STORIA CONTEMPORANEA - LE SUPERPOTENZE

LA SUPERPOTENZA AMERICANA

LA NUOVA FRONTIERA

Verso la fine degli anni Cinquanta, la politica della guerra fredda andò attenuandosi e ad essa subentrò quella della coesistenza pacifica, caratterizzata da un nuovo tipo di confronto legato a esperimenti missilistici, alla realizzazione di satelliti artificiali e ai voli umani nello spazio.
La politica di coesistenza continuò con maggiore energia sotto la presidenza del democratico John F. Kennedy (1961-63), che ebbe il merito di sbloccare una situazione da tempo cristallizzata. La mitizzazione di alcuni aspetti della personalità del presidente assassinato a Dallas, nel Texas, il 22 novembre 1963, creò tuttavia alcuni equivoci sulla reale azione e sulle intenzioni di Kennedy, finendo con l'attribuire a slogan propagandistici, come quello della Nuova Frontiera, propositi di sfida al sistema che invece non avevano. Tali propositi, infatti, non trovarono alcuna conferma nella realtà che, invece, fu contrassegnata dal malaccorto tentativo di abbattere il regime castrista a Cuba, con lo sbarco nella Baia dei Porci dell'aprile 1961, e dall'escalation nel Vietnam (creazione del Comitato per l'assistenza militare al Vietnam, nel febbraio 1962). Durante la gestione kennediana, venne operato un tentativo per rinnovare le scricchiolanti strutture politiche e sociali del Paese e per risolvere i problemi della popolazione di colore che rivendicava la pienezza dei diritti civili. Un'altra conferma negativa venne dal fallimento dell'Alleanza per il progresso che, nelle enunciazioni, avrebbe dovuto essere un grandioso piano per soddisfare le esigenze fondamentali di libertà e di sviluppo dei popoli latino-americani.
L'assunzione della presidenza da parte di Lyndon B. Johnson (1963-69) non segnò un sostanziale cambiamento nella fisionomia della gestione politica democratica. Si trattò solo di un mutamento di stile e di metodo che rese più evidenti le contraddizioni rimaste nascoste durante la prestigiosa presidenza Kennedy. Dopo la vittoria elettorale del 1964, Johnson dichiarò di volersi distinguere come il presidente dei poveri, dei giovani e della pace varando un ambizioso programma di risanamento sociale denominato la Grande società. Di fronte alla rivolta negra, alla contestazione studentesca, alla guerra nel Vietnam, egli però dimostrò un'assoluta impotenza, tanto da non potersi ricandidare alle elezioni del novembre 1968.

DA NIXON A REAGAN

A pagare le spese degli errori della gestione democratica fu il vicepresidente Hubert Humphrey, candidato alla presidenza e contrastato dalla corrente pacifista e progressista del partito, che si era pronunciata a favore del senatore Eugene McCarthy. Si ebbe così la vittoria del repubblicano Richard Nixon, già vicepresidente con Eisenhower. La sua elezione non segnò alcuna svolta significativa, ma confermò solo le lacerazioni del tessuto politico di un Paese in cui l'affluenza alle urne superava di poco la metà degli aventi diritto al voto e in cui la dialettica politica appariva sempre più ridotta a un gioco clientelare tra due schieramenti tanto poco dissimili da poter essere quasi considerati come un unico grande partito. Eletto nel 1968 e riconfermato presidente nel 1972, Nixon, coadiuvato dal segretario di Stato Henry Kissinger, dovette affrontare la grave crisi del dollaro (abbandono della convertibilità in oro e sua svalutazione), nonché la crisi ancor più grave della costosissima guerra del Vietnam, inaugurando sul piano diplomatico il riavvicinamento alla Cina comunista (1972). Ciò non significò tuttavia che il suo anticomunismo fosse diminuito, dal momento che contemporaneamente operò per la caduta del Governo di Allende in Cile.
Nel gennaio 1973 accettò con riluttanza il ritiro delle truppe statunitensi dal Vietnam con la stipulazione a Parigi degli accordi di pace (gennaio 1973) e avviò una politica di graduale disimpegno dal Sud-Est asiatico; ma il suo prestigio era stato intanto profondamente intaccato dallo scandalo Watergate, che finì per travolgerlo. Minacciato di impeachment (destituzione forzata per indegnità), subì l'onta di "volontarie dimissioni" (8 agosto 1974), venendo sostituito dal vicepresidente Gerald R. Ford che diede un'impronta più spiccatamente conservatrice alla linea nixoniana. Toccò al nuovo presidente procedere all'evacuazione degli ultimi Americani dal Vietnam (29 aprile 1975) e lo scacco militare si ripercosse in campo elettorale. Ottenuta a stento la nomina a candidato repubblicano contro il governatore della California, Ronald Reagan, nelle elezioni presidenziali del novembre 1976, Ford fu battuto dal candidato democratico Jimmy Carter (51%). Affiancato da Walter Mondale come vicepresidente, Carter inaugurò una politica caratterizzata da grande dinamismo, soprattutto in politica estera. Il neopresidente non mancò di suscitare critiche per la mancanza sostanziale di chiarezza e per le intemperanze polemiche nei confronti dell'URSS (boicottaggio dei giochi olimpici del 1980 a Mosca ed embargo sulla vendita di cereali all'URSS). Soprattutto il maldestro blitz compiuto in Iran (24 aprile 1980), per liberare gli ostaggi statunitensi sequestrati nell'ambasciata di Teheran, si ripercosse negativamente sulle elezioni presidenziali del novembre successivo. Esse portarono alla Casa Bianca l'ex attore cinematografico Ronald Reagan (51% dei voti) che aveva iniziato la propria scalata al potere nel 1968.
Un'immagine di James Earl Carter

