LA SUPERPOTENZA AMERICANA
LA NUOVA FRONTIERA
Verso la fine
degli anni Cinquanta, la politica della guerra fredda andò attenuandosi e
ad essa subentrò quella della coesistenza pacifica, caratterizzata da un
nuovo tipo di confronto legato a esperimenti missilistici, alla realizzazione di
satelliti artificiali e ai voli umani nello spazio.
La politica di coesistenza
continuò con maggiore energia sotto la presidenza del democratico John F.
Kennedy (1961-63), che ebbe il merito di sbloccare una situazione da tempo
cristallizzata. La mitizzazione di alcuni aspetti della personalità del
presidente assassinato a Dallas, nel Texas, il 22 novembre 1963, creò
tuttavia alcuni equivoci sulla reale azione e sulle intenzioni di Kennedy,
finendo con l'attribuire a slogan propagandistici, come quello della Nuova
Frontiera, propositi di sfida al sistema che invece non avevano. Tali propositi,
infatti, non trovarono alcuna conferma nella realtà che, invece, fu
contrassegnata dal malaccorto tentativo di abbattere il regime castrista a Cuba,
con lo sbarco nella Baia dei Porci dell'aprile 1961, e dall'escalation nel
Vietnam (creazione del Comitato per l'assistenza militare al Vietnam, nel
febbraio 1962). Durante la gestione kennediana, venne operato un tentativo per
rinnovare le scricchiolanti strutture politiche e sociali del Paese e per
risolvere i problemi della popolazione di colore che rivendicava la pienezza dei
diritti civili. Un'altra conferma negativa venne dal fallimento dell'Alleanza
per il progresso che, nelle enunciazioni, avrebbe dovuto essere un grandioso
piano per soddisfare le esigenze fondamentali di libertà e di sviluppo
dei popoli latino-americani.
L'assunzione della presidenza da parte di
Lyndon B. Johnson (1963-69) non segnò un sostanziale cambiamento nella
fisionomia della gestione politica democratica. Si trattò solo di un
mutamento di stile e di metodo che rese più evidenti le contraddizioni
rimaste nascoste durante la prestigiosa presidenza Kennedy. Dopo la vittoria
elettorale del 1964, Johnson dichiarò di volersi distinguere come il
presidente dei poveri, dei giovani e della pace varando un ambizioso programma
di risanamento sociale denominato la Grande società. Di fronte alla
rivolta negra, alla contestazione studentesca, alla guerra nel Vietnam, egli
però dimostrò un'assoluta impotenza, tanto da non potersi
ricandidare alle elezioni del novembre 1968.
DA NIXON A REAGAN
A pagare le spese degli errori della
gestione democratica fu il vicepresidente Hubert Humphrey, candidato alla
presidenza e contrastato dalla corrente pacifista e progressista del partito,
che si era pronunciata a favore del senatore Eugene McCarthy. Si ebbe
così la vittoria del repubblicano Richard Nixon, già
vicepresidente con Eisenhower. La sua elezione non segnò alcuna svolta
significativa, ma confermò solo le lacerazioni del tessuto politico di un
Paese in cui l'affluenza alle urne superava di poco la metà degli aventi
diritto al voto e in cui la dialettica politica appariva sempre più
ridotta a un gioco clientelare tra due schieramenti tanto poco dissimili da
poter essere quasi considerati come un unico grande partito. Eletto nel 1968 e
riconfermato presidente nel 1972, Nixon, coadiuvato dal segretario di Stato
Henry Kissinger, dovette affrontare la grave crisi del dollaro (abbandono della
convertibilità in oro e sua svalutazione), nonché la crisi ancor
più grave della costosissima guerra del Vietnam, inaugurando sul piano
diplomatico il riavvicinamento alla Cina comunista (1972). Ciò non
significò tuttavia che il suo anticomunismo fosse diminuito, dal momento
che contemporaneamente operò per la caduta del Governo di Allende in
Cile.
Nel gennaio 1973 accettò con riluttanza il ritiro delle
truppe statunitensi dal Vietnam con la stipulazione a Parigi degli accordi di
pace (gennaio 1973) e avviò una politica di graduale disimpegno dal
Sud-Est asiatico; ma il suo prestigio era stato intanto profondamente intaccato
dallo scandalo Watergate, che finì per travolgerlo. Minacciato di
impeachment (destituzione forzata per indegnità), subì
l'onta di "volontarie dimissioni" (8 agosto 1974), venendo sostituito dal
vicepresidente Gerald R. Ford che diede un'impronta più spiccatamente
conservatrice alla linea nixoniana. Toccò al nuovo presidente procedere
all'evacuazione degli ultimi Americani dal Vietnam (29 aprile 1975) e lo scacco
militare si ripercosse in campo elettorale. Ottenuta a stento la nomina a
candidato repubblicano contro il governatore della California, Ronald Reagan,
nelle elezioni presidenziali del novembre 1976, Ford fu battuto dal candidato
democratico Jimmy Carter (51%). Affiancato da Walter Mondale come
vicepresidente, Carter inaugurò una politica caratterizzata da grande
dinamismo, soprattutto in politica estera. Il neopresidente non mancò di
suscitare critiche per la mancanza sostanziale di chiarezza e per le
intemperanze polemiche nei confronti dell'URSS (boicottaggio dei giochi olimpici
del 1980 a Mosca ed embargo sulla vendita di cereali all'URSS). Soprattutto il
maldestro blitz compiuto in Iran (24 aprile 1980), per liberare gli ostaggi
statunitensi sequestrati nell'ambasciata di Teheran, si ripercosse negativamente
sulle elezioni presidenziali del novembre successivo. Esse portarono alla Casa
Bianca l'ex attore cinematografico Ronald Reagan (51% dei voti) che aveva
iniziato la propria scalata al potere nel 1968.
Un'immagine di James Earl Carter
Henry Kissinger durante una conferenza
LA GUERRA DEL VIETNAM
La causa principale dello scoppio della
guerra fu la mancata applicazione degli accordi della conferenza di Ginevra
dell'aprile 1954. Essa sanciva che in attesa di regolari elezioni che avrebbero
dovuto svolgersi entro il 1956 (ma in realtà non vennero mai indette), il
Vietnam venisse diviso lungo l'asse del 17º parallelo nella Repubblica
democratica del Vietnam (Nord) e Repubblica del Vietnam (Sud). Alla data delle
elezioni il Vietnam sarebbe stato riunificato.
