporti. La situazione italiana riflette questo groviglio contraddittorio di posizioni, che spingono la ricerca su vari sentieri di sperimentazione, che si diramano, si sovrappongono e si interrompono sulla base di impulsi e sollecitazioni diverse che vanno dall'adesione alla grande lezione di Picasso, all'inserimento nel solco delle avanguardie, al riferimento al primato dell'arte francese. Va comunque sottolineato il fatto che il dibattito artistico in Italia si giocava sostanzialmente sul rapporto tra i due grandi poli dell'impostazione realistica da un lato, e, dall'altro, della più libera sperimentazione formale svolta all'insegna della ricerca astratta. Le esperienze del realismo trovavano il loro grande modello nell'opera di Picasso a partire dalla svolta rappresentata da Guernica, di cui si esalta la coraggiosa aderenza alle più scabrose evenienze della storia contemporanea, l'impegno sul piano civile per una rifondazione della società mondiale e l'intento di rivolgere il discorso dell'arte alle masse affinché si traducesse in un incitamento ad una presa di posizione morale e politica. Trapani Pablo Picasso: Guernica (Madrid, Museo del Prado)Questi elementi di impegno concreto non sono però mai disgiunti da un ardito proposito di rottura formale. Il massimo esponente italiano di questo orientamento è Renato Guttuso, in cui la dimensione della militanza politica e dell'appassionata partecipazione al dibattito ideologico marxista si traducono in un intento di esplorazione delle condizioni di vita del proletariato, improntato sì ad una ricerca di rigoroso realismo, ma anche aperto ai contributi linguistici delle grandi esperienze di rinnovamento della pittura novecentesca europea. Va però detto che nel complesso questo orientamento scade in una preoccupazione di inerte ritrascrizione realistica, di scrupolo descrittivistico e di costringente allineamento ideologico che, pur nel proposito lodevole di istituire un efficace rapporto comunicativo con le masse, approda a risultati espressivi banali e conformisti. Dal Fronte Nuovo delle Arti, costituitosi alla fine del 1946 con la partecipazione di artisti quali Birolli, Morlotti, Pizzinato, Turcato, Vedova, Fazzini, Corpora e altri, si staccarono nel 1952 alcuni componenti che confluirono in un nuovo gruppo, presentatosi alla Biennale con il sostegno teorico del critico Lionello Venturi, che ne espose tra l'altro anche le linee programmatiche. La formulazione del Venturi inquadra il neonato gruppo degli Otto pittori italiani in una dimensione di superamento tanto del realismo, logorato da un assoggettamento alle direttive di partito che ne inibisce anche il lato propriamente creativo, quanto della ricerca condotta in nome dell'astrattismo, ormai anche troppo protesa verso esiti espressivi di ardua difficoltà. Ma in realtà anche questa nuova posizione non sfugge a una certa genericità e superficialità, evidenti nella trascuratezza dei fondamentali contributi provenienti dall'espressionismo e dal surrealismo, e nella totale indifferenza mostrata verso l'unico evento autenticamente innovativo sul piano del pensiero e del linguaggio figurativo di questo periodo: l'informale con Dubuffet, Fautrier, Wols. Trapani Wols: "Champigny blu" (1951)

