Arte L'Antica Grecia.

CULTURA - ARTE

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CULTURA - ARTE - L'ANTICA GRECIA

L'ETA' ARCAICA

Verso il 1200 a.C. la calata dal Nord (Tessaglia e Balcani) dei Dori, popolazione rozza e bellicosa, provocò la brusca interruzione della civiltà micenea. Delle città achee, travolte dall'invasione brutale, si salvò solo Atene, che iniziò ad elaborare lentamente un proprio linguaggio artistico, destinato a svilupparsi in forme splendide e originali nei secoli successivi. Durante il periodo di transizione, definito «medioevo ellenico» (1200-900 a.C.), anteriore alla nascita dell'arte greca, le manifestazioni figurative appaiono scarse e povere in quanto prodotto di una società agricolo-pastorale, e consistono essenzialmente in vasi e statuette di terracotta, pietra e bronzo. All'VIII sec. a.C. risalgono gli enormi vasi provenienti dalla necropoli ateniese del Dipylon (due porte), decorati su tutta la superficie da fasce a disegno geometrico, ad eccezione di una zona mediana nella quale il ceramista ha dipinto scene di compianto funebre. Questo stile viene definito appunto «geometrico», per il tipo di ornamentazione distribuita in modo chiaro ed organico, secondo principi che saranno alla base della visione artistica greca. Con l'evoluzione del sistema economico e la nascita di nuove forme di governo (democrazia) anche nell'arte si assiste alla progressiva elaborazione di forme e tipologie rispondenti agli ideali di armonia, dignità ed equilibrio, riassunti nella forma Kalòs K'agathòs («bello e buono») attribuita all'adolescente. La forma rivelatasi adatta a realizzare questi valori al grado più alto di perfezione è il tempio, insieme semplice di tre elementi fondamentali: colonna, trabeazione e timpano, il cui rapporto variamente interpretato determinò la nascita di tre «ordini» (dorico, ionico e corinzio). Gli ordini si differenziano tra loro per le proporzioni del fusto della colonna e per la forma del capitello e del fregio (costituito dall'alternarsi di metope e di triglifi nel dorico e da un rilievo figurato continuo nello ionico). Il tempio è di pianta generalmente rettangolare, costituita da una cella interna (naos), delimitata da pareti in muratura, con il simulacro della divinità, preceduta o anche circondata da uno spazio porticato. Quest'ultimo era agibile ai fedeli, cui era invece interdetto l'accesso alla cella, consentito al solo sacerdote. Il tempio poteva essere in antis, se preceduto da un breve pronao con colonne o pilastri; prostilo, se le colonne erano presenti solo sulla facciata; anfiprostilo, se ambedue le fronti erano colonnate; periptero, se circondato da un giro di colonne; diptero, se il giro era doppio. La copertura era ottenuta con un tetto a due falde, risolto all'estremità con due frontoni, decorati con sculture. Il tempio si pone come un volume nitido, aperto all'aria e alla luce, in stretta correlazione con l'ambiente naturale nel quale è inserito (di solito in posizione dominante su un'altura).

Colonne: dorica, ionica e corinzia

Colonne: dorica, ionica e corinzia

Tipologie costruttive dei templi greci

Tipologie costruttive dei templi greci

LA PITTURA

Le grandi opere pittoriche greche sono andate completamente distrutte: solo le fonti letterarie e i riflessi documentabili sia nella produzione ceramica figurata dell'epoca sia nella pittura parietale etrusca e romana ci consentono, anche se vagamente, di ricostruire la figura e l'attività di due tra i più grandi pittori dell'età classica (seconda metà del V sec.), Zeusi e Parrasio.

Mentre il primo (nativo di Eraclea, in Lucania) si dedica soprattutto alla resa del chiaroscuro, studiando gli effetti di luce e ombra per dare profondità e risalto alle immagini, l'altro, originario di Efeso e suo rivale, mirerà piuttosto alla finezza e alla sottigliezza della linea di contorno, intesa a rendere la plasticità dei corpi.

Il gusto ionico si manifesta infatti nel tratto fluido ed elegante, nella grazia raffinata e nella scelta di soggetti di contenuto patetico che gli permettono di concentrare il suo interesse sulla resa dell'espressione psicologica della singola figura.

Zeusi, secondo quanto racconta Plinio in un celebre aneddoto, avrebbe raggiunto una tale perfezione nel dipingere dei grappoli d'uva da indurre gli uccelli a beccarli.

Egli però, a differenza di Parrasio, preferiva rappresentare la bellezza e la perfezione ideali nei personaggi epici e mitologici di Eracle, Penelope, Menelao, Elena, Zeus.