Dal momento che queste
premesse erano andate disattese nel 1957, cominciarono a verificarsi le prime
azioni di guerriglia condotte da appartenenti al Fronte di liberazione nazionale
di indirizzo comunista (vietcong), appoggiati da forze regolari del Vietnam del
Nord contro le truppe del Vietnam del Sud, appoggiate da reparti dell'esercito
americano.
Gli Stati Uniti considerarono di primaria importanza quel
settore dello scacchiere internazionale, soprattutto allo scopo di limitare
l'espansione sovietica e cinese verso sud. Logicamente l'intervento degli Stati
Uniti portò all'allargamento del conflitto, che vide non più due
schieramenti contrapposti per la soluzione di un problema interno, ma lo scontro
aperto fra i due blocchi.
Quelli che prima erano solo atti di guerriglia
diventarono azioni in grande stile e la guerra andò via via inasprendosi
fino a che, nel 1964, in seguito ai gravi incidenti avvenuti nel Golfo del
Tonchino, gli Statunitensi cominciarono a bombardare il Vietnam del Nord.
Costretti a combattere in un ambiente a loro non favorevole, contro una
guerriglia che aveva basi ed appoggio logistico nei Paesi confinanti, gli
Americani ed il loro alleato dovettero negoziare la pace che venne siglata con
un accordo a Parigi, nel gennaio 1973.
Gli Americani avrebbero dovuto
lasciare il territorio, ormai per la maggior parte nelle mani dei vietcong entro
due mesi, ma ben presto l'accordo venne violato da entrambe le parti.
Così, nel dicembre 1974, il Nord sferrò un'offensiva decisiva:
già nel marzo 1975 il regime del Sud fu in completa disfatta e si
arroccò a Saigon per organizzare meglio la difesa. Le truppe
nordvietnamite occuparono Saigon il 30 aprile di quello stesso anno. Il giorno
precedente il presidente americano Ford aveva ritirato precipitosamente le sue
truppe (vedi anche Storia contemporanea - Asia e Africa).
La guerra in Vietnam
La guerra in Vietnam (english version)
Modello tridimensionale del cacciabombardiere a lungo raggio B-52, usato dagli Americani durante la guerra in Vietnam
Modello tridimensionale dell’elicottero statunitense Bell UH-1 Iroquois usato nella guerra in Vietnam
Modello tridimensionale del mitragliatore americano M-16
LO SCANDALO WATERGATE
La scoperta da parte di un guardiano
notturno di cinque uomini intenti ad installare microfoni all'interno della sede
del partito democratico, nel palazzo del Watergate, diede il via, il 17 giugno
1972, ad uno scandalo che assunse dimensioni gigantesche ed impreviste e
finì per travolgere il presidente Nixon ed i suoi più stretti
collaboratori.
Fu grazie all'intraprendenza di due giornalisti del
Washington Post, che impedirono con la loro costanza e le indagini parallele che
l'affare venisse insabbiato, che venne istituita una Commissione di inchiesta
per far emergere le responsabilità di ognuno.
Nonostante la strenua
resistenza di Nixon, che si dichiarò fino all'ultimo estraneo alla
vicenda, emersero precise responsabilità da parte della Casa Bianca
nell'aver svolto attività illegale ai danni del Partito democratico, nel
periodo della campagna presidenziale (1972), ed emersero l'atteggiamento
spregiudicato di Nixon nel condurre la sua politica e certi legami, non meglio
chiariti, con ambienti connessi con la malavita.
Messo alle strette, il
presidente si appellò al "privilegio dell'esecutivo", in base al quale
sarebbe stato scagionato da qualunque accusa per motivi di sicurezza nazionale.
Ma il privilegio gli venne negato e, dopo che la Commissione ebbe approvato i
primi articoli di accusa per
l'impeachment (coinvolgimento) del
presidente (ostruzione della giustizia ed abuso di potere), fu costretto a
capitolare. Ammise di essere stato a conoscenza dell'affare Watergate e si
dimise (8 agosto 1974).
Un mese dopo, il nuovo presidente Ford concesse al
suo predecessore l'indulto pieno ed assoluto per qualsiasi violazione commessa
durante il suo mandato.
LA CRISI PETROLIFERA
La più importante fonte di
approvvigionamento energetico del nostro secolo, il petrolio, è sempre
stata sotto il controllo di sette grandi multinazionali americane o europee,
chiamate le «sette sorelle». Esse, con strategie congiunte,
governarono il mercato energetico mondiale, determinando talvolta anche il corso
degli avvenimenti storici nei Paesi in cui il petrolio veniva estratto. La
strategia di tali multinazionali era quella di conservare alti profitti e un
basso costo di estrazione del petrolio. Evidentemente, ogni rivendicazione di
indipendenza o di autodeterminazione da parte delle popolazioni locali fu
ostacolata. Soprattutto nel Medio Oriente, la regione del mondo più ricca
di idrocarburi, l'influenza delle «sette sorelle» si manifestò
con un regime di colonialismo molto rigido. Quegli Stati che osarono
nazionalizzare i giacimenti e l'estrazione petrolifera furono rovesciati da
regimi militari.
Conclusasi l'età coloniale, nacque l'OPEC
(Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), con la quale i Paesi
produttori cercavano di armonizzare le proprie politiche economiche e i prezzi
del petrolio.
Il 1973, con lo scoppio della guerra del Kippur, i Paesi
arabi, preponderanti all'interno dell'OPEC, decisero per una propria azione
politica in appoggio all'Egitto in guerra con Israele (quest'ultimo appoggiato
dagli USA e dai Paesi europei). La mossa dell'OPEC colpì soprattutto
questi ultimi Paesi, e arrivò, attraverso una radicale diminuzione delle
estrazioni di petrolio, a far lievitare il prezzo del petrolio da 2 dollari a 20
dollari al barile. Da questa decisione, che influì sui mercati per molti
anni, derivò una crisi economica di vaste proporzioni nei Paesi europei,
negli USA, in Giappone e in tutti i Paesi del Terzo Mondo la cui economia si
basava sulla energia prodotta dal petrolio.
I sistemi produttivi e le
stesse condizioni di vita di tutti questi Paesi furono messi a dura prova.
Alcuni di essi, come la Francia, decisero di differenziare le proprie fonti
energetiche costruendo centrali nucleari, altri cercarono di ristrutturare
l'intero sistema produttivo, elevandone il rendimento, come il Giappone, altri
ancora non trovarono soluzioni a questa crisi per indisponibilità di
risorse e finirono con l'indebitarsi.