L'INFORMALE

Il fenomeno dell'Informale raccoglie l'eredità del movimento surrealista, con la sua aspirazione a stabilire un contatto con i livelli profondi e inconsci dell'attività psichica per ritrascriverne il movimento segreto. A ciò si aggiunge il riferimento al linguaggio figurativo infantile e primitivo, come valorizzazione di un rapporto istintuale con i materiali finalizzato all'espressione immediata dell'impulso vitale dell'artista direttamente collegato al gesto creativo. L'energia psichica dell'artista si manifesta così in modo libero e incontrollato, scaricandosi nell'atto stesso della realizzazione dell'opera, che diviene in tal modo l'immagine vivente di un episodio della sua attività mentale, un frammento materializzato della sua stessa esistenza. Altro elemento fondamentale dell'arte informale è infatti costituito dalla materia, che è sentita come qualcosa di duttile, plasmabile, sensibile, pronto a ricevere l'impulso energetico che, attraverso il gesto, proviene dall'interiorità dell'artista, e a lasciarsi quindi impressionare dalla sua furia vitale. La materia viene infatti manipolata dall'artista in modo quasi violento, febbrile, per farne un'estensione del flusso esistenziale, una traccia che visualizza - nell'evidenza del suo aspetto tormentato, raggrumato, filamentoso, scrostato - l'angoscia e il caos interiore dell'uomo moderno. Ormai la pittura non è più rappresentazione, e viene meno anche al rispetto delle più elementari e basilari convenzioni del linguaggio pittorico (la tela come piano di proiezione, la figurazione, la stesura del colore), fino ad arrivare alla negazione dell'ultimo valore ancora superstite - sia pure sotto forma di stravolgimento antinaturalistico -, vale a dire la forma. Ormai c'è solo l'atto dell'artista, privo di dominio razionale, di progetto e di controllo secondo i procedimenti tecnici tradizionali, e, all'altro polo, la materia, che costituisce un tutt'uno con la frenesia gestuale e psichica dell'artista. Questa concezione della materia, come elemento concreto e corporeo che si può manipolare e che si immedesima con la sostanza psichica dell'artista, di cui accoglie l'impronta vitale, è l'elemento più innovativo del linguaggio pittorico informale, che sostituisce il concetto di forma con quello di segno. Emblematica a questo proposito in ambito italiano è l'esperienza di Fontana che distrugge tutti i principi della pittura: la tela ha una coloritura uniforme e su di essa vengono praticati tagli decisi, fenditure nette. Il proposito di Fontana è quello di stabilire una continuità dello spazio, che si sviluppa dentro e fuori la tela, rifiutando ogni limite convenzionale e principio rappresentativo connessi alla superficie della tela come rigido piano di proiezione. Analoga è la ricerca di Capogrossi, seppure risolta in modo del tutto diverso: un medesimo segno viene continuamente ripetuto, ricercando però, attraverso le frequenze ritmiche e gli esiti combinatori dell'impaginazione, di trasformare un rapporto meramente quantitativo in un valore qualitativo. Altrettanto significativa è l'esperienza di Alberto Burri, che parte da una valorizzazione originalissima della materia, inizialmente la tela di sacco, che in lui è assunta per quello che è, con la sua superficie scabra, con la tangibile realtà della sua trama ruvida, evidenziata da strappi, lacerazioni, combustioni, slabbrature. La tela di sacco viene incollata sul supporto in vari ritagli dalla forma irregolare, con linee di sutura accentuate dalle cuciture o da impasti densi e scrostati di colore, alternati a zone di diradamento della trama che si aprono in veri e propri buchi, da cui si lascia vedere la stesura spessa e pesante del colore sottostante. La materia dunque si stratifica e si modifica a vista, in relazione a eventi fisici traumatici: tagli, bruciature, incollature e coloriture deturpanti. La materia è evidentemente concepita come qualcosa di sensibile e modificabile, che riceve l'aggressione dell'artista e reagisce ad essa, opponendo diversi gradi di resistenza. Anche in questo caso l'arte è l'espressione di un incontro di forze ostili, il luogo di un antagonismo, che fa dell'opera un evento in atto, afferrabile cioè nel corso stesso di una modificazione, che è qui quella della sofferenza della materia, del suo tormento e della sua degradazione. Ancora una volta compare il tema moderno dell'esistenza come angoscia e dolore, che però in Burri non è solamente subìta, bensì fatta oggetto di una rigorosa e lucidissima presa di coscienza. Questa dimensione cosciente si evidenzia nel tentativo di implicare nella tecnica di stravolgimento dei materiali una vera e propria costruzione spaziale, un equilibrio di effetti cromatici e luminosi. La sofferenza si traduce dunque in un processo creativo dominato dall'intelletto.

