Botanica Giardinaggio Le Piante

 

 
    

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Botanica Giardinaggio Le Piante

  

Botanica Giardinaggio Le Piante

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BOTANICA - GIARDINAGGIO - LE PIANTE

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INTRODUZIONE

Se la conoscenza del terreno su cui si vuole coltivare un giardino è essenziale, altrettanto importante è avere un'idea sia pure superficiale dell'anatomia e della fisiologia delle piante. Solo in questo modo è possibile prevederne le reazioni a determinate operazioni colturali, come ad esempio la potatura, e scegliere a ragion veduta le varie pratiche di giardinaggio e orticoltura. La vita negli organismi vegetali dipende da una serie di funzioni, tra cui è fondamentale la fotosintesi clorofilliana. La fotosintesi clorofilliana è il processo grazie al quale si ha la produzione di composti organici (zuccheri) e ossigeno partendo da materiali inorganici, quali acqua assorbita dall'apparato radicale e anidride carbonica assorbita dalle foglie attraverso gli stomi (fori microscopici che consentono gli scambi gassosi tra la pianta e l'ambiente esterno). La presenza di luce fornisce l'energia necessaria a queste reazioni. Tale processo si svolge in tutte le parti verdi, e precisamente all'interno dei cloroplasti dove si trova la clorofilla, che ha il compito di catturare l'energia luminosa, necessaria allo svolgimento della fotosintesi. L'importanza di questo processo è enorme se si pensa che da esso deriva la quasi totalità delle sostanze organiche. Gli organismi vegetali, infatti, costituiscono uno degli anelli basilari della catena alimentare. Essi servono da nutrimento per gli animali erbivori, dei quali, a loro volta, si alimenteranno i carnivori. Inoltre la liberazione di ossigeno è fondamentale per la sopravvivenza della maggior parte degli organismi - compreso quello umano - che vivono sulla superficie terrestre, e condiziona anche la vita degli animali acquatici. Le molecole di glucosio, prodotte alla fine della reazione fotosintetica, vengono per la maggior parte unite in lunghe catene e trasformate in amido, momentaneamente immagazzinato negli stessi cloroplasti. Durante la notte, quando non arriva la luce sulla terra e le piante non possono quindi compiere la fotosintesi, questo amido viene scisso in zuccheri solubili, trasportato negli organi di riserva, situati principalmente nell'apparato radicale, e qui di nuovo accumulato sotto forma di amido (sostanza di riserva), che diventerà disponibile per la pianta nei momenti di maggior bisogno, come ad esempio alla emissione di foglie in primavera e alla formazione di fiori e frutti. Per vivere, però, la pianta non ha solo bisogno di carboidrati, ma anche di proteine che vengono sintetizzate nei ribosomi della cellula vegetale Utilizzando elementi semplici come carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, ferro, fosforo e calcio.

 

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L'ANATOMIA DELLA PIANTA

Le piante superiori, a differenza delle inferiori (muschi, licheni, funghi, alghe, ecc.), presentano una struttura anatomica articolata in tre organi fondamentali: radici, fusto, foglie. Tale organizzazione è il risultato di una specializzazione raggiunta dalle piante nel corso dell'evoluzione. Infatti nelle primitive forme unicellulari la vita si svolgeva nell'acqua e la stessa cellula provvedeva alla fotosintesi, all'assorbimento degli elementi dell'ambiente, alla riproduzione e a tutte le altre funzioni. Nel corso dell'evoluzione, con l'aumento delle dimensioni degli organismi e il passaggio alla vita terrestre, si è realizzata la separazione delle varie funzioni mediante formazione di organi specializzati: cosicché per la fotosintesi si sono specializzate le foglie, per l'assorbimento delle soluzioni le radici e per il trasporto delle sostanze il fusto. Queste parti sono tra loro intimamente connesse e costituiscono un unico organismo - l'intera pianta - il cui funzionamento è garantito dall'interdipendenza delle loro funzioni.

IL REGNO VEGETALE

Le piante sono classificate in quattro grandi divisioni: tallofite (alghe funghi, licheni), briotite (epatiche, muschi), pteridofite (felci, equiseti licopodi) e spermatofite. Le prime tre sono anche denominate crittogame, in quanto dotate di organi riproduttori non visibili. Le spermatofite invece sono anche dette fanerogame perché hanno organi riproduttori visibili in gimnosperme e angiosperme. Si dividono in gimnosperme e angiosperme. Le gimnosperme (piante a semi "nudi", cioè visibili) si articolano in sette classi, di cui tre fossili. La classe più comune è quella delle conifere, alla quale appartengono pini, abeti, larici, cipressi, ginepri ecc. Le angiosperme rappresentano l'ultimo e più evoluto anello della catena dello sviluppo del mondo vegetale. Sono anche le piante più diffuse sulla superficie terrestre e hanno cominciato a diffondersi circa 150 milioni di anni fa. Le caratteristiche fondamentali di queste piante sono i fiori, i frutti contenenti semi e il fusto legnoso. Le angiosperme si dividono in monocotiledoni e dicotiledoni. Nei primo caso, al momento della germinazione, il loro seme sviluppa una fogliolina (cotiledone), nel secondo due. Oltre a questo elemento di distinzione, ricordiamo che nelle dicotiledoni gli involucri florali sono costituiti da sepali e petali, mentre nelle monocotiledoni formano un tutto unico con i tepali.

CLASSIFICAZIONE DELLE PIANTE

L'appassionato di botanica non può prescindere dalla conoscenza dei criteri di classificazione delle piante, fissati nella sistematica ufficiale. Quasi tutte le specie infatti sono comunemente conosciute con un nome volgare che varia nelle diverse lingue e, in molti casi, addirittura da una regione all'altra: questa confusione terminologica può generare molti equivoci e imprecisioni. Fin dai tempi più antichi si era avvertita la necessità di stabilire una classificazione ufficiale, che avesse validità universale.

primo a formularne i principi base per gli organismi viventi fu il naturalista svedese Carlo Linneo che, nel 1753, pubblicando l'opera nota con il titolo di Species plantarum, adottò per ogni specie un doppio nome latino, la cosiddetta nomenclatura binomia fondata sui concetti di genere e specie. Con il termine di specie si indica un insieme di piante o di animali accomunati dal possesso delle medesime caratteristiche, e che, soprattutto, siano in grado di procreare una discendenza simile e fertile. Per genere, invece, si intende un gruppo di specie che, pur essendo tra loro affini, possono differire anche notevolmente nei particolari: normalmente non procreano oppure, eccezionalmente, producono una discendenza non fertile. Più generi simili sono poi a loro volta raggruppati in famiglie che, di solito, prendono il nome dal genere più noto con la sola aggiunta del suffisso acee. Così, ad esempio, il pomodoro viene indicato con il nome di Solanum licopersicum: il primo nome, scritto sempre con la lettera maiuscola, è un sostantivo e indica il genere di appartenenza, Solanum appunto; il secondo nome - o epiteto specifico - è più spesso un aggettivo, quasi sempre minuscolo (salvo che si tratti di nome proprio), e indica la specie. La patata, Solanum tuberosum, appartiene perciò allo stesso genere ma a una specie diversa. Entrambe le specie appartengono alla stessa famiglia, quella delle solanacee. Dai tempi di Linneo numerose sono state le modifiche apportate a tale criterio di classificazione, fino ad arrivare alla più moderna formulazione, basata sui caratteri ereditari inclusi nel materiale genetico, che ha però mantenuto inalterato il valore della tradizionale divisione in famiglie, generi e specie. Di grande rilievo, per l'agricoltore e il giardiniere, è pure il concetto di varietà. Per varietà si intende gli individui derivanti da una modificazione genetica all'interno di una specie: piante con fiori di colore diverso da quello tipico della specie possono costituire una varietà. Normalmente le varietà che vengono coltivate prendono il nome di cultivar e a loro viene per convenzione dato un nome di fantasia.