Henry Kissinger durante una conferenza


LA GUERRA DEL VIETNAM

La causa principale dello scoppio della guerra fu la mancata applicazione degli accordi della conferenza di Ginevra dell'aprile 1954. Essa sanciva che in attesa di regolari elezioni che avrebbero dovuto svolgersi entro il 1956 (ma in realtà non vennero mai indette), il Vietnam venisse diviso lungo l'asse del 17º parallelo nella Repubblica democratica del Vietnam (Nord) e Repubblica del Vietnam (Sud). Alla data delle elezioni il Vietnam sarebbe stato riunificato.
Dal momento che queste premesse erano andate disattese nel 1957, cominciarono a verificarsi le prime azioni di guerriglia condotte da appartenenti al Fronte di liberazione nazionale di indirizzo comunista (vietcong), appoggiati da forze regolari del Vietnam del Nord contro le truppe del Vietnam del Sud, appoggiate da reparti dell'esercito americano.
Gli Stati Uniti considerarono di primaria importanza quel settore dello scacchiere internazionale, soprattutto allo scopo di limitare l'espansione sovietica e cinese verso sud. Logicamente l'intervento degli Stati Uniti portò all'allargamento del conflitto, che vide non più due schieramenti contrapposti per la soluzione di un problema interno, ma lo scontro aperto fra i due blocchi.
Quelli che prima erano solo atti di guerriglia diventarono azioni in grande stile e la guerra andò via via inasprendosi fino a che, nel 1964, in seguito ai gravi incidenti avvenuti nel Golfo del Tonchino, gli Statunitensi cominciarono a bombardare il Vietnam del Nord.
Costretti a combattere in un ambiente a loro non favorevole, contro una guerriglia che aveva basi ed appoggio logistico nei Paesi confinanti, gli Americani ed il loro alleato dovettero negoziare la pace che venne siglata con un accordo a Parigi, nel gennaio 1973.
Gli Americani avrebbero dovuto lasciare il territorio, ormai per la maggior parte nelle mani dei vietcong entro due mesi, ma ben presto l'accordo venne violato da entrambe le parti. Così, nel dicembre 1974, il Nord sferrò un'offensiva decisiva: già nel marzo 1975 il regime del Sud fu in completa disfatta e si arroccò a Saigon per organizzare meglio la difesa. Le truppe nordvietnamite occuparono Saigon il 30 aprile di quello stesso anno. Il giorno precedente il presidente americano Ford aveva ritirato precipitosamente le sue truppe (vedi anche Storia contemporanea - Asia e Africa).
La guerra in Vietnam

La guerra in Vietnam (english version)

Modello tridimensionale del cacciabombardiere a lungo raggio B-52, usato dagli Americani durante la guerra in Vietnam

Modello tridimensionale dell’elicottero statunitense Bell UH-1 Iroquois usato nella guerra in Vietnam

Modello tridimensionale del mitragliatore americano M-16


LO SCANDALO WATERGATE

La scoperta da parte di un guardiano notturno di cinque uomini intenti ad installare microfoni all'interno della sede del partito democratico, nel palazzo del Watergate, diede il via, il 17 giugno 1972, ad uno scandalo che assunse dimensioni gigantesche ed impreviste e finì per travolgere il presidente Nixon ed i suoi più stretti collaboratori.
Fu grazie all'intraprendenza di due giornalisti del Washington Post, che impedirono con la loro costanza e le indagini parallele che l'affare venisse insabbiato, che venne istituita una Commissione di inchiesta per far emergere le responsabilità di ognuno.
Nonostante la strenua resistenza di Nixon, che si dichiarò fino all'ultimo estraneo alla vicenda, emersero precise responsabilità da parte della Casa Bianca nell'aver svolto attività illegale ai danni del Partito democratico, nel periodo della campagna presidenziale (1972), ed emersero l'atteggiamento spregiudicato di Nixon nel condurre la sua politica e certi legami, non meglio chiariti, con ambienti connessi con la malavita.
Messo alle strette, il presidente si appellò al "privilegio dell'esecutivo", in base al quale sarebbe stato scagionato da qualunque accusa per motivi di sicurezza nazionale. Ma il privilegio gli venne negato e, dopo che la Commissione ebbe approvato i primi articoli di accusa per l'impeachment (coinvolgimento) del presidente (ostruzione della giustizia ed abuso di potere), fu costretto a capitolare. Ammise di essere stato a conoscenza dell'affare Watergate e si dimise (8 agosto 1974).
Un mese dopo, il nuovo presidente Ford concesse al suo predecessore l'indulto pieno ed assoluto per qualsiasi violazione commessa durante il suo mandato.

LA CRISI PETROLIFERA

La più importante fonte di approvvigionamento energetico del nostro secolo, il petrolio, è sempre stata sotto il controllo di sette grandi multinazionali americane o europee, chiamate le «sette sorelle». Esse, con strategie congiunte, governarono il mercato energetico mondiale, determinando talvolta anche il corso degli avvenimenti storici nei Paesi in cui il petrolio veniva estratto. La strategia di tali multinazionali era quella di conservare alti profitti e un basso costo di estrazione del petrolio. Evidentemente, ogni rivendicazione di indipendenza o di autodeterminazione da parte delle popolazioni locali fu ostacolata. Soprattutto nel Medio Oriente, la regione del mondo più ricca di idrocarburi, l'influenza delle «sette sorelle» si manifestò con un regime di colonialismo molto rigido. Quegli Stati che osarono nazionalizzare i giacimenti e l'estrazione petrolifera furono rovesciati da regimi militari.
Conclusasi l'età coloniale, nacque l'OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), con la quale i Paesi produttori cercavano di armonizzare le proprie politiche economiche e i prezzi del petrolio.
Il 1973, con lo scoppio della guerra del Kippur, i Paesi arabi, preponderanti all'interno dell'OPEC, decisero per una propria azione politica in appoggio all'Egitto in guerra con Israele (quest'ultimo appoggiato dagli USA e dai Paesi europei). La mossa dell'OPEC colpì soprattutto questi ultimi Paesi, e arrivò, attraverso una radicale diminuzione delle estrazioni di petrolio, a far lievitare il prezzo del petrolio da 2 dollari a 20 dollari al barile. Da questa decisione, che influì sui mercati per molti anni, derivò una crisi economica di vaste proporzioni nei Paesi europei, negli USA, in Giappone e in tutti i Paesi del Terzo Mondo la cui economia si basava sulla energia prodotta dal petrolio.
I sistemi produttivi e le stesse condizioni di vita di tutti questi Paesi furono messi a dura prova. Alcuni di essi, come la Francia, decisero di differenziare le proprie fonti energetiche costruendo centrali nucleari, altri cercarono di ristrutturare l'intero sistema produttivo, elevandone il rendimento, come il Giappone, altri ancora non trovarono soluzioni a questa crisi per indisponibilità di risorse e finirono con l'indebitarsi.
Nel complesso, comunque, le contromisure adottate dai Paesi consumatori ebbero un riscontro positivo sulle economie interne e misero in difficoltà l'OPEC, che vide sfumare in parte gli effetti della propria strategia. Essa si divise, pertanto, e perse parte della propria autorità anche all'interno dei Paesi arabi.