LA POP ART

Altra fondamentale espressione dell'arte moderna è data dalla Pop Art: pop è abbreviazione dall'inglese e significa «popolare», ma non nel senso positivo della tradizione culturale e folclorica che implica sempre il senso di un'apprezzabile e liberatoria creatività, bensì in quello della società moderna livellata e massificata, in cui la produzione degli oggetti e la loro fruizione su larghissima scala equivalgono alla perdita dell'identità tanto da parte del soggetto quanto dell'ambiente e delle cose di cui questi si circonda. Anche la Pop Art dunque esprime una valutazione sostanzialmente negativa sui connotati della società moderna e parte da un presupposto profondamente critico e pessimistico: ormai il soggetto non esiste più, ha smarrito la consapevolezza della propria identità nell'indistinzione della massa, e, analogamente, non riconosce più gli oggetti del proprio mondo. Ormai la realtà dell'esperienza si dissolve in un flusso incontrollato e turbinoso di frammenti di immagini, e l'esistenza dell'uomo immerso nel caos della metropoli si riduce a brani spezzati di eventi fortuiti, di incontri, di ricordi, di sguardi casuali che si accumulano senza un ordine necessario, senza un senso e una motivazione precisi. Le cose che ricadono nel raggio di esperienza dell'individuo cessano di essere riconosciute come elementi familiari, ossia come un riflesso e un prodotto della creatività umana, e sono pure immagini, continuamente ripetute, sempre uguali a se stesse, identiche ai modelli propagandati dai patinati e bombardanti messaggi pubblicitari. Anche la comunicazione che, apparentemente, sembra essere nell'epoca moderna estremamente sviluppata, efficace e avvolgente, è in realtà ridotta all'impotenza: nulla è comunicabile veramente, perché non vi sono oggetti reali della comunicazione, e le cose prodotte dal sistema industriale e capitalistico moderno sono forme vuote senza contenuto, involucri privi di sostanza, riprodotti all'infinito e diffusi capillarmente nelle case di tutti, rese spaventosamente simili le une alle altre. In una dimensione esistenziale di questo tipo, l'individuo si trova ad essere alienato da sé e dalla propria esperienza. La caduta nell'indistinzione del principio d'identità, rende estraneo all'uomo moderno anche l'ambiente della sua vita quotidiana: nulla gli è più familiare, domestico, neppure gli oggetti più comuni della sua esperienza, che gli ispirano un senso di inquietante estraneità, di mostruosa e soffocante invadenza. Ecco perché i rappresentanti più famosi della Pop Art, che nasce ad opera di Rauschenberg e Johns, ricorrono spesso a oggetti d'uso, a cose della nostra comune esperienza per darle come presenze spaventose e allarmanti: famoso è il Letto di Rauschenberg, strappato, sfondato, imbrattato di colori. Gli oggetti più consueti vengono dunque deturpati, sfigurati, sottoposti a un processo che li rende estranei alla loro funzione e ostili all'uomo, come specchi della degradazione della sua esistenza, della discesa sotto un livello dignitoso di vivibilità. Va sottolineato che questa presentazione degli oggetti d'uso non è paragonabile, seppure apparentemente simile, a quella che ne aveva dato il Dadaismo: là l'oggetto comune serviva a deridere il giudizio di validità estetica che la coscienza dell'uomo formula in modo spesso arbitrario, qui invece l'oggetto comune è la denuncia dell'alienazione dell'uomo moderno e della sua impotenza a conoscere la realtà per farne un'esperienza autentica. Altra tecnica diffusissima nella Pop Art è il collage, che consente di riprodurre la frammentarietà dell'esperienza e la caoticità del flusso di immagini e di comunicazioni che travolgono l'individuo, offuscando il senso del suo rapporto con la realtà e affidandolo ad una casualità che non lascia scampo ai valori umani e della conoscenza. Ecco perché l'unico scrupolo che resta all'artista moderno è quello di riprodurre con minuzioso perfezionismo, persino con una certa pedanteria, l'immagine stereotipata dei prodotti seriali, i fotogrammi del cinema, i fumetti, le lattine, le confezioni dei cibi, gli involucri pubblicitari. Questo esito, che si definisce iperrealistico, mira alla resa di un effetto di rispecchiamento della realtà talmente particolareggiato e vivido da superarla addirittura nei suoi valori di immagine. La Pop Art fa dunque dell'arte un'ennesima forma di riproduzione, di ripetizione in serie, di uniformità, che ribadisce e sottolinea l'invadenza di una realtà che, ben lungi dal suggerire un'impressione di vita, si fissa in immagini statiche e mortuarie come quelle della pubblicità. Trapani Roy Lichtenstein: "Whaam" Trapani Jasper Johns: "Flag" (1954-55)
   

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