 

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LA RADICE

La radice è uno dei tre organi fondamentali delle piante provviste di veri tessuti. Si origina dalla radichetta dell'embrione, contenuto nel seme. E' l'organo generalmente destinato a penetrare in profondità nel terreno, dove svolge funzioni di vario tipo, tra cui le più importanti sono: ancoraggio di tutta la pianta, assorbimento dell'acqua e dei sali minerali, accumulo di sostanze di riserva. La prima radice che si sviluppa in una pianta a seme è chiamata radice primaria o principale. Da questa radice principale, ad una certa distanza dall'apice, si formano molto presto numerose radici laterali le quali a loro volta danno origine ad altre radici secondarie: in questo modo si forma un complesso di radici (l'apparato radicale) che si irradia in tutte le direzioni e assicura alla pianta lo svolgimento di molteplici funzioni vitali. L'apparato radicale fittonante è costituito da una radice principale piuttosto grossa che si sviluppa verso il basso e da una serie di radici laterali che prima crescono orizzontalmente e poi tendono ad incurvarsi in direzione discendente. Un tipico esempio di fittone è costituito dalla carota. Quando le radici laterali si accrescono molto, possono uguagliare o addirittura superare la lunghezza e il diametro della radice principale: in questo caso si parlerà di apparato radicale fascicolato o affastellato. Nelle monocotiledoni la radice principale in genere muore dopo poco tempo dalla germinazione del seme e l'apparato radicale della pianta si forma grazie alla comparsa di numerose radici avventizie che nascono alla base del fusto, in corrispondenza delle gemme ascellari.sviluppo della radice dipende, oltre che dalle caratteristiche genetiche della pianta, anche dalle condizioni del suolo e dal clima. Nei terreni soffici le radici possono ramificarsi in profondità facilmente, ma la tendenza a restare o meno in superficie è in relazione alla disponibilità idrica presente ai vari livelli. Infatti le radici si concentrano nelle zone più ricche di acqua e di elementi nutritivi. Per questo, più profondo è lo strato di suolo soffice, ben drenato e bagnato dalle irrigazioni, più profonde saranno le radici, che si riparano così dagli sbalzi termici e dalla siccità. Quando si innaffia un'aiuola è dunque bene assicurarsi che l'acqua raggiunga anche gli strati più profondi e non solo i primi centimetri, altrimenti le radici potrebbero svilupparsi esclusivamente in superficie.

Tipi di radice

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IL FUSTO

Il fusto è quell'organo della pianta che mette in comunicazione le radici con le foglie. Nelle piante arboree può assumere dimensioni notevoli e presentare molte ramificazioni, mentre in quelle erbacee i fusti sono in genere brevi e teneri. Nella maggior parte dei casi, i fusti crescono al di fuori del terreno, ma non mancano esempi di fusti che si sviluppano sottoterra. I casi più comuni sono i tuberi, i rizomi e i bulbi. I tuberi, di cui un esempio molto comune è la patata, sono fusti molto ingrossati dove le piante accumulano grandi quantità di sostanze di riserva. I tuberi portano anche molte gemme (ad esempio gli occhi della patata) da cui si possono sviluppare normali fusti e foglie, sempre che si trovino nelle condizioni ottimali per germogliare. I rizomi sono fusti sotterranei non molto ingrossati, che si sviluppano appena sotto la superficie del terreno. Sono facilmente riconoscibili perché divisi da numerosi nodi più o meno ravvicinati dai quali spuntano foglie e radici. La moltiplicazione per rizoma è utilizzata da alcune piante (mughetto, gramigna, sorghetta ecc.) per propagarsi senza ricorrere al seme. I bulbi sono organi molto caratteristici, di forma più o meno tondeggiante, carnosi, con nodi vicini tra loro e rivestiti da numerose foglie. Sono organi di riserva e sono molto utilizzati per la moltiplicazione di piante come cipolle, aglio, narcisi, giacinti, tulipani, ecc. Simili ai rizomi sono gli stoloni, fusti striscianti, tipici ad esempio delle fragole, che però si sviluppano al di sopra della superficie del terreno. Al contrario delle radici, i fusti giovani se esposti alla luce, diventano verdi e sono in grado di compiere la fotosintesi. In molte piante commestibili i fusti sono più appetibili se restano bianchi; per questo per molti ortaggi è frequente la pratica dell'imbianchimento, utile a sottrarre la base dei fusti ai raggi del sole impedendo così che diventino verdi (porri, sedano, finocchio ecc.).

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LE FOGLIE

La foglia è il laboratorio principale di una pianta. Essa svolge infatti diverse funzioni, tra le quali la più importante è senza dubbio la fotosintesi clorofilliana. Attraverso questa reazione, la foglia sintetizza una grande quantità di zuccheri che, per la maggior parte, vengono trasportati a tutte le altre parti della pianta ove sono impiegati nella respirazione, nella costituzione della parete cellulare e in altri processi del metabolismo, oppure come sostanze di riserva. La foglia non si limita però a sintetizzare zuccheri, ma anche ormoni, vitamine e aminoacidi, tutti componenti essenziali per la crescita e lo sviluppo dell'intera pianta. Nella foglia avviene anche la traspirazione (fuoriuscita di vapore acqueo dagli stomi), funzione strettamente collegata alla fotosintesi clorofilliana e all'assorbimento delle sostanze nutritive dal terreno. La foglia è un'appendice laterale del fusto: in genere di colore verde, è spesso caratterizzata da una forma appiattita ed espansa che le consente un ampio contatto con l'ambiente esterno, molto importante per l'effettuazione degli scambi gassosi, che sono alla base del processo fotosintetico. Le foglie sono inserite sul fusto a livello dei nodi e la loro distribuzione è realizzata in modo da farle gravare uniformemente sulla pianta, consentendo a ciascuna la migliore utilizzazione della luce. La distribuzione delle foglie sul fusto prende il nome di fillotassi. Nelle angiosperme la foglia è formata dal lembo o lamina fogliare e da un picciolo che sorregge e inserisce sul fusto la lamina fogliare. La lamina è di solito appiattita e molto espansa (platano ed ippocastano), ma può essere anche molto ridotta; nelle gimnosperme, ad esempio nel pino, la lamina assume un aspetto aghiforme. La lamina ha una consistenza diversa nelle varie piante: erbacea, coriacea o carnosa. Il picciolo, attraverso il quale passano i tessuti di conduzione che collegano la foglia al fusto, può essere corto, molto sviluppato o addirittura mancare (in quest'ultimo caso la foglia si dice sessile, cioè completamente priva di picciolo). La foglia a volte è provvista di guaina, che rappresenta un'espansione alla base del picciolo e avvolge per intero o in parte il fusto. La guaina è molto comune e sviluppata nelle foglie delle monocotiledoni, mentre è più rara in quelle delle dicotiledoni. Alla base della foglia possono esservi delle appendici di varia forma e grandezza, chiamate stipole. Esiste una vasta nomenclatura delle foglie, stabilita in base alla forma complessiva del lembo fogliare e del suo margine. Rispetto alla forma si distinguono: foglie lineari, aghiformi, lanceolate, ovate, rotonde, ecc. In alcuni casi le foglie si trasformano profondamente e originano organi con funzioni molto diverse, come ad esempio le spine delle rose, i viticci e i cirri delle piante rampicanti. Già nell'embrione contenuto nel seme esistono delle foglioline particolari dette cotiledoni, che molto spesso (ad esempio nel fagiolo) sono rigonfie e contengono le sostanze di riserva del seme. Non appena il seme è germinato e la giovane piantina ha emesso le prime foglie vere, i due cotiledoni disseccano. Le piante possono avere uno o due cotiledoni: nel primo caso sono dette monocotiledoni, nel secondo dicotiledoni. Se apriamo un seme di fagiolo, notiamo che facilmente si divide in due metà rigonfie, appunto i due cotiledoni. I semi di mais e di frumento sono indivisibili: mais e frumento sono infatti piante monocotiledoni. Con la sola eccezione delle palme, tutte le monocotiledoni sono piante erbacee, facilmente riconoscibili perché presentano foglie molto più lunghe che larghe e con tutte le nervature parallele.

Oltre al mais, al frumento e a tutte le graminacee, appartengono a questo gruppo la cipolla, l'aglio, il porro, il giglio ecc. Al contrario, nelle dicotiledoni la foglia ha dimensioni più o meno simili in lunghezza e in larghezza e presenta una nervatura centrale chiaramente riconoscibile in cui confluiscono tutte quelle laterali.

Schema tipi di foglie

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FIORI E FRUTTI

La fioritura rappresenta una fase essenziale nella vita delle piante perché ad essa, normalmente, segue la fecondazione che assicura la continuazione della specie. Solo le piante superiori emettono fiori, e tra queste, alcune, dette angiosperme, producono fiori appariscenti più o meno grandi, altre, dette gimnosperme (come ad esempio pini e abeti), producono fiori poco visibili privi di petali. A seguito della fecondazione si ha l'ingrossamento dell'ovario, che originerà il frutto, e la trasformazione degli ovuli in esso contenuti che origineranno i semi. Il polline prodotto dagli organi fiorali maschili può giungere sugli stimmi, che con l'ovario formano gli organi femminili, trasportato dal vento e dagli insetti. Alla impollinazione favorita dal vento si affidano le piante dotate di fiori poco appariscenti come il mais, il frumento, l'abete. Altre, invece, dotate di fiori vistosi, si affidano agli insetti che, passando da un fiore all'altro per succhiare il nettare, determinano l'impollinazione. Questi insetti vengono generalmente detti pronubi e tra loro il più attivo è l'ape. In molte piante da giardino il fiore, in seguito alle manipolazioni praticate dall'uomo, ha perso la sua naturale funzione riproduttiva e ha assunto una funzione puramente decorativa. In effetti quasi sempre i fiori mantengono il loro rigoglio sono fino al momento dell'impollinazione: non appena vengono fecondati appassiscono rapidamente, perdono i petali e la pianta devolve tutte le sue energie alla formazione del seme. Per questo motivo molte piante ornamentali sono state sottoposte a modificazioni genetiche che le hanno private della fertilità per ottenere fioriture più prolungate e di maggior effetto. Per quel che riguarda le piante da orto, non sono molte quelle che presentano fiori eduli. Fanno eccezione i cavolfiori, i broccoli, i carciofi e pochi altri che vanno però consumati quando sono ancora immaturi, prima della fioritura. Molto più diffusi sono i frutti commestibili e i semi.