Nel complesso, comunque, le
contromisure adottate dai Paesi consumatori ebbero un riscontro positivo sulle
economie interne e misero in difficoltà l'OPEC, che vide sfumare in parte
gli effetti della propria strategia. Essa si divise, pertanto, e perse parte
della propria autorità anche all'interno dei Paesi
arabi.
L'AVVENTO DI RONALD REAGAN
Affiancato dal vicepresidente George Bush,
dal segretario di Stato Alexander Haig (sostituito nel 1982 da George Shultz) e
dal ministro della Difesa Caspar Weinberger, Reagan inaugurò la propria
presidenza, nel gennaio 1981, con il rilascio dei 52 ostaggi detenuti in Iran.
Nel quadriennio del suo primo mandato, Reagan procedette al ridimensionamento
dell'apparato burocratico e a una drastica riduzione della spesa pubblica,
soprattutto di quella destinata alle istituzioni assistenziali, alleggerendo la
pressione fiscale. Contemporaneamente, procedette al potenziamento dell'apparato
difensivo, sia in senso strettamente militare, sia per garantire la sicurezza
interna. I richiami all'intraprendenza individuale, alla volontà di
arricchirsi e ai valori tradizionali, sulla base di slogan quali
«ristabilire in America l'ordine morale», incontrarono un terreno
fertile, potendo contare sull'appoggio di potenti lobbies (gruppi di potere) e
di innumerevoli circoli e istituzioni ecclesiastiche, soprattutto di ispirazione
evangelica fondamentalista.
Alla fine del quadriennio, Reagan poteva
vantare il successo della sua politica economica di libero mercato e di
opposizione al
Welfare state (Stato sociale). Pur giocando a suo sfavore
l'età avanzata, risultando il più vecchio presidente nella storia
degli USA, egli ottenne la reinvestitura repubblicana per un nuovo mandato e
nelle elezioni presidenziali del novembre 1984 riuscì ad affermarsi con
un largo margine (59% dei voti) sul candidato democratico W. Mondale.
Quest'ultimo, oltre a richiamarsi ai diritti sociali, civili e alla difesa degli
strati più poveri ed emarginati, aveva tentato di far leva
sull'elettorato italo-americano e su quello femminile, designando come
vicepresidente Geraldine Ferraro.
Nel 1985, nel corso del suo secondo
mandato, il presidente Reagan confermò le linee generali della politica
interna ed estera che era stata alla base del primo quadriennio. Da un punto di
vista economico la sua gestione si segnalò per una serie di lusinghieri
successi: crescita del 7% della produzione industriale e diminuzione netta
dell'inflazione e della disoccupazione. Permanevano però gravi problemi
legati alla riduzione della spesa pubblica, espediente col quale
l'amministrazione si illudeva di raggiungere la parità di bilancio.
In politica estera Reagan accentuò le spinte interventistiche,
soprattutto in Centroamerica, confermando il suo appoggio ai movimenti
antisandinisti in Nicaragua, e nello scacchiere mediterraneo, dove venne svolta
un'efficace azione di dissuasione nei confronti della Libia, che
l'amministrazione individuava come l'ispiratrice del terrorismo internazionale.
La VI flotta si rivolse contro i libici in due occasioni: la prima volta nel
1986, allorché vennero bombardate Tripoli e Bengasi per ritorsione contro
un attentato terroristico, e nel 1988 quando, con una serie di manovre nel Golfo
della Sirte gli USA cercarono di ottenere la chiusura degli impianti di Rabta,
sospettati di produrre armi chimiche.
La volontà
«imperiale» del presidente Reagan venne confermata anche dal sostegno
accordato al progetto SDI (Strategic Defense Initiative), il cosiddetto
«scudo spaziale», un complicato e costoso complesso di satelliti ed
armi spaziali in grado di distruggere le testate nucleari avversarie prima
ancora che raggiungessero l'obiettivo. Secondo le ottimistiche previsioni del
presidente, tale sistema avrebbe in pratica assicurato agli USA
l'invulnerabilità.
Ma se, da un lato, Reagan fece di tutto per
restaurare la potenza degli Stati Uniti, sarebbe ingiusto ignorare che,
soprattutto nel corso del suo secondo mandato, egli si adoperò per il
mantenimento della pace mondiale e per il superamento di alcune crisi
regionali.
Dopo l'incontro con il leader sovietico Gorbaciov a Ginevra nel
1985, attraverso i successivi vertici di Reykjavik (1986), Washington (1987) e
di Mosca (1988), vennero raggiunti importanti accordi per la riduzione degli
armamenti in Europa.
Decisivo apparve infine il contributo di Reagan per
favorire il passaggio alla democrazia nelle Filippine e in Corea: ciò
consentì all'amministrazione di recuperare il prestigio politico che le
competeva.
Erede di Reagan fu il repubblicano George Bush, già
vicepresidente, eletto alla massima carica nel novembre 1988. La politica del
neoeletto presidente si preannunciò, per il 1989, omologa a quella del
predecessore, anche se Bush cercò di smussarne le punte più aspre.
La sua politica si svolse infatti all'insegna della moderazione sia in politica
estera sia in politica interna (rinuncia allo «scudo spaziale»,
attenuazione del liberismo economico, sottoscrizione insieme alla Russia dei
Trattati Start 1 e 2 per la denuclearizzazione delle due superpotenze).
Nel 1991
gli Stati Uniti registrarono una netta vittoria nell'ambito del conflitto del
Golfo Persico che li vide schierati contro l'Iraq. Rafforzati nel prestigio
internazionale, gli USA mirarono a rafforzare il ruolo di potenza leader. In
quest'ottica si inserisce il loro intervento, in qualità di supervisore,
alla Conferenza di pace per il Medio Oriente svoltasi a Madrid nel 1991. Se dal
punto di vista della politica estera il Paese guadagnò punti, per contro
la situazione interna sembrò gradualmente peggiorare: in ambito economico
e finanziario la Nazione dovette fare i conti con un aumento vertiginoso del
disavanzo pubblico, accompagnato dal peggioramento dei gravi problemi sociali
che da sempre assillavano gli Stati Uniti, quali disoccupazione, droga e
violenza.
Ronald Reagan
Il giuramento di George Bush
BILL CLINTON 42° PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI
Nel novembre 1992 in occasione delle
consultazioni elettorali per l'elezione del presidente, gli Stati Uniti fecero
segnare una svolta: il popolo americano infatti, dopo dodici anni di gestione
repubblicana, scelse un portavoce democratico, Bill Clinton, ex governatore
dell'Arkansas.