L'AVVENTO DI RONALD REAGAN

Affiancato dal vicepresidente George Bush, dal segretario di Stato Alexander Haig (sostituito nel 1982 da George Shultz) e dal ministro della Difesa Caspar Weinberger, Reagan inaugurò la propria presidenza, nel gennaio 1981, con il rilascio dei 52 ostaggi detenuti in Iran. Nel quadriennio del suo primo mandato, Reagan procedette al ridimensionamento dell'apparato burocratico e a una drastica riduzione della spesa pubblica, soprattutto di quella destinata alle istituzioni assistenziali, alleggerendo la pressione fiscale. Contemporaneamente, procedette al potenziamento dell'apparato difensivo, sia in senso strettamente militare, sia per garantire la sicurezza interna. I richiami all'intraprendenza individuale, alla volontà di arricchirsi e ai valori tradizionali, sulla base di slogan quali «ristabilire in America l'ordine morale», incontrarono un terreno fertile, potendo contare sull'appoggio di potenti lobbies (gruppi di potere) e di innumerevoli circoli e istituzioni ecclesiastiche, soprattutto di ispirazione evangelica fondamentalista.
Alla fine del quadriennio, Reagan poteva vantare il successo della sua politica economica di libero mercato e di opposizione al Welfare state (Stato sociale). Pur giocando a suo sfavore l'età avanzata, risultando il più vecchio presidente nella storia degli USA, egli ottenne la reinvestitura repubblicana per un nuovo mandato e nelle elezioni presidenziali del novembre 1984 riuscì ad affermarsi con un largo margine (59% dei voti) sul candidato democratico W. Mondale. Quest'ultimo, oltre a richiamarsi ai diritti sociali, civili e alla difesa degli strati più poveri ed emarginati, aveva tentato di far leva sull'elettorato italo-americano e su quello femminile, designando come vicepresidente Geraldine Ferraro.
Nel 1985, nel corso del suo secondo mandato, il presidente Reagan confermò le linee generali della politica interna ed estera che era stata alla base del primo quadriennio. Da un punto di vista economico la sua gestione si segnalò per una serie di lusinghieri successi: crescita del 7% della produzione industriale e diminuzione netta dell'inflazione e della disoccupazione. Permanevano però gravi problemi legati alla riduzione della spesa pubblica, espediente col quale l'amministrazione si illudeva di raggiungere la parità di bilancio.
In politica estera Reagan accentuò le spinte interventistiche, soprattutto in Centroamerica, confermando il suo appoggio ai movimenti antisandinisti in Nicaragua, e nello scacchiere mediterraneo, dove venne svolta un'efficace azione di dissuasione nei confronti della Libia, che l'amministrazione individuava come l'ispiratrice del terrorismo internazionale. La VI flotta si rivolse contro i libici in due occasioni: la prima volta nel 1986, allorché vennero bombardate Tripoli e Bengasi per ritorsione contro un attentato terroristico, e nel 1988 quando, con una serie di manovre nel Golfo della Sirte gli USA cercarono di ottenere la chiusura degli impianti di Rabta, sospettati di produrre armi chimiche.
La volontà «imperiale» del presidente Reagan venne confermata anche dal sostegno accordato al progetto SDI (Strategic Defense Initiative), il cosiddetto «scudo spaziale», un complicato e costoso complesso di satelliti ed armi spaziali in grado di distruggere le testate nucleari avversarie prima ancora che raggiungessero l'obiettivo. Secondo le ottimistiche previsioni del presidente, tale sistema avrebbe in pratica assicurato agli USA l'invulnerabilità.
Ma se, da un lato, Reagan fece di tutto per restaurare la potenza degli Stati Uniti, sarebbe ingiusto ignorare che, soprattutto nel corso del suo secondo mandato, egli si adoperò per il mantenimento della pace mondiale e per il superamento di alcune crisi regionali.
Dopo l'incontro con il leader sovietico Gorbaciov a Ginevra nel 1985, attraverso i successivi vertici di Reykjavik (1986), Washington (1987) e di Mosca (1988), vennero raggiunti importanti accordi per la riduzione degli armamenti in Europa.
Decisivo apparve infine il contributo di Reagan per favorire il passaggio alla democrazia nelle Filippine e in Corea: ciò consentì all'amministrazione di recuperare il prestigio politico che le competeva.
Erede di Reagan fu il repubblicano George Bush, già vicepresidente, eletto alla massima carica nel novembre 1988. La politica del neoeletto presidente si preannunciò, per il 1989, omologa a quella del predecessore, anche se Bush cercò di smussarne le punte più aspre. La sua politica si svolse infatti all'insegna della moderazione sia in politica estera sia in politica interna (rinuncia allo «scudo spaziale», attenuazione del liberismo economico, sottoscrizione insieme alla Russia dei Trattati Start 1 e 2 per la denuclearizzazione delle due superpotenze).
Nel 1991 gli Stati Uniti registrarono una netta vittoria nell'ambito del conflitto del Golfo Persico che li vide schierati contro l'Iraq. Rafforzati nel prestigio internazionale, gli USA mirarono a rafforzare il ruolo di potenza leader. In quest'ottica si inserisce il loro intervento, in qualità di supervisore, alla Conferenza di pace per il Medio Oriente svoltasi a Madrid nel 1991. Se dal punto di vista della politica estera il Paese guadagnò punti, per contro la situazione interna sembrò gradualmente peggiorare: in ambito economico e finanziario la Nazione dovette fare i conti con un aumento vertiginoso del disavanzo pubblico, accompagnato dal peggioramento dei gravi problemi sociali che da sempre assillavano gli Stati Uniti, quali disoccupazione, droga e violenza.
Ronald Reagan