Struttura del fiore

I FRUTTI

Le varie specie botaniche, erbacee o arboree che siano, producono dei frutti con caratteristiche assai diverse. A una superficiale osservazione, infatti, risulterà scarsa somiglianza tra un granello di frumento e un pomodoro: si tratta in entrambi i casi di frutti derivanti dall'ingrossamento dell'ovario. Nei frutti si distinguono due parti: il pericarpo e il seme. A sua volta il pericarpo è formato da esocarpo, mesocarpo ed endocarpo. Il grado di consistenza del pericarpo consente di classificare i frutti in secchi (con pericarpo duro e legnoso) e carnosi (con pericarpo polposo).

La classificazione botanica dei frutti prevede la distinzione in frutti propriamente detti e falsi frutti. I frutti si formano dall'ingrossamento dell'ovario in seguito alla fecondazione, che non è comunque sempre indispensabile. Alla formazione dei falsi frutti concorrono invece, perlopiù, altre parti del fiore. Sono frutti le drupe, tipiche - ad esempio - del pesco, del susino, dell'albicocco, dell'ulivo, del dattero, e anche del mandorlo, del noce e dell'avocado. Le caratterizza la presenza di un mesocarpo carnoso detto polpa e di un endocarpo lignificato detto nocciolo. Anche tutti gli agrumi producono un frutto chiamato esperidio, con endocarpo diviso in spicchi contenenti cellule succose. Frutti sono pure i legumi (tipici - tra gli altri - quelli di fagioli, piselli, fave, carrube), le nucole (castagno, nocciolo) e le bacche (melograno, pomodoro, uva ecc.). Nei cereali - mais, frumento, riso - il frutto, caratterizzato dall'aderenza del seme al pericarpo, prende il nome di cariosside. Numerosi sono pure i falsi frutti, tra cui mele, pere e cotogne: si tratta in questo caso di pomi (derivanti dallo sviluppo dei tessuti del ricettacolo e dei carpelli), caratterizzati da un'abbondante polpa carnosa.

COME SI RIPRODUCONO LE PIANTE

Come abbiamo già visto, tutte le piante superiori producono i semi, che però rappresentano solo uno dei tanti mezzi a disposizione dei vegetali per propagare la specie. Due sono i tipi fondamentali di propagazione delle piante: sessuale e agamica (o vegetativa). Generalmente riproducendo una pianta per seme, si ottiene una certa variabilità nella discendenza, a causa dei differenti caratteri dei genitori. La propagazione agamica comprende invece tutti i metodi di moltiplicazione vegetativa, grazie ai quali è possibile ottenere individui con caratteri identici alla pianta madre.

Propagazione agamica

E' necessario che questi basilari concetti vengano ben compresi e ricordati da chiunque voglia intraprendere l'attività di giardinaggio o di orticoltura, al fine di scegliere sempre il metodo di riproduzione più adatto alle proprie esigenze.

COME OTTENERE PIANTE DAL SEME

Riprodurre le piante a partire dal seme è senza dubbio il metodo più economico, anche se non sempre praticabile per la difficoltà di reperire la semente o perché il periodo di sviluppo della pianta è molto prolungato. Tuttavia, per molte piante, tra cui la maggior parte degli ortaggi e diverse ornamentali rustiche, questo è l'unico sistema utilizzabile. In commercio sono facilmente reperibili i semi di una grande quantità di specie ornamentali e commestibili, ma il vero appassionato di giardinaggio o di agricoltura difficilmente resiste alla tentazione di produrre da sé i semi occorrenti. In realtà, questa non è un'operazione particolarmente difficile e, seguendo alcune regole fondamentali, si potranno ottenere risultati più che soddisfacenti. Innanzitutto, grande attenzione va posta nella scelta delle piante da cui ricavare la semente: a priori andranno scartati tutti gli ibridi che non devono mai essere propagati per via sessuale, in quanto originerebbero individui con caratteristiche molto diverse. Pure andranno scartate le piante poco vigorose, malate o scarsamente produttive, accordando la preferenza a quelle che daranno i frutti o i fiori più belli. A questo punto sarà sufficiente attendere che la pianta maturi i semi per prelevarli prima che cadano sul terreno.

E' possibile anche raccogliere direttamente i fiori e lasciarli seccare in sacchetti di carta (mai di plastica!) legati e capovolti. Le piante biennali sviluppano nel primo anno solo foglie e fusto, e rimandano la fioritura all'anno successivo. Per ottenere i semi di queste specie bisognerà quindi attendere due anni, come avviene ad esempio per i porri, il prezzemolo, le barbabietole e alcune insalate. A volte alcuni esemplari di queste specie fioriscono già al primo anno, ma, in questo caso, i loro prodotti si rivelano privi delle necessarie caratteristiche di qualità e, quindi non più utilizzabili per l'alimentazione. E' perciò del tutto sconsigliabile conservarne i semi, poiché facilmente trasmetterebbero alla loro discendenza questo carattere senz'altro negativo. Una volta raccolta, la semente va conservata in luogo fresco e asciutto, e in certi casi può mantenersi vitale anche per diversi anni. Al momento della semina, in ogni caso, è meglio saggiarne la germinabilità, ossia verificare la percentuale di semi ancora in grado di originare una pianta. La prova è molto semplice: occorre porre alcuni semi (ne bastano una ventina) su un batuffolo di bambagia imbevuto d'acqua e tenerli in ambiente caldo. Già dopo pochi giorni, i semi dovrebbero dare i primi segni di vita. Se, passati 15 o 20 giorni, qualcuno non fosse ancora germinato, molto probabilmente è morto. Nel caso in cui si disponga di una semente a percentuale di germinazione bassa (30-40%), sarà necessario aumentarne la dose. I semi di molte specie hanno la particolarità di non germinare se non dopo alcuni mesi dalla loro completa formazione o a seguito di una prolungata esposizione al freddo. Si tratta di espedienti messi in atto dalla natura per evitare che una pianta possa nascere in una stagione poco propizia. Non ci si deve dunque scoraggiare se, subito dopo la raccolta, la germinabilità è bassa: aspettando che la natura faccia il suo corso i risultati saranno migliori.

 

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CASSONI DI MOLTIPLICAZIONE

Per facilitare la germinazione dei semi e la radicazione delle talee, può essere molto proficuo utilizzare dei ricoveri, generalmente di piccole dimensioni, in cui sia possibile controllare le condizioni ambientali, e in particolar modo la temperatura e l'umidità. Si tratta di contenitori di materiali vari, a forma di cassa con una copertura in vetro o in P.V.C., eventualmente dotati di un impianto di riscaldamento (in quest'ultimo caso si parlerà di cassoni a letto caldo altrimenti di cassoni a letto freddo). Se ne trovano in commercio di vari tipi dotati di riscaldamento elettrico sul fondo, ottenuto facendo passare una resistenza in uno strato di sabbia o altro materiale isolante. I modelli più sofisticati sono dotati di un termostato per una più sicura regolazione della temperatura interna; il giardiniere può anche provare a realizzare da sé un cassone caldo di propagazione, utilizzando come sistema di riscaldamento le resistenze elettriche o, più tradizionalmente, ricorrendo al letame fresco (in questo caso il letame maturo non serve) che, se in fermentazione, produce una notevole quantità di calore. Ovviamente, il letame va sostituito una volta terminati i processi di fermentazione. I cassoni a letto freddo sono dei semplici contenitori vetrati in cui è possibile mantenere umidità e temperatura superiori a quelle esterne per favorire la moltiplicazione di alcune piante.

LA RIPRODUZIONE VEGETATIVA

La maggior parte delle piante ha la possibilità di moltiplicarsi senza ricorrere alla formazione del seme. Abbiamo già parlato di stoloni, rizomi, tuberi e bulbi, da cui si possono originare piante del tutto autosufficienti; il giardiniere, tuttavia, ha a disposizione anche altre tecniche che sfruttano la naturale tendenza di alcune parti dei vegetali a emettere radici e foglie per ottenere, a partire da un unico individuo, una discendenza pressoché infinita, dotata dello stesso patrimonio genetico e perciò identica alla pianta madre. Con queste tecniche, inoltre, è possibile ottenere individui adulti in tempi molto più brevi rispetto alla riproduzione per seme.

