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Animali Anfibi Emibatraci

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VITA DEGLI ANIMALI - ANFIBI - EMIBATRACI

INTRODUZIONE

L'apparente somiglianza tra le lucertole e le salamandre indusse in errore molti naturalisti, che considerano i rettili e gli anfibi come appartenenti ad una stessa classe. In realtà, le salamandre somigliano alle lucertole come la civetta somiglia al gatto, l'anatra all'ornitorinco, o il serpente all'orbettino. Generalmente, le salamandre hanno il corpo allungato, cilindrico, con testa distinta e coda lunga; hanno quattro o due zampe come le lucertole, ma la pelle nuda, cioè senza squame, le distingue inequivocabilmente. Più particolareggiatamente, i caratteri degli urodeli sono i seguenti: corpo allungato e tondeggiante, capo relativamente grosso, schiacciato e tondeggiante sul muso, collo distinto dalla testa e dal corpo, coda tonda, o lateralmente compressa, o appiattita a foggia di pinna. Le zampe hanno la struttura tozza di tutte le membra degli anfibi e sono quasi egualmente lunghe; i piedi anteriori hanno 3 o 4 dita e i posteriori, se esistono, ne hanno da 2 a 5. La pelle, in generale, è morbida e sottile, ma talvolta può essere anche scabrosa e piena di protuberanze, secondo se l'animale è acquatico o terragnolo. Le protuberanze, che talvolta si raggruppano, sono ghiandole che secernono un umore particolarmente viscido, simile all'albume; la pelle è spesso in muta parziale, il suo colore dominante è scuro, ma non si può mai parlare di una tinta unica, perché sono presenti sempre macchie o strisce di colore più chiaro. Nel cranio si distinguono le ossa frontali e del vertice e, spesso, anche l'osso frontale; la mandibola superiore è assai ridotta. La colonna vertebrale ha un gran numero di vertebre cui si innestano, almeno nelle specie più elevate, delle costole brevi e ottuse. Manca lo sterno, che è rimpiazzato dalle scapole che si allargano, alla estremità inferiore, in una membrana cartilaginosa orizzontale. Il bacino non sempre si attacca ad una stessa vertebra che, d'altronde, non è diversa da quelle che la seguono o la precedono. Le ossa del corpo sono imperfettamente sviluppate. Gli occhi, in alcune specie, sono piccoli, rudimentali e coperti da una membrana, in altre sono grandi, ben formati, muniti di palpebre e retrattili come quelli delle rane. La pupilla è tonda e l'iride è gialla o rossiccia. Le narici, poste lateralmente o anteriormente, si aprono o all'insù o ai lati. Le orecchie sono sempre coperte dalla pelle esterna; manca la cavità del timpano ed esiste solo il labirinto. La parte inferiore della cavità delle fauci è molto ampia e quasi totalmente riempita dalla lingua che può avere diverse forme: larga e tonda, stretta e ovale, a forma di cuore, saldata al centro e perciò mobile in tutti e due i margini, o saldamente fissata e immobile. Tutti gli Emibatraci portano nella mascella superiore e nell'osso palatino denti speciali, alquanto volti all'indietro, che servono solo per addentare e trattenere la preda. L'esofago è piuttosto lungo e lo stomaco è un gran sacco che si allunga verso il duodeno e passa a poco a poco nell'intestino retto; il fegato è grosso, tanto da coprire quasi tutto lo stomaco, la vescica dei fiele e le ghiandole pancreatiche sono assai sviluppate. La vescica d'acqua è ampia, ricca di vasi, e occupa, se è piena, la metà del ventre e contiene un liquido limpido, incoloro e insaporo, che serve per mantenere all'animale l'umidità necessaria. Gli organi della respirazione somigliano a quelli dei batraci, con la differenza che spesso le salamandre conservano, oltre ai polmoni, anche le branchie; mentre queste si ramificano all'esterno della cavità branchiale, gli altri si sviluppano all'interno. Gli Emibatraci si diffondono negli stessi luoghi dei batraci, ma è singolare notare come in alcuni luoghi, dove questi ultimi sono frequenti, non si sia mai notata l'ombra di un urodelo. Nulla sappiamo delle salamandre dell'America meridionale e dell'India, eppure si può ammettere con certezza che sono presenti in tutti e due i Paesi. Il mistero della loro vita può giustificare la nostra ignoranza: la maggior parte di esse abita per tutta la vita le acque melmose delle paludi e quelle profonde dei laghi, altre ancora si trovano a migliaia di metri sul livello del mare; tutte, senza eccezione, sono animali notturni che si spostano dai sicuri rifugi solo dopo che il sole è calato o che è scesa una benefica pioggia, e tutte possono vivere in gran numero in regioni dove non se ne sospetta neanche l'esistenza. Le specie terragnole preferiscono i luoghi umidi e oscuri, poco accessibili ai raggi del sole, si nascondono sotto le pietre e fra i tronchi bucati degli alberi; quelle acquaiole difficilmente lasciano l'acqua. Le nostre salamandre salgono di tanto in tanto alla superficie per prendere aria, o si muovono negli strati superiori dell'acqua per riscaldarsi ai raggi del sole e così si lasciano più facilmente osservare. Nelle zone settentrionali, al sopravvenire dell'inverno, gli Emibatraci cadono in letargo, mentre nelle zone meridionali questo fenomeno si verifica col sopravvenire della stagione asciutta; la loro vitalità è eccezionale: essi possono gelare o seccarsi al sole, ma basta il primo raggio o la prima goccia di pioggia per farli tornare in vita. Alcune specie hanno i movimenti tardi e impacciati, altre, invece, corrono così speditamente che si possono paragonare a lucertole; nell'acqua tutte si muovono con agilità, servendosi anche del movimento serpentino della coda per sospingersi avanti. Nessuna di esse, però, è in grado di arrampicarsi. Il cibo è costituito da molluschi, ragni, insetti e da alcuni vertebrati. La maggior parte di esse è data da predoni formidabili e privi di scrupoli, tanto da divorare senza cerimonie gli individui più deboli della propria specie. La rapida digestione giustifica la loro voracità. Il modo di riprodursi di questi animali è assai diverso: non vi è accoppiamento, ma il maschio e la femmina si recano nell'acqua, dove le uova sono deposte nel mezzo liquido ricco del seme maschile: i piccoli nascono nell'acqua e vi passano il primo tempo della loro vita. Sarebbe difficile trovare un solo emibatrace nocivo all'uomo: alcune delle specie più grosse si nutrono di pesci, ma il consumo che ne fanno non è rilevante per l'economia di quelle regioni. Anche esse divorano molti animali nocivi all'uomo e l'umore prodotto dalle ghiandole non può danneggiare nessuno sebbene da tempi antichissimi il popolino creda il contrario. Fra i nemici delle salamandre sono da annoverare alcuni serpenti e i pesci; i mammiferi e gli uccelli abboccano solo le salamandre acquaiole, in considerazione del cattivo sapore che l'umore delle ghiandole da loro. Anche questi animali sono oggetto dell'antipatia e del ribrezzo degli uomini, ma, fortunatamente, i loro costumi costituiscono una buona protezione contro i pericoli. Solo il dotto insidia le salamandre, per il diletto che gli procura il loro modo di vivere e perché in cattività vivono a lungo.