Il giuramento di George Bush


BILL CLINTON 42° PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI

Nel novembre 1992 in occasione delle consultazioni elettorali per l'elezione del presidente, gli Stati Uniti fecero segnare una svolta: il popolo americano infatti, dopo dodici anni di gestione repubblicana, scelse un portavoce democratico, Bill Clinton, ex governatore dell'Arkansas.
Considerato all'inizio un candidato senza speranza, durante la corsa alla Casa Bianca Clinton emerse gradualmente come leader incontrastato, fondamentalmente grazie alla tendenza alla diplomazia e alla capacità di risultare simpatico alla gente. Oltre che per le sue doti umane, Clinton si mise in luce per la sua tenacia di "idealista pragmatico", guadagnando il consenso di una sempre maggiore ed eterogenea fascia di elettori. Senza abbandonarsi a eccessi di populismo, Clinton sembrò voler interpretare il sentimento di rinnovamento e di desiderio di ripresa economica e sociale sempre più diffuso nella popolazione statunitense. Nel suo programma elettorale il candidato democratico pose l'attenzione sul problema dei diritti civili delle minoranze e sulle questioni di vitale importanza per la politica interna, quali previdenza medica, riforma fiscale, rilancio dell'economia e interventi pubblici per debellare la disoccupazione.
Con l'elezione di Clinton gli Americani posero fine a quel complesso gioco di contrasti e veti incrociati che aveva paralizzato per anni il Governo, diviso tra una Casa Bianca repubblicana e un Congresso controllato dai democratici. Fin dalle prime battute il neopresidente non ebbe vita facile: il Congresso si rifiutò di convalidare il suo piano economico a breve termine, costringendo il neopresidente a modificare la propria linea d'azione. Il secondo progetto per il bilancio federale, proposto da Clinton a distanza di qualche mese, ottenne l'approvazione di una maggioranza risicata alla Camera e passò al Senato con un solo voto di scarto. Nonostante l'ostruzionismo e le perplessità iniziali, il piano varato dal presidente e dal suo staff di tecnici risultò essere efficace, riuscendo ad arginare il problema della disoccupazione giovanile e a rilanciare il mercato economico e finanziario. In ambito internazionale, Clinton diede avvio al processo di pace tra Israeliani e Palestinesi (Washington, 13 settembre 1993, firma di Arafat e Rabin sull'accordo di pace), si impegnò per la fine della guerra nella ex Jugoslavia (accordi di Dayton, 1995).
D'altro canto non sempre la politica estera del presidente statunitense venne giudicata positivamente. Gli USA parteciparono attivamente a diverse operazioni militari, patrocinate dall'ONU. In particolare, suscitò l'attenzione dei mass media l'intervento ad Haiti: il primo sbarco sull'isola del contingente americano (novembre 1993) provocò una vera e propria rivolta popolare e mise alle strette il presidente Clinton. L'anno seguente le forze d'azione USA intervennero nuovamente per permettere il ritorno nell'isola del presidente in esilio Aristide. Anche l'intervento militare in Somalia era destinato a suscitare non poche polemiche. Inizialmente i contingenti vennero inviati nello Stato africano con l'obiettivo di intervenire in modo diretto e attivo. Le loro missioni furono però giudicate eccessivamente cruente e lo stesso Congresso, sostenuto dall'opinione pubblica, fece pressione affinché il presidente Clinton adottasse la via diplomatica. In seguito alle difficoltà nel riuscire a instaurare un dialogo tra le parti in causa, nel 1994 il presidente optò per il ritiro delle truppe americane.
Gli errori del presidente non mancarono di avere forti ripercussioni a livello di popolarità: le consultazioni elettorali per il rinnovo parziale del Senato e dell'intera Camera del 1994 fecero segnalare una netta diminuzione dei consensi verso il Partito Democratico, mentre i repubblicani ottennero la maggioranza sia al Senato sia alla Camera.
Bill Clinton

Modello tridimensionale dell’elicottero statunitense VH3 – Sea King utilizzato per gli spostamenti del presidente americano

IL SECONDO MANDATO DI CLINTON

Nonostante la sconfitta alle elezioni del 1994 e l'affossamento di alcuni punti qualificanti del suo programma elettorale (quale, ad esempio, il progetto di fornire a tutti gli statunitensi una copertura sanitaria), nel 1996 Clinton, forte dell'avvenuta ripresa economica, fu riconfermato alla Casa Bianca. Clinton, al secondo mandato presidenziale, si trovò all'apice della sua popolarità. Proprio nel momento più positivo della sua carriera venne però investito da una bufera giudiziaria che sfociò nella messa in stato d'accusa del presidente. Lo scandalo a sfondo sessuale, denominato Sexgate, esplose il 21 gennaio 1998. Dopo mesi di veleni e battaglie legali, il 12 febbraio 1999, a due mesi dall'apertura del procedimento di impeachment (per spergiuro e intralcio alla giustizia), il Senato respinse la richiesta di destituzione di Clinton, assolvendo il presidente dai capi d'accusa.
In politica internazionale, il presidente promosse l'attacco NATO contro la Serbia colpevole di violazioni dei diritti umani nel Kosovo (1999). Nel 2000, alla fine del suo secondo mandato, Clinton non poté più ricandidarsi alla carica di presidente degli Stati Uniti. Al suo posto, per i Democratici, si candidò il suo vice Al Gore che venne però battuto sul filo di lana dal repubblicano George W. Bush, figlio del precedente presidente Bush. Dopo un inizio di mandato relativamente tranquillo, il neo presidente si trovò a dover fronteggiare il delicatissimo momento internazionale rappresentato dall'incremento del terrorismo di stampo islamico. Dopo gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono dell'11 settembre 2001, costati la vita a migliaia di persone, organizzò la controffensiva statunitense e alleata nei confronti dell'Afghanistan, accusato di copertura a favore dei terroristi responsabili del massacro.
11 Settembre 2001: il secondo aereo kamikaze punta sulla torre Sud del WTC

Il momento del secondo impatto. Entrambe le torri gemelle sono avvolte dalle fiamme

Panorama apocalittico su Manhattan dopo il crollo della torre Sud

Un'altra immagine dell'impatto sulla torre Sud

Le torri in fiamme poco prima del crollo

Il secondo impatto ritratto da un'altra prospettiva

Il momento del crollo della torre Nord

Si scava tra le macerie dopo l'attentato

Il pentagono in fiamme

I vigili del fuoco di New York scavano tra le macerie delle torri

Il presidente degli Stati Uniti George W. Bush Jr.