Di fondamentale importanza per la quantità e il livello spesso altissimo dei reperti è comunque la decorazione pittorica dei vasi greci, provenienti in gran parte dalle officine dell'Attica (la regione ateniese) e diffusisi sui mercati dell'oriente e dell'occidente quale pregiata merce di scambio.

La produzione ceramica può essere distinta in due fasi successive nel tempo (fine VII-IV sec. a.C.):

quella a figure nere su fondo rosso (che era il color ocra originario dell'impasto di argilla)

e quella a figure rosse su fondo nero, che permetteva una maggior libertà e ricchezza di dettagli rispetto al procedimento più antico.

Lo straordinario cammino percorso nel tempo dagli artisti greci verso la conquista di un'efficace resa della profondità dello spazio (specie nel rapporto figure-sfondo) e della purezza delle forme è chiaramente documentata dall'analisi dell'immenso repertorio d'immagini sino a noi giunte.

Tra i capolavori sono da ricordare il Vaso François, scoperto nel 1845 presso Chusi, in territorio etrusco e dipinto da Kleitias (Firenze, Museo Archeologico); l'Anfora con Achille e Aiace che giocano ai dadi (Exechías; Roma, Museo Etrusco Gregoriano); il Cratere con La lotta di Ercole e Anteo (Euphrònios; Parigi, Louvre); la Tazza raffigurante Eos e Memnon (Duris; Parigi, Louvre); il Cratere di Orvieto (Parigi, Louvre) del Pittore dei Niobidi.

LA SCULTURA

Dai primitivi idoli in legno (xòana) la statuaria greca si evolve nel VII e soprattutto nel VI sec., parallelamente alla nascita dell'architettura templare, verso forme monumentali, ispirate all'arte egizia: i koùroi (figure virili nude) e le kòrai (figure femminili vestite). Immagini ideali dell'umanità, colta in una fiorente giovinezza fuori del tempo, si presentano in posizione frontale, ferme, le braccia rigidamente tese lungo i fianchi (solo in un secondo momento inizieranno a piegarsi nel gesto tipico dell'offerente), lo sguardo fisso in avanti e le labbra atteggiate al sorriso. Quest'espressione sorridente così come gli occhi obliqui sono tratti caratteristici dell'epoca arcaica, destinati a scomparire con l'affermarsi della nuova concezione estetica definita «severa», che porterà al superamento della visione per piani paralleli. Se la scultura del VI sec. era stata prevalentemente in pietra (lumeggiata di colore), i maestri severi scelgono ora il bronzo, riservando il marmo per la scultura decorativa e templare. L'ideale atletico domina tutta l'arte di questo periodo che vede il pieno sviluppo delle precedenti ricerche plastico-volumetriche nelle splendide realizzazioni di Mirone (Discobolo, 480-60 a.C., copia romana; Roma, Museo Nazionale Romano) e degli anonimi autori della statua bronzea da Capo Artemàîsion, raffigurante Zeus in atto di scagliare il fulmine (460 a.C.; Atene, Museo Naz.) e dell'Auriga di Delfi (475 a.C.; Delfi, Museo). Nel campo della statuaria in marmo ricordiamo per la ricchezza di soluzioni compositive e l'armoniosa unità della concezione il complesso dei frontoni e delle metope del tempio di Zeus ad Olimpia, nel famoso santuario panellenico. Il classicismo in scultura si afferma verso la metà del V sec. con le grandi personalità di Policleto e Fidia. Lo splendido Doriforo (portatore di lancia) sintetizza in modo significativo il canone proporzionale policleteo: la figura assume una nuova impostazione ritmica, suggerita dall'appoggio su una sola gamba e dalla simmetria incrociata delle membra a due a due (braccio sinistro-gamba destra e viceversa). L'impressione che ne scaturisce è quella di un'assoluta armonia di forme, stilizzata ma al tempo stesso profondamente naturale, e di un perfetto equilibrio tra effetti di stabilità e movimento, ricercato dall'arte greca sin dai suoi primi passi. I risultati policletei saranno di enorme importanza per tutti gli scultori successivi. L'atleta di Policleto vive però in una dimensione chiusa, isolata. Spetta a Fidia, l'autore del fregio, della decorazione dei frontoni e delle metope (92) del Partenone, il merito di aver saputo collegare le varie sculture in una composizione complessa e articolata. Uomini e animali sono disegnati con perfetta disinvoltura, poderosa espansione dinamica (mirabile lo slancio dei cavalli impennati), fremente energia e modellato sensibilissimo dei corpi. Le superfici appaiono modulate da preziosi chiaroscuri che sottolineano con improvvisi guizzi di luce gli scatti del movimento. L'abilità dello scultore ateniese nel trattare il marmo ricavandone un'eccezionale ricchezza di tonalità luministiche si rivela soprattutto nei panneggi che si animano di nuova vita sino ad arrivare a effetti di sottigliezza e trasparenza della stoffa (panneggio «bagnato»), fittamente increspata di pieghe dall'incantevole risalto pittorico. La piena articolazione delle figure nello spazio avviene con gli scultori del IV sec. che prediligono ormai soggetti più vicini al patrimonio delle leggende locali e alla storia. In particolare raggiungono vertici di notevole originalità Skopas (Menade danzante; fregi del Mausoleo di Alicarnasso, in collaborazione con Timoteo, Briasside e Leocare) per la carica di pathos violento che contraddistingue le sue opere; Prassitele (Afrodite di Cnido; Ermes con Dioniso bambino) per la grazia e il delicato trattamento dei nudi, specie femminili; Lisippo, per la capacità di rinnovare il canone policleteo con l'introduzione di elementi di movimento e di instabilità. Nel suo Apoxyomenos (copia romana; Roma, Musei Vaticani) si concretizzano gli ideali del IV sec.: l'uomo afferma la sua presenza nell'ambiente che lo circonda.