Considerato all'inizio un
candidato senza speranza, durante la corsa alla Casa Bianca Clinton emerse
gradualmente come leader incontrastato, fondamentalmente grazie alla tendenza
alla diplomazia e alla capacità di risultare simpatico alla gente. Oltre
che per le sue doti umane, Clinton si mise in luce per la sua tenacia di
"idealista pragmatico", guadagnando il consenso di una sempre maggiore ed
eterogenea fascia di elettori. Senza abbandonarsi a eccessi di populismo,
Clinton sembrò voler interpretare il sentimento di rinnovamento e di
desiderio di ripresa economica e sociale sempre più diffuso nella
popolazione statunitense. Nel suo programma elettorale il candidato democratico
pose l'attenzione sul problema dei diritti civili delle minoranze e sulle
questioni di vitale importanza per la politica interna, quali previdenza medica,
riforma fiscale, rilancio dell'economia e interventi pubblici per debellare la
disoccupazione.
Con l'elezione di Clinton gli Americani posero fine a quel
complesso gioco di contrasti e veti incrociati che aveva paralizzato per anni il
Governo, diviso tra una Casa Bianca repubblicana e un Congresso controllato dai
democratici. Fin dalle prime battute il neopresidente non ebbe vita facile: il
Congresso si rifiutò di convalidare il suo piano economico a breve
termine, costringendo il neopresidente a modificare la propria linea d'azione.
Il secondo progetto per il bilancio federale, proposto da Clinton a distanza di
qualche mese, ottenne l'approvazione di una maggioranza risicata alla Camera e
passò al Senato con un solo voto di scarto. Nonostante l'ostruzionismo e
le perplessità iniziali, il piano varato dal presidente e dal suo staff
di tecnici risultò essere efficace, riuscendo ad arginare il problema
della disoccupazione giovanile e a rilanciare il mercato economico e
finanziario. In ambito internazionale, Clinton diede avvio al processo di pace
tra Israeliani e Palestinesi (Washington, 13 settembre 1993, firma di Arafat e
Rabin sull'accordo di pace), si impegnò per la fine della guerra nella ex
Jugoslavia (accordi di Dayton, 1995).
D'altro canto non sempre la politica
estera del presidente statunitense venne giudicata positivamente. Gli USA
parteciparono attivamente a diverse operazioni militari, patrocinate dall'ONU.
In particolare, suscitò l'attenzione dei mass media l'intervento ad
Haiti: il primo sbarco sull'isola del contingente americano (novembre 1993)
provocò una vera e propria rivolta popolare e mise alle strette il
presidente Clinton. L'anno seguente le forze d'azione USA intervennero
nuovamente per permettere il ritorno nell'isola del presidente in esilio
Aristide. Anche l'intervento militare in Somalia era destinato a suscitare non
poche polemiche. Inizialmente i contingenti vennero inviati nello Stato africano
con l'obiettivo di intervenire in modo diretto e attivo. Le loro missioni furono
però giudicate eccessivamente cruente e lo stesso Congresso, sostenuto
dall'opinione pubblica, fece pressione affinché il presidente Clinton
adottasse la via diplomatica. In seguito alle difficoltà nel riuscire a
instaurare un dialogo tra le parti in causa, nel 1994 il presidente optò
per il ritiro delle truppe americane.
Gli errori del presidente non
mancarono di avere forti ripercussioni a livello di popolarità: le
consultazioni elettorali per il rinnovo parziale del Senato e dell'intera Camera
del 1994 fecero segnalare una netta diminuzione dei consensi verso il Partito
Democratico, mentre i repubblicani ottennero la maggioranza sia al Senato sia
alla Camera.
Bill Clinton
Modello tridimensionale dell’elicottero statunitense VH3 – Sea King utilizzato per gli spostamenti del presidente americano
IL SECONDO MANDATO DI CLINTON
Nonostante la sconfitta alle elezioni del
1994 e l'affossamento di alcuni punti qualificanti del suo programma elettorale
(quale, ad esempio, il progetto di fornire a tutti gli statunitensi una
copertura sanitaria), nel 1996 Clinton, forte dell'avvenuta ripresa economica,
fu riconfermato alla Casa Bianca. Clinton, al secondo mandato presidenziale, si
trovò all'apice della sua popolarità. Proprio nel momento
più positivo della sua carriera venne però investito da una bufera
giudiziaria che sfociò nella messa in stato d'accusa del presidente. Lo
scandalo a sfondo sessuale, denominato Sexgate, esplose il 21 gennaio 1998. Dopo
mesi di veleni e battaglie legali, il 12 febbraio 1999, a due mesi dall'apertura
del procedimento di
impeachment (per spergiuro e intralcio alla
giustizia), il Senato respinse la richiesta di destituzione di Clinton,
assolvendo il presidente dai capi d'accusa.
In politica internazionale,
il presidente promosse l'attacco NATO contro la Serbia colpevole di violazioni
dei diritti umani nel Kosovo (1999). Nel 2000, alla fine del suo secondo
mandato, Clinton non poté più ricandidarsi alla carica di
presidente degli Stati Uniti. Al suo posto, per i Democratici, si candidò
il suo vice Al Gore che venne però battuto sul filo di lana dal
repubblicano George W. Bush, figlio del precedente presidente Bush. Dopo un
inizio di mandato relativamente tranquillo, il neo presidente si trovò a
dover fronteggiare il delicatissimo momento internazionale rappresentato
dall'incremento del terrorismo di stampo islamico. Dopo gli attentati alle
Torri Gemelle e al Pentagono dell'11 settembre 2001, costati la vita a
migliaia di persone, organizzò la controffensiva statunitense e alleata
nei confronti dell'Afghanistan, accusato di copertura a favore dei
terroristi responsabili del massacro.
11 Settembre 2001: il secondo aereo kamikaze punta sulla torre Sud del WTC
Il momento del secondo impatto. Entrambe le torri gemelle sono avvolte dalle fiamme
Panorama apocalittico su Manhattan dopo il crollo della torre Sud
Un'altra immagine dell'impatto sulla torre Sud
Le torri in fiamme poco prima del crollo
Il secondo impatto ritratto da un'altra prospettiva
Il momento del crollo della torre Nord
Si scava tra le macerie dopo l'attentato
Il pentagono in fiamme
I vigili del fuoco di New York scavano tra le macerie delle torri
Il presidente degli Stati Uniti George W. Bush Jr.