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SALAMANDRE

La Salamandra, animale simile alla lucertola con macchie a forma di stella, si fa vedere solo con il tempo umido. E' così fredda che spegne il fuoco al solo toccarlo. L'umore che, simile a latte, le sgocciola dalla bocca, fa cadere tutti i peli del corpo umano e la parte che viene in contatto con questo umore perde il colore e diventa livida. Fra tutti gli animali velenosi, le Salamandre sono le più pericolose: mentre alcune specie si limitano a portare la morte ad una singola persona - senza contare che dopo aver ferito un uomo, periscono con lui - la Salamandra può annientare intere popolazioni. Quando sale sopra un albero, ne avvelena tutti i frutti e chi ne mangia muore di freddo; se, disgraziatamente, si accende un fuoco con il legno da essa contaminato e su questo fuoco si cuoce il pane, il pane stesso risulta avvelenato; se cade in un pozzo, l'acqua ne risulta inquinata. Eppure, se questo velenoso animale è mangiato dal maiale, il veleno perde la sua efficacia. Non è vero quanto asseriscono alcuni maghi e che cioè la Salamandra possa spegnere il fuoco: da un pezzo se ne sarebbe fatto l'esperimento. Sextius dice che il corpo della Salamandra, vuotato di interiora, privato di testa e zampe e conservato nel miele, è un cibo assai eccitante, ma anch'egli nega che la bestia viva possa servire a domare gli incendi». Queste sono le parole di Plinio e siccome, pur essendo passato tanto tempo, i creduloni sono sempre più numerosi degli scettici, la povera Salamandra è ancora oggetto di diffamazione continua. Le leggi romane ritenevano colpevole d'avvelenamento chiunque cercasse di propinare agli altri salamandre intere o anche a pezzetti. Ancora ai principi dell'Ottocento c'era chi tentava di far fuori il marito ammannendogli il manicaretto a base di salamandra. Gli alchimisti, nell'intenzione di creare l'oro, bruciavano il povero animale fra le più insensate buffonerie, e stillavano sul suo corpo carbonizzato il mercurio. Negli incendi la povera Salamandra veniva gettata fra le fiamme perché le domasse; perfino nel blasone di Francesco I era raffigurata nel fuoco con il motto «Nutrio et extinguo». Chi timidamente si opponeva alla diffusione di simili fandonie, era trattato con sprezzante condiscendenza: «Chi considera queste cose come favole o bugie, dimostra la mediocrità del suo piccolo cervellino, lascia ben vedere che non ha molto girato il mondo e non ha avuto commercio con gente istruita e che abbia viaggiato». Quanto segue chiarirà i costumi e la pretes velenosità della Salamandra.

Salamandra codalunga

Modello tridimensionale di salamandra

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SALAMANDRA GIALLONERA (Salamandra maculosa)