Statua marmorea di Apollo

Statua marmorea di Apollo

L'ACROPOLI DI ATENE

Nella vasta capitale della Grecia odierna, la piccola altura dell'acropoli di Atene con i suoi ruderi costituisce la principale meta di attrazione turistica.

L'acropoli di Atene, o città alta, è posta su una collina calcarea con pareti a strapiombo svettante sulla pianura centrale dell'Attica, attraversata dai fiumi Illisso e Cefiso.

Essa costituì storicamente il primo insediamento miceneo con una rocca ed un palazzo regio.

Nel corso dei primi secoli del I millennio a.C., in considerazione dell'intensa crescita demografica, la città si estese ai piedi della collina in direzione nord e l'altura assunse la funzione esclusiva di centro culturale, sede dei santuari delle principali divinità cittadine.

Un momento traumatico per lo sviluppo dell'insediamento sull'acropoli fu certamente la distruzione operata dai Persiani nel 480 a.C.

Dopo la rivincita sui Persiani si seppellirono ritualmente gli arredi degli edifici cultuali in grandi fosse (la cosiddetta «colmata persiana») e si impostò un integrale programma di ricostruzione.

Si deve al governo democratico e in particolare a Pericle, alla metà del V secolo a.C., la realizzazione di grandi opere pubbliche come la costruzione delle «lunghe mura», che chiudevano la città e il suo porto, il Pireo, in un'unica fortificazione.

Egli abbellì l'Acropoli affidando a grandi architetti e scultori la realizzazione di un ingresso monumentale (i Propilei), il tempietto di Atena Nike, la grande statua di Atena Promachos, opera di Fidia, il Partenone (447-432 a.C.) e l'Eretteo.

L'acropoli assunse allora l'aspetto che poi conservò per secoli fino ai più recenti interventi di restauro e scavo.

