Cultura Arte L'Età Barocca

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CULTURA - ARTE - L'ETA' BAROCCA














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INTRODUZIONE

Il Seicento è generalmente considerato il secolo del barocco, termine col quale si definiscono manifestazioni artistiche di raggio europeo tra loro molto diverse: dal realismo di Caravaggio o della pittura olandese al classicismo dei Carracci, della corte di Luigi XIV e dello stile della Roma pontificia. Il termine «barocco» ebbe in origine, e per lungo tempo, significato negativo (come già ad esempio «gotico»), soprattutto nella storiografia neoclassica della fine del XVIII sec., che intendeva così condannare gli «eccessi» decorativi ed emotivi del periodo e il suo anti-classicismo (l'espressione è infatti intesa in senso spregiativo a significare «bizzarro», «ridicolo»). La rivalutazione è quindi piuttosto recente, e si ha solo alla fine dell'800. E' importante ricordare che comunque non tutto il Seicento deve essere identificato con l'età barocca, che ne segna solo un aspetto ed una serie di manifestazioni. La controriforma irrompe alla metà del secolo a sconvolgere equilibri e mediazioni. L'artista deve ora collaborare con la Chiesa, ed ha un unico fine, l'edificazione dello spirito. Nasce contestualmente una produzione trattatistica, che continuerà nel secolo successivo, ricca di precetti e consigli. Cambia anche il sistema di formazione degli artisti, che dall'attività artigianale della bottega passano alla prevalente riflessione teorica e all'educazione classicistica delle accademie. Il barocco visualizza nelle strade, nelle piazze e nelle chiese la concezione che la Chiesa cattolica vuole dare di sé dopo il Concilio di Trento: una Chiesa autorevole e rassicurante, che può condurre alla salvezza il fedele che le si affida. Essa inoltre, a differenza della Chiesa Protestante, si rivolge alle masse, saltando l'individuo. Si sviluppa così uno stile basato sui concetti e le tecniche della retorica, l'arte della persuasione, che guadagnerà a sé, pur con notevoli differenze, l'intera Europa. Le differenze non sono che l'espressione delle profonde fratture prodottesi nel tessuto sociale con la crisi economica: in alcune nazioni si avranno decisi passi avanti nella creazione di un sistema economico basato sui commerci (Inghilterra, Olanda, Francia), mentre in altre (Spagna, Italia) si avrà il ritorno ad un'economia agricola. Va infine ricordata la profonda «rivoluzione» nella concezione del mondo e dell'universo determinata dal passaggio dalla teoria tolemaica a quella copernicana. Riassumendo schematicamente le caratteristiche dello stile, si possono individuare le seguenti componenti: a) la tendenza a fondere le arti in un linguaggio unitario: l'architettura è modellata come una scultura e la scultura si integra nell'impianto architettonico; b) la ricerca del movimento, suggerito dalla curvatura insistita e talvolta bizzarra delle membrature architettoniche, dalla varietà degli schemi planimetrici (poligoni, ellissi, stelle) e dal rigonfiarsi impetuoso dei panneggi; c) la ricerca dell'infinito, intesa come superamento di ogni limite nella definizione dello spazio, soprattutto perseguita mediante la valorizzazione della funzione illusionistica della pittura che modifica i meccanismi della percezione (ad esempio nei soffitti dipinti a sfondato). Il risultato di tutto ciò è un grandioso effetto di teatralità, fasto, scenografia. Culla dell'arte barocca è l'Italia, dove, nel corso del XVI sec., in contrapposizione alle limpide forme rinascimentali, si erano andate sviluppando tendenze che oggi vengono comprese nella nozione di «manierismo», inteso come raffinata riflessione sull'esperienza dei grandi maestri (Leonardo, Raffaello, Michelangelo). Alla fine del secolo a Roma (centro delle più ardite sperimentazioni grazie al mecenatismo pontificio) si fronteggiano due esperienze pittoriche profondamente diverse: da un lato Annibale Carracci, che opera coerenti scelte di stampo classicistico e dà vita ad un'accademia che teorizzerà l'eclettismo; dall'altro Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, che propone un'arte profondamente nuova, realistica, intrisa di esigenze morali.