11 settembre 2001: le terribili sequenze dell’attacco terroristico contro il World Trade Center

LA SUPERPOTENZA SOVIETICA

LA COSTITUZIONE DELL'URSS

L'ordinamento politico dell'URSS fu fissato dalla Costituzione provvisoria del 1918 e dalle Costituzioni del 1924, 1936 e 1977.
Di queste la prima e l'ultima furono le più significative: in quella del 1924, infatti, l'URSS venne definita, per la prima volta ufficialmente, uno «Stato socialista degli operai e dei contadini» con struttura federale, composta dall'unione di 15 Repubbliche.
Organo del potere legislativo centrale era il Soviet Supremo, costituito da due Camere, il Soviet dell'Unione e il Soviet delle Nazionalità. Il Soviet Supremo eleggeva un Presidium formato da un presidente, che era anche capo dello Stato, da 15 vicepresidenti, da 16 membri e un segretario. Il potere esecutivo apparteneva al Consiglio dei ministri, nominato dal Soviet Supremo. Gli organi del potere locale erano i Soviet, eletti per due anni. La Costituzione attribuiva un ruolo fondamentale al Partito comunista, unico partito legale. Organo supremo del partito era il congresso, che si riuniva ogni 4 anni e era deputato ad eleggere un Comitato centrale, che funzionava mediante il Praesidium e una Segreteria, cui erano affidati compiti organizzativi.
Questa suddivisione di poteri rimase inalterata anche nella Costituzione del 1977, le cui innovazioni si concentrarono soprattutto nel campo delle libertà civili.
Per ottemperare agli impegni presi alla conferenza di Helsinki, infatti, vennero assicurate, almeno in teoria, le libertà di espressione, riunione, stampa, assemblea, nonché di coscienza e di religione, anche se un articolo costituzionale precisava che esse potevano essere esercitate solo in sintonia con gli interessi dei lavoratori ed allo scopo di rendere più solido il regime socialista.

URSS: LA DESTALINIZZAZIONE

La scomparsa di Stalin nel marzo del 1953 portò a una nuova fase della politica sovietica, sia all'interno del Paese che all'esterno. Dall'accentramento del potere in una sola persona si passò alla direzione collegiale, per cui il potere fu trasferito a un gruppo di dirigenti tra i quali spiccavano Vjaceslav Molotov, l'uomo della guerra fredda, Lavrenti Berija, il capo della polizia segreta, Nikita Kruscev e Gheorghi Malenkov, nominato capo del Governo. Nel dicembre del 1953 Berija e i suoi seguaci furono condannati a morte quali corresponsabili dei crimini staliniani e delle numerose e sanguinose epurazioni del partito disposte dallo stesso Stalin. Contemporaneamente cominciarono a levarsi le prime critiche allo stalinismo e al culto della personalità. Queste critiche avrebbero trovato poi il loro maggiore interprete proprio in Kruscev. Infatti al XX congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica, nel febbraio 1956, Kruscev diede il via alla destalinizzazione, consistente nell'abbattimento del mito di Stalin. In definitiva però questo processo risultò timido e incerto e il tentativo di restaurare la legalità, liberalizzando cautamente il regime, non riuscì a incidere profondamente nelle strutture della società sovietica. Kruscev, nonostante i contraccolpi negativi (la rivolta ungherese del 1956 e il cattivo andamento dell'economia), consolidò la propria posizione nei confronti del «gruppo antipartito» (di cui facevano parte Molotov e Malenkov) che nel 1957 fu estromesso dal potere.
Venne esonerato anche il maresciallo Zukov nell'intento di ridimensionare il peso politico dell'Armata Rossa. Inoltre, ad accrescere il prestigio di Kruscev, valsero i clamorosi risultati ottenuti dall'URSS nei lanci spaziali (il primo fu effettuato il 4 ottobre 1957). Lo stesso Kruscev cercò di limare gli attriti con gli USA, provocati dal fallimento della conferenza di Ginevra e di quella di Berlino, per l'unificazione tedesca e per il disarmo, proponendo la riduzione delle spese militari da parte delle superpotenze all'insegna della coesistenza pacifica.
Ma la riappacificazione incorse in episodi che ne misero a repentaglio la riuscita, come per esempio i voli strategici (spionistici) americani sul territorio sovietico. Frattanto cominciò a delinearsi uno stato di tensione nei rapporti fra URSS e Cina. L'alleanza fra i due Paesi si era incrinata dopo la rottura dell'URSS con l'Albania nel 1961 e dopo la crisi di Cuba nel 1962, conclusasi con il ritiro dei missili sovietici dall'isola. La distensione con l'Occidente, tuttavia, procedette, specialmente in seguito all'incontro di Kruscev con J.F. Kennedy a Vienna (giugno 1961). E i risultati si concretizzarono in un comportamento più conciliante dell'URSS sul problema di Berlino, nel Patto di Mosca per la limitazione degli esperimenti nucleari (già da tempo anche l'URSS aveva la bomba all'idrogeno). Tuttavia la posizione di Kruscev si indebolì - specie a causa del problema cinese e del crollo della produzione agricola - tanto che nell'ottobre 1964 fu costretto alle dimissioni.
I V31b45a.JPG Un'immagine di Nikita Kruscev]