Questo animale giunge alla lunghezza di 13-15 centimetri e presenta macchie irregolari giallo-oro su fondo nero. Specialmente sviluppate sono le ghiandole della regione occipitale e quelle disposte in file ai due lati del corpo. La sua area di diffusione si estende in tutta l'Europa, in buona parte dell'Asia e in Africa settentrionale (naturalmente, è comune solo nelle regioni che le si confanno). Preferisce i luoghi scuri ed umidi, le cavità sotto le radici degli alberi o sotto i mucchi di pietre; essendo animale notturno, esce durante la notte, mentre di giorno si fa vedere solo se piove. Un po' di calore o un raggio di sole basta a togliere al suo corpo l'umidità necessaria e solo dopo una pioggia si mostra in buona salute. I suoi movimenti sono lenti e tardi: il camminare si riduce ad uno strisciare con curve laterali e il nuotare è uno spostarsi nell'acqua dietro la spinta della coda. Le facoltà intellettuali sono minime e i sensi sono ottusi; non esiste fra loro il senso della socialità, anzi, spinte dalla fame, possono anche divorarsi fra loro. Questa situazione cambia solo durante il periodo della riproduzione, perché, soddisfatto l'istinto, il maschio e la femmina non si dànno più pensiero l'uno dell'altra. Si cibano di lombrichi, chiocciole, insetti e di tutti gli altri animali che hanno i movimenti stentati; talvolta mangiano molto, ma talvolta digiunano per intere settimane. Non tutti i naturalisti sono d'accordo nel descrivere la riproduzione della Salamandra Giallonera; l'accoppiamento si effettua nell'acqua, ma è inesatto parlare di copula vera e propria, perché la fecondazione delle uova avviene quando la femmina assorbe il seme sparso nell'acqua dal maschio. Da esperimenti fatti risulta che la fecondazione rimane a lungo attiva ed opera anche su quelle uova che, fino allora, non erano ancora mature. A volte, infatti, dopo un'emissione, se ne verifica una seconda a distanza di tempo. Il numero degli embrioni è enorme: negli ovidutti di una femmina se ne sono trovati più di cento, ma, ordinariamente, vengono espulse da trenta a cinquanta uova. Talvolta può accadere che vengano emessi embrioni di girini e uova; i girini, disposti a strati orizzontali, sono avvolti in una finissima pellicola e arrotolati su sé stessi in modo che la testa tocchi la coda. Quando l'embrione giunge all'aperto, l'involto si strappa per il movimento della coda e il girino appare già provvisto delle quattro zampe e perfettamente capace di muoversi in acqua come i girini delle rane; il colore, in principio, è verde-oliva chiaro con un disegno più scuro. Le madri preferiscono, per l'allevamento dei loro nati, le acque fredde di sorgente, come se intuissero che, essendo necessari molti mesi per il completo sviluppo dei girini, sia indispensabile un'acqua perenne che non si prosciughi col tempo. Spesso i girini si trovano ancora in ottobre in queste acque, ma, ordinariamente, le branchie si ritraggono alla fine di agosto o al principio di settembre e in questo periodo i girini possono iniziare la vita dei genitori. Quando la metamorfosi è compiuta, esse sembrano più piccole di prima; sembra che passino nascoste i primi anni di vita. Le salamandre nate in cattività si sviluppano molto più rapidamente, forse per la temperatura più calda e costante, e dopo tre settimane già possono andare all'asciutto. L'umore acre che secernono questi anfibi li protegge da molti eventuali nemici, dato che esso riesce sgradevole e qualche volta anche nocivo. L'animale sa scaricare le sue ghiandole nei momenti d'angoscia e per difendersi contro le aggressioni. Si sono di molto esagerati gli effetti di questo umore, tanto che è stata attribuita la morte di alcuni fanciulli al fatto che essi avevano bevuto ad un pozzo frequentato da questi urodeli. I molti esperimenti fatti provano che il «veleno» cagiona sulle mucose un senso di bruciore e una infiammazione che può anche provocare la morte di piccoli uccelli e rettili; alcune lucertole morirono dopo aver morso una salamandra, ma animali come cani, tacchini, galline, mangiarono carne di salamandra e la digerirono senza difficoltà. Solo occasionalmente avvenne che i cani la rigettassero. Queste sono le osservazioni dello scienziato Albini: «Superato il ribrezzo naturale che l'uomo prova al contatto con queste creature striscianti, mute, dagli occhi fissi, se si posa una salamandra sulla palma della mano, essa vi rimane molto tranquilla e sembra quasi godere del calore umano. Se però la si afferra senza delicatezza, in modo da far pressione su qualche punto, subito escono alcune stille del liquido biancastro, che ha lo stesso odore che spande il coleottero noto col nome di cerambice muschiato (Ceranlbyx moschatus). Se poi si vuol costringere la Salamandra in una posizione - se, per esempio, la si vuol legare su di una tavoletta - essa è capace di mandare il suo umore anche ad una distanza di 30 centimetri. Essendomi convinto che l'emissione di questo è dovuta ad una volontaria contrazione muscolare, pensai di ottenerne una cospicua quantità sottoponendo l'animale ad impulsi elettrici. Lavai alcune salamandre, le misi in un bicchiere pulito in cui feci passare della corrente elettrica e riuscii a raccogliere una discreta scorta di umore». L'umore così ottenuto fu oggetto di numerosi, per quanto incompleti, esperimenti e si trovò che riusciva velenoso per gli uccelli e per le rane, sia inoculato nel sangue, sia introdotto per via orale, anzi, più nel secondo caso che nel primo. Gli animali che mangiarono le carni di quelli morti per avvelenamento, rimasero sani, ma si ebbe sempre l'avvertenza di asportare il membro in cui era stato inoculato il veleno e le interiora. Il veleno irrita localmente, anche se è somministrato in soluzione; l'assorbimento di una grande quantità determina una rapida morte, accompagnata da segni d'angoscia e di dolore; le pulsazioni del cuore sono più rapide e frequenti. L'uccellino può volare ma non può stare in piedi, cade ora su un fianco, ora sull'altro e le sue zampette sono rattrappite. Nelle rane l'effetto è più lento: anche qui la circolazione e la respirazione si accelerano, sopraggiungono rigidezza e convulsioni che possono durare anche per giorni interi. La pelle delle rane diventa scura e l'evaporazione è fortissima. L'estratto in alcool di vino è risultato assai più velenoso dell'estratto acquoso. I cristalli formatisi dopo l'evaporazione sono molto velenosi e sono egualmente solubili nell'alcool, nell'acqua e nell'etere il loro effetto si palesa, all'inizio, col vomito. La potassa, la soda e l'ammoniaca non intaccano i cristalli. E questo è quanto si sa su questo argomento che deve essere ancora approfondito. Con qualche cura la Salamandra può sopportare a lungo la prigionia: basta prepararle una gabbia con dell'acqua e qualche nascondiglio. Si nutre di larve, insetti, lombrichi; mangia anche gli individui più piccoli della stessa specie. E' degno di nota il fatto che la Salamandra non resiste all'azione del normale sale da cucina e, per ucciderla immediatamente, basta qualche pizzico di cloruro di sodio.

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SALAMANDRA NERA (Salamandra nera)

Nelle Alpi è diffusa la Salamandra Nera, affine della giallo-nera cui somiglia moltissimo. Di pelle scura e senza macchie, è di mole alquanto inferiore. Abita la zona compresa fra i 600 e i 2000 metri sul livello del mare. Nei luoghi adatti se ne può trovare un gran numero di esemplari; vive in società sotto i mucchi di pietre e i cespugli. E' una creatura lenta e sonnacchiosa che si mostra fuori della buca solo in tempo di pioggia, e intristisce quando dura la siccità. Secondo Schreiber, la Salamandra Nera si riproduce in maniera diversa dalla giallo-nera. Essa partorisce infatti figli vivi, in numero di due ogni volta: infatti, anche se molte uova passano nell'ovidutto, non si sviluppa mai più di un embrione che si nutre, fino al momento della sua nascita, dei tuorli (in numero di circa venti) che rimangono sterili nell'ovidutto materno. Il piccolo non solo giunge ad una perfetta formazione nel ventre della madre, ma cresce sino ad una lunghezza di 40-44 millimetri; la coda è spesso voltata due volte sul corpo. Le branchie somigliano a quelle della salamandra giallo-nera, ma sono più grosse e misurano quasi la metà della lunghezza totale del corpo: queste branchie spariscono prima della nascita e nei piccoli nati si presentano come due monconi. Per esaminare questo embrione, è necessario prelevarlo dal corpo materno, annegando a tale scopo la progenitrice nell'alcool; il girino non risente gran danno e a volte continua a vivere ancora per qualche tempo. Esso può fare a meno dell'acqua e talvolta la madre, in schiavitù, depone il figlio all'asciutto. Questo modo di riprodursi non trova riscontro in nessun'altra salamandra. Di solito, i due piccoli che si trovano negli ovidutti crescono uguali in grossezza e forza e nascono nella stessa ora, ma può anche capitare che si sviluppino in grado diverso e che uno nasca parecchi giorni o, addirittura, qualche settimana dopo l'altro. Tale differenza sembra derivare dal fatto che il primo uovo fecondato andò a male e che un altro se ne sviluppò in sua vece: infatti si vedono spesso in uno stesso ovidutto due o tre uova a gradi diversi di sviluppo, mentre le altre sono già compresse e schiacciate. Da ciò risulta che tutte le uova mature in uno stesso periodo sono fecondate, ma solo due sono quelle che si sviluppano.

SALAMANDRA TALPINA (Salamandra talpoidea)

Fra le numerose salamandre terragnole dell'America settentrionale, una merita la nostra particolare attenzione, distinguendosi dalle altre per il suo modo di vivere. Essa infatti vive sottoterra come la talpa e non in buche scavate a caso ma in vere gallerie che essa si scava con una velocità tale che sembra sparire alla vista dell'osservatore. Essa può essere inseguita con grande facilità, perché le sue buche sono poco profonde e la terra smossa in superficie ne rivela l'esistenza. E' di colore uniforme grigio scuro; sul collo, sul ventre e sulla parte inferiore della coda è di colore ugualmente scuro con sfumature viola. E' lunga circa 8 centimetri.