LE TALEE

La talea è un sistema di moltiplicazione che mira a far emettere radici a porzioni di rami o di fusti giovani. E' possibile ottenere talee anche da foglie e, più raramente, anche da parti di radici. Nella pratica, le tecniche si differenziano a seconda della parte che si utilizza e dello stato di lignificazione dei tessuti.

La talea

Tipi di talea

TALEE DI RAMI E FUSTI LIGNIFICATI

Vengono usate frequentemente per moltiplicare alberi e arbusti sia da frutto sia ornamentali e richiedono, nella maggioranza dei casi, l'utilizzo di porzioni di legno duro della pianta madre. Il prelievo della talea va fatto in autunno o in inverno: si dovranno scegliere rami maturi, sani e ben formati che siano stati prodotti durante l'anno. Solo in alcuni casi, come ad esempio per il fico o per l'olivo, le talee possono derivare da rami dell'anno precedente o, addirittura, di due o tre anni prima. Se il ramo prescelto è vigoroso, viene generalmente spuntato all'apice e accorciato nella parte basale, subito al di sopra di una foglia. Nel caso invece di getti corti, è meglio asportare il rametto unitamente a una breve parte del ramo più grosso su cui è inserito, altrimenti il radicamento sarebbe più difficile. Una volta prelevata la talea, se l'inverno è mite e il terreno non va incontro a ristagni d'acqua, è possibile porla direttamente a dimora in una buchetta riempita con un po' di sabbia. Se, al contrario, il clima è rigido, è meglio attendere la primavera successiva e conservare i rametti, con la parte inferiore immersa in torba umida e avvolti in sacchetti di plastica, a temperatura intorno agli 0 °C. In ogni caso è sempre consigliabile utilizzare, per favorire la radicazione, gli ormoni di radicamento (ormoni rizogeni) che si possono acquistare in qualsiasi negozio di giardinaggio.

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TALEE DI RAMI NON LIGNIFICATI

E' un sistema di moltiplicazione che presenta qualche rischio e qualche difficoltà in più rispetto al precedente. Molti arbusti ornamentali vengono normalmente propagati con questo metodo, come ad esempio le azalee sempreverdi, la camelia, l'agrifoglia e il pittosporo. Le talee, della lunghezza di circa 10-15 cm, vengono prelevate con le foglie, in primavera o all'inizio dell'estate. La presenza delle foglie aumenta in maniera sensibile le perdite di acqua e, conseguentemente, i rischi di disidratazione: per questo motivo il taglio deve essere effettuato alle prime ore del mattino, e i rametti vanno subito avvolti in carta bagnata. E' meglio non immergere le talee direttamente in acqua e, soprattutto, si deve assolutamente evitare che restino esposte al sole anche solo per pochi minuti, perché le conseguenze potrebbero essere negative. Si possono prelevare talee o dalla parte apicale dei germogli o da quella basale, e a volte è bene asportare anche una piccola parte di legno vecchio. Per facilitare l'emissione delle radici è utile ricorrere all'aiuto degli ormoni rizogeni. Le talee vanno messe a radicare in cassoni contenenti sabbia e torba e, non appena abbiano emesso radici sufficienti, devono essere trapiantate in vasetti con terreno di medio impasto e bagnate con cura. Nella primavera successiva possono essere poste a dimora.

TALEE FOGLIARI

Anche le foglie possono emettere radici e formare nuove piante, ed è grazie a questa proprietà che si possono moltiplicare facilmente alcune specie. Se le foglie sono carnose e succulente, come ad esempio quelle della begonia, dopo il prelievo, si praticano alcune incisioni sulle nervature principali della pagina inferiore e si dispongono sul solito substrato di torba e sabbia. Dopo un po' di tempo, in corrispondenza delle incisioni si originano delle nuove piantine, e la vecchia foglia lentamente si secca. L'ambiente deve essere molto umido. Anche la sansevieria è moltiplicabile con talea fogliare: si preleva una foglia e la si taglia in pezzi di circa 5 cm, che vengono infitti nella sabbia per tre quarti della loro lunghezza. Dopo un po' di tempo, alla base si originano le nuove piantine. Attenzione: se si moltiplicano in questo modo varietà di sansevieria variegata le nuove piantine non manterranno le caratteristiche striature, ma avranno pigmentazione uniforme.

TALEE DI RADICE

Quasi tutte le piante, erbacee, arboree o arbustive che siano, possono essere riprodotte con talea di radice. E' consigliabile prelevare le radici alla fine dell'inverno o all'inizio della primavera. Dopo averle tagliate in segmenti di pochi centimetri, vanno poste nei recipienti di radicamento completamente ricoperte di terra e a profondità variabile a seconda della dimensione. Vanno tenute costantemente bagnate affinché, dopo un certo periodo, emettano le nuove piantine. Quando si preleva una talea di radice, occorre che la pianta non sia innestata su un diverso portainnesto, altrimenti la pianta che si originerà avrà le caratteristiche di questo e non quelle della varietà che si vuole moltiplicare.

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LA PROPAGGINE

E' un sistema di moltiplicazione che alcune piante, come il lampone nero e il rovo strisciante, adottano già spontaneamente. Consiste nel far sviluppare delle radici da un ramo quando questo è ancora attaccato alla pianta madre, da cui riceve il nutrimento. Solo a radicazione avvenuta si separa la nuova piantina, resasi ormai autosufficiente, che prende appunto il nome di propaggine. E' una tecnica abbastanza semplice, efficace e applicabile in giardino, particolarmente adatta a quelle piante che raramente si riesce a far radicare per talea. In pratica bisogna piegare il ramo prescelto (che deve essere giovane e mediamente vigoroso) e interrarne una porzione, che va tenuta saldamente in posizione con un peso o con una piccola forcella. L'apice del ramo che fuoriesce dal terreno va tenuto in posizione verticale con l'ausilio di un paletto. Il periodo più adatto per effettuare la propaggine è l'autunno o l'inizio della primavera, prima che la pianta ricominci a vegetare; i germogli in genere emettono radici sufficienti a consentire la separazione della pianta madre in autunno o nella primavera successiva. Per le piante che emettono germogli lunghi e flessibili si può adottare la propaggine multipla o a serpente: il ramo prescelto viene sistemato alternando parti interrate a parti scoperte, seguendone le ondulazioni per tutta la lunghezza in modo da ottenere non una, ma più propaggini da ogni ramo. In questo modo si possono riprodurre il Philodendron, la Clematis, la Wistaria e altri rampicanti.

LA MARGOTTA

E' una tecnica simile in teoria alla propaggine, con la differenza che la porzione di ramo non viene interrata ma avvolta in un sacchetto di plastica contenente dello sfagno inumidito. Lentamente compariranno le radici e la parte superiore del ramo si renderà indipendente dal resto della pianta. E' un sistema antichissimo ma presenta alcune difficoltà, in quanto è indispensabile mantenere sempre a un giusto livello di umidità lo sfagno, condizione che facilita il radicamento. In pratica si opera in questo modo: in primavera o nella tarda estate si sceglie un ramo di circa un anno e si pratica un'incisione o si asporta un anello di corteccia a una distanza compresa tra i 15 e i 30 cm dall'apice. Quindi si avvolge la parte di germoglio con due o tre manciate di sfagno non troppo umido, tenute in posizione da un sacchetto di polietilene; il rametto che porta il manicotto va affrancato a un sostegno rigido o legato a un altro ramo. Il tempo necessario all'emissione delle radici varia a seconda del tipo di pianta: per alcune specie possono essere sufficienti due o tre mesi, ma per altre, come l'agrifoglio, la magnolia o l'azalea, si devono attendere anche due anni. Il taglio va fatto quando si è sicuri che il radicamento sia avvenuto (il periodo più indicato è durante la stasi vegetativa in autunno) e, subito dopo, la margotta va interrata. I giorni successivi, quando la nuova piantina deve abituarsi a nutrirsi da sola, sono i più critici e anche margotte con radici ben sviluppate possono avvizzire e seccarsi. Perciò può essere opportuno potare drasticamente la chioma della margotta, se il suo sviluppo fosse sproporzionato a quello delle radici, e sistemare la piantina invasata in un ambiente umido e fresco irrorandola con frequenza. Poi si riduce lentamente il livello di umidità diminuendo le bagnature, e si abitua la piantina alle condizioni di vita usuali.