LA RESTAURAZIONE BREZNEVIANA

Dopo la destituzione di Kruscev, la carica di segretario generale del Partito comunista venne assunta da Leonid Breznev, che ripristinò metodi di governo più intransigenti, caratterizzati dalla brusca interruzione della liberalizzazione interna e dalla linea dura contro il dissenso. I primi casi di dissenso politico, noti in Occidente, esplosero a partire dal 1969: lo scrittore Solzenitzyn fu espulso dall'Unione degli scrittori e non poté recarsi a Stoccolma per ricevere il premio Nobel; nel 1970 lo scrittore Amalrik fu condannato a 3 anni di lavori forzati. I casi si ripeterono sempre più frequenti nel periodo successivo e l'opinione pubblica mondiale ne fu scossa; molte voci si levarono per accusare l'Unione Sovietica di non rispettare i diritti dell'uomo e, di conseguenza, gli accordi di Helsinki.
Ciononostante, la repressione culturale e ideologica nell'epoca brezneviana si intensificò, come testimoniò anche il caso del fisico Andrej Sacharov, premio Nobel per la pace, costretto al domicilio coatto nella città di Gorkij.
In politica estera, Breznev consolidò il ruolo di superpotenza dell'URSS riuscendo ad eguagliare la potenza militare degli Stati Uniti.
Il gruppo dirigente brezneviano puntò su due obiettivi apparentemente contraddittori: la distensione con l'Occidente e l'espansione della potenza sovietica a spese proprio delle potenze occidentali. Appoggiando le guerre di liberazione contro le potenze coloniali, l'URSS riuscì infatti a penetrare, a partire dalla fine degli anni Settanta, nel continente nero, conquistando posizioni di rilievo, grazie anche all'impiego di truppe cubane, nel Corno d'Africa e in Angola. Alquanto più complessi furono invece i rapporti tra l'URSS ed alcuni Paesi dell'Est europeo (intervento armato in Cecoslovacchia nell'agosto 1968 - la primavera di Praga - per porre fine al cosiddetto «nuovo corso» politico-economico che prese anche il nome di «socialismo dal volto umano», propugnato da Dubcek). Inoltre, già dal 1965, la Cina aveva ripreso la polemica con Mosca e i Sovietici organizzarono addirittura (1° marzo 1965) una riunione di tutti i partiti filosovietici in funzione anticinese.
Nel maggio del 1969 si ebbero scontri fra Sovietici e Cinesi lungo la zona di confine delimitata dal fiume Ussuri e una violenta battaglia fra i due eserciti alla frontiera fra Kazahstan e Sinkiang (agosto 1969). Cercando di attenuare la tensione fra i due Paesi l'11 novembre il capo del Governo sovietico Kossighin effettuò una breve visita a Pechino; risultato del dialogo fu un accordo sulla questione delle frontiere (ottobre 1969).
Dopo la vittoria in Vietnam, l'Unione Sovietica estese la sua influenza nel Sud-Est asiatico (con l'esclusione della Cina). Per quanto concerne il resto del continente, i Sovietici mantennero un ruolo di primo piano in Medio Oriente, (nonostante la defezione dell'Egitto passato in campo occidentale dal 1975) grazie alla cronica instabilità della regione, aggravata dal conflitto libanese e dalla rivoluzione islamica in Iran.
Il 27 dicembre 1979, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, le truppe sovietiche varcarono i confini dei Paesi socialisti e invasero l'Afghanistan nel tentativo di sostenere il regime filocomunista ivi insediato. La guerra in Afghanistan si sarebbe poi rivelata uno dei più gravi problemi della società sovietica negli anni Ottanta.
Rispetto ai rapporti con gli occidentali, Breznev si mosse nel duplice proposito di evitare uno scontro nucleare globale con gli Stati Uniti e di ritardarne l'avvicinamento alla Cina. All'inizio degli anni Settanta, l'URSS ottenne qualche notevole successo in campo internazionale (accordo con la Germania Federale per la frontiera Oder-Neisse, ecc.). L'URSS mirava intanto a stabilire alleanze con Paesi asiatici, al fine di contenere e di neutralizzare la potenza cinese; in pari tempo la sua politica si manteneva rivolta a controbilanciare lo strapotere nordamericano. Di qui tutto un gioco, a volte addirittura febbrile, per tentare di stabilire legami di collaborazione, politica o economica, con altri Paesi (India, Giappone, ecc.). Tale attività si accrebbe notevolmente dopo la visita di Nixon a Mao Tse-tung (febbraio 1972).
Una grave crisi economica prodottasi nel 1972 a causa del cattivo raccolto cerealicolo spinse l'URSS ad importare grano dagli Stati Uniti e ad avvicinarsi, tramite il Comecon, alla CEE per incrementare l'importazione in Unione Sovietica delle tecnologie occidentali. Incontri ad altissimo livello ebbero luogo dal 1972 al 1974 fra Breznev, Nixon (incontro di Vladivostok in cui venne sottoscritto il SALT I) e tra Breznev e Ford, subentrato a Nixon (incontro di Vladivostok, 1974) per accordarsi sulla limitazione degli armamenti nucleari e strategici. Nel maggio 1976 Stati Uniti e Unione Sovietica sottoscrissero il trattato che limitava le esplosioni sotterranee ai soli fini pacifici. Un altro trattato (il SALT II) per la limitazione degli esperimenti strategici venne sottoscritto a Vienna nel giugno 1979 da Breznev e dal presidente americano Carter. Il trattato non venne comunque mai ratificato dal Senato statunitense e, nel 1980, il presidente Reagan ne chiese la completa rinegoziazione.
Un temibile focolaio di dissenso interno al blocco comunista si accese in Polonia, negli anni 1980-82, con la fronda antigovernativa del sindacato indipendente Solidarnosc, più volte accusato, da parte sovietica, di reazionarismo. Leonid Breznev morì il 10 novembre 1982 e gli successe Yuri Andropov. Nel 1984 Andropov morì, sostituito da Kostantin Cernenko. Nel 1985, alla morte di Cernenko, la guida dell'Unione Sovietica venne affidata a Michail Gorbaciov.
Leonid Breznev