11 settembre 2001: le terribili sequenze dell’attacco terroristico contro il World Trade Center
LA SUPERPOTENZA SOVIETICA
LA COSTITUZIONE DELL'URSS
L'ordinamento politico dell'URSS fu
fissato dalla Costituzione provvisoria del 1918 e dalle Costituzioni del 1924,
1936 e 1977.
Di queste la prima e l'ultima furono le più
significative: in quella del 1924, infatti, l'URSS venne definita, per la prima
volta ufficialmente, uno «Stato socialista degli operai e dei
contadini» con struttura federale, composta dall'unione di 15
Repubbliche.
Organo del potere legislativo centrale era il Soviet Supremo,
costituito da due Camere, il Soviet dell'Unione e il Soviet delle
Nazionalità. Il Soviet Supremo eleggeva un Presidium formato da un
presidente, che era anche capo dello Stato, da 15 vicepresidenti, da 16 membri e
un segretario. Il potere esecutivo apparteneva al Consiglio dei ministri,
nominato dal Soviet Supremo. Gli organi del potere locale erano i Soviet, eletti
per due anni. La Costituzione attribuiva un ruolo fondamentale al Partito
comunista, unico partito legale. Organo supremo del partito era il congresso,
che si riuniva ogni 4 anni e era deputato ad eleggere un Comitato centrale, che
funzionava mediante il Praesidium e una Segreteria, cui erano affidati compiti
organizzativi.
Questa suddivisione di poteri rimase inalterata anche nella
Costituzione del 1977, le cui innovazioni si concentrarono soprattutto nel campo
delle libertà civili.
Per ottemperare agli impegni presi alla
conferenza di Helsinki, infatti, vennero assicurate, almeno in teoria, le
libertà di espressione, riunione, stampa, assemblea, nonché di
coscienza e di religione, anche se un articolo costituzionale precisava che esse
potevano essere esercitate solo in sintonia con gli interessi dei lavoratori ed
allo scopo di rendere più solido il regime socialista.
URSS: LA DESTALINIZZAZIONE
La scomparsa di Stalin nel marzo del 1953
portò a una nuova fase della politica sovietica, sia all'interno del
Paese che all'esterno. Dall'accentramento del potere in una sola persona si
passò alla direzione collegiale, per cui il potere fu trasferito a un
gruppo di dirigenti tra i quali spiccavano Vjaceslav Molotov, l'uomo della
guerra fredda, Lavrenti Berija, il capo della polizia segreta, Nikita Kruscev e
Gheorghi Malenkov, nominato capo del Governo. Nel dicembre del 1953 Berija e i
suoi seguaci furono condannati a morte quali corresponsabili dei crimini
staliniani e delle numerose e sanguinose epurazioni del partito disposte dallo
stesso Stalin. Contemporaneamente cominciarono a levarsi le prime critiche allo
stalinismo e al culto della personalità. Queste critiche avrebbero
trovato poi il loro maggiore interprete proprio in Kruscev. Infatti al XX
congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica, nel febbraio 1956,
Kruscev diede il via alla destalinizzazione, consistente nell'abbattimento del
mito di Stalin. In definitiva però questo processo risultò timido
e incerto e il tentativo di restaurare la legalità, liberalizzando
cautamente il regime, non riuscì a incidere profondamente nelle strutture
della società sovietica. Kruscev, nonostante i contraccolpi negativi (la
rivolta ungherese del 1956 e il cattivo andamento dell'economia),
consolidò la propria posizione nei confronti del «gruppo
antipartito» (di cui facevano parte Molotov e Malenkov) che nel 1957 fu
estromesso dal potere.
Venne esonerato anche il maresciallo Zukov
nell'intento di ridimensionare il peso politico dell'Armata Rossa. Inoltre, ad
accrescere il prestigio di Kruscev, valsero i clamorosi risultati ottenuti
dall'URSS nei lanci spaziali (il primo fu effettuato il 4 ottobre 1957). Lo
stesso Kruscev cercò di limare gli attriti con gli USA, provocati dal
fallimento della conferenza di Ginevra e di quella di Berlino, per
l'unificazione tedesca e per il disarmo, proponendo la riduzione delle spese
militari da parte delle superpotenze all'insegna della coesistenza
pacifica.
Ma la riappacificazione incorse in episodi che ne misero a
repentaglio la riuscita, come per esempio i voli strategici (spionistici)
americani sul territorio sovietico. Frattanto cominciò a delinearsi uno
stato di tensione nei rapporti fra URSS e Cina. L'alleanza fra i due Paesi si
era incrinata dopo la rottura dell'URSS con l'Albania nel 1961 e dopo la crisi
di Cuba nel 1962, conclusasi con il ritiro dei missili sovietici dall'isola. La
distensione con l'Occidente, tuttavia, procedette, specialmente in seguito
all'incontro di Kruscev con J.F. Kennedy a Vienna (giugno 1961). E i risultati
si concretizzarono in un comportamento più conciliante dell'URSS sul
problema di Berlino, nel Patto di Mosca per la limitazione degli esperimenti
nucleari (già da tempo anche l'URSS aveva la bomba all'idrogeno).
Tuttavia la posizione di Kruscev si indebolì - specie a causa del
problema cinese e del crollo della produzione agricola - tanto che nell'ottobre
1964 fu costretto alle dimissioni.
I V31b45a.JPG Un'immagine di Nikita Kruscev]
LA RESTAURAZIONE BREZNEVIANA
Dopo la destituzione di Kruscev, la carica
di segretario generale del Partito comunista venne assunta da Leonid Breznev,
che ripristinò metodi di governo più intransigenti, caratterizzati
dalla brusca interruzione della liberalizzazione interna e dalla linea dura
contro il dissenso. I primi casi di dissenso politico, noti in Occidente,
esplosero a partire dal 1969: lo scrittore Solzenitzyn fu espulso dall'Unione
degli scrittori e non poté recarsi a Stoccolma per ricevere il premio
Nobel; nel 1970 lo scrittore Amalrik fu condannato a 3 anni di lavori forzati. I
casi si ripeterono sempre più frequenti nel periodo successivo e
l'opinione pubblica mondiale ne fu scossa; molte voci si levarono per accusare
l'Unione Sovietica di non rispettare i diritti dell'uomo e, di conseguenza, gli
accordi di Helsinki.
Ciononostante, la repressione culturale e ideologica
nell'epoca brezneviana si intensificò, come testimoniò anche il
caso del fisico Andrej Sacharov, premio Nobel per la pace, costretto al
domicilio coatto nella città di Gorkij.