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ALTRE TECNICHE RIPRODUTTIVE

Le piante che formano bulbi, tuberi, stoloni e rizomi sono facilmente riproducibili utilizzando queste parti. Un classico esempio è la patata, che viene normalmente "seminata" utilizzando parti di tuberi provviste di una gemma. Con la stessa facilità si possono moltiplicare i narcisi, i gladioli, i crochi, gli iris, i mughetti e le begogne. Altre piante, soprattutto quelle erbacee perenni, producono negli anni cespi molto fitti che tendono a ingombrare l'aiuola. E' il caso ad esempio degli astri, dei crisantemi, delle achillee. E' opportuno ogni due o tre anni sfoltire i cespi troppo sviluppati, e i germogli asportati possono essere trapiantati. Tale metodo si dimostra semplicissimo e rapido. Le piante che fioriscono in primavera o in estate vanno divise in autunno, mentre quelle che, viceversa, fioriscono in autunno o nella tarda estate, vanno divise in primavera. Molte piante arboree e arbustive emettono abbondanti polloni (germogli) direttamente dalle radici. Questi possono essere utilizzati per la moltiplicazione, come nel caso del lampone, a patto che la pianta madre non sia innestata.

L'INNESTO

Anche la pratica dell'innesto deve essere considerata come un metodo di moltiplicazione vegetativa delle piante. E' un sistema molto antico a cui si ricorre comunemente per propagare gli alberi da frutto e per adattare le singole varietà alle differenti condizioni ambientali. In pratica con l'innesto si preleva una parte dell'albero (può trattarsi di un ramo o più semplicemente di una gemma) al fine di collegarla con un'altra pianta provvista di proprie radici e di fusto, mediante l'intima connessione tra i tessuti. Le porzioni di pianta che prendono parte all'innesto assumono rispettivamente il nome di nesto (detto anche marza o soggetto) e di portainnesto (detto anche piede od oggetto). Una volta che le due parti si sono unite, si accrescono normalmente come fossero un'unica pianta. L'innesto non si può effettuare tra piante qualsiasi, ma solo fra varietà della stessa specie o fra specie molto affini, altrimenti non avviene l'unione dei tessuti per incompatibilità. Ad esempio, l'innesto di un melo su un pero non ha possibilità di riuscita, mentre quello di un pero su un cotogno è perfettamente compatibile e normalmente praticato. I motivi per cui si effettua l'innesto sono molti. Principalmente si deve tenere presente che la maggior parte delle varietà pregiate di specie da frutto (come melo, pero, noce, mandorlo) e alcune ornamentali, hanno una scarsa tendenza a riprodursi per talea e con gli altri sistemi di autoradicamento, rendendo per questo impossibile il raggiungimento in vivaio di un livello di produttività confacente alle richieste del mercato. Per questo i vivaisti ricorrono all'innesto, che permette di ottenere un numero altissimo di piantine radicate pronte per essere messe a dimora. In secondo luogo il portainnesto può influenzare in maniera notevole lo sviluppo della pianta: esistono portainnesti cosiddetti nanizzanti che inducono uno sviluppo molto ridotto dell'albero e, viceversa, portainnesti vigorosi da cui ci si può aspettare alberi di notevoli dimensioni. Inoltre, con un'oculata scelta del portainnesto si può ottenere l'adattabilità ai terreni dalle caratteristiche più disparate: ad esempio è possibile coltivare molte specie su terreni pesanti e poco drenati o utilizzare portainnesti resistenti agli insetti del terreno o ad altri parassiti.

Tipico è il caso della vite europea che, solo se innestata su piede di vite americana, è resistente alla fillossera. Questo insetto avrebbe portato alla scomparsa della vite dal nostro continente se, nel secolo scorso, non fosse stata introdotta questa pratica ancora oggi seguita. Con l'innesto è anche possibile cambiare la varietà in un frutteto o ottenere da una stessa pianta frutti di varietà diverse. Non bisogna illudersi che la pratica dell'innesto sia semplice, per ottenere dei buoni risultati è necessario rivolgersi a un esperto. Tuttavia in certi casi e per interventi di piccole dimensioni può essere molto interessante per il giardiniere cementarsi in una pratica. Le tecniche più semplici sono quelle a doppio spacco inglese, a corona e a gemma. Il periodo migliore per praticare l'innesto varia da tipo a tipo. Per quelli a gemma è necessario che la pianta stia vegetando, per facilitare lo scollamento della corteccia. Negli altri casi è meglio prelevare il nesto quando è ancora dormiente (cioè in inverno) e conservarlo a temperature basse (ma non in frigorifero) per non più di un mese, fino a che il portainnesto prescelto non dia i primi segni di vegetazione, al inizio della primavera. Come nesto vanno scelti getti di un anno, sani e di vigore medio, facendo attenzione, nel caso d'innesto a doppio spacco inglese, al diametro che deve essere identico a quello del portainnesto. [Figura: Tipi d'innesto a gemma: a) innesto "ad occhio"; b) innesto "a pezza"; c) innesto "alla maiorchina"; d) innesto "ad anello". Tipi d'innesto a marza: e) innesto "a spacco"; f) innesto "a spacco terminale"; g) innesto "a doppio spacco inglese"; h) innesto "a sella".]

ipi d'innesto a gemma (A e B)

Tipi d'innesto a gemma (C e D)

Tipi d'innesto a marza

 

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POTATURA

La potatura è quell'intervento che elimina una parte della pianta per ottenere risultati di vario tipo: un cambiamento del portamento naturale in una forma obbligata, una crescita più equilibrata, una maggiore fioritura o fruttificazione. Va anche detto che in natura le piante si potano da sé: un abete cresciuto in un fitto bosco perde naturalmente le ramificazioni più basse perché la sua collocazione non gli consente di ricevere una quantità di luce sufficiente, così come altre piante lasciano cadere i loro fiori e frutti a maturazione avvenuta. Nel giardinaggio, quindi, la potatura non è altro che una "forzatura" di ciò che succede spontaneamente in natura. I tipi di potatura sono diversi e vanno dalla semplice asportazione della parte apicale di un germoglio (cimatura) all'asportazione di grosse ramificazioni.

Gli attrezzi per la potatura

LA DOMINANZA APICALE

Quasi tutte le piante legnose presentano, all'apice delle ramificazioni, una gemma terminale. Osservando le gemme sottostanti, si noterà che queste riescono a sviluppare germogli più lunghi quando maggiore è la loro distanza dalla gemma apicale. Questo fenomeno, chiamato "dominanza apicale", è dovuto al fatto che la gemma posta all'estremità del ramo, "domina" lo sviluppo di quelle inferiori, producendo un ormone inibitore. Se si elimina la gemma terminale, il fenomeno viene a cessare, e le gemme sottostanti iniziano a crescere velocemente. Questo fatto è più evidente negli alberi che negli arbusti, in cui a volte sono due le gemme terminali ad avere la dominanza su quelle vicine.

COME SI EFFETTUA LA POTATURA

Il taglio delle piccole ramificazioni va sempre eseguito sopra e a poca distanza da una gemma, in direzione a essa parallela. E' necessario, prima di potare, osservare da che parte sono orientate le gemme: quelle rivolte verso l'esterno origineranno infatti getti che si allontanano dal centro della pianta, contrariamente a quelle rivolte verso l'interno. Il taglio delle ramificazioni più grosse va effettuato vicino a un ramo sano, avendo l'accortezza di non lasciare monconi. E' bene ricordare inoltre che ogni taglio è una ferita attraverso la quale possono penetrare diversi agenti patogeni. La pianta è in grado di compiere da sola il processo di cicatrizzazione, ma più l'area della lesione è estesa, più prolungato sarà il tempo della sua riparazione. Tutti i tagli superiori a 1,5 cm di diametro vanno quindi protetti con appositi mastici da potatura che si trovano in commercio, a volte addizionati con sostanze antifungine. Altra precauzione da osservare è la pulizia degli attrezzi, che devono essere disinfettati prima e dopo l'operazione di potatura. Il taglio, inoltre, deve risultare netto, liscio, senza rugosità o sbavature che possono offrire un facile accesso ai patogeni fungini. Va anche tenuto presente il cosiddetto grado di potatura: con questo termine si intende la quantità di vegetazione che verrà asportata con la potatura. Una potatura leggera eliminerà pochissima vegetazione, contrariamente a una potatura forte. A volte invece si parla di potatura corta o lunga con la prima, la porzione di ramo asportata è maggiore di quella che rimane sulla pianta. Con la seconda, invece, si lascia sulla pianta una porzione di ramo più lunga. Per decidere se è necessario un tipo o l'altro di potatura, bisogna vagliare i casi particolari. Un principio generale va comunque tenuto fermo: i getti più vigorosi si potano leggermente, quelli più deboli energicamente; la potatura, infatti, stimola lo sviluppo di una vegetazione più ricca e prospera.