SALAMANDRINA DAGLI OCCHIALI (Salamandrina perspillata)

La Salamandrina dagli Occhiali, detta anche Tarantolina, è di un bel nero vellutato, sul quale spicca vivamente il colore giallo-rosso degli occhiali; la parte inferiore è chiara con macchie irregolari nere; la parte interna delle zampe è di un bel rosso scuro. La lunghezza è di 8 centimetri, di cui la metà spetta alla coda. Quest'animale è particolarmente diffuso in Italia, dove è comune nei luoghi di mezza montagna, specie se ricchi di ombra e vegetazione. Fino ad aprile, essa non appare; al principio di giugno ha inizio il tempo degli amori, dopo di che si nasconde fuggendo il calore del sole, per ricomparire poi in settembre. Le uova deposte sono ravvolte da una sostanza simile a quella delle uova delle rane e presentano, senza molta differenza, le stesse modificazioni. Lo sviluppo dell'uovo dura da 20 a 22 giorni; il girino comincia a muoversi dopo dieci, dodici giorni e, appena uscito dal suo involucro gelatinoso, cade sul fondo dell'acqua, sfinito, per circa due giorni. Le estremità anteriori appaiono per prime. I girini delle salamandrine sono molto più tranquilli di quelli delle rane, rimangono per molto tempo sopra lo stesso sasso e sono decisamente carnivori. La Salamandrina acquista tutta la sua mole solo l'anno seguente. La pelle trasuda una sostanza analoga a quella della salamandra maculosa ma meno abbondante e incolora: probabilmente questo liquido ha proprietà analoghe. La sua vita è tenacissima; morta, non va in putrefazione, ma si asciuga come una mummia.

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TRITONI

I Tritoni, o Salamandre Acquaiole, si distinguono pochissimo dalle salamandre fin qui esaminate. Hanno il corpo cilindrico, la coda compressa lateralmente a forma di remo e munita, in alcuni esemplari, di una specie di cresta. I piedi anteriori hanno sempre quattro dita, i posteriori cinque, spesso palmate alla base. Tanto le mandibole quanto il palato presentano denti. Le Salamandre Acquaiole abitano di preferenza le acque stagnanti, nuotano più speditamente delle terragnole e insidiano ogni genere di piccoli animali. Tutte le specie finora note si riproducono per uova: è da notare che alcuni animali dànno inizio alla riproduzione prima ancora di aver compiuto interamente la metamorfosi. Come le altre, esse non si dànno alcun pensiero delle uova emesse e le abbandonano al calore del sole e all'azione dell'acqua. I girini abbandonano l'involucro prima di avere le membra sviluppate: le prime a comparire sono le zampe anteriori e, in un secondo tempo, le posteriori. Le branchie spariscono in età avanzata (in alcuni animali non spariscono affatto); raggrinzite le branchie e chiuse le fessure branchiali, ha inizio la respirazione polmonare. Questi animali non secernono l'umore che è caratteristico dei loro affini terragnoli, e perciò sono esposti ad un maggior numero di pericoli, vista la voracità di alcuni pesci; la loro vitalità è talmente efficiente che, qualora debbano subire ferite anche di notevole entità, spesso essa permette loro di sopravvivere a gravissime mutilazioni, che renderebbero sicuramente impossibile la vita ad altri animali.

Tritone dalla pelle ruvida

PLEURODELO DI WALTEL (Pleudeles waltelii)

Il Pleurodelo di Waltel si distingue da tutti gli anfibi per avere rudimenti di costole piuttosto lunghi, attaccati a 12 o 14 vertebre. In complesso somiglia molto ai tritoni da cui si differenzia, oltre che per le costole, anche per il capo piatto e la coda relativamente lunga. La testa si distingue nettamente dal tronco, perché è più larga, gli occhi sono quasi tondi e la coda è più lunga del corpo. Alla pelle mancano le ghiandole laterali della salamandra terragnola, ma tutto il corpo, e specialmente la regione delle mandibole, è ricoperto di piccole ghiandole irregolari e sporgenti. I piedi anteriori hanno quattro dita e i posteriori cinque; mancano le palmature. E' difficile descriverne il colore, perché alcuni lo definiscono marrone-grigio con macchie poco visibili e altri grigio-verde con fasce trasversali e longitudinali gialle. Le costole, la cui estremità è sporgente e assai visibile, sono circondate di rosso; la parte inferiore è giallo-scura con macchie e fasce nero-verdi. Il Pleurodelo si differenzia dagli altri urodeli più per la conformazione dello scheletro che per quella della forma esterna e del colore. Ha 56 vertebre e tutte, tranne la prima, portano costole che si articolano e sono lunghe 7 millimetri. Nessun tritone ha tante vertebre e delle costole così numerose e bene sviluppate. Il cranio si distingue per una volta ossea che troviamo solo in alcune specie di coccodrilli. I margini delle mandibole hanno denti aguzzi in numero variante da cinquanta a sessanta; negli individui giovani si osservano 12 denti acuti, taglienti e piccolissimi, in ogni osso palatino. Il Pleurodelo di Waltel fu trovato da questo studioso, che per primo lo classificò e gli dette il nome, in Spagna, immerso in quelle profonde cisterne che sono comunissime specialmente nell'Andalusia; io non sono molto informato su questo animale.

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TRITONE CRESTATO (Triton cristatus)