PICCOLO LESSICO

La conquista dello spazio

Tanti anni sono ormai trascorsi dal giorno in cui l'uomo ha deciso di abbandonare la terra per la conquista dello spazio. Questa ricerca di spazi più lontani è stata sempre monopolio esclusivo delle due superpotenze, USA ed URSS, che nel corso degli anni si sono contese il primato, dando vita ad una sfida senza risparmio di energie in cui erano impegnate le menti più brillanti del nostro tempo. Tutto è cominciato il 4 ottobre 1957 con il lancio dello Sputnik 1, primo satellite artificiale sovietico. E furono ancora i Sovietici ad inviare il primo essere vivente in orbita: si trattava della ormai leggendaria cagnetta Laika che a bordo della capsula spaziale Sputnik 2, dal 3 al 6 novembre 1957, compì diverse orbite attorno al globo. Gli Stati Uniti non furono in grado di lanciare il loro primo satellite artificiale (Explorer 1) fino al 31 gennaio 1958. Gli USA venivano regolarmente battuti in questa lotta contro il tempo e fu così che, il 12 aprile 1961, il primo uomo ad andare nello spazio fu un cosmonauta sovietico, Juri Gagarin, che, a bordo della Vostok 1, compì un'orbita intorno alla Terra. Così come due anni dopo (16 giugno 1963) fu una sovietica la prima donna a venire inviata nello spazio, Valentina Tereshkova che, a bordo di Vostok 6, compì ben 48 orbite. Ma la tecnologia americana stava già lavorando in prospettiva della vittoria finale e così, il 20 luglio 1969, gli astronauti Neil Armstrong ed Edwin Aldrin compirono il primo allunaggio, mentre il loro compagno Michael Collins li attendeva in orbita a bordo della navicella Apollo 11.
A questo punto l'uomo non si accontentò più degli spazi limitati del nostro pianeta e del suo satellite, e partì alla conquista degli altri pianeti del sistema solare. Perciò, il 3 dicembre 1973, la sonda spaziale Pioneer 10 effettuò il primo incontro ravvicinato con Giove, il più grande pianeta del sistema, passandogli a «solo» 130.000 chilometri, trasmettendo a Terra numerose fotografie. Più tardi, il 20 luglio 1976, la sonda USA Viking 1 inviò le prime fotografie di Marte, «il pianeta rosso». Ed infine il 31 gennaio 1986 la sonda Voyager 2 inviò le prime immagini di Saturno scoprendo l'undicesimo anello intorno al pianeta. Frattanto, dal 14 aprile 1981, gli USA rivoluzionarono le esplorazioni spaziali con la creazione di un «aerobus» del peso di 75 tonnellate, capace di innalzarsi oltre l'orbita terrestre. Era la navetta Columbia (nell'ambito del programma space shuttle insieme ad altre quattro navette Enterprise, Challenger, Discovery e Atlantis) che, dopo aver compiuto 36 orbite e mezza, atterrò nei pressi del lago salato Rogers (California). Ma questa progressiva conquista dello spazio costò anche molti sacrifici: ultimo, in ordine di tempo (il 28 gennaio 1986), quando la navetta Challenger, che aveva sostituito Columbia nel programma spaziale, esplose in volo dopo 72 secondi dal decollo da Cape Canaveral (California), costando la vita a tutto l'equipaggio, ed a una donna, primo passeggero civile della missione.

SALT

Acronimo di Strategic Arms Limitation Talks. È il termine con cui si indicano gli accordi stipulati fra Stati Uniti e Unione Sovietica riguardanti la limitazione delle armi nucleari strategiche (in grado, cioè, di colpire con la massima precisione obiettivi nemici posti a grandi distanze). Conclusi in epoche diverse, dopo il cosiddetto "disgelo" nei rapporti fra le due superpotenze, tali accordi suscitarono scontri, da parte delle due Nazioni coinvolte, soprattutto per quanto concerne la classificazione delle armi da includere o meno nei trattati stessi. Il SALT I, firmato a Vladivostok nel 1972 da Nixon e Breznev, portò alla limitazione delle armi strategiche a 2.400. Il SALT II, stipulato a Vienna nel 1979, non fu mai ratificato dal Senato statunitense a causa dell'invasione sovietica dell'Afghanistan. Nel 1982 i negoziati SALT vennero sostituiti con quelli START, volti non tanto a fissare dei limiti di crescita, ma a ridurre i quantitativi di forza già esistenti.

PERSONAGGI CELEBRI

Leonid Breznev

Uomo politico sovietico (Ucraina 1906 - Mosca 1982). Segretario del comitato centrale del PCUS dopo il XX congresso (1956), presidente del Praesidium del Soviet Supremo (7 maggio 1960), poi nuovamente segretario del Comitato centrale del partito dal marzo 1963. Alla caduta di Kruscev (1964) fu nominato primo segretario del Comitato centrale del PCUS. Rieletto segretario generale nel 1976 (XXV congresso del PCUS), nel 1977 - in virtù delle modifiche apportate alla Costituzione - assunse anche la carica di capo dello Stato. Artefice degli accordi SALT per la limitazione delle armi strategiche, dopo il raffreddamento dei rapporti tra Est e Ovest, causato dall'intervento Russo in Afghanistan, tentò in tutti i modi di ristabilire un certo equilibrio diplomatico fra le grandi potenze e a tale scopo si incontrò a varie riprese con il capo di Stato francese Giscard d'Estaing e con il cancelliere tedesco Schmidt.

Richard Milhous Nixon

Uomo politico statunitense (Yorba Linda, California 1913 - New York1994). Appartenente a una famiglia quacchera, di condizione modesta, studiò Legge laureandosi alla Duke University e iniziò la propria ascesa politica nel 1946, quando fu eletto deputato al Congresso. Dopo soli sei anni fu prescelto come vice di Eisenhower, candidato repubblicano nelle elezioni presidenziali del 1952. Assunta la carica, non ne rimase all'ombra ma ne accentuò il ruolo facendone una figura di primo piano e intessendo tutta una serie di rapporti internazionali nel corso di visite che lo portarono in gran parte dei Paesi del mondo, compresa l'Unione Sovietica. Uomo di punta della destra repubblicana, dopo il 1956, tuttavia, cominciò ad assumere una posizione più moderata, di tipo centrista, preparandosi il terreno per la successione a Eisenhower. Questo ammorbidimento della linea non fu tuttavia sufficiente a guadagnargli la fiducia della maggioranza dell'elettorato che, sia pure di stretta misura, gli preferì il democratico J. Kennedy nelle elezioni presidenziali del 1960. Nel 1962 la sua carriera politica subì una nuova clamorosa battuta d'arresto, non essendo riuscito a farsi eleggere alla carica di governatore della California. Smentendo quanti consideravano la sua carriera politica finita, ritornò alla ribalta nel 1968 come candidato repubblicano nelle elezioni presidenziali e, sulla base di un programma di centro che faceva perno sulla cessazione della guerra nel Vietnam, riuscì a imporsi sul democratico H. Humphrey. Durante il quadriennio del suo primo mandato presidenziale, egli si impegnò ad agire all'insegna della stabilità e della continuità, senza peraltro riuscire a mantenere gran parte delle promesse elettorali, anche per i condizionamenti della gigantesca macchina tecnologica e militare i cui piani assorbivano buona parte della ricchezza nazionale. Nell'ambito della politica estera, il promesso disimpegno nel Sud-Est asiatico non avvenne; Nixon comunque si impegnò nel perseguimento di una politica di coesistenza pacifica col blocco sovietico, avviando inoltre concrete trattative coi governanti cinesi. Meno felicemente ebbe inizio la sua seconda presidenza, dopo la vittoria sul candidato democratico nelle elezioni del novembre 1972. Nel giugno dell'anno seguente scoppiò lo scandalo Watergate, una clamorosa vicenda di spionaggio politico ai danni del Partito democratico, che andò assumendo sempre più vaste proporzioni, coinvolgendo direttamente il presidente e minandone il prestigio al punto da essere sollecitato da varie parti a dimettersi e a doversi discolpare pubblicamente. L'8 agosto 1974, dopo aver riconosciuto il tentativo di insabbiamento dello scandalo, Nixon si dimise. Primo presidente degli Stati Uniti ad aver dato le dimissioni, ottenne poi il perdono giudiziale dal suo successore Ford.