In politica estera, Breznev
consolidò il ruolo di superpotenza dell'URSS riuscendo ad eguagliare la
potenza militare degli Stati Uniti.
Il gruppo dirigente brezneviano
puntò su due obiettivi apparentemente contraddittori: la distensione con
l'Occidente e l'espansione della potenza sovietica a spese proprio delle potenze
occidentali. Appoggiando le guerre di liberazione contro le potenze coloniali,
l'URSS riuscì infatti a penetrare, a partire dalla fine degli anni
Settanta, nel continente nero, conquistando posizioni di rilievo, grazie anche
all'impiego di truppe cubane, nel Corno d'Africa e in Angola. Alquanto
più complessi furono invece i rapporti tra l'URSS ed alcuni Paesi
dell'Est europeo (intervento armato in Cecoslovacchia nell'agosto 1968 - la
primavera di Praga - per porre fine al cosiddetto «nuovo corso»
politico-economico che prese anche il nome di «socialismo dal volto
umano», propugnato da Dubcek). Inoltre, già dal 1965, la Cina aveva
ripreso la polemica con Mosca e i Sovietici organizzarono addirittura (1°
marzo 1965) una riunione di tutti i partiti filosovietici in funzione
anticinese.
Nel maggio del 1969 si ebbero scontri fra Sovietici e Cinesi
lungo la zona di confine delimitata dal fiume Ussuri e una violenta battaglia
fra i due eserciti alla frontiera fra Kazahstan e Sinkiang (agosto 1969).
Cercando di attenuare la tensione fra i due Paesi l'11 novembre il capo del
Governo sovietico Kossighin effettuò una breve visita a Pechino;
risultato del dialogo fu un accordo sulla questione delle frontiere (ottobre
1969).
Dopo la vittoria in Vietnam, l'Unione Sovietica estese la sua
influenza nel Sud-Est asiatico (con l'esclusione della Cina). Per quanto
concerne il resto del continente, i Sovietici mantennero un ruolo di primo piano
in Medio Oriente, (nonostante la defezione dell'Egitto passato in campo
occidentale dal 1975) grazie alla cronica instabilità della regione,
aggravata dal conflitto libanese e dalla rivoluzione islamica in Iran.
Il
27 dicembre 1979, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, le truppe
sovietiche varcarono i confini dei Paesi socialisti e invasero l'Afghanistan nel
tentativo di sostenere il regime filocomunista ivi insediato. La guerra in
Afghanistan si sarebbe poi rivelata uno dei più gravi problemi della
società sovietica negli anni Ottanta.
Rispetto ai rapporti con gli
occidentali, Breznev si mosse nel duplice proposito di evitare uno scontro
nucleare globale con gli Stati Uniti e di ritardarne l'avvicinamento alla Cina.
All'inizio degli anni Settanta, l'URSS ottenne qualche notevole successo in
campo internazionale (accordo con la Germania Federale per la frontiera
Oder-Neisse, ecc.). L'URSS mirava intanto a stabilire alleanze con Paesi
asiatici, al fine di contenere e di neutralizzare la potenza cinese; in pari
tempo la sua politica si manteneva rivolta a controbilanciare lo strapotere
nordamericano. Di qui tutto un gioco, a volte addirittura febbrile, per tentare
di stabilire legami di collaborazione, politica o economica, con altri Paesi
(India, Giappone, ecc.). Tale attività si accrebbe notevolmente dopo la
visita di Nixon a Mao Tse-tung (febbraio 1972).
Una grave crisi economica
prodottasi nel 1972 a causa del cattivo raccolto cerealicolo spinse l'URSS ad
importare grano dagli Stati Uniti e ad avvicinarsi, tramite il Comecon, alla CEE
per incrementare l'importazione in Unione Sovietica delle tecnologie
occidentali. Incontri ad altissimo livello ebbero luogo dal 1972 al 1974 fra
Breznev, Nixon (incontro di Vladivostok in cui venne sottoscritto il SALT I) e
tra Breznev e Ford, subentrato a Nixon (incontro di Vladivostok, 1974) per
accordarsi sulla limitazione degli armamenti nucleari e strategici. Nel maggio
1976 Stati Uniti e Unione Sovietica sottoscrissero il trattato che limitava le
esplosioni sotterranee ai soli fini pacifici. Un altro trattato (il SALT II) per
la limitazione degli esperimenti strategici venne sottoscritto a Vienna nel
giugno 1979 da Breznev e dal presidente americano Carter. Il trattato non venne
comunque mai ratificato dal Senato statunitense e, nel 1980, il presidente
Reagan ne chiese la completa rinegoziazione.
Un temibile focolaio di
dissenso interno al blocco comunista si accese in Polonia, negli anni 1980-82,
con la fronda antigovernativa del sindacato indipendente Solidarnosc, più
volte accusato, da parte sovietica, di reazionarismo. Leonid Breznev morì
il 10 novembre 1982 e gli successe Yuri Andropov. Nel 1984 Andropov morì,
sostituito da Kostantin Cernenko. Nel 1985, alla morte di Cernenko, la guida
dell'Unione Sovietica venne affidata a Michail Gorbaciov.
Leonid Breznev
PICCOLO LESSICO
La conquista dello spazio
Tanti anni sono ormai
trascorsi dal giorno in cui l'uomo ha deciso di abbandonare la terra per la
conquista dello spazio. Questa ricerca di spazi più lontani è
stata sempre monopolio esclusivo delle due superpotenze, USA ed URSS, che nel
corso degli anni si sono contese il primato, dando vita ad una sfida senza
risparmio di energie in cui erano impegnate le menti più brillanti del
nostro tempo. Tutto è cominciato il 4 ottobre 1957 con il lancio dello
Sputnik 1, primo satellite artificiale sovietico. E furono ancora i Sovietici ad
inviare il primo essere vivente in orbita: si trattava della ormai leggendaria
cagnetta Laika che a bordo della capsula spaziale Sputnik 2, dal 3 al 6 novembre
1957, compì diverse orbite attorno al globo. Gli Stati Uniti non furono
in grado di lanciare il loro primo satellite artificiale (Explorer 1) fino al 31
gennaio 1958. Gli USA venivano regolarmente battuti in questa lotta contro il
tempo e fu così che, il 12 aprile 1961, il primo uomo ad andare nello
spazio fu un cosmonauta sovietico, Juri Gagarin, che, a bordo della Vostok 1,
compì un'orbita intorno alla Terra. Così come due anni dopo (16
giugno 1963) fu una sovietica la prima donna a venire inviata nello spazio,
Valentina Tereshkova che, a bordo di Vostok 6, compì ben 48 orbite. Ma la
tecnologia americana stava già lavorando in prospettiva della vittoria
finale e così, il 20 luglio 1969, gli astronauti Neil Armstrong ed Edwin
Aldrin compirono il primo allunaggio, mentre il loro compagno Michael Collins li
attendeva in orbita a bordo della navicella Apollo 11.