Il Tritone Crestato ha, come tutti i tritoni, una cresta cutanea che corre lungo la spina dorsale ed è molto più sviluppata nel maschio durante il periodo dell'accoppiamento. La lingua è ovale e libera solo ai margini. Superiormente è di color bruno-oliva con spolverature bianche e macchie nere, mentre, inferiormente, presenta ugualmente macchie nere, ma su un fondo rosso-arancio; la coda è orlata, in basso, dallo stesso colore. E' lungo 13 centimetri. Vive negli stagni, nei fossi, nelle paludi e, in genere, in tutte le acque stagnanti dell'Europa centrale; a volte, però, stabilisce la sua dimora nelle sorgenti di acque limpide e fresche, nei pozzi, ecc. I tritoni tanto si somigliano nei costumi e nelle consuetudini che è sufficiente descrivere la vita del solo Tritone Crestato, per avere l'idea esatta delle abitudini di tutti gli altri. Essi sono dei veri animali acquatici che salgono a terra solo eccezionalmente e tornano il più presto possibile nell'acqua; preferiscono le acque limpide, ombreggiate da cespugli che offrono loro il cibo necessario; evitano i corsi d'acqua impetuosi. A terra sono goffi ed impacciati, mentre nel loro elemento si muovono agilmente, aiutandosi con la larga coda, salgono verticalmente alla superficie, si rituffano verso il fondo, dove si muovono con vivacità, spiando la preda. Alla fine dell'autunno lasciano l'acqua per cercarsi un giaciglio invernale sotto le pietre o fra le radici degli alberi; quelli che hanno preso dimora in uno stagno accogliente, vi rimangono anche nella stagione fredda. Di solito, verso la fine di febbraio, abbandonato il ricovero invernale, dànno inizio alla stagione degli amori, nuotando vicinissimi e urtandosi con la coda come sono soliti fare i pesci. Il maschio innamorato inalbera la sua cresta e si sposta rapidamente, avvicinandosi col muso a quello della femmina, mentre la sua coda, oscillando, le percuote dolcemente i fianchi. Dopo qualche tempo, il maschio emette il suo seme che, portato dall'acqua, feconda le uova della femmina. Rusconi ha fatto un accurato studio sulla riproduzione dei tritoni e queste notizie sono desunte da una sua opera. Il nostro naturalista si procurò delle femmine che supponeva fecondate; dopo tre giorni trovò, sul fondo del vaso, circa trenta uova, raggruppate in una specie di cordone nodoso. Le uova furono raccolte in un altro recipiente più piccolo, pieno di acqua, ma dopo cinque o sei giorni andarono a male. Intanto le femmine avevano emesso altre uova che ugualmente andarono a male. Anche un tentativo, fatto dal Rusconi, di fecondazione artificiale, non fu coronato da successo. Lo studioso, nel frattempo, si era accorto che le sue prigioniere, di tanto in tanto, portavano le zampe posteriori sotto il corpo ed emettevano delle uova; quando furono messe nella gabbia delle erbe palustri, si notò che la femmina si avvicinava alle piante, le odorava e strisciava trasversalmente, sotto, prendeva una foglia fra le zampe posteriori, rimaneva in quell'atteggiamento per circa un minuto e, dopo due o tre minuti, faceva la stessa operazione con un'altra foglia. Le foglie risultavano piegate ed un attento esame rivelò che fra le due metà era stato deposto un uovo che, con il suo rivestimento vischioso, teneva la foglia piegata. L'uovo emesso è, in principio, bianco e tondo, avvolto in una materia gelatinosa; se si sposta o si volta, torna subito sul lato su cui giaceva prima e questo dipende dal fatto che da una parte c'è il tuorlo e dall'altra l'albume, e l'uovo si rovescia sempre dalla parte del maggior peso. Dopo tre giorni, con una lente, si può vedere la forma complessiva dell'embrione; il settimo giorno si possono distinguere chiaramente le parti corrispondenti alla testa, alla coda, al corpo e alla colonna vertebrale. Il nono giorno l'embrione ha cambiato posizione e il cuore si contrae e si dilata; spuntano poi dalla testa quattro fili gli uncini - che serviranno al girino per attaccarsi, le branchie prendono forma e si può vedere la circolazione del sangue ancora bianchiccio. Il dodicesimo giorno i movimenti sono sempre più convulsi e il tredicesimo giorno si strappa la pellicola dell'uovo e il girino si attacca per mezzo dei suoi uncini alle foglie e rimane in riposo per ore intere nella stessa posizione; a volte gli può capitare di cadere sul fondo e di giacervi come morto. In questo tempo si sviluppano gli organi interni e si hanno le prime manifestazioni della vita animale: il girino sfugge ciò che gli dispiace e cerca ciò che gli piace; i piccoli insetti che pullulano nell'acqua sono attivamente insidiati e abilmente abboccati e, se l'appetito è molto vivo, neanche i fratelli sono risparmiati e spesso ci rimettono branchie o coda. A poco a poco si formano i piedi anteriori, e quando il girino ha raggiunto i due centimetri di lunghezza, anche i posteriori. Dopo tre mesi la metamorfosi è compiuta. I tritoni si nutrono di piccolissimi animali, di vermetti, di larve, di lombrichi, e di piccoli pesci e di batraci. In nessun luogo sono nocivi, anzi sono utili con la loro laboriosità. La muta della pelle, che avviene in primavera, viene compiuta in un tempo che può andare da due a otto giorni, quasi sempre prima dell'accoppiamento. La pelle, in principio, è scura e sbiadita e si stacca a poco a poco; l'animale cerca di liberarsene con l'aiuto dei piedi anteriori e con mille divincolamenti. A volte, gli stessi compagni l'aiutano a «svestirsi» del suo involucro afferrandolo con i denti e inghiottendolo in seguito (questa pelle, però, non viene mai digerita). L'animale risulta assai spossato da questa fatica e forse la svogliatezza che lo coglie si può spiegare anche con un senso sgradevole che lo colpisce. Quando tutto va bene, la pelle di cui si è spogliato il tritone è molto bella e intatta, tanto che si possono vedere i buchetti delle dita. I tritoni hanno fatto le spese di molti esperimenti per provare la tenacità di vita della loro razza e la facoltà di riprodurre le membra amputate. Prima di tutto essi sono insensibili ai mutamenti di temperatura: imprigionati nel ghiaccio, tornano alla vita con grande vivacità quando il ghiaccio si scioglie; le zampe, la coda e perfino gli occhi si riformano quanto prima. Tutte le membra si rinnovano con una precisione meravigliosa riproducendosi anche le ossa e le relative articolazioni: nello spazio di soli tre mesi Spallanzani fece riprodurre ai suoi tritoni prigionieri ben 687 ossa nuove. Ecco un episodio che prova quanto abbiamo finora detto (cediamo la parola ad Erber): «Una biscia mi mangiò un tritone e scappò subito dopo. Un mese più tardi, dietro una cassa della cucina, fu trovato l'animale, che probabilmente era stato rigettato dalla biscia senza la zampa anteriore. Era del tutto raggrinzito, non dava segni di vita ed io lo posi, per il momento, sopra un vaso da fiori; quando, dopo qualche tempo, io innaffiai i fiori, l'animale si riebbe al punto che tentò di strisciare. Immediatamente, allora, lo posi in un bel recipiente con acqua fresca e lo nutrii di lombrichi; dopo pochi giorni era di nuovo in perfetta salute e un piccolo moncone della nuova zampa stava spuntando al posto di quella amputata. Nell'autunno un freddo straordinario fece gelare l'acqua del suo recipiente. Pensando che fosse suonata l'ultima sua ora, decisi di conservarlo nello spirito di vino e, allo scopo, misi il blocco di ghiaccio in cui era sepolto il mio animale in un vasto recipiente e lo posi sulla stufa; quando ritornai, dopo parecchio tempo, il blocco di ghiaccio era sciolto - anzi l'acqua era già molto calda - e il tritone faceva mille sforzi per arrampicarsi sulle pareti del vaso e sfuggire al calore. Messo di nuovo in acqua fredda, sopravvisse ancora un anno».