William Clinton, detto Bill

Uomo politico statunitense (n. Little Rock, Arkansas 1946), ex presidente degli Stati Uniti d'America. Da studente universitario, partecipò alla contestazione contro la guerra in Vietnam. Nel 1972 si laureò a Yale, intraprendendo in seguito la carriera politica in Arkansas nelle file del Partito Democratico. Durante la presidenza Carter ottenne la carica di ministro della Giustizia. Governatore dell'Arkansas nel 1978, nel 1980 perse le elezioni a causa dell'imposizione di una tassa sul carburante che lo rese impopolare. Rettificate le sue posizioni politiche, tornò successivamente a riguadagnare consensi elettorali. Candidato alla Casa Bianca nel novembre 1992, fu eletto presidente degli Stati Uniti con il 43% dei suffragi, grazie ad un programma di misure contro la disoccupazione e il deficit pubblico e per il controllo della spesa sanitaria. In tema di politica estera e di sicurezza, Clinton si preoccupa di riorganizzare il bilancio della difesa per bloccare gli approvvigionamenti nucleari e acquisire così fondi per rinvigorire l'economia statunitense. In politica estera si dimostrò disposto al miglioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Russia e conseguì inoltre un grande successo nel favorire il processo di pace in Medio Oriente. La positiva fama ottenuta soprattutto in campo internazionale fu in parte offuscata da una serie di scandali che misero in forse le sue possibilità di rielezione nelle presidenziali del 1996. A dispetto delle previsioni venne tuttavia rieletto per il secondo mandato consecutivo. Nel 1997 emersero elementi di un nuovo scandalo che avrebbe segnato più profondamente la sua carriera di presidente, il cosiddetto Sexgate. Nell'agosto del 1998, Clinton veniva chiamato a deporre in merito alla relazione intrattenuta con una stagista della Casa Bianca, Monica Lewinsky, ponendo l'attenzione sulla condotta sessuale del capo della Casa Bianca. Al termine di una vicenda che riempì per mesi interi le cronache di giornali e rotocalchi di tutto il mondo, Clinton venne comunque prosciolto dalle gravi accuse di spergiuro e di ostruzione delle indagini. Giunto agli sgoccioli della sua presidenza, Clinton sostenne la moglie Hillary, che fu poi eletta senatrice dello Stato di New York, e il suo vice Al Gore, presentatosi candidato per il Partito Democratico alle elezioni presidenziali del 2000, poi battuto sul fil di lana da George Bush junior.
Bill Clinton


RIASSUNTO CRONOLOGICO

1953 (marzo): Muore Stalin.

1953-64: Kruscev è segretario del PCUS.

1956 (febbraio): Al XX congresso del PCUS, Kruscev denuncia i crimini di Stalin, dando avvio alla destalinizzazione dell'URSS.

1961-63: Presidenza del democratico John F. Kennedy.

1961 (aprile): Sbarco americano nella Baia dei Porci.

1962: Il Congresso degli USA crea un comitato per gli aiuti al Vietnam del Sud.

1963 (22 novembre): Viene assassinato a Dallas (Texas) il presidente USA John F. Kennedy.

1963 (novembre): Il democratico Lyndon B. Johnson assume ad interim la carica di presidente degli USA.

1964-82: Breznev è segretario generale del PCUS.

1964 (novembre) - 1969: Presidenza del democratico L.B. Johnson.

1968 (agosto): Intervento armato dei Paesi del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia (primavera di Praga).

1969-74: Presidenza del repubblicano Richard M. Nixon.

1969 (agosto): Scontri lungo il fiume Ussuri fra URSS e Cina.

1972 (febbraio): Nixon va in visita ufficiale da Mao Tse-tung.

1972 (26 maggio): Breznev e Nixon sottoscrivono il trattato SALT I.

1972 (giugno): Esplode lo scandalo Watergate.

1973 (gennaio): Gli Stati Uniti firmano a Parigi gli accordi con il Vietnam del Nord per un graduale disimpegno dal Vietnam.

1974 (8 agosto): Nixon rassegna le dimissioni in seguito allo scandalo Watergate.

1974-77: Presidenza del repubblicano Ford.

1977-81: Presidenza del democratico Jimmy Carter.

1979 (giugno): A Vienna Carter e Breznev sottoscrivono l'accordo SALT II per la riduzione delle armi strategiche.

1979 (27 dicembre): L'URSS invade l'Afghanistan.

1980 (luglio-agosto): Gli Stati Uniti, insieme con molti altri Stati, boicottano i Giochi olimpici di Mosca.

1981-89: Presidenza statunitense del repubblicano Ronald Reagan.

1982 (novembre): Muore il segretario del PCUS Leonid Breznev; gli succede Yuri Andropov, ex-capo del KGB.

1984 (febbraio): Muore Andropov, viene eletto segretario del PCUS Kostantin Cernenko.

1985 (marzo): Anche Cernenko scompare precocemente, viene eletto al suo posto Michail Gorbaciov.

1989-93: Presidenza statunitense del repubblicano George Bush.

1993: Bill Clinton viene eletto presidente degli USA (verrà riconfermato nel 1996).

1998 (21 gennaio): Esplode lo scandalo Sexgate che coinvolge il presidente Clinton.

1999 (febbraio): In merito allo scandalo Sexgate, Clinton viene assolto dal Senato.

2000 (dicembre): George W. Bush viene eletto quarantatreesimo presidente degli Stati Uniti.

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