STORIA CONTEMPORANEA - L'ITALIA OGGI

IL CENTRO-SINISTRA

Il processo di distensione internazionale tra i due blocchi non mancò di avere ripercussioni anche sulla politica interna italiana, dove la stagnazione della linea centrista aveva cominciato a creare disagi all'interno della stessa Democrazia Cristiana. Questa situazione si aggravò dopo le dimissioni del Governo Segni (febbraio 1960) e la costituzione di un Governo monocolore democristiano presieduto da Fernando Tambroni (marzo-luglio 1960) che ottenne la fiducia del Parlamento con l'appoggio determinante del Movimento Sociale. Il nuovo presidente del Consiglio si distinse per la durezza con cui fronteggiò le manifestazioni di protesta democratica e antifascista che riempirono le piazze delle maggiori città italiane. Su pressione dell'opinione pubblica, Tambroni fu costretto a dimettersi.
Con la caduta del Governo Tambroni si aprì una nuova fase della storia politica dell'Italia repubblicana, caratterizzata dalla collaborazione tra Democrazia Cristiana (all'interno della quale, a partire dal congresso di Napoli del gennaio 1962, sarebbe prevalsa la corrente di centro-sinistra capeggiata da Aldo Moro e da Amintore Fanfani) e Partito Socialista, che concesse il proprio appoggio parlamentare al Governo presieduto da Fanfani durante il quale furono raggiunti importanti obiettivi programmatici, tra cui la nazionalizzazione dell'industria elettrica e l'estensione dell'obbligo scolastico fino a 14 anni.
Nel dicembre 1963 Moro formò il primo Governo con la partecipazione diretta del PSI (Pietro Nenni fu designato vicepresidente e Giuseppe Saragat ministro degli Esteri). Questo Governo incontrò molte difficoltà per l'opposizione sia della destra democristiana, favorevole ad un'impostazione moderata, sia della sinistra del PSI (che alla guida di Lelio Basso e Tullio Vecchietti nel 1964 si staccò dal PSI per dar vita al PSIUP, il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) che chiedeva riforme incisive. Alle diatribe interne ai partiti di Governo si aggiungevano anche difficoltà determinate dalla contingente crisi economica. Nel luglio 1964 cadde il Governo, ma il centro-sinistra ottenne un'importante vittoria con l'elezione a presidente della Repubblica di Saragat, leader del partito socialdemocratico, che successe ad Antonio Segni il quale, eletto nel 1962 e dimessosi poi per ragioni di salute, si era rivelato un deciso avversario del centro-sinistra.
Aldo Moro