I CARRACCI E L'ACCADEMIA

A Bologna nel 1582 tre pittori legati da rapporti di parentela (i fratelli Annibale ed Agostino, ed il cugino Ludovico Carracci) danno vita ad un'Accademia, detta «dei Desiderosi», e dal 1590 «degli Incamminati». Era un'iniziativa privata, basata sull'esempio e sulla pratica, piuttosto che su un solido bagaglio teorico. Si ritiene che l'arte possa essere insegnata e che esistano regole per raggiungere buoni risultati: queste consistono essenzialmente nello scegliere «il meglio» dei maestri del passato (eclettismo). I modelli sono il Correggio, Raffaello, i grandi pittori veneti, soprattutto Tiziano. Fondamentale è il disegno come esercizio costante ed indagine conoscitiva della realtà. I Carracci conquistano ben presto una posizione preminente a Bologna, dove realizzano grandi cicli di affreschi in alcuni palazzi privati (Fava e Magnani). Nel 1595 Annibale parte per Roma e lavora lungamente in palazzo Farnese, dove decora la volta della galleria sul tema del «Trionfo d'amore» con scene tratte dalle Metamorfosi di Ovidio. Egli finge un'impalcatura architettonica nella quale, come «quadri riportati», si inseriscono i diversi episodi. Il classicismo qui proposto è lontano sia dall'accademismo sia dalla precisione archeologica: il filtro infatti è Raffaello. Accanto a ciò esiste anche una produzione «realistica» di Annibale (la Macelleria di Oxford) che indica l'aggiornamento e l'apertura dell'artista alle più vive correnti del tempo.

CARAVAGGIO

La parabola di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio si consuma tutta nel breve volgersi di un quindicennio. Dopo le prime prove lombarde, l'artista giunge a Roma ed entra nella bottega del Cavalier d'Arpino (Giuseppe Cesari) occupandosi di quadri di fiori e frutta. Egli trasforma ben presto però, secondo la sua personale visione, il tema: ne è altissima prova la Canestra di frutta (1600 ca.; Milano, Ambrosiana) con la lucidissima definizione plastica degli oggetti e il taglio prospettico del primo piano. Così anche nel Riposo nella fuga in Egitto (1599 ca.; Roma, Galleria Doria-Pamphili) il tono di domestica intimità della scena supera ogni residua convenzionalità. La protezione del cardinale Francesco M. Del Monte gli apre la strada a grandi committenze. Due sono i principali cicli romani del Caravaggio: quello della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi (1599-1602) e quello della Cappella Cerasi in S. Maria del Popolo (1600-1601). Nella Cappella Contarelli dipinge le storie di S. Matteo: a sinistra la Vocazione, a destra il Martirio, sull'altare S. Matteo che scrive il Vangelo (ci resta ora la seconda versione del tema, poiché la prima era stata rifiutata dal committente per l'eccesso di realismo). Nella Vocazione in particolare si esprime l'alta moralità di Caravaggio: la luce (manifestazione della grazia di Dio) penetra improvvisamente e illumina una taverna buia ed equivoca, assecondando il gesto di Cristo che indica Matteo. La rivelazione è inaspettata e sconvolgente. Le forme sono plasticamente tornite dal gioco del potente chiaroscuro. Nella Cappella Cerasi, Caravaggio dipinge la Conversione di S. Paolo sulla via di Damasco ed il Martirio di S. Pietro. Nel 1606 si chiude drammaticamente la fase romana: il pittore uccide nel corso di una rissa un uomo ed è costretto a fuggire a Napoli, poi a Malta ed in Sicilia. Durante il soggiorno maltese l'artista esegue l'enorme tela con la Decollazione di S. Giovanni (1608; La Valletta, Oratorio della Cattedrale di San Giovanni) in cui colpiscono gli straordinari effetti luministici e il mutato rapporto tra spazio e figure. Anche la tappa siciliana fu feconda di risultati artistici tra i più notevoli, come testimoniano i dipinti eseguiti a Siracusa (Seppellimento di Santa Lucia, 1608) e a Messina (Resurrezione di Lazzaro, 1609). La concitazione stilistica e i fremiti della luce guizzante sui corpi contribuiscono a svolgere in termini estremi le novità già notate nella Decollazione. Trapani Caravaggio: "Cesto di frutta" Trapani Caravaggio: "Deposizione"