Tritone crestato

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TRITONE IGNEO (Triton igneus)

E' marmoreggiato di nero su fondo grigio-ardesia, i fianchi sono celesti con piccole macchie nere, la parte inferiore è color arancio e la coda del maschio è celeste, profilata di giallo. E' lungo undici centimetri e abita negli stessi luoghi del tritone crestato, senza difficoltà per la sua vita.

TRITONE PALMATO (Triton palmatus)

Questo tritone si distingue per la coda molto aguzza. Il dorso è color verde-oliva con macchie scure, il ventre è giallo acceso e la coda presenta fasce bruno-chiare e un profilo rosso-fuoco e bianco-argento sul margine inferiore. Esso abita nelle acque stagnanti di quasi tutta l'Europa. Come ho già detto in principio, le abitudini e le caratteristiche di tutti i tritoni sono uguali e perciò per questi due esemplari vale quanto è stato detto per il tritone crestato.

AXOLOTL (Ambystoma axototl)

Da molto tempo si sapeva che vicino a Città del Messico esisteva una specie di pesce di mare con la pelle liscia e quattro piedi, simile alla lucertole, lungo un palmo e grosso un pollice, di color nero con macchie brune. La carne, simile a quella dell'anguilla, veniva mangiata in vari modi dagli spagnoli e dai messicani. Per molto tempo nessuno prese in considerazione l'Axolotl, finché alcuni esemplari non giunsero in Inghilterra e tutti cominciarono a studiarlo: la mole era quella di una salamandra acquaiola e la forma quella di una larva di tritone, una piccola cresta orlava la coda e il dorso. Il colore era bruno uniforme punteggiato di macchie nere e bianche. Dal momento che tutti gli altri individui che giunsero in Europa susseguentemente somigliavano ai primi due importati, nacque l'equivoco che la forma di larva fosse la forma persistente dell'animale. Alcuni dotti naturalisti si trovarono a classificare gli axolotl fra i perenni branchiati e ad asserire che essi non subissero la metamorfosi. Nel 1864, data storica per lo studio dell'animale, arrivò a Parigi, al Jardin des Plantes, una coppia di questi urodeli che, dopo circa un anno di tranquilla schiavitù, a metà febbraio cominciò a far figli con la stessa tecnica di quella adottata dai tritoni; le piante alle quali erano state appiccicate le uova furono isolate e dopo ventotto o trenta giorni sgusciarono i primi girini; il loro sviluppo progredì in maniera regolare e dopo sette mesi avevano raggiunto la mole dei genitori. Verso la metà di settembre ebbe inizio la metamorfosi: le branchie, la coda e la cresta dorsale si raggrinzirono, la forma del capo si modificò e sul fondo scuro della pelle spuntò un gran numero di macchie gialle. Erano dei tritoni e lo scetticismo di alcuni naturalisti fu pienamente vincitore! In due anni e nove mesi si erano verificate ventidue emissioni di uova (150 per volta) per un totale di 3.300. Molti animali perirono, molti furono sacrificati per esperimenti e molti altri furono regalati ad istituti scientifici dell'Europa intera; malgrado ciò, erano ancora disponibili ben 2.200 esemplari metamorfosati e no. Anche questi animali possono rigenerare parti del loro corpo: le branchie si rigenerarono per ben sei volte senza danno. Il fatto notevole che questi animali sono adatti alla riproduzione quando siano ancora allo stato di larva non deve stupire, perché anche altri tritoni hanno questa proprietà (il tritone alpino). Appartiene agli ambistomi, così chiamati perché i denti palatini sono disposti in una linea curva.

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SALAMANDRA GIGANTESCA (Mogalobatrachus maximum)

Quest'animale, che costituisce una famiglia a sé, può giungere alla lunghezza di 120 centimetri ed è una creatura informe, massiccia. La testa grande, schiacciata, larghissima, si arrotonda sul davanti in una punta ottusa, il collo è più stretto della testa e del tronco. Il corpo è piatto e cilindrico, allargato da un breve rigonfiamento; la coda, diversamente dal corpo è compressa lateralmente a foggia di grosso remo; i piedi, tozzi e grossi, hanno quattro dita anteriormente e cinque posteriormente. Gli occhi, nella maggior parte dei casi, sono piccolissimi, sprovvisti di palpebre e, generalmente, assai distanti l'uno dall'altro. Le mandibole e il palato hanno denti piccolissimi e la lingua è attaccata per i margini. Lo scheletro osseo ricorda quello della salamandra, solo il cranio si distingue per la sua larghezza. Venti vertebre formano la colonna vertebrale, mentre la coda ne conta ventiquattro: si notano apofisi trasverse con appendici costali. La pelle può dirsi liscia, per quanto ineguale; solo sul capo troviamo protuberanze separate. Superiormente l'animale è grigio-bruno più o meno uniforme, inferiormente è grigio-chiaro. Verso il principio del 1800 Siebold scoprì in Giappone questo animale che viveva soprattutto nei fiumi di montagna e nelle acque profonde e tranquille dei laghi di origine vulcanica. Quando cominciò ad arrivare in Europa, si poterono anche studiare le sue abitudini. Ecco cosa dice il naturalista Wienland: «E' cosa notoriamente difficile indurre un anfibio a mangiare; eravamo perciò alquanto preoccupati e pensammo di allestire alla preziosa salamandra un lauto banchetto. Appena essa fu portata nel suo bacino, le fu presentato un bel lombrico lungo 20 centimetri; dopo che questo si fu un po' contorto davanti ad essa, la salamandra gli fu sopra e in tre bocconi se lo mangiò tutto: vedevamo chiaramente l'osso ioide che faceva movimenti per mandar giù il boccone. In quello stesso giorno la salamandra mangiò un altro lombrico, il giorno dopo ne inghiottì sei e il terzo giorno nove, sempre effettuando dei notevoli sforzi di deglutizione. Pensammo che sarebbe stato meglio propinarle un cibo più sostanzioso, e un leucisco vivo di 15 centimetri fu deposto nel suo bacino: si era infatti osservato che la Salamandra il più delle volte abbocca solo prede che si muovono e che si trovano in una certa posizione rispetto ai suoi occhietti, incapaci di guardare in basso. Quando il pesce le passò davanti, essa, con un rapidissimo movimento, spalancò le fauci di circa 3 centimetri e lo afferrò in mezzo al corpo. Il pesce riuscì a scappare sia quella volta sia le altre volte che l'esperimento fu compiuto: evidentemente era troppo forte per i suoi deboli dentini, che servono solo a trattenere la preda e non a dilaniarla. Fu messa allora nella vasca una rana che, dopo un primo sfortunato tentativo, fu abboccata per la testa e laboriosamente inghiottita: la salamandra puntava le zampe al suolo e faceva leva anche con il muso per poter rendere più facile il movimento di deglutizione. Dopo la fatica si mise a riposare su una pietra. Ad eccezione del modo di prendere il cibo, non si nota niente di interessante in questo animale stupido e tardo. I suoi movimenti sono lenti ed esso se ne sta sempre rincantucciato nel punto più scuro del suo bacino; ogni tanto allunga il muso fuori dell'acqua per respirare e ricade tranquillamente sul fondo. Nella muta, l'epidermide si stacca in grandi lembi». La Salamandra Gigantesca non teme il freddo, come del resto non lo temono le nostre salamandre acquaiole. Quando esse hanno mangiato a sazietà, poco si curano dei pesci destinati al loro nutrimento: sembra che, all'occorrenza, sappiano fare distinzione fra cibo e cibo, preferendo le saporite trote. Sebbene, probabilmente, essa sia più animale notturno che diurno pure il suo comportamento non cambia con l'oscurità, né mai abbandona la sua straordinaria lentezza. Spinta a forza fuori dal suo nascondiglio, essa vi ritorna; se il suo ricovero viene ostruito con pietre o ghiaia, essa le porta via e si accomoda il giaciglio come prima. Aizzata ripetutamente, morde con violenza il bastone che le si presenta. Difficilmente distingue il custode dalle altre persone.