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MALATTIE DELLE PIANTE

Così come l'uomo e gli animali, anche le piante possono essere colpite da numerose malattie: il rigoglio di un giardino o di un orto dipende dunque dalla competenza di chi ne ha cura, affinché siano garantite le condizioni ambientali ottimali, tutte le misure preventive per l'insorgenza delle malattie e l'eventuale somministrazione degli interventi terapeutici più opportuni. Va innanzitutto premesso che non può esistere un giardino totalmente privo di malattie: gli agenti patogeni dei vegetali sono così numerosi che è molto difficile per una pianta mantenersi in condizioni di piena salute. E' certo che ogni giardiniere si troverà comunque a dover fare i conti con i parassiti. Non bisogna però esagerare con le somministrazioni di sostanze chimiche, per non trasformare il giardino o l'orto in pericolosi campi di battaglia dove viene fatto un uso indiscriminato di insetticidi e anticrittogamici, spesso molto dannosi anche per l'uomo e per tutti gli animali. Il segreto sta nel cercare di raggiungere un giusto equilibrio tra l'aspirazione alla bellezza e alla salute delle piante e la necessità di non immettere nell'ambiente sostanze tossiche e inquinanti. In definitiva bisogna imparare a convivere, entro limiti accettabili, con i parassiti delle piante.

GLI AGENTI PATOGENI

Le cause di malattie alle piante sono numerose: già si è accennato ai problemi derivanti da squilibri di taluni elementi nutritivi o da anormali reazioni del terreno o, ancora, da eccessi idrici. Allo stesso modo possono danneggiare le piante agenti atmosferici come la grandine, il vento o le anomalie climatiche, quali le temperature troppo elevate in inverno o troppo basse in estate. Altrettanto dannoso può risultare l'uso smodato di antiparassitari o di concimi minerali. In tutti questi casi si parla di malattie non parassitarie per distinguerle dalle cosiddette malattie parassitarie, che possono essere causate da agenti di varia natura quali virus, batteri, funghi, alghe, fanerogame parassite, oppure da insetti, acari e nematodi. Non di rado anche roditori e uccelli possono arrecare seri danni.

I PARASSITI ANIMALI

La maggior parte degli animali che danneggiano le piante appartengono alla classe degli insetti. Gli insetti costituiscono un gruppo molto consistente come numero di specie e di individui: ciò è dovuto soprattutto alla loro grande adattabilità agli ambienti più disparati. Sono facilmente riconoscibili in quanto, da adulti, presentano sei zampe, differenziandosi così dagli acari che invece sono dotati di quattro paia di zampe. Molti insetti, inoltre, sono in grado di volare e quindi sono provvisti di ali più o meno grandi. Gli insetti che attaccano le piante per trarne nutrimento sono detti fitofagi e possono essere dannosi sia in fase adulta sia in quella precedente la metamorfosi, poiché mangiano le foglie, i fusti, i frutti e le radici o succhiano la linfa con uno speciale apparato boccale dotato di uno stiletto atto a forare i tessuti fino ai vasi conduttori. Tra le specie di insetti dannosi, quelli appartenenti ad alcuni ordini sono particolarmente temibili ed è il caso di passarli in rassegna rapidamente.

COLEOTTERI

Sono molto caratteristici in quanto il loro corpo, da adulti, è ricoperto da una robusta corazza costituita dal primo paio di ali completamente indurito (le elitre). Possono avere dimensioni e colori molto vari, e a questo ordine appartengono alcuni tra gli insetti più belli e ricercati dai collezionisti. Nel giardino e nell'orto possono essere dannosi sia allo stato larvale, sia adulto, e, con il loro potente apparato boccale masticatore, sono in grado di provocare la defogliazione di intere piante. Un classico esempio è il maggiolino comune (Melolontha melolontha), dalle caratteristiche elitre rosso-mattone, che, verso sera, si alza in volo dai prati in gruppi anche molto numerosi e raggiunge gli alberi delle cui foglie si nutre avidamente. Molto comune negli orti è la dorifora (Leptinotarsa decemlineata), con le elitre gialle a strisce nere, che attacca e defoglia le piante di patata, di peperone; di pomodoro e di melanzana. Alcuni coleotteri, come i punteruoli, si nutrono di semi conservati e altri attaccano il legno di alberi vivi o morti scavando profonde gallerie. Non tutti i coleotteri però sono dannosi: esistono specie, infatti, che svolgono un'azione molto utile combattendo altri insetti temibili. E' il caso ad esempio di molte coccinelle (Rodolia cardinalis e Coccinella septempunctata) che vivono nutrendosi, tra gli altri, di afidi e larve di lepidotteri, ragion per cui la loro presenza nel giardino è auspicabile.

LEPIDOTTERI

A questo ordine appartengono le farfalle che, allo stato larvale, hanno l'aspetto dei bruchi. In genere è proprio la larva a provocare danni anche gravi alle piante, perché è dotata di apparato boccale masticatore. Frequenti sono i cosiddetti minatori fogliari (Leucoptera scitella, Lithocolletis blancardella), farfalle in genere di piccole dimensioni le cui larve si nutrono di foglie, in cui scavano delle tipiche gallerie (dette appunto mine). Molto comuni sono anche le nottue (Agrostis segetum, Mamestra brassicae ecc.), così chiamate perché gli esemplari adulti, dalle forme tozze e dai colori smorti, volano nelle ore notturne. Anche in questo caso, il danno è causato dalle larve. Già allo stadio giovanile si rivelano dannosi per il perdilegno rosso (Cossus cossus), con larve grosse e rossastre, e il perdilegno bianco (Zeuzera pyritta), con larve bianco-giallastre. Essi scavano gallerie nel tronco e nei rami di molti alberi ostacolando il passaggio della linfa e portando la pianta a un rapido deperimento. Altra specie dannosa di lepidotteri è la processionaria del pino (Thaumetopea piteocampa): le larve si radunano in grossi nidi formati da fili di seta ed escono durante il giorno, schierate in lunghe file (da cui il nome di processionaria), per mangiare le foglie dei pini. E' facile nelle pinete vedere i nidi di questo insetto sulle cime degli alberi. Le larve, che percorrono strade e sentieri snodandosi in processioni anche di alcuni metri, offrono uno spettacolo affascinante, ma è opportuno non toccarle perché sono ricoperte di setole urticanti che irritano la pelle in modo molto fastidioso.

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RINCOTI O EMITTERI

E' un ordine a cui appartengono tre gruppi molto dannosi: gli afidi, le cocciniglie e gli aleurodidi. Gli afidi, noti come pidocchi delle piante, sono insetti di piccole dimensioni che vivono in colonie sulle foglie, sui fusti e sui fiori nutrendosi della linfa. Insieme al danno immediato che provocano, depositano sulle piante degli escrementi zuccherini (melata) che, oltre a renderle appiccicose, richiamano molti altri insetti fra cui le formiche, e favoriscono lo sviluppo di alcune muffe (fumaggini). Inoltre dalle numerose piccole ferite provocate dai loro apparati boccali perforanti, possono penetrare nella pianta virus, batteri e crittogame parassite. Quando le cocciniglie colpiscono una pianta, questa si ricopre rapidamente di crosticine di forma e colore caratteristici a seconda della specie, che vanno asportate al più presto, altrimenti l'intero albero deperisce (ad esempio la Diaspis pentagona sul pesco). Gli aleurodidi colpiscono perlopiù le piante in serra perché vivono in ambienti caldi e umidi. Ricordano vagamente delle piccolissime farfalle bianche e succhiano la linfa delle piante. Molto diffusa è la Trialeurodes vaporariorum, detta "mosca bianca", che prospera nelle serre e colpisce molte piante ornamentali.

DITTERI

All'ordine dei ditteri appartengono le mosche, i tafani, le zanzare e altri insetti, accomunati dal fatto di avere un solo paio d'ali anziché due come tutti gli altri insetti alati. Anche le larve hanno caratteri peculiari in quanto prive di zampe. I ditteri più dannosi e comuni attaccano i fruttiferi, e sono: la mosca della frutta (Ceratites capitata), la mosca delle ciliegie (Rhagoletis cerasi) e la mosca delle olive (Dacus oleae), tutte piccole e simili tra di loro.

ORTOTTERI

I più noti rappresentanti dell'ordine degli ortotteri sono i grilli e le cavallette. Sono insetti che raramente possono produrre danni seri in un giardino, fatta eccezione per il grillotalpa (Gryllotalpa gryllotalpa), specie diffusa in tutt'Italia, che vive nel terreno e predilige i luoghi umidi e ricchi di humus. Questo insetto di grosse dimensioni e dalle abitudini notturne scava lunghe gallerie nel terreno e si nutre di radici, tuberi e di tutti gli altri organi sotterranei delle piante. Può provocare danni notevoli con i suoi arti, soprattutto agli ortaggi coltivati con pacciamatura, ove il terreno si mantiene particolarmente umido.

IMENOTTERI

Api, vespe, formiche appartengono a questo ordine che non annovera specie particolarmente pericolose. Qualche danno ai frutti maturi è però causato da vespe e calabroni, che ne ledono l'epidermide per nutrirsi dei liquidi zuccherini contenuti nella polpa. Altrettanto dannose alle foglie e ai frutti possono risultare la limacina (Caliroa limacina) le cui piccole larve nere sono del tutto simili a limacce (lumache), e le tentredini (del genere Hoplocampa), insetti di piccole dimensioni che scavano gallerie nei frutti non ancora maturi, soprattutto di melo, pero e susino.