GIANLORENZO BERNINI

Gianlorenzo Bernini attraversa con la sua lunga e poliedrica attività (fu infatti scultore, architetto, scenografo, pittore ecc.) l'intero secolo. Amato dai pontefici, richiesto da sovrani (Luigi XIV), realizzò pienamente le aspirazioni e gli ideali del barocco. I suoi esordi sono nel campo della scultura e rivelano la sua formazione prevalentemente classicheggiante (Apollo e Dafne, e David nella Galleria Borghese, Roma). Caratteri del barocco berniniano sono il virtuosismo tecnico e la ricchezza dei materiali (bronzo, marmo, stucco bianco e dorato). La scultura è caratterizzata da linee mosse, curve ed aperte, dalle masse colte in poderosi slanci dinamici o in complesse torsioni. Particolarmente importante e spettacolare è l'uso della luce, come appare dagli artifici luministici della Cattedra di San Pietro. Testo principe del virtuosismo berniniano è l'Estasi di Santa Teresa (Roma, S. Maria della Vittoria), in cui il corpo della santa, folgorata dall'angelo e dalla luce che piove dall'alto, non è più riconoscibile sotto l'incredibile rigoglio del panneggio, fantasioso e gonfio, come la nuvola su cui è distesa. Qui non solo il gruppo scultoreo è del Bernini, ma anche la progettazione dell'intera cappella, la cui architettura finge uno spazio teatrale che si apre come un boccascena: lateralmente i membri della famiglia Cornaro, committenti dell'opera, si affacciano proprio come da un palco di teatro per assistere all'evento. Tali soluzioni sono comuni anche all'architettura. Con i suoi interventi architettonici Bernini ha contribuito a dare un nuovo volto alla città di Roma: davanti alla basilica di San Pietro ha spalancato una delle più grandiose piazze della cristianità, delimitata dal colonnato costituito da un quadruplice ordine di colonne (che assommano al numero di 284) e coronato in alto da 140 statue. Si risolve così in modo dinamico il complesso rapporto tra lo spazio vuoto della piazza, la massiccia facciata della basilica ed il respiro superiore della cupola. Tra le principali realizzazioni ricordiamo la chiesa di Sant'Andrea al Quirinale, iniziata nel 1658, di pianta ovale, ed il celebre gruppo della fontana dei Fiumi (1657) in piazza Navona. L'acqua, elemento mobile per eccellenza, ha una parte di primo piano nell'arte barocca delle fontane: solo quando lo zampillo sprizza dalla conchiglia del tritone, animando l'opera non solo in senso visivo ma anche uditivo, la fontana del Bernini appare finalmente «compiuta».