A questo punto l'uomo non si
accontentò più degli spazi limitati del nostro pianeta e del suo
satellite, e partì alla conquista degli altri pianeti del sistema solare.
Perciò, il 3 dicembre 1973, la sonda spaziale Pioneer 10 effettuò
il primo incontro ravvicinato con Giove, il più grande pianeta del
sistema, passandogli a «solo» 130.000 chilometri, trasmettendo a Terra
numerose fotografie. Più tardi, il 20 luglio 1976, la sonda USA Viking 1
inviò le prime fotografie di Marte, «il pianeta rosso». Ed
infine il 31 gennaio 1986 la sonda Voyager 2 inviò le prime immagini di
Saturno scoprendo l'undicesimo anello intorno al pianeta. Frattanto, dal 14
aprile 1981, gli USA rivoluzionarono le esplorazioni spaziali con la creazione
di un «aerobus» del peso di 75 tonnellate, capace di innalzarsi oltre
l'orbita terrestre. Era la navetta Columbia (nell'ambito del programma
space
shuttle insieme ad altre quattro navette Enterprise, Challenger, Discovery e
Atlantis) che, dopo aver compiuto 36 orbite e mezza, atterrò nei pressi
del lago salato Rogers (California). Ma questa progressiva conquista dello
spazio costò anche molti sacrifici: ultimo, in ordine di tempo (il 28
gennaio 1986), quando la navetta Challenger, che aveva sostituito Columbia nel
programma spaziale, esplose in volo dopo 72 secondi dal decollo da Cape
Canaveral (California), costando la vita a tutto l'equipaggio, ed a una donna,
primo passeggero civile della missione.
SALT
Acronimo di
Strategic Arms Limitation
Talks. È il termine con cui si indicano gli accordi stipulati fra
Stati Uniti e Unione Sovietica riguardanti la limitazione delle armi nucleari
strategiche (in grado, cioè, di colpire con la massima precisione
obiettivi nemici posti a grandi distanze). Conclusi in epoche diverse, dopo il
cosiddetto "disgelo" nei rapporti fra le due superpotenze, tali accordi
suscitarono scontri, da parte delle due Nazioni coinvolte, soprattutto per
quanto concerne la classificazione delle armi da includere o meno nei trattati
stessi. Il SALT I, firmato a Vladivostok nel 1972 da Nixon e Breznev,
portò alla limitazione delle armi strategiche a 2.400. Il SALT II,
stipulato a Vienna nel 1979, non fu mai ratificato dal Senato statunitense a
causa dell'invasione sovietica dell'Afghanistan. Nel 1982 i negoziati SALT
vennero sostituiti con quelli START, volti non tanto a fissare dei limiti di
crescita, ma a ridurre i quantitativi di forza già
esistenti.
PERSONAGGI CELEBRI
Leonid Breznev
Uomo politico
sovietico (Ucraina 1906 - Mosca 1982). Segretario del comitato centrale del PCUS
dopo il XX congresso (1956), presidente del Praesidium del Soviet Supremo (7
maggio 1960), poi nuovamente segretario del Comitato centrale del partito dal
marzo 1963. Alla caduta di Kruscev (1964) fu nominato primo segretario del
Comitato centrale del PCUS. Rieletto segretario generale nel 1976 (XXV congresso
del PCUS), nel 1977 - in virtù delle modifiche apportate alla
Costituzione - assunse anche la carica di capo dello Stato. Artefice degli
accordi SALT per la limitazione delle armi strategiche, dopo il raffreddamento
dei rapporti tra Est e Ovest, causato dall'intervento Russo in Afghanistan,
tentò in tutti i modi di ristabilire un certo equilibrio diplomatico fra
le grandi potenze e a tale scopo si incontrò a varie riprese con il capo
di Stato francese Giscard d'Estaing e con il cancelliere tedesco
Schmidt.
Richard Milhous Nixon
Uomo politico statunitense (Yorba Linda,
California 1913 - New York1994). Appartenente a una famiglia quacchera, di
condizione modesta, studiò Legge laureandosi alla Duke University e
iniziò la propria ascesa politica nel 1946, quando fu eletto deputato al
Congresso. Dopo soli sei anni fu prescelto come vice di Eisenhower, candidato
repubblicano nelle elezioni presidenziali del 1952. Assunta la carica, non ne
rimase all'ombra ma ne accentuò il ruolo facendone una figura di primo
piano e intessendo tutta una serie di rapporti internazionali nel corso di
visite che lo portarono in gran parte dei Paesi del mondo, compresa l'Unione
Sovietica. Uomo di punta della destra repubblicana, dopo il 1956, tuttavia,
cominciò ad assumere una posizione più moderata, di tipo
centrista, preparandosi il terreno per la successione a Eisenhower. Questo
ammorbidimento della linea non fu tuttavia sufficiente a guadagnargli la fiducia
della maggioranza dell'elettorato che, sia pure di stretta misura, gli
preferì il democratico J. Kennedy nelle elezioni presidenziali del 1960.
Nel 1962 la sua carriera politica subì una nuova clamorosa battuta
d'arresto, non essendo riuscito a farsi eleggere alla carica di governatore
della California. Smentendo quanti consideravano la sua carriera politica
finita, ritornò alla ribalta nel 1968 come candidato repubblicano nelle
elezioni presidenziali e, sulla base di un programma di centro che faceva perno
sulla cessazione della guerra nel Vietnam, riuscì a imporsi sul
democratico H. Humphrey. Durante il quadriennio del suo primo mandato
presidenziale, egli si impegnò ad agire all'insegna della
stabilità e della continuità, senza peraltro riuscire a mantenere
gran parte delle promesse elettorali, anche per i condizionamenti della
gigantesca macchina tecnologica e militare i cui piani assorbivano buona parte
della ricchezza nazionale. Nell'ambito della politica estera, il promesso
disimpegno nel Sud-Est asiatico non avvenne; Nixon comunque si impegnò
nel perseguimento di una politica di coesistenza pacifica col blocco sovietico,
avviando inoltre concrete trattative coi governanti cinesi. Meno felicemente
ebbe inizio la sua seconda presidenza, dopo la vittoria sul candidato
democratico nelle elezioni del novembre 1972. Nel giugno dell'anno seguente
scoppiò lo scandalo Watergate, una clamorosa vicenda di spionaggio
politico ai danni del Partito democratico, che andò assumendo sempre
più vaste proporzioni, coinvolgendo direttamente il presidente e
minandone il prestigio al punto da essere sollecitato da varie parti a
dimettersi e a doversi discolpare pubblicamente. L'8 agosto 1974, dopo aver
riconosciuto il tentativo di insabbiamento dello scandalo, Nixon si dimise.