ALTRI PARASSITI ANIMALI

Oltre agli insetti, vi sono anche altri animali dannosi alle colture. Simili agli insetti sono gli acari, in genere di dimensioni molto piccole, che arrecano danno succhiando la linfa delle piante. Molto comune è il ragnetto rosso (Tetranychus urticae) che attacca molte piante ornamentali e ortensi provocando l'ingiallimento e la caduta delle foglie. Le radici e gli organi sotterranei sono danneggiati dai nematodi, vermi microscopici che raramente superano i tre o quattro millimetri di lunghezza e causano alterazioni e malformazioni di vario tipo. In alcuni casi, le piante colpite reagiscono alle punture provocate dagli apparati boccali dei vermi, producendo le caratteristiche galle che compromettono la funzionalità delle radici, riducendo le attività biologiche dei vegetali. Anche i topi, le arvicole, le talpe e gli uccelli possono danneggiare le colture mangiando i semi, i frutti e le radici o rodendo la base dei fusti delle piante arboree.

I PARASSITI VEGETALI

Le piante possono essere colpite anche da altri organismi vegetali che provocano una grande varietà di malattie. Nella maggior parte dei casi, si tratta di piante inferiori (crittogame), in particolare funghi. I funghi comprendono diverse specie di vegetali di forma e dimensioni molto variabili, accomunate dalla mancanza di clorofilla e, perciò, dipendenti per l'alimentazione dalla disponibilità di sostanza organica viva o morta. I funghi che causano malattie nelle piante sono microscopici e costituiti da organi vegetativi detti ife, che sono sempre in gran numero e, nel loro insieme, originano il micelio del fungo. La propagazione della specie avviene grazie a spore, simili ai semi delle piante superiori, che possono mantenersi vitali nel terreno o negli organi delle piante morte anche per molti anni. La maggior parte dei funghi ha bisogno di umidità per svilupparsi: è anche il caso della peronospora (Phytophthora infestans), che è particolarmente nociva nelle estati calde e piovose, o della muffa grigia (Botrytis cynerea), che costituisce una delle più gravi malattie della vite. I sintomi delle malattie crittogamiche sono molteplici, ma in genere si ha la comparsa di macchie di vario colore negli organi colpiti, che spesso si ricoprono di un leggero strato vellutato formato dalle ife del fungo. Le foglie colpite ingialliscono, disseccano e si accartocciano, diminuendo in ogni caso la propria attività fotosintetica. Anche i frutti vengono spesso compromessi per la comparsa di lesioni o marcescenze che, se molto diffuse, li rendono inutilizzabili. I batteri, che negli uomini e negli animali sono causa di numerose malattie, non provocano alle piante inconvenienti di rilievo. Le varie malattie crittogamiche verranno trattate nei capitoli relativi alle specie coltivate.

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IL RIPOSO INVERNALE DELLE PIANTE

L'arrivo dell'inverno coincide, per la grande maggioranza delle piante, con un periodo di riposo, in cui il complesso del loro metabolismo subisce un rallentamento. Infatti, in relazione all'accorciamento delle giornate e alla conseguente diminuzione della quantità e intensità della luce, le piante entrano in una condizione particolare di vita latente. In questo lasso di tempo è importantissimo rispettare tutte le esigenze della pianta e adottare le cure più opportune, al fine dl rendere la transizione tra questa fase di stasi e il successivo risveglio vegetativo la meno traumatica possibile, ponendo le premesse per una futura crescita nelle migliori condizioni di salute e di vigore. In questo periodo, infatti, le piante sono ipersensibili e, per questo motivo, ci si dovrà rigorosamente astenere dal sottoporle a stimolazioni aggressive: si dovranno evitare i bruschi sbalzi termici, le innaffiature abbondanti e frequenti, le concimazioni di qualunque tipo. Ciò non vuol dire però che le piante non necessitino più di un apporto, sia pur ridotto, di acqua: al contrario le perenni richiedono innaffiature moderate, le caducifoglie una quantità d'acqua utile a mantenere umido il substrato. Le piante non andranno mai forzate a crescere in questo periodo, altrimenti si determineranno squilibri, perdita di vigore e compromissione delle successive funzioni vitali. Non mancano però le eccezioni: vi sono infatti delle piante che non necessitano di riposo invernale e che, al contrario, hanno in questa stagione il periodo di crescita e in taluni casi addirittura di fioritura (ad esempio la stella di Natale, il crisantemo, il ciclamino, l'azalea). E' bene sorvegliare i sintomi con cui la pianta segnala che il periodo di riposo è prossimo al termine, affinché si ricominci tempestivamente a somministrare le cure: abbondanti innaffiature (evitando i ristagni) e concimazioni con letame ben stagionato.

ERBE INFESTANTI

In tutti i giardini e negli orti il problema delle erbe infestanti è sempre presente, e spesso non di facile soluzione. Con il termine di erbe infestanti si indicano tutte quelle piante che crescono dove non dovrebbero (quindi anche una pianta di fagiolo in un'aiuola di cipolle o una margherita in un gruppo di gigli). Più specificatamente, però, esiste un vasto gruppo di cosiddette erbacce, o più correttamente malerbe, che, sebbene di gradevole aspetto, sono pur sempre considerate un elemento di disturbo. Queste malerbe sono in genere dotate di grande vigore vegetativo, producono una quantità enorme di semi (basti pensare che in un anno un'ortica può produrre più di 30.000 semi) e molto spesso sono in grado di riprodursi per via vegetativa attraverso rizomi, tuberi e altri organi sotterranei. La necessità di combattere le infestanti non è data solo da un motivo estetico: queste erbe arrecano infatti dei danni anche gravi, poiché il loro rapidissimo sviluppo sottrae spazio alle colture. Inoltre competono con la nostra coltura nella suzione di acqua e di elementi nutritivi e, a volte, le loro radici emettono sostanze tossiche per le altre piante o sono ospiti intermedi di insetti e malattie. Alcune malerbe sono annuali, cioè completano il loro ciclo vitale in pochi mesi e, dopo aver disseminato, muoiono. Ciò ne rende agevole il controllo, poiché la loro estirpazione prima della fioritura elimina in genere il pericolo di infestazioni future. Diverso è il discorso per le piante perenni il cui apparato radicale sopravvive nel terreno anche durante l'inverno per emettere nuove piante la primavera successiva. Molto spesso, come nel caso della margherita, della gramigna e della artemisia, pochi giorni dopo l'estirpazione il problema si ripresenta, poiché non è sempre possibile asportare dal terreno tutte le porzioni di radici.

IL CONTROLLO DELLE MALERBE

Per diserbare le aiuole, il giardiniere può scegliere tra sistemi agronomici basati su corrette pratiche colturali e sull'estirpazione manuale, oppure su metodi chimici, che ricevono alimento da produzione industriale articolata in una vasta gamma di prodotti diserbanti. Le pratiche manuali assicurano senza dubbio un controllo efficace e duraturo, contrariamente a quanto avviene con gli erbicidi che, oltretutto, hanno lo svantaggio di essere tossici e fortemente inquinanti. Per questo è sempre consigliabile ricorrere, quando ciò è fattibile, ai metodi agronomici che prevedono zappature e sarchiature intorno alle piante coltivate, l'asportazione manuale del maggior numero possibile di radici, rizomi, tuberi, bulbi, oltreché delle malerbe perenni durante le vangature, e l'utilizzazione dove si può, della pacciamatura. La pacciamatura è una tecnica che prevede la copertura del terreno con materiali diversi intorno alle piantine coltivate in modo da togliere luce e spazio alle infestanti. Inoltre il terreno al di sotto della pacciamatura si mantiene umido a lungo, ridimensionando così il problema dell'irrigazione. Tra i materiali adatti alla pacciamatura, vi sono quelli naturali, come paglia, erba sfalciata, torba, trucioli di legno, cortecce sminuzzate, terriccio di foglie e altri, che vanno sparsi sul suolo in uno spessore variabile a seconda del tipo di materiale (può arrivare fino a 15 cm se si usa paglia o terriccio, e a 5-10 cm se si usa torba). Questo tipo di pacciamatura naturale garantisce anche un costante e ideale apporto di sostanze nutritive per le piante. Un altro metodo di pacciamatura, preferibile negli orti, consiste nell'utilizzo di fogli di materiale plastico scuro, stesi sul terreno e forati per consentire la fuoriuscita delle piante coltivate. Volendo usare per il diserbo dei prodotti chimici, è bene premettere che questi possono nuocere all'uomo e agli animali se usati in modo scorretto e che per l'individuazione del principio attivo adatto alle varie esigenze è sempre opportuno ricorrere al consiglio di un esperto. Comunque si possono distinguere tre tipi fondamentali di erbicidi: quelli che agiscono per contatto, quelli che entrano in circolo nella linfa delle piante e quelli detti ad azione residuale. I primi uccidono solo le piante o gli organi con cui vengono in contatto e in genere si degradano subito nel terreno. Possono essere usati per combattere le infestanti annuali, ma hanno scarsa efficacia nel caso delle perenni poiché uccidono la parte aerea senza devitalizzare la radice. Gli erbicidi che entrano nel circolo della linfa sono assorbiti o dalle foglie o dalle radici, e sono ottimi contro le perenni in quanto arrivano a uccidere anche la radice. Infine quelli a effetto residuale mantengono inalterato il loro potere erbicida anche per lungo tempo, una volta sparsi nel terreno, e controllano i semi in germinazione. Inoltre gli erbicidi possono essere totali se agiscono su tutte le piante indiscriminatamente o selettivi se uccidono solo alcuni tipi di piante senza avere effetti sugli altri.