Atene: veduta dell'Acropoli

Atene: veduta dell'Acropoli

Atene: il Partenone

Atene: il Partenone

Acropoli di Atene: il tempio di Atena Nike

Acropoli di Atene: il tempio di Atena Nike

L'ELLENISMO

Il periodo ellenistico (323-31 a.C.) vede profondi mutamenti storici, sociali, politici, economici e letterari che si riflettono inevitabilmente nelle contemporanee manifestazioni artistiche. L'arte ellenistica, nata nel grande impero fondato dal macedone Alessandro Magno dopo la conquista della Grecia, si svincola dallo stretto legame sociale con la polis e si pone al servizio dei più vasti organismi statali autonomi. Destinata a diffondersi rapidamente in tutta l'area dell'Oriente e poi fino a Roma, che a sua volta la propaganderà in Occidente, assume un'intonazione internazionale, giungendo ad una Koiné (unità artistica) che va dal Gandhara (India) alla Spagna. L'arte di quest'epoca imita quella greca, cambiandole però carattere e natura: si rivolge infatti ad un pubblico ricco e principesco, elegante e cosmopolita che abita le nuove città fondate nelle regioni conquistate. In questo clima di raffinato intellettualismo e di spregiudicato interesse naturalistico, l'opera d'arte deve avere tra gli scopi principali quello di colpire, avvincere, destare meraviglia e sorpresa, decorare. I sentimenti, specie il dolore e l'angoscia, sono rappresentati con una gamma svariata di toni per ispirare terrore o pietà. Di grande effetto drammatico è in tal senso il celebre gruppo scultoreo del Laocoonte del II sec. a.C. (opera di Agesandros, Polydoros, Atenodoros; Roma, Musei Vaticani) in cui il torcersi delle membra, bloccate nelle spire del serpente, ben rende l'idea di sofferenza, destando nello spettatore una violenta emozione. Con la nascita del collezionismo i prodotti artistici subiscono un processo di industrializzazione: ci si vale di mezzi di riproduzione come i calchi; matrici e cartoni (disegni preparatori da copiare) circolano ovunque per aumentare i ritmi della produzione. Gli artisti viaggiano molto contribuendo così ad intensificare lo scambio di modelli ed esperienze. Mentre la vecchia Grecia, tranne Rodi e Delo, vive un momento difficile che la porta a rifugiarsi nella nostalgia di un glorioso passato, i nuovi regni ellenistici godono di una situazione economica di notevole floridezza, riflessa nella grandiosità delle città, abbellite con scenografiche opere d'arte. É il caso ad esempio di Pergamo, centro dell'Asia Minore dove gli Attalidi, dinastia di principi filantropi e appassionati d'arte, promossero un'intensa attività artistica. In ricordo della vittoria sui Galati (183-174 a.C.) Eumene II dedicò un altare a Zeus (oggi visibile nella ricostruzione che ne è stata fatta al Pergamonmuseum di Berlino), eretto su una delle terrazze dell'Acropoli. Si tratta di un imponente complesso monumentale formato da un portico ionico su un alto basamento, decorato da un grande fregio ad altorilievo con scene di Gigantomachia. L'equilibrio dell'arte classica va smarrito sia nel voluto contrasto tra la parte alta e quella bassa della composizione architettonica sia nella violenta concitazione con cui l'artista scolpisce nel marmo la lotta tra giganti e dei. Le figure, riprese in pose avvitate e contorte, rivelano una ricerca di effetti di movimento studiati e artificiosi, connessa a quella prevalente dimensione di teatralità alla base dell'arte pergamena. L'ellenismo ricerca anche in architettura nuove forme: capitelli composti, o decorati con palmette, acanti e rosette, o, ancora, di gusto esotico egittizzante. La planimetria templare mostra maggior libertà e varietà rispetto ai periodi precedenti; la decorazione dei frontoni perde importanza e da figurata diventa puramente ornamentale. L'ordine corinzio trova la sua più significativa applicazione nel grandioso tempio di Zeus Olimpio ad Atene (174 a.C.) con tre file di colonne sulle fronti e due sui lati. Gli architetti, moltiplicandosi le esigenze della vita, ampliano la loro attività e progettano ginnasi, biblioteche, portici (stoà), piazze (agorà), monumenti funebri e di altro genere (Torre dei Venti ad Atene, del I secolo a.C.; Foro di Alessandria). Mentre nel periodo arcaico e classico l'attività artistica aveva il suo fulcro nei santuari, ora si estende a tutto l'organismo della città, che, a partire dal IV sec., va assumendo un impianto a reticolato regolare o a terrazze (più scenografico) a seconda delle esigenze topografiche. Il concetto di città a scacchiera, la cui pianta appare cioè disposta su assi ortogonali, fu elaborato da Ippodamo di Mileto, primo ad aver dato nuovo impulso allo studio dell'impianto urbanistico. L'influsso del sistema ippodameo si coglie in varie città greche e dell'Asia Minore: da Mileto a Olinto, compresi i centri della Magna Grecia.

I BRONZI DI RIACE

Nel 1972, a breve distanza dalla costa calabrese di Riace Marina, vennero rinvenute, su un fondale a circa 8 metri di profondità, due statue bronzee che hanno conosciuto una larghissima notorietà a seguito della loro esposizione, tra il 1980 e 1981, dopo accurati lavori di restauro. Si tratta di due statue a grandezza leggermente superiore al naturale prodotte con la tecnica della fusione a cera persa con il metodo indiretto, che consentiva la fusione in parti staccate da saldare successivamente. I due pezzi si inseriscono in quel ristretto numero di originali bronzei greci a noi pervenuti, in gran parte noti solo attraverso le copie marmoree di età romana; infatti, dato l'alto valore venale del materiale, il bronzo utilizzato per le sculture veniva spesso rifuso. Le due statue rappresentano due figure di guerrieri, stanti, in nudità eroica, il cui armamento è tuttavia andato perduto. Entrambe probabilmente imbracciavano lo scudo ed un'asta. Circa l'originaria collocazione delle statue, asportate forse da uno dei centri urbani o santuariali della Grecia continentale, sono state formulate per ora solo numerose ipotesi. Gli scarsi resti del relitto della nave che le trasportava non hanno permesso di chiarificare né la provenienza né la data del naufragio. In base all'analisi stilistica è possibile tuttavia inquadrare i pezzi attorno alla metà del V secolo a.C., nella fase di passaggio tra il cosiddetto stile severo e lo stile classico.

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