Un'immagine di Pietro Nenni


LA CRISI DEL CENTRO-SINISTRA

La svolta rappresentata dal centro-sinistra ebbe fondamentali ripercussioni sulla vita dei partiti politici italiani. Nella DC si acuirono le differenze interne tra una destra conservatrice e una sinistra riformista che, forte anche del messaggio di Giovanni XXIII, premeva per un impegno più incisivo in ambito sociale. Socialisti e socialdemocratici si decisero a superare la scissione del 1947 per dare vita a un Partito Socialista Unificato (1966) che avrebbe potuto presentarsi come alternativa alla DC. Dal canto suo anche il Partito Comunista fu costretto a modificare la propria linea politica. Favorevoli al superamento del capitalismo non mediante un processo rivoluzionario, bensì per via parlamentare, attraverso riforme che incidessero direttamente sul grande capitale monopolistico, i comunisti posero al centro del loro programma la lotta al centro-sinistra che mirava ad isolare il PCI. Essi d'altro canto non fecero altro che seguire le indicazioni lasciate da Palmiro Togliatti in una sorta di testamento politico (noto poi come il memoriale di Jalta) prima della sua morte (1964). Tra il luglio 1964 e il giugno 1968 Moro fu a capo di due Governi di centro-sinistra che, a causa dei contrasti tra le tendenze moderate all'interno della DC e i socialisti, si rivelarono tuttavia incapaci di attuare riforme radicali. Il carattere assai cauto della politica di centro-sinistra non riuscì comunque a vincere i timori degli ambienti conservatori che, col sostegno di alcune istituzioni dello Stato, iniziarono ad appoggiare l'azione clandestina e illegale a fini eversivi. Nel 1964 vi fu il tentativo di organizzare un colpo di Stato militare (piano Solo) da parte del generale De Lorenzo, capo del Servizio informazioni delle forze armate (SIFAR), che aveva contattato rappresentanti politici ostili all'apertura verso i socialisti.
Nelle elezioni del maggio 1968 uscirono rafforzati i due grandi partiti di massa, DC e PCI, mentre si evidenziò il fallimento dell'unificazione tra socialisti e socialdemocratici (che nel 1969 sarebbero tornati ai loro partiti tradizionali). Ma la formula del Governo di centro-sinistra, pur ormai privo della spinta innovativa, non aveva alternative. Si costituì così nuovamente un Governo di centro-sinistra sotto la presidenza di Mariano Rumor, mentre nel Paese venivano a galla numerosi problemi insoluti. Questi determinarono un crescendo di tensioni politiche e sociali che tra il 1968 e il 1969 sfociarono, in Italia come in gran parte dei Paesi occidentali, in agitazioni operaie e studentesche. Mentre gli operai si ribellarono contro un tipo di sviluppo che acuiva i già profondi squilibri economici e sociali, gli studenti manifestarono la loro insoddisfazione contro le istituzioni scolastiche e universitarie, incapaci, come la società, di rinnovarsi. Nel 1968-69 si ebbero numerose manifestazioni studentesche, che culminarono nell'occupazione di università, e una serie di scioperi senza precedenti, durante i quali si verificarono violenti scontri con le forze dell'ordine. Le lotte operaie sortirono l'effetto di unire in modo compatto il fronte dei lavoratori e di favorire l'unità di azione sindacale tra le tre maggiori Confederazioni (CGIL, CISL, UIL) che riacquistarono la loro autonomia dai partiti. In seguito a tali lotte gli operai ottennero importanti conquiste, tra cui l'adeguamento dei salari italiani alla media europea, l'approvazione dello Statuto dei lavoratori (1970) che tutelava i lavoratori dai licenziamenti arbitrari e garantiva la presenza dei sindacati all'interno dei luoghi di lavoro.
Ma l'impreparazione della classe dirigente e politica italiana a fronteggiare le agitazioni che stavano creando scompiglio nel Paese, provocò richieste sempre più pressanti da parte delle destre, compresa quella della DC, di un "Governo forte", capace di porre fine ai disordini. Nello stesso tempo la politica di centro-sinistra venne duramente attaccata, perché ritenuta responsabile della rivoluzione sociale in atto. Fu così che forze eversive di destra, forti dell'appoggio degli ambienti conservatori e della complicità di parte dei servizi segreti, cominciarono a tessere "trame nere" con l'obiettivo di destabilizzare il sistema democratico italiano. Con la strage della Banca nazionale dell'agricoltura di piazza Fontana, a Milano, (12 dicembre 1969) ebbe inizio quella che venne definita "strategia della tensione".
Il tentativo di delegittimazione dello Stato democratico, debole ed inefficiente, era portato avanti non solo dalle forze eversive di destra, ma anche da quelle della sinistra extraparlamentare le quali, in contrasto con la politica di revisionismo e riformismo condotta dai partiti tradizionali di sinistra e in particolare dal PCI, ritenevano che in Italia vi fossero le condizioni per imporre la rivoluzione proletaria. Fu proprio il terrorismo di sinistra a trasformare in sovversive le tendenze neorivoluzionarie, contribuendo, con il terrorismo di destra, a creare in Italia un clima sempre più drammatico. Il terrorismo di sinistra, a cui aderirono ampi strati di operai, studenti e intellettuali, intenzionati a contrastare le "trame nere" e a combattere contro l'inefficienza e la corruzione dei partiti e contro la complicità tra eversione nera, di destra, e istituzioni statali, diede vita a un vero e proprio partito armato di sinistra, formato da diverse organizzazione. All'interno di queste si distinsero le Brigate Rosse, nate nel 1970, che segnarono profondamente la vita italiana negli anni Settanta, mettendo in atto sequestri, ferimenti, assassini politici affiancati da propaganda ideologica e processi rivoluzionari.

I PRIMI ANNI SETTANTA

I quattro Governi che si succedettero tra il 1969 e il 1972, alcuni monocolori, alcuni di centro-sinistra, furono artefici delle importanti leggi del 1970 che oltre al già citato Statuto dei lavoratori, ratificarono l'istituzione dell'ordinamento regionale e del divorzio. Nel dicembre 1971, dopo un logorante tiro alla fune tra le sinistre e la DC (che dovette ritirare il suo candidato ufficiale, Fanfani), si giunse all'elezione, con i voti determinanti della destra, del democristiano Giovanni Leone quale presidente della Repubblica. Seguì una crisi di Governo e le elezioni politiche anticipate (maggio 1972), le prime nella storia della Repubblica, caratterizzate da un sensibile aumento dei voti missini.
Nel luglio successivo si costituì un Governo centrista (DC-PLI-PSDI), presieduto da Giulio Andreotti, che riuscì a sopravvivere stentatamente sino al congresso democristiano del giugno 1973. Seguirono poi due Governi Rumor (luglio 1973 - novembre 1974) che furono costretti a prendere urgenti provvedimenti di politica economica per far fronte all'inflazione e alla crisi energetica, conseguenza della guerra arabo-israeliana del 1973.
Nell'autunno del 1973 il tema centrale del dibattito politico si spostò sulla linea inaugurata dal segretario del PCI, Enrico Berlinguer, detta del compromesso storico tra comunisti, socialisti e democristiani che avrebbe dovuto portare alla costituzione di un Governo di solidarietà nazionale capace di contrastare la destabilizzazione delle istituzione e aprire una nuova ed efficace stagione di riforme. Il terreno d'intesa su cui trovarono un'oggettiva convergenza DC e PCI fu la difesa delle istituzioni, minacciate dalle azioni terroristiche attuate dalla destra e dalla sinistra extraparlamentare, fortemente critