Cultura Arte Il Rinascimento.

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CULTURA - ARTE - IL RINASCIMENTO

INTRODUZIONE

Con il termine «Rinascimento» si indica un vasto e complesso movimento culturale che, originatosi e sviluppatosi in Italia nei secoli XV e XVI, ha poi diramato i suoi influssi in tutta Europa, segnando una generale rianimazione della civiltà, delle arti, delle scienze e del pensiero filosofico e politico. Un tale fervore intellettuale aveva avuto nella ripresa sociale ed economica la sua indispensabile premessa, e nella fioritura degli studi critici e filologici sulla civiltà classica il suo ricchissimo terreno di alimentazione spirituale ed ideale. Già nel periodo romanico si erano manifestati i sintomi di questa «rinascita»: l'incremento dei commerci e il parallelo sviluppo della civiltà borghese, con la relativa crescita dei centri cittadini e l'ascesa dei nuovi ceti legati alla vitale economia di un urbanesimo in espansione, avevano infittito i contatti sociali e gli scambi culturali, traducendosi in un incoraggiamento della produzione artistica. Questo significativo risveglio delle arti si era svolto all'insegna di un atteggiamento di rinnovata apertura verso la vita e di fiducia nella positività del ruolo dell'uomo nel mondo. Ma questo sentimento, che era nel romanico ancora timido, sostenuto soprattutto da condizioni oggettive di dinamismo sociale e di benessere economico, si afferma adesso su basi ben più salde e durature, ossia sulla riemersione del patrimonio culturale ed ideale della civiltà classica, indagata ora con metodo scientifico sui reperti e sui testi originali, attraverso una verifica attentissima di fonti e documenti. Ed è proprio questa la grande funzione svolta dal culto rinascimentale per gli studi filologici: far nascere un nuovo senso della storia, basato su un severo spirito critico e sulla conoscenza puntuale dei caratteri specifici delle varie epoche, che è necessario ricostruire nel loro vero volto, rimuovendo tutte le interpretazioni e le opinioni erronee che la tradizione ha accumulato nel tempo. Il Rinascimento dunque consolida le tendenze al rinnovamento dell'età precedente, ancorandole alla concezione della centralità dell'uomo tratta dalla filosofia classica e che si fa ormai credo profondo e radicato. Tale interpretazione mira alla massima valorizzazione del ruolo dell'uomo nella storia, come vero e proprio artefice del suo destino, nonché al suo inserimento armonico ed equilibrato nella natura, al fine di superare quella dimensione costrittiva e mortificante che aveva imperversato nel Medioevo. Da ciò si traggono anche i presupposti per la delineazione di una morale naturale, legata ad una consapevolezza spregiudicata dell'integrazione dell'uomo alla vita organica della natura.

Si giunge così ad una valorizzazione della sfera della sensibilità (come importanza dell'esperienza sensoria) e della psicologia umana intesa in uno stretto collegamento con gli stimoli e le sollecitazioni provenienti dalla realtà esterna. Questa inedita valutazione del ruolo dell'uomo in una prospettiva concretamente mondana, terrena, incoraggia l'affermazione di quello spirito laico che caratterizza tutto il Rinascimento, ma che non deve essere confuso con il rifiuto della religione, bensì, all'opposto, identificato con la centralità dell'interesse religioso entro la nuova figura di un uomo finalmente consapevole della sua autonomia intellettuale e spirituale, che lo mette in grado di affrontare criticamente anche il problema della fede. La storia e la natura costituiscono dunque i due grandi poli della concezione rinascimentale, filtrati attraverso la mediazione della cultura classica. Ma la vera novità è rappresentata dal fatto che entrambe vengono rapportate ad una nuova, grande scoperta che, in questa formulazione, è propria solo del Rinascimento e segna anche l'inaugurazione di un'impostazione culturale indiscutibilmente moderna: la scoperta della ragione, come facoltà intellettuale esclusiva dell'uomo, che attribuisce ai contenuti della sua esperienza l'ordine stesso del pensiero. La natura infatti è vista ormai attraverso il filtro della ragione: la prospettiva, grande scoperta del Rinascimento, altro non è che la riduzione a sistema intellettuale, proporzione matematica e regolarità geometrica della realtà naturale quale appare all'uomo nella percezione. Il volume dei corpi, la definizione dello spazio, il variare delle grandezze a seconda della profondità e delle distanze vengono resi figurativamente attraverso un insieme di regole e artifici, che, con opportuna alterazione e correzione delle forme, ottengono la rappresentazione dei corpi nell'ambiente spaziale riproducendo, più che la natura in se stessa, l'impressione visiva. Ecco perché ormai i risultati delle ricerche scientifiche, in modo particolare dell'anatomia e della geometria, trovano ampia accoglienza nel terreno dell'arte che, dopo una lunga tradizione di squalifica culturale, assurge al rango di attività intellettuale, che partecipa in egual misura della letteratura, della poesia, del pensiero filosofico e scientifico. La natura viene così valorizzata sia come oggetto di un'indagine sperimentale tesa ad osservarne direttamente e senza pregiudizi le manifestazioni sensibili, sia come dimensione vivente e tangibile da cui trarre nuovi valori estetici, legati appunto ad una ricerca figurativa orientata verso gli aspetti concreti e terreni della bellezza. E' infatti propria dell'arte rinascimentale la tendenza naturalistica volta alla resa sensibile e plastica della corporeità, oltre all'interesse accentuatissimo per l'analisi del movimento, cui si aggiungono la ricerca espressiva attorno ai valori atmosferici, al tonalismo e allo «sfumato» (come interazione tra corpi, spazio, luce, colori, atmosfera), e, infine, il gusto della ripresa ravvicinata del dettaglio. Analogamente la storia cessa di essere considerata come un'eredità inevitabile e gravosa, che l'uomo deve passivamente subire in tutte le sue conseguenze, e che ne determina in modo ineluttabile il destino. L'interpretazione razionale fa della storia il prodotto logico, necessario dell'azione dell'uomo e come tale è la dimensione vitale e morale della vicenda umana. Da qui la profonda sensibilizzazione alla storia delle opere d'arte rinascimentali, che ad essa si agganciano non solo per rievocarla o celebrarla, ma proprio per dare una valutazione in chiave ideologico-politica, religiosa e morale dell'operato e della presenza dell'uomo nella realtà.

Ricostruzione virtuale di una tavola imbandita in un castello medioevale

IL PALAZZO DUCALE DI URBINO

Il Palazzo Ducale di Urbino deve la sua origine al duca Federico da Montefeltro, straordinaria figura di principe-umanista oltre che fortunato e valoroso guerriero, al servizio di Signorie, Repubbliche e papi. Sotto la sua guida (1444-1482) Urbino raggiunse in breve un tal grado di ricchezza e benessere da consentirle di diventare sede di una delle corti più brillanti e fastose del Rinascimento italiano, centro di civiltà e cultura d'avanguardia. La costruzione della residenza di Federico, felicemente definita da Baldassarre Castiglione (Il Cortigiano) come «una città in forma di palazzo», si prolungò per circa 30 anni, dal 1450 al 1482, nell'arco dei quali si susseguirono vari architetti e uno stuolo di artisti, tra i più noti dell'epoca. Al dalmata Luciano Laurana, presente ad Urbino dal 1465 al 1472, spetta l'impostazione generale dell'edificio, la distribuzione degli ambienti intorno al Cortile d'Onore e l'impianto dell'ala verso valle con la scenografica facciata dei «Torricini» (due torri agili e slanciate che fiancheggiano le tre eleganti logge sovrapposte). Francesco di Giorgio Martini, subentrato al Laurana nella direzione dei lavori, introdusse lo stile rinascimentale toscano in alcune parti strutturali e nelle decorazioni da lui disegnate. Il Palazzo urbinate rappresenta nel migliore dei modi il cambiamento subito durante il Rinascimento dalla residenza medievale: al posto del castello difeso da cinte murarie e baluardi, si progettano infatti palazzi raffinati, dalle ampie finestre, larghi portali, logge ariose e luminosi giardini. Quando Federico morì nel 1482 la costruzione aveva all'incirca l'aspetto odierno; solo il secondo piano venne aggiunto a metà del '500 da Guidubaldo II Della Rovere. Una merlatura alla ghibellina, con funzione decorativa, coronava l'edificio quattrocentesco. Le splendide sale interne ospitano dal 1912 la Galleria Nazionale delle Marche, istituita con lo scopo di custodire e valorizzare le opere d'arte dell'intero territorio regionale.

IL CONCORSO DEL 1401: FILIPPO BRUNELLESCHI

La prima tappa fondamentale dell'affermazione dell'arte rinascimentale fu il concorso indetto nel 1401 per la seconda porta del battistero di Firenze, al quale parteciparono i maggiori artisti del tempo. Rimangono le formelle bronzee di due concorrenti, Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti (che alla fine risultò vincitore). Il tema proposto, il «sacrificio di Isacco», fu affrontato in modo estremamente diverso dai due artisti: mentre Ghiberti spezza la composizione con uno sperone roccioso, e descrive con raffinata eleganza l'avvenimento, utilizzando per Isacco modelli classici, Brunelleschi pone al centro il dramma stesso, che ferma nel momento in cui il padre sta per uccidere il figlio, dando alla composizione un intensissimo rilievo plastico e dinamico, lontano dalle morbidezze dei ritmi gotici. Anche se il gusto dei contemporanei premiò il Ghiberti, spetta al Brunelleschi il primato della sperimentazione dei nuovi metodi prospettico-matematici di cui ci resta traccia solo nelle fonti (vedute di piazza della Signoria e di piazza del Duomo). La principale impresa dell'architetto fu la costruzione della cupola della cattedrale di Firenze, S. Maria del Fiore. La basilica, di grandiose proporzioni, progettata da Arnolfo di Cambio (1296), era rimasta interrotta al tamburo per difficoltà tecniche connesse all'equilibrio della costruzione. Nessuna maestranza infatti era in grado di costruire impalcature sufficientemente alte e complesse. Brunelleschi risolse brillantemente il problema ideando una cupola che fosse in grado di autosostenersi nel corso della costruzione, ispirata alla forma delle calotte romane. Tra le altre imprese edilizie del Brunelleschi vanno ricordate le chiese fiorentine di S. Spirito e S. Lorenzo, e la cappella Pazzi presso S. Croce.

Firenze: il Duomo e il campanile di Giotto

Firenze: il Duomo e il campanile di Giotto

Visita virtuale all'interno del battistero di San Giovanni a Firenze

MASACCIO

Nel campo della pittura il primo grande applicatore dei canoni prospettici (che vennero teorizzati da Leon Battista Alberti nel trattato «Della Pittura») fu Masaccio. Giovane collaboratore del più anziano maestro Masolino, nella Cappella Brancacci al Carmine di Firenze ci ha lasciato uno dei più alti capolavori dell'Umanesimo italiano, punto di riferimento obbligato per tutti gli artisti successivi. La cappella, dedicata a S. Pietro, è stata restaurata recentemente ed ha rivelato gli smaglianti colori originari. L'artista, sul muro sinistro, dipinse la scena del Tributo: Cristo, circondato dagli Apostoli, la cui disposizione sembra suggerire la complessa struttura di una forma architettonica, ordina a Pietro di prendere dalla bocca di un pesce la moneta per pagare il tributo al gabelliere ed entrare in città. I tre momenti della narrazione sono coordinati dalla potente figura del Cristo, e non rispettano una rigida successione cronologica. Tutto è unificato dalla nitida impostazione prospettica che scandisce lo spazio e definisce i volumi dei corpi, esaltando anche la funzione plastica della luce.

Masaccio: " San Pietro in cattedra"

Masaccio: " San Pietro in cattedra"

Masaccio: "La cacciata dal Paradiso terrestre", part. (Firenze, chiesa del Carmine)

Masaccio: "La cacciata dal Paradiso terrestre", part. (Firenze, chiesa del Carmine)

DONATELLO

Firenze è tra le ultime città a ordinamento comunale in Italia ad evolvere verso la Signoria. Per molti anni cantiere tra i più significativi fu pertanto la chiesa delle arti, Orsanmichele. All'inizio del Quattrocento i maggiori artisti del tempo vengono coinvolti nella decorazione delle nicchie esterne. L'arte dei corazzai affida a Donatello la statua con «S. Giorgio». Già in quest'opera compaiono gli elementi caratteristici del nuovo linguaggio rinascimentale, che grazie ai viaggi dell'artista poterono diffondersi in tutta Italia (ed in particolare a Padova, dove egli si recò a lavorare presso la chiesa del Santo, lasciando impronta indelebile in tutta la scuola pittorica e plastica veneta). La figura del santo si staglia con sicurezza nella nicchia, dominando con piena corporeità lo spazio. Nella predella la scena di «S. Giorgio che uccide il drago» è resa mediante la tecnica dello «stiacciato», un tenuissimo rilievo, che incide però profondamente i margini, creando effetti pittorici e di massima profondità prospettica. A Padova Donatello realizza le sculture bronzee per l'altare maggiore della basilica del Santo (oggi purtroppo apprezzabili solo in una ricostruzione ottocentesca) e la statua equestre di Erasmo da Narni detto il «Gattamelata». In quest'ultima opera l'artista si rifà a modelli classici (Marc'Aurelio a cavallo in piazza del Campidoglio a Roma), interpretandone la fierezza eroica alla luce di una moderna sensibilità critica, e raggiunge una virtuosistica padronanza della tecnica e dei rapporti proporzionali.

BEATO ANGELICO

Giovanni da Fiesole, detto il Beato Angelico, nato a Vicchio nel 1400 ca., fu monaco domenicano, ma, ben lontano dallo stereotipo che lo vuole impegnato nella realizzazione di opere di acceso misticismo, fu in contatto con i più importanti esponenti della gerarchia ecclesiastica e si occupò in modo concreto dell'edificazione religiosa della classe dirigente fiorentina. Questa sensibilizzazione agli aspetti culturali ed educativi della sua missione, lo portò ad indirizzare la sua pittura a quanti, pur impegnati nella vita attiva, debbono essere messi in grado di aspirare alla salvezza e alla conoscenza di Dio. Il Tabernacolo dei Linaioli (1433), commissionatogli da una delle maggiori corporazioni e inserito in una cornice realizzata da Lorenzo Ghiberti, definisce prospetticamente uno spazio inondato di luce, riflessa dal piano inclinato del pavimento e dalle fitte pieghe del panneggio prezioso intessuto di fili d'oro. In questa cavità pervasa di luce, campeggia la figura dal forte rilievo plastico della Madonna, evidentemente ispirata alla Madonna con Sant'Anna di Masaccio. Le sagome della Madonna e del Bambino sono definite con il rigore e la precisione di volumi geometrici, mentre il colore raggiunge i più alti livelli di brillantezza e la luce si diffonde rivelando un nitido disegno prospettico. La forma geometrica è per Beato Angelico la più perfetta che l'uomo possa concepire e, come tale, non si oppone al passaggio della luce, sostanza immateriale e di origine divina. Anche la Deposizione per Santa Trinità (1438) realizza una rigorosa costruzione di piani cromatici, che serve più alla propagazione della luce che alla definizione prospettica dello spazio. Da ricordare anche gli affreschi per il convento di San Marco, in cui le figure sembrano quasi smaterializzate, identificate con la purezza di volumi geometrici saturi di una luce smorzata. In questi dipinti è assente qualunque riferimento alla natura e alla storia, poiché il rigore della Regola domenicana vuole che il contatto con le verità di fede avvenga per via puramente meditativa, evitando il riferimento alle manifestazioni «terrene» della divinità. Infine sono da menzionare gli affreschi per la Cappella Niccolina in Vaticano (1447), realizzati con la collaborazione di Benozzo Gozzoli, nei quali l'Angelico si impegna a sostenere la tesi secondo cui i fatti della storia, in quanto chiara manifestazione della volontà provvidenziale, non solo contengono un profondo ammaestramento morale, ma anche un più sostanzioso valore concettuale, che consente di fondare l'autorità dottrinale della Chiesa sulla base della cultura classico-umanistica.

Beato Angelico: "Annunciazione", part. (Madrid, Museo del Prado)

Beato Angelico: "Annunciazione", part. (Madrid, Museo del Prado)

Beato Angelico: "Il Paradiso", part. del "Giudizio Universale (Firenze, Museo di S. Marco)

Beato Angelico: "Il Paradiso", part. del "Giudizio Universale (Firenze, Museo di S. Marco)

PIERO DELLA FRANCESCA

Piero della Francesca, nato a Borgo San Sepolcro (Umbria) nel 1420 ca., si trova a dover affrontare il tradizionale dilemma della cultura figurativa fiorentina, oscillante tra un'esigenza di rigore razionale e prospettico (Masaccio e Paolo Uccello), e, d'altro canto, una tendenza naturalistica, fatta di morbidezze sfumate e di accenti sentimentali (Lippi). Piero della Francesca crede profondamente nel valore conoscitivo dell'arte, come strumento di analisi della realtà e nel contempo di riflessione morale. Nel Polittico della Misericordia, prima opera certa di Piero, lo spazio s'identifica col cono di luce definito dall'ampia apertura del manto, a formare una nicchia in cui si dispongono a semicerchio le figure degli inginocchiati intorno al nitido volume cilindrico del corpo della Madonna. Qui è la luce stessa a costruire lo spazio e a tornire i volumi, definiti entro rigorose forme geometriche. Nel Battesimo di Cristo la luce pervade lo spazio, fissandosi nella volta celeste ed effondendosi nel paesaggio, per poi risalire, riflessa dallo specchio d'acqua in primo piano: infine si rapprende nella figura di Cristo, dei tre angeli sulla sinistra e del battezzando in lontananza, riempiendo precisi moduli geometrici di forma cilindrica, continuamente ripetuti e armonizzati. Lo spazio dunque accoglie la luce, elemento naturale per eccellenza, entro la nitida geometria delle forme e la rigorosa prospettiva del disegno, realizzando la coincidenza perfetta di realtà naturale e ordine intellettuale. Dal 1452 al 1459 lavora al ciclo di affreschi con la leggenda della Croce in cui il consueto impegno prospettico si accompagna ai più ricercati ed insoliti effetti di luce, quasi a dimostrare che la continua variabilità dei fenomeni della natura non altera il valore assoluto della struttura spaziale. Importanti anche i ritratti, tra cui spiccano quelli di Battista Sforza e di Federico da Montefeltro, che rivelano la sensibilizzazione di Piero ai valori della pittura fiamminga, riconoscibili nell'inedita minuzia descrittiva e nell'attento gusto del dettaglio. Infatti, prima di passare ad Urbino, il suo soggiorno a Ferrara gli aveva consentito di entrare in contatto nel 1449 con uno dei maggiori esponenti della pittura fiamminga, Rogier van der Weyden. Da ricordare anche la Madonna di Senigallia (1470 ca.) in cui dalla massa espansa della figura della Madonna in primo piano si passa all'accurata descrizione di particolari minuti: le increspature del velo della Madonna, i dettagli dei gioielli, i fini riccioli degli angeli. Questo passaggio di dimensioni è mediato dalla parete grigia che si interpone tra il primo piano inondato di luce e lo spazio interno immerso nella penombra, consentendo di realizzare il perfetto proporzionamento di tutti i valori formali espressi nel quadro. Infine la Pala di Brera, il cui inquadramento architettonico rappresenta il punto più alto della rielaborazione rinascimentale dei più complessi temi prospettici classici (tratti da Plinio il Vecchio e Vitruvio): ancora una volta l'obiettivo principale di Piero è il proporzionamento di tutti i valori spaziali e la combinazione del rigore prospettico alla nuova sensibilità della pittura alla luce.

Ritratti di Battista Sforza e Federico da Montefeltro

Ritratti di Battista Sforza e Federico da Montefeltro

MANTEGNA

Andrea Mantegna, nato a Isola di Carturo nel 1431, si forma nella bottega dello Squarcione, dove già l'esilità dei motivi tardo-gotici cede il passo all'appello per un severo impegno morale e per lo studio e la ripresa dei modelli antichi. Andrea Mantegna si volge perciò al robusto senso storico di Donatello, di cui analizza attentamente i vigorosi valori plastici e il disegno duro dei contorni, che spesso definiscono le forme attraverso l'andamento tormentato e spigoloso delle linee. Nel 1448 realizza gli affreschi per la Cappella Ovetari: in queste opere tutto, persino la natura, viene riportato al comune denominatore della storia, che per Mantegna è l'unica chiave di lettura della realtà. In pieno accordo con la concezione di Donatello, l'interesse espressivo si incentra sul dramma dell'esistenza umana, spogliato però dei suoi aspetti tragici e visto piuttosto come l'inesorabile compimento di una legge razionale che si manifesta secondo un rapporto di causa-effetto. Questo è il motivo ideale e morale che giustifica le vigorose architetture di Mantegna, le sue prospettive tese che si prolungano al di qua e al di là della superficie del quadro, alludendo a un remoto passato e ad un tempo presente che si protende verso lo spettatore, quasi a «sfondare» ogni limite convenzionale nel nome di una storia che comprende ogni manifestazione della realtà in una logica globale. Questa intensa visione della storia è evidente nella Pala di San Zeno (1459) e nel San Sebastiano (1481 ca.), in cui l'accostamento di elementi architettonici antichi (colonne, capitelli, fregi, archi, rilievi recanti motivi mitologici classici) alle figure della Madonna e del Bambino o di Santi, sta ad indicare la profonda coerenza della storia, che, attraverso il superamento del passato, consegue nuovi valori di spiritualità, pur fondandoli sugli elementi delle civiltà trascorse. Nel 1460 Mantegna si trasferisce a Mantova presso la corte dei Gonzaga, dove affina la sua erudizione classica e si accosta agli studi poetici, che andranno ad integrare il suo culto esclusivo per la storia. Tappa fondamentale del suo cammino artistico sono gli affreschi della camera degli sposi (1474) in Palazzo Ducale, in cui per la prima volta le complesse strutture architettoniche dipinte creano uno spazio immaginario fingendo prospettive audaci ed amplificate, preludio alle future esperienze manieristiche. Sulle pareti della camera degli sposi vengono raffigurati due episodi importanti della vicenda personale e pubblica della famiglia Gonzaga: l'annuncio della nomina di Francesco Gonzaga a cardinale e l'arrivo di Francesco Gonzaga a Mantova per prendere possesso del titolo di Sant'Andrea. In queste prove Mantegna evita ogni tono enfatico o celebrativo, preferendo raccontare con purezza di linee e nitidi effetti di colore e di luce due episodi della vita di corte. Mantegna abbandona qui la sua severa visione della storia, per cogliere con inedita sensibilità poetica il rapporto armonico di civiltà e natura, tipico tema virgiliano. Da ricordare infine le nove tele con il trionfo di Cesare, minuzioso repertorio di oggetti antichi, ricostruiti fin nei dettagli con perizia archeologica, e, ancora, il Cristo in scurto, in cui la figura, ritratta in un audace e deformante scorcio prospettico, accentua la durezza delle forme mantegnesche.

Andrea Mantegna: "San Sebastiano"

Andrea Mantegna: "San Sebastiano"

Affresco del Perugino in S. Maria Maddalena de' Pazzi a Firenze

PERUGINO

Pietro Perugino, nato a Perugia nel 1450 ca., viene in contatto con la pittura di Piero della Francesca che comincia appena ad esercitare i suoi influssi in ambiente umbro e, nella scuola del Verrocchio, ha modo di analizzare la grande novità pittorica di Leonardo, consistente nell'introduzione dello sfumato. Questa tecnica serve a rendere il vivo gioco della luce e dell'ombra in rapporto con le cose e lo spazio, e dà vita alla consistenza e al vibrante movimento della sostanza atmosferica, che si interpone tra lo sguardo dello spettatore e l'ultimo orizzonte della visione. Perugino assimila pienamente la grande lezione di Leonardo, cercando di armonizzarla al rigore prospettico e formale di Piero della Francesca. Nella Cappella Sistina dipinge la Consegna delle chiavi (1481-82) in cui riprende il lucido disegno prospettico degli spazi (la grande pavimentazione marmorea con l'intreccio delle linee convergenti verso il punto di fuga) e lo sfondo delle monumentali architetture (il tempio e gli archi), derivati da Piero della Francesca. Questa rigorosa impostazione spaziale è combinata con la pastosità atmosferica di evidente ispirazione leonardesca, che lascia variamente filtrare la luce, sfumando i contorni delle cose e creando di volta in volta zone di diradamento del colore o incupimento delle ombre, a seconda della distanza e della posizione di figure e oggetti. La pittura del Perugino, oltre a questo compromesso di valori pittorici, tende alla massima valorizzazione di quell'impegno di edificazione morale e di persuasione al ben operare che, inaugurato da Piero della Francesca, giunge fino a Perugino, attraverso la mediazione della pittura di Melozzo da Forlì. Sono poi da ricordare il Polittico Albani-Torlonia (1491) e la Madonna in trono e santi delle pale per San Domenico di Fiesole (1493), fino ad arrivare al Compianto sul Cristo morto (1495), da cui trasse motivo di ispirazione Raffaello per la sua Deposizione.

Affresco del Perugino in S. Maria Maddalena de' Pazzi a Firenze

LEON BATTISTA ALBERTI

Leon Battista Alberti, nato forse a Genova nel 1494, è, dal punto di vista dell'elaborazione dei principi teorici e dell'esposizione dei procedimenti di metodo delle varie tecniche artistiche, la personalità dominante del Rinascimento. I trattati dell'Alberti sulla pittura, l'architettura e la scultura rappresentano una sintesi delle esperienze realizzate dalla generazione degli artisti rinascimentali e, insieme, il punto culminante di un assiduo impegno di studio e rivisitazione dei tipi architettonici, delle forme e dei motivi del patrimonio classico. Ma Leon Battista Alberti, oltre che teorico dell'arte e filosofo, è anche architetto, ed esemplari sono le sue opere che riprendono e sviluppano il tema del Brunelleschi della comunicazione di spazio interno ed esterno, ottenuta attraverso la modulazione luminosa delle membrature e l'apertura di grandi arcate e logge. Questi motivi architettonici hanno la funzione di rompere la compattezza muraria delle pareti, stabilendo un «contatto» fra la qualità luminosa e atmosferica degli spazi urbani e la struttura dell'edificio. La prima opera di Leon Battista Alberti consiste nel progetto di trasformazione della chiesa di San Francesco (Rimini) in tempio-mausoleo per Sigismondo Malatesta: l'Alberti non rinuncia all'ambiente preesistente, e lo «riveste» ideando una facciata che si ispira al motivo classico dell'arco trionfale, mentre per le pareti laterali riprende il modello degli acquedotti romani con la caratteristica prospettiva tesa di arcate in successione. L'edificio si pone dunque come un organismo capace di riequilibrare forze opposte, che in esso si affrontano seguendo direttrici spaziali di varia intensità e orientamento, risolte nel nitido disegno delle membrature e nelle numerose cavità e aperture della cortina muraria. Per l'Alberti lo spazio non è un'astrazione, bensì una tangibile realtà naturale e fisica, dotata di luce, di movimento, di densità atmosferica, che l'edificio deve saper affrontare e armonizzare, oltre che sul piano dell'equilibrio strutturale, anche su quello dei valori percettivi. L'edificio offre dunque un'immagine dello spazio che interagisce con i dati della natura. Da ricordare anche il Palazzo Rucellai, che istituisce il modello della residenza magnatizia, ispirato a principi di ordine proporzionale e armonia di forme, in un deciso rifiuto del gusto per il monumentale. L'Alberti progetta poi la facciata per la chiesa di Santa Maria Novella, per la quale recupera le superfici bicrome e geometrizzanti del romanico fiorentino, motivo da lui considerato come il primo sintomo di rinascita delle forme antiche. Nel 1470 progetta la chiesa di Sant'Andrea, costruita contrapponendo volumi squadrati pieni e vuoti, armonicamente alternati, i cui valori spaziali sono riassunti nella nitida impaginazione della facciata mediante il disegno rigoroso delle membrature (archi, lesene, nicchie, cornicione). Da ricordare infine la chiesa di San Sebastiano (1460), a croce greca, che riprende la struttura raggiata della pianta centrale.

Leonardo da Vinci: "La Gioconda"

LEONARDO

Leonardo nacque a Vinci nel 1452, e si formò a Firenze (accanto a Botticelli e Perugino) nella bottega del Verrocchio, nel clima fervido di stimoli culturali della corte di Lorenzo il Magnifico. Per il giovane artista la lezione del Verrocchio si identifica con il rigore del criterio pratico di organizzazione dei valori dello spazio e della visione. Chiamato nel 1483 da Ludovico il Moro a Milano, vi rimase fino al 1499, occupandosi di un vastissimo raggio di problemi, dall'ingegneria militare alla pittura («Vergine delle rocce» al Louvre di Parigi). É in Lombardia che Leonardo osserva e analizza pittoricamente un nuovo tipo di luce, modulato dall'ombra e dalle brume, che egli traduce nello sfumato: gli oggetti della realtà appaiono velati dall'atmosfera, morbida come un soffio, che si interpone tra la scena e lo spettatore. Capolavoro di questo periodo è il «Cenacolo» (nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie), opera compromessa dallo sperimentalismo dell'artista, che impiegò nella pittura murale olio ed encausto. Determinante per lo sviluppo della pittura rinascimentale è il suo soggiorno fiorentino, nel quale realizza il cartone della «Vergine col Bambino e S. Anna», caratterizzato da un vibrante chiaroscuro e dalla struttura piramidale, derivata da Masaccio, che diventerà poi con Raffaello una delle composizioni tipiche del '500. L'ultimo periodo della vita verrà trascorso in Francia alla corte di Francesco I. La grande innovazione stilistica del non finito e dello sfumato, esemplarmente sviluppata nella «Gioconda», sigilla un'esistenza volta alla ricerca sperimentale ed all'indagine scientifica sull'uomo e la natura, consegnata alle migliaia di appunti e scritti annotati su fogli sparsi e taccuini.

Leonardo da Vinci: "La Gioconda"

BOTTICELLI

Sandro Botticelli, nato a Firenze nel 1445, si forma alla bottega del Verrocchio, dove viene in contatto con Leonardo. Nella Giuditta domina un soffuso sentimento malinconico, espresso dalla qualità vibrante della luce, dall'intensa mobilità espressiva dei tratti e dalle fitte increspature delle vesti fluenti e arricciate, che accompagnano gli ondeggiamenti del corpo in movimento. La ripetizione ritmica delle linee morbide e sfumate e la trasparenza velata delle vesti mettono in comunicazione la figura umana con la tremula luce del paesaggio. É evidente il contatto con i colori pastosi e le linee sinuose del Lippi, che allontanano Botticelli dalla severità prospettica e dal rigore geometrico delle forme di Piero della Francesca, instradandolo piuttosto verso una valorizzazione del sentimento. Botticelli è uno dei massimi interpreti del senso più profondo della filosofia neoplatonica, che alimentava il pensiero e la ricchissima produzione artistica di quella cerchia di intellettuali fiorentini stretti intorno alla personalità dominante di Marsilio Ficino, tra cui si devono anche ricordare illustri figure di letterati quali Angelo Poliziano e Lorenzo il Magnifico. Per i neoplatonici più che i fatti della storia e gli aspetti esteriori della natura, contano le idee che animano l'intensa vita spirituale dell'uomo e le manifestazioni molteplici della civiltà. Le idee dunque rappresentano valori eterni e assoluti, e possono essere esclusivamente alluse, suggerite in modo simbolico nelle forme dell'umano e della natura. É questo il principio che regola il linguaggio pittorico del Botticelli, volto al recupero di temi mitologici e di motivi iconografici che, tratti dal grande repertorio della rielaborazione umanistica del patrimonio classico, intessono i suoi quadri di allegorismi e di citazioni dotte, che allontanano l'immagine da quella ricerca di concretezza naturalistica a cui si improntava tanta parte della pittura fiorentina. Espressione esemplare di questo orientamento è la Primavera, il cui fondo piatto costituito dall'alternanza dei chiari del cielo e degli scuri dei tronchi e delle foglie, sottrae allo spazio ogni profondità prospettica, pervadendo l'immagine di una luce sospesa e smorzata, che smaterializza ogni cosa. Negli affreschi con le storie della vita di Mosè per la Cappella Sistina, Botticelli si propone di passare in rassegna gli eventi salienti della storia antica, interpretandoli alla luce del significato profondo impresso alla civiltà umana dall'avvento di Cristo. E' per questo che architetture classiche e fatti della storia antica si mescolano a riferimenti di scottante attualità: Botticelli mira a dimostrare la coerenza di Antico e Nuovo Testamento e il comune denominatore spirituale delle manifestazioni della storia. Dopo la parentesi romana, Botticelli torna a Firenze, imprimendo una svolta allo stile della sua pittura, ormai orientata verso l'accentuazione della durezza dei contorni e della compattezza delle forme, definite in tasselli di colori puri, resi insensibili alle modulazioni della luce. La Nascita di Venere è chiara manifestazione di questa conversione stilistica, pur ancorata alla morbidezza ritmica di linee sinuose che si rincorrono e alla nitida scansione dello spazio a stabilire precisi tempi e pause narrative. Negli ultimi anni, di fronte all'inasprirsi della crisi politico-religiosa a Firenze, e amareggiato per il confronto con Leonardo, fautore di una pittura antitetica ai suoi gusti, perché fondata sull'indagine della natura e sull'osservazione diretta, Botticelli esaspera il suo pessimismo e la totale sfiducia nel progresso storico, riflettendo la sua angoscia nella scompaginazione dei valori spaziali e prospettici della Natività mistica e nei ritmi compositivi laceranti delle Storie di San Zanobi.

Sandro Botticelli: "La primavera"

Sandro Botticelli: "La primavera"

Sandro Botticelli: "La nascita di Venere" (Firenze, Uffizi)

Sandro Botticelli: "La nascita di Venere" (Firenze, Uffizi)

BRAMANTE

Donato Bramante, nato ad Urbino nel 1444, viene in contatto con la pittura di Melozzo che lo inizia al gusto per le monumentali architetture dipinte e per l'interpretazione dell'immagine pittorica come illusione prospettica ed amplificazione decorativa. Passa poi nel 1477 a Bergamo dove realizza per la facciata del palazzo del podestà la raffigurazione in scala monumentale di figure di filosofi. Questo stesso tema viene ripreso qualche tempo dopo a Milano con le possenti figure di uomini d'arme e filosofi inserite nella spazialità dilatata di nicchie o arcate grandiose, realizzate per le sale del Palazzo Panigarola a Milano. Lo stile monumentale e celebrativo cui Bramante impronta l'intero repertorio delle sue raffigurazioni di illustri personaggi storici ha una lunga tradizione di precedenti pittorici e teorici: dagli affreschi di Melozzo da Forlì per lo studiolo di Federico da Montefeltro, esempio di una interpretazione retorica della pittura, alla statura eroica dei personaggi di Mantegna, fino ad arrivare alla ricostruzione accurata del «tipo» del monumento classico di Leon Battista Alberti. Ormai l'obiettivo di Bramante sul piano della sperimentazione formale e tecnica consiste nella realizzazione di sapienti effetti visivi e stratagemmi prospettici in grado di fingere spazi ed architetture di ampio respiro, concepite come abbaglianti scenografie dal ricco apparato decorativo. Questo è il principio che guida la ricostruzione dell'antica chiesa di Santa Maria presso San Satiro (1482), in cui dovendo affrontare il problema della esiguità del coro, lo risolve facendo appello a un'impostazione pittorica: realizza così una scintillante decorazione in stucco che crea effetti di sfondamento dello spazio e di complessa articolazione architettonica. Nel 1448 collabora alla realizzazione del Duomo di Pavia, impostato secondo uno schema a pianta centrale, che concepisce la spazialità avvolgente della cupola come elemento di riequilibrio di tutte le forze in atto. Da ricordare infine il suo progetto per il corpo di Santa Maria delle Grazie, purtroppo snaturato da una realizzazione incompetente, che riveste la cupola con un tamburo circondato da una galleria a loggiato, e posato sul perimetro quadrangolare del coro, di cui tre lati sono sviluppati in ampie curvature che tendono le superfici murarie, su cui si aprono grandi finestre (successivamente murate) e si disegnano all'esterno fini membrature e minuti motivi decorativi.

RAFFAELLO

Nato nel 1483 ad Urbino, figlio di un pittore legato alla corte dei Montefeltro, Raffaello impronta la prima parte della sua opera all'esempio peruginesco. Distaccandosi dalla grazia un po' leziosa del maestro, già nello «Sposalizio della Vergine» (Milano, Brera; 1504) dà prova di sicuro dominio prospettico e spaziale, realizzando un impianto compositivo nitido e luminoso. Il soggiorno fiorentino è caratterizzato dalla produzione di serie di «Madonne col Bambino» (nella variante della sacra Famiglia e del Bambino con S. Giovannino), sullo sfondo di paesaggi dolci e pieni di grazia, che determineranno il suo grande successo presso il pubblico contemporaneo. Importanti sono anche i ritratti dei membri delle famiglie dell'aristocrazia mercantile cittadina: ad esempio Agnolo e Maddalena Doni (Firenze, Pitti), ispirati a modelli leonardeschi, nei quali concentra la propria attenzione sulla fusione atmosferica tra personaggio e ambiente circostante. Bramante lo chiama a Roma nel 1508 a lavorare per l'appartamento di Giulio II della Rovere, che rifiutava di abitare l'appartamento Borgia. I lavori vaticani costituiscono una tappa fondamentale dell'iter dell'artista in quanto bene interpretano i nuovi ideali e le aspirazioni della corte pontificia. Nascono così gli affreschi delle quattro stanze (della segnatura, di Eliodoro, di Costantino e dell'incendio di Borgo), che rappresentano il punto più alto di fusione del patrimonio culturale classico con gli elementi della spiritualità cristiana. Fu anche architetto della fabbrica di San Pietro e sovrintendente alle antichità di Roma.

Raffaello Sanzio: "Sposalizio della Vergine"

Raffaello Sanzio: "Sposalizio della Vergine"

MICHELANGELO

Quell'ideale di equilibrio, armonia e misura che ancora esprimeva la pittura di Raffaello, non trova più alcun riscontro nella visione di Michelangelo, nato a Caprese nel 1475. L'arte per Michelangelo è un'esperienza che permette all'uomo di staccarsi dalla materia e, attraverso una tensione, una lotta interiore che lacera l'esistenza, ascendere a Dio, per divenire partecipe della natura divina. Tutte le opere dell'artista esprimono dunque quest'aspirazione rivelando la sua tormentosa visione del rapporto tra uomo e divinità. L'angoscia del destino mortale lo invade a tal punto che non concepisce per l'arte altro fine che il rappresentare grazie alla espressività del corpo umano la varietà delle passioni, e la loro sublimazione per mezzo della fede.

Il non-finito (cioè la non conclusione della sbozzatura e rifinitura delle sculture) è intenzionale: vuole infatti mettere in evidenza (come nei celebri «Prigioni») una contrapposizione drammatica tra il blocco della prigione corporea e l'anima (o «idea») che se ne vuole liberare. La sua maggiore impresa pittorica è la decorazione della cappella Sistina (in Vaticano), che egli realizzò in due tempi: inizialmente il soffitto (Genesi, 1508-12), in seguito il grandioso Giudizio Universale sulla parete di fondo (1543-45).

Nella prima opera la pittura si fa scultura e architettura insieme spartendo potentemente gli spazi, popolati di figure dalle forme possenti, e al tempo stesso animate da potenti impulsi e tensioni di moto. Il recente restauro ha messo in luce la grande novità del colore chiarissimo, aspro e stridente, che assume valori timbrici (o di purezza del colore) in aperta polemica con l'impostazione tonale (colore mescolato al bianco o al nero, per rendere la gradazione di luce) leonardesca.

Nel secondo dipinto ogni valore proporzionale rinascimentale scompare nell'immenso gorgo dominato dalla figura di Cristo giudice, al centro di un vortice impressionante di corpi, che hanno moto ascensionale a destra (dove sono schierati gli eletti) e discendente a sinistra (i dannati). Particolare importanza hanno le creazioni architettoniche (sacrestia nuova in San Lorenzo a Firenze, Biblioteca Laurenziana, cupola di San Pietro a Roma, Campidoglio), che rivelano la tensione irrisolta tra un principio classico e uno anti-classico, dal cui conflitto si generano risultati formali di estrema suggestione dinamica ed intenso plasticismo.

Michelangelo: "Il giudizio universale" (part.)

Michelangelo: "Il giudizio universale" (part.)

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