Primo presidente degli Stati Uniti ad aver dato le dimissioni, ottenne poi il
perdono giudiziale dal suo successore Ford.
William Clinton, detto Bill
Uomo politico statunitense (n. Little Rock, Arkansas 1946), ex presidente
degli Stati Uniti d'America.
Da studente universitario, partecipò alla contestazione contro la guerra
in Vietnam. Nel 1972 si laureò a Yale, intraprendendo in seguito
la carriera politica in Arkansas nelle file del Partito Democratico.
Durante la presidenza Carter ottenne la carica di ministro della Giustizia.
Governatore dell'Arkansas nel 1978, nel 1980 perse le elezioni a causa
dell'imposizione di una tassa sul carburante che lo rese impopolare.
Rettificate le sue posizioni politiche, tornò successivamente a
riguadagnare consensi elettorali. Candidato alla Casa Bianca nel novembre
1992, fu eletto presidente degli Stati Uniti con il 43% dei suffragi, grazie
ad un programma di misure contro la disoccupazione e il deficit
pubblico e per il controllo della spesa sanitaria. In tema di politica
estera e di sicurezza, Clinton si preoccupa di riorganizzare il bilancio
della difesa per bloccare gli approvvigionamenti nucleari e acquisire così
fondi per rinvigorire l'economia statunitense. In politica estera si dimostrò
disposto al miglioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Russia e conseguì
inoltre un grande successo nel favorire il processo di pace in
Medio Oriente. La positiva fama ottenuta soprattutto in campo internazionale
fu in parte offuscata da una serie di scandali che misero in forse
le sue possibilità di rielezione nelle presidenziali del 1996. A dispetto delle
previsioni venne tuttavia rieletto per il secondo mandato consecutivo. Nel
1997 emersero elementi di un nuovo scandalo che avrebbe segnato più profondamente
la sua carriera di presidente, il cosiddetto
Sexgate. Nell'agosto
del 1998, Clinton veniva chiamato a deporre in merito alla relazione intrattenuta
con una stagista della Casa Bianca, Monica Lewinsky, ponendo l'attenzione sulla condotta
sessuale del capo della Casa Bianca. Al termine di una vicenda che riempì per mesi
interi le cronache di giornali e rotocalchi di tutto il mondo, Clinton venne
comunque prosciolto dalle gravi accuse di spergiuro e di ostruzione delle indagini.
Giunto agli sgoccioli della sua presidenza, Clinton sostenne la moglie Hillary, che fu
poi eletta senatrice dello Stato di New York, e il suo vice Al Gore, presentatosi
candidato per il Partito Democratico alle elezioni presidenziali del 2000, poi
battuto sul fil di lana da George Bush junior.
Bill Clinton
RIASSUNTO CRONOLOGICO
1953 (marzo):
Muore
Stalin.
1953-64:
Kruscev è segretario del
PCUS.
1956 (febbraio):
Al XX congresso del PCUS, Kruscev denuncia i
crimini di Stalin, dando avvio alla destalinizzazione
dell'URSS.
1961-63:
Presidenza del democratico John F.
Kennedy.
1961 (aprile):
Sbarco americano nella Baia dei
Porci.
1962:
Il Congresso degli USA crea un comitato per gli
aiuti al Vietnam del Sud.
1963 (22 novembre):
Viene assassinato a Dallas (Texas) il presidente
USA John F. Kennedy.
1963 (novembre):
Il democratico Lyndon B. Johnson assume
ad
interim la carica di presidente degli USA.
1964-82:
Breznev è segretario generale del
PCUS.
1964 (novembre) - 1969:
Presidenza del democratico L.B.
Johnson.
1968 (agosto):
Intervento armato dei Paesi del Patto di
Varsavia in Cecoslovacchia (primavera di Praga).
1969-74:
Presidenza del repubblicano Richard M.
Nixon.
1969 (agosto):
Scontri lungo il fiume Ussuri fra URSS e
Cina.
1972 (febbraio):
Nixon va in visita ufficiale da Mao
Tse-tung.
1972 (26 maggio):
Breznev e Nixon sottoscrivono il trattato SALT
I.
1972 (giugno):
Esplode lo scandalo Watergate.
1973 (gennaio):
Gli Stati Uniti firmano a Parigi gli accordi con
il Vietnam del Nord per un graduale disimpegno dal Vietnam.
1974 (8 agosto):
Nixon rassegna le dimissioni in seguito allo
scandalo Watergate.
1974-77:
Presidenza del repubblicano
Ford.
1977-81:
Presidenza del democratico Jimmy
Carter.
1979 (giugno):
A Vienna Carter e Breznev sottoscrivono
l'accordo SALT II per la riduzione delle armi strategiche.
1979 (27 dicembre):
L'URSS invade l'Afghanistan.
1980 (luglio-agosto):
Gli Stati Uniti, insieme con molti altri Stati,
boicottano i Giochi olimpici di Mosca.
1981-89:
Presidenza statunitense del repubblicano Ronald
Reagan.
1982 (novembre):
Muore il segretario del PCUS Leonid Breznev; gli
succede Yuri Andropov, ex-capo del KGB.
1984 (febbraio):
Muore Andropov, viene eletto segretario del PCUS
Kostantin Cernenko.
1985 (marzo):
Anche Cernenko scompare precocemente, viene
eletto al suo posto Michail Gorbaciov.
1989-93:
Presidenza statunitense del repubblicano George
Bush.
1993:
Bill Clinton viene eletto presidente degli USA
(verrà riconfermato nel 1996).
1998 (21 gennaio):
Esplode lo scandalo Sexgate che coinvolge il
presidente Clinton.
1999 (febbraio):
In merito allo scandalo Sexgate, Clinton viene
assolto dal Senato.
2000 (dicembre):
George W. Bush viene eletto quarantatreesimo
presidente degli Stati Uniti.