DEROTREMATI

I Derotremati sono anfibi metamorfosati e, perciò, perfetti. Si distinguono dagli altri per un foro branchiale esistente ai lati del collo sotto il quale si trovano archi branchiali collegati con l'osso ioide. Non c'è dubbio che questi archi portino, nel primo periodo di vita, delle branchie che più tardi scompaiono del tutto. Il corpo è sempre lunghissimo; sono sorprendenti la debolezza degli arti in rapporto al corpo stesso e la distanza delle membra. I piedi sono sviluppati ma non sono adatti a camminare; anche gli organi dei sensi sono imperfetti: in alcune specie sono grandi e ben conformati, in altri sono ricoperti da una sottile membrana. Le narici sono a fondo cieco, l'orecchio è rudimentale e nascosto, la lingua è tutta attaccata alla mandibola, ad eccezione della punta. Nello scheletro si nota una certa somiglianza con le salamandre ma la forma e la posizione delle ossa del capo sono diverse.

SALAMANTROPE GIGANTESCO (Salamandrops giganteus)

Questo Salamandrope è il tipo più importante della famiglia. Ha quattro zampe relativamente sviluppate, piedi anteriori con quattro dita e posteriori con cinque, coda a forma di remo, lateralmente compressa, denti sulla mascella inferiore e sul palato. Giunge alla lunghezza di 60 centimetri; ha una grossa testa tondeggiante e un grosso corpo carnoso. Le narici, all'estremità del muso, si aprono internamente dietro la seconda fila di denti. Lo stomaco è grande e l'intestino assai circonvoluto; il fegato ha una grande vescica biliare. Il colore fondamentale è grigio scuro con macchie nere; tra i due occhi passa una striscia più scura. Il Salamandrope vive nei fiumi della parte sud dell'America settentrionale, nuotando e strisciando lentamente, cibandosi di lombrichi, gamberi, pesci. A volte rimane anche per ventiquattro ore fuori dell'acqua. E' assai vorace e i pescatori americani, che spesso lo vedono abboccare ai loro ami, lo temono, ritenendolo velenoso.

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ANFIUMA DIDATTILO (Amphiuma didactylum)

Il corpo degli anfiuma somiglia a quello delle anguille, essendo molto allungato. Le zampine che lo sostengono meritano appena questo nome; i piedi si dividono in due dita. Gli occhi sono ricoperti dalla pelle del corpo, che si assottiglia e si fa trasparente sui globi oculari. Oltre ai denti delle mandibole, altri denti si trovano sul palato. Le vertebre sono in numero di circa 100. L'animale è lungo un metro, di color grigio scuro con riflessi verdi superiormente. Inferiormente il colore è più chiaro, come quello delle anguille. Vive nelle paludi e nelle acque stagnanti della Carolina e del Golfo del Messico. Spesso affonda nella melma come un lombrico e d'inverno si nasconde ad una profondità di 60-90 centimetri. Gli individui prigionieri possono vivere, senza danno, anche per parecchi giorni fuori dell'acqua. Gli indigeni li considerano velenosi e li chiamano serpenti Congo.

ANFIUMA TRIDATTILO (Amphiuma tridactylum)

L'Anfiuma Tridattilo si distingue dal didattilo, oltre che per il numero delle dita, anche per il diverso numero delle vertebre: 112 in questa specie. Per il resto è in tutto simile all'animale descritto precedentemente.

BRANCHIATI

I Branchiati hanno, ai lati del collo, tre branchie che si crede durino per tutta la vita. Il corpo è allungato e sostenuto da due o quattro debolissime zampe; la coda è ornata superiormente e inferiormente di una cresta.

PROTEO ANGUINO (Proteus anguines e Hypochton laurentii)

Circa tre secoli fa si parlò per la prima volta del Proteo: gli abitanti della Carniola favoleggiavano sui «Draghi di San Giorgio» che sorgevano dal fondo della terra, forieri di sciagure. Fatta luce sul mistero, si trovò che il «Drago di San Giorgio» era un piccolo animale, lungo una spanna, simile ad una lucertola. Con l'andar del tempo, numerosi esemplari favorirono gli studi e le ricerche su questo stranissimo animale di cui si ignora ancora molto. Il Museo di Vienna assegnò un premio in denaro a chi avesse procurato un esemplare di femmina pregna. Il Proteo somiglia all'anfiuma per la lunghezza del corpo e la conformazione delle zampe, ma se ne distingue per il muso di luccio e la piccolezza degli occhi nascosti dalla pelle e quasi invisibili all'esterno. La fessura orale è piccola e il labbro superiore ricopre interamente la mascella inferiore; le narici sono due fessure parallele al labbro superiore. Da ogni lato del collo spuntano tre corte branchie con tre ramificazioni ognuna. La coda è corta e raccolta in una pinna adiposa. Lo scheletro somiglia a quello della salamandra, ma la testa è diversamente conformata: l'osso mascellare superiore è completamente assente e l'osso intermascellare forma il margine della mascella superiore. Mancano le ossa palatine. Sul margine dell'osso intermascellare e mascellare inferiore sono impiantati numerosi piccoli denti conici e rivolti in dentro. Lo stomaco del Proteo, semplice dilatazione dell'intestino, è situato verticalmente dall'alto al basso del ventre. Manca la laringe che è sostituita da una cavità membranosa a forma di mezza luna, che si apre nell'esofago e si allunga posteriormente nei polmoni assai sottili e poveri di vasi. La maggior parte dei protei ha color bruno chiaro o rosa chiaro; esposti alla luce cambiano tinta e diventano rosso-bruni o nero-azzurri con macchie più scure. Alcune varietà presentano macchie giallo-dorate su fondo nero. Il Proteo fu trovato nelle acque sotterranee del distretto di Lubiana; i contadini che lo chiamano «il Pesciolino-Uomo» o «l'Abitante delle acque tenebrose» e che considerano la sua caccia eccellente fonte di guadagni, raccontano che lo si può trovare solo nella profondità delle caverne, tranne in caso di piogge torrenziali, quando l'animale viene spinto forzatamente alla luce del sole in seguito allo straripamento dei fiumi sotterranei (io non sono disposto a dar credito a quest'ultima teoria, per quanto enigmatica possa essere la comparsa in certi luoghi di questi animali). Molti amatori e naturalisti hanno tenuto a lungo dei protei rinchiusi in recipienti di vetro, anche per sette, otto anni. Abitualmente se ne stavano sul fondo del vaso, tranquilli, purché il recipiente si trovasse in un luogo oscuro, perché il più piccolo sprazzo di luce bastava per metterli in scompiglio. Se nel bacino l'acqua è cambiata di rado, essi salgono spesso alla superficie per respirare, spalancando la bocca ed emettendo dalle branchie bollicine d'aria; nell'acqua profonda e pura essi hanno una sufficiente quantità di ossigeno e non vengono mai alla superficie. Tolti dall'acqua, muoiono in due o, al massimo, quattro ore. Se sono costretti a vivere con pochissima acqua, si sviluppano i polmoni mentre, se hanno a disposizione molta acqua pulita, le branchie si rafforzano. I sensi ci sembrano molto rudimentali, ma hanno delle possibilità inaspettate: essi si accorgono immediatamente quando qualche cosa viene gettata nel bacino e l'abboccano con gran sicurezza, ed è veramente difficile attribuire tanta acutezza visiva agli occhi piccoli come capocchie di spillo e nascosti dalla pelle. Mentre alcuni individui in cattività si nutrono di pesciolini, vermetti e chiocciole, altri rifiutano ostinatamente ogni cibo e, tuttavia, possono sopravvivere parecchi anni. Siamo del tutto all'oscuro sui misteri della loro riproduzione: si disse una volta che un contadino vide il proteo partorire prole viva. Quest'uomo disse che aveva catturato uno di questi animali, più grosso degli altri e straordinariamente vivace; poco dopo la bestiola si piegò ad arco e partorì un proteo lungo 4 centimetri che fu seguito, ad intervalli di tempo, da altri due piccoli. Essi giacevano sul fondo, ricoperti dei loro involti e la madre si mostrava assai tenera nei loro riguardi, cercando di liberarli dalle pellicole e tenendoli sempre fra le zampe anteriori. Le donne di casa, all'insaputa di colui che narra questa storia, vedendo i piccoli deboli e quasi senza vita, pensarono bene di gettarli via. Questo racconto, malgrado l'impronta della veridicità, non è molto convincente, tanto che ora nessuno è più disposto a prestargli fede. Questo animale è per noi misterioso, come lo era per i primi che lo descrissero.

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NETTURO (Necturus lateralis)

Nell'America settentrionale vive il Netturo, branchiato di notevole grossezza. Ha quattro zampe, testa ovale, aguzza anteriormente, corpo simile a quello dei tritoni. Il colore è generalmente grigio con macchie e venature nere; due fasce scure partono dalle narici e sottolineano lateralmente il corpo le parti inferiori sono color rosa. La lunghezza è di 60 centimetri. La lingua è libera, carnosa e tondeggiante. Le vertebre dorsali sono 19 e quelle caudali una trentina; l'ossatura è simile a quella della salamandra, tanto che gli unici segni distintivi sono da Duméril indicati nelle quattro dita e nella permanenza delle branchie. Le notizie relative alla vita del Netturo e dei suoi affini sono molto scarse; si può catturare nei laghi dell'America settentrionale. Gli indigeni li temono, perché li credono velenosi. Quando si riposano, spiegano i loro ciuffi branchiali splendidamente colorati in rosso, ma il più lieve disturbo basta per scolorirli e farli aderire strettamente ai lati del collo. Di quando in quando salgono alla superficie per respirare. Non si conosce ancora il loro modo di riproduzione e non è da escludere una sorpresa del genere di quella che ci ha riservato l'axolotl.

SIRENA LACERTINA (Siren lacertina)

Questo animale, nella struttura, somiglia all'anfiuma, ma è munito solo di due zampe. Il corpo è un cilindro allungato con le due zampe anteriori, i cui piedi hanno tre o quattro dita; non si scorge traccia di piedi posteriori neanche nello scheletro. Le narici si aprono nell'interno della bocca, gli occhietti tondi luccicano sotto la pelle che li ricopre. I fori branchiali sono tre tagli trasversali, disposti l'uno dietro l'altro e le branchie sono disposte agli angoli superiori e sono vagamente sfrangiate. I denti sono sul palato e sulla mascella inferiore. Le vertebre somigliano a quelle del proteo e hanno piccole appendici costali. Nel 1765 furono inviati a Londra dalla Carolina del Sud i due primi esemplari della Sirena Lacertina e solo nel 1825 giunse una sirena viva, che fu tenuta in vita per sei anni. Essa era stata sistemata in un recipiente pieno di acqua e di sabbia, inclinato in modo che potesse anche stare all'asciutto; essa, però, si nascondeva volentieri sotto le larghe foglie galleggianti di una pianta acquatica. Si cibava di lombrichi, girini di tritoni e sanguinerole; digiunava dalla metà di ottobre sino al principio di aprile celata nel nascondiglio di calcare che era stato sistemato nella sua dimora. Una volta l'animale cadde da un'altezza di più di un metro e lo si trovò il mattino seguente fuori della casa, essendo riuscito a trovare una via d'uscita attraverso una fessura dei muri. La sirena era tutta intirizzita, ma bastò rituffarla nell'acqua perché si rianimasse di nuovo in capo ad un paio d'ore. Durante l'estate gracidava come una rana con suoni ininterrotti e monotoni; appena scorta una preda, si avvicinava cautamente, si fermava un istante e si slanciava con impeto contro la vittima. Ordinariamente se ne stava sul fondo per lunghe ore senza mandar fuori bollicine d'aria. Visse per sei anni e morì di morte violenta, essendo stata trovata fuori del recipiente colle branchie disseccate. In quel tempo si era allungata solo di sei centimetri. Allo stato libero, la Sirena vive nei luoghi paludosi e sotto i vecchi fusti di alberi che crescono nell'acqua e talvolta vi si arrampica sopra. Durante i mesi estivi l'animale emette dei suoni lamentosi.

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