FRANCESCO BORROMINI

Francesco Borromini, nato a Bissone nel 1599, rappresenta, sul piano delle concrete realizzazioni architettoniche e dell'interpretazione del ruolo dell'artista, un complesso di valori assolutamente antitetici rispetto a quelli propugnati dal Bernini. Anzitutto Borromini privilegia gli aspetti concretamente realizzativi della tecnica, e infonde nei suoi procedimenti creativi il senso più profondo della sua tormentata religiosità, continuamente minata dall'incertezza circa il conseguimento della salvezza e dal timore di venir meno alla propria tensione spirituale. Borromini è profondamente influenzato dalle concezioni e dai sentimenti religiosi che pervadono l'area culturale lombarda, con il suo rigore e il suo interesse verso gli aspetti pratici della fede. Questa sofferta religiosità lo porta a diffidare del trionfante virtuosismo e della magniloquenza retorica dello stile del Bernini, con i suoi spazi amplificati e i suoi fitti riferimenti allegorici. Risulta invece evidente dall'impianto del chiostro nel convento di San Carlo alle Quattro Fontane, la sua prima opera autonoma dopo un periodo di apprendistato svolto a Roma presso il Maderno, la predilezione per gli spazi contratti e deformati e per le sagomature incurvate su cui gli effetti di luce si sviluppano in una variegata modulazione. Da sottolineare anche la perizia del disegno delle membrature e dei motivi decorativi finemente incisi, che quasi traspongono l'interpretazione spaziale dell'edificio nelle dimensioni ridotte di un oggetto prezioso di accuratissima fattura artigianale. Così anche la struttura dell'interno della chiesa riprende questi moduli: la cupola ha forma ovale e sembra quasi premuta dalle tese curvature degli archi, mentre la dimensione delle colonne è massimamente accresciuta affinché la spazialità del vano risulti drasticamente soffocata e ingombra, anche mediante l'evidenziazione della funzione di raccordo delle membrature come elementi di forzatura dello spazio. Analoga impostazione ha la facciata per l'oratorio dei Filippini: fortemente incurvata, caratterizzata da un fitto disegno di membrature (cornicioni, lesene, timpani) che creano un gioco di motivi pieni e vuoti, di sporgenze e rientranze, che, privi di reale funzione statica, servono piuttosto a modulare la luce e cesellare i piani. Da menzionare anche la fantasiosa novità del perimetro della chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza, sviluppato in ampie curvature lobate ripetute in altezza fino al vertice della costruzione, culminante nella lanterna e nel lanternino, apice di un'animazione ritmica che coinvolge l'equilibrio della costruzione in un andamento avvitato. Da ricordare infine il restauro della basilica di San Giovanni in Laterano per il giubileo del 1650, che riveste gli interni con una decorazione minuta e scintillante che ne esalta la luminosità; la chiesa di Sant'Agnese a piazza Navona che integra la spazialità dell'edificio a quella della piazza, sviluppando un più ampio discorso urbanistico e ambientale; e, infine, la facciata per San Carlo alle Quattro Fontane, perfetta espressione della concezione antimonumentale e della estenuante cura del dettaglio che caratterizzano il gusto architettonico del Borromini.

CANALETTO

Il vedutismo veneziano è una delle più alte espressioni dell'arte figurativa sviluppatasi sotto gli auspici del razionalismo che permea la cultura illuministica: la ricerca del vedutismo si incentra sul problema della percezione delle immagini, evitando una riproduzione «fedele» degli aspetti del reale per far emergere invece l'ordine intellettuale, la trama razionale della visione. Il vedutismo rigetta dunque tutta quell'elaborazione illusionistica e quella ricerca di effetti «falsi» alla cui insegna si era svolta la cultura figurativa barocca, affinché dalle scenografie in cui è lasciato libero spazio all'immaginazione si passasse a immagini ancorate alla realtà e sorvegliate da una tecnica rigorosa. L'opera del Canaletto (nato a Venezia nel 1697) è dominata proprio da questa esigenza di analisi critica del patrimonio figurativo barocco e di richiamo all'ordine. Canaletto è, come il padre, scenografo, e questa base tecnica lo familiarizza con i metodi più sofisticati di elaborazione prospettica dell'immagine, e quindi con il senso più profondo dell'eredità barocca, che egli però vuole riportare a criteri di razionalità e verosimiglianza. Per lui la prospettiva non è più stratagemma e finzione, bensì rigorosa costruzione nello spazio e condizione intellettuale della percezione che organizza secondo un ordine strutturale gli stimoli sensoriali della visione: luce e colore. La prospettiva dunque distribuisce e compone i piani d'ombra e di luce, ed incorpora una determinata quantità di luce in ogni nota di colore, che viene deposto sulla tela con un tocco perfettamente calibrato. Si costituisce così una trama fitta e precisa che riesce a far emergere sulla superficie del quadro il complesso dei valori spaziali e proporzionali. Nel Canaletto le vedute più affascinanti e gli scorci più suggestivi della città, che ne colgono gli aspetti monumentali e urbanistici di rilievo insieme alle manifestazioni tipiche della vita sociale e culturale, sono organizzati in visioni di grande respiro spaziale e di straordinaria intensità luminosa, in cui le figure compaiono come puri elementi di colore, personaggi di una folla animata e variopinta.

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