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FATTORI AMBIENTALI

La buona riuscita di una coltivazione dipende da una serie di variabili, su cui l'intervento correttivo dell'uomo può esercitarsi con maggiore o minore efficacia. Ad esempio, la qualità del terreno e la pratica agricola sono fattori determinanti, che l'agricoltore esperto è in grado di sottoporre a un rigoroso controllo, mediante l'affinamento delle sue cognizioni e risorse tecniche, al fine di piegare alle proprie esigenze le condizioni ambientali. Esiste un altro fattore di vitale importanza per il buon esito di un orto, che si rivela però del tutto refrattario all'azione modificatrice dell'uomo: si tratta del clima specifico dell'area in cui è ubicato l'orto. Dal clima dipendono infatti in modo diretto la varietà e la qualità delle piante coltivabili: per questo è necessaria una conoscenza precisa e dettagliata dei fenomeni climatici relativi alla zona in cui si opera, e intesi non solo in senso genericamente regionale, bensì rapportati al microclima del giardino o dell'orto particolari. L'appassionato di giardinaggio che voglia cimentarsi con i problemi di pratica agronomica dovrà condurre delle osservazioni puntuali sulle manifestazioni meteorologiche relative al suo appezzamento, al fine di raccogliere un insieme esauriente di dati: la porzione del terreno più soggetta a gelate; i punti in cui la neve persiste: più a lungo e quelli in cui, al contrario, non resiste al primo sole; i settori in cui si verifica la maggiore esposizione ai venti dominanti e quelli più riparati. Queste conoscenze guideranno alla scelta della ripartizione delle aree da destinarsi alle varie coltivazioni secondo un criterio di razionalità e di profitto. Tra i fattori climatici fondamentali figurano: il gelo, il vento e le precipitazioni. Il gelo è un elemento che deve essere valutato con grande attenzione a seconda dei casi particolari, poiché vi sono coltivazioni che subiscono in relazione a esso dei danni irreparabili, mentre altre non ne sono minimamente compromesse: è dunque corretto considerare il gelo come un fattore senz'altro limitante, ma non per questo indiscriminatamente nocivo alle colture. Ad esempio, se in Pianura Padana non è neppure concepibile la coltivazione dei pomodori all'aria aperta durante l'inverno, questa stessa pratica è normalmente seguita per porri, cavoli e tutti gli ortaggi che abbiano sviluppata la resistenza al gelo. L'esperienza dell'agricoltore e l'approfondimento delle conoscenze sulle caratteristiche proprie ai vari ortaggi costituiranno i criteri orientativi per la selezione delle specie più adatte alle varie zone climatiche. Ancor più insidiose del gelo invernale sono le gelate precoci (in autunno) e quelle tardive (note anche come "brinate", di fine inverno o inizio primavera). Nel caso delle gelate, gli effetti possono essere ancor più devastanti poiché queste, verificandosi improvvisamente, sono difficilmente prevedibili e in particolare quelle primaverili, colgono le piante nel momento in cui sono più vulnerabili (durante la gemmazione), in quanto fisiologicamente impreparate ad affrontare i rigori. In linea di massima, però, le gelate si producono più frequentemente nelle prime ore del mattino, specie a seguito di una notte limpida e senza vento. Comunque, per cercare di porre un argine a questi inconvenienti meteorologici si può cercare, con gli opportuni rilevamenti, di stabilire i termini estremi del periodo dell'anno esente da gelo: ossia l'arco compreso tra l'ultima gelata di primavera e la prima d'autunno.

Ci si potrà riferire a questo parametro per stabilire quando seminare e trapiantare gli ortaggi all'aria aperta, e, per converso, quando scoprire le verdure coltivate sotto tunnel. Nelle colture intensive di alberi da frutto possono essere messi in atto dei meccanismi di difesa attiva contro le gelate, inattuabili nelle ridotte dimensioni di un frutteto familiare. L'unico consiglio che si può dare al coltivatore dilettante consiste nel riguardare la potatura. Il vento è un altro fattore climatico da non sottovalutare, la cui influenza si rivela addirittura determinante nelle zone in cui spirano venti dominanti Nella nostra penisola si tratta in modo particolare delle fasce litoranee: la costa adriatica con la bora che spira da N-E, la costa tirrenica con il maestrale da N-O, il Meridione e le Isole con il favonio (o libeccio). Ma anche in regioni più circoscritte dell'entroterra si può registrare la presenza di venti dominanti, come nelle vallate alpine e appenniniche. In questi casi l'agricoltore deve ricorrere all'uso di ripari frangivento, o può erigere delle palizzate, preferibilmente composte da elementi separati, che oppongano alla forza del vento una barriera meno impenetrabile e rigida di quella offerta da muretti e palizzate continue, che spesso possono determinare l'effetto di ritorno di vortici a valle. Per questo sono anche indicati, a scopo difensivo, i graticciati e le siepi ai bordi delle aiuole. Le precipitazioni (o idrometeore) costituiscono un altro fattore climatico di fondamentale importanza, specie in riferimento al problema specifico dell'irrigazione che, essendo impraticabile in taluni casi, può solo essere sostituita da fonti naturali di approvvigionamento idrico. Anzitutto bisogna conoscere il tasso di piovosità (la quantità di acqua piovana espressa in millimetri che mediamente cade in un anno) e la distribuzione delle piogge nei vari periodi dell'anno. Non sempre le forti concentrazioni stagionali di pioggia possono esplicare una funzione compensativa rispetto a prolungati periodi di siccità: i temporali estivi, violenti e brevi arrecano più danni che benefici; così come una grande frequenza di piogge autunnali non controbilancia positivamente un periodo estivo particolarmente caldo e siccitoso. La grandine è una delle idrometeore più pericolose perché è in grado di radere al suolo le coltivazioni nel breve giro di pochi minuti, vanificando il lavoro di mesi. Per questo nelle zone a più alto rischio di grandine è consigliabile ricoprire le aiuole con le apposite reti antigrandine. Anche le precipitazioni nevose sono rilevanti, ma non per le quantità d'acqua apportate al terreno che, pur abbondanti, sono scarsamente utilizzabili piuttosto la coltre che esse formano sul terreno esplica un'importantissima azione di isolamento termico, che consente ad alcune specie di sopravvivere alle temperature più basse. La rugiada ha poca importanza riguardo all'approvvigionamento idrico, mentre la brina, come si è già visto, produce effetti dannosi.

PROTEZIONI CONTRO IL FREDDO

Comunemente negli orti e nei giardini si fa ricorso a ripari semplici e poco costosi per difendere le piante dal freddo. Questi sono indispensabili nelle zone a inverno molto rigido o dove ci siano seri rischi di brinate tardive o precoci, ma possono rivelarsi utili anche in altre situazioni, ad esempio quando si desideri ottenere ortaggi fuori stagione. I ripari più semplici sono costituiti da tunnel realizzati con una serie di archetti flessibili di vetroresina che vanno piantati nel terreno e che sorreggono un robusto foglio di plastica, a sua volta ancorato a terra mediante corde e picchetti. Tunnel di questo tipo sono facilmente reperibili nei negozi di giardinaggio, ma si possono anche preparare in casa con ottimi risultati, utilizzando supporti di legno o di canna. Un'altra possibilità consiste nel riparare le aiuole con lastre di vetro speciale o di plastica rigida, disposte a tetto e sorrette da semplici sostegni di legno o di metallo.

L'aria all'interno dei tunnel o degli altri ripari durante il giorno si scalda per l'azione del sole in misura maggiore rispetto a quella esterna, permettendo alle piante di sopravvivere. Bisogna però stare attenti a garantire una certa areazione all'interno del tunnel e, soprattutto, a praticare scoperture, anche solo parziali, nel caso in cui la temperatura atmosferica si alzi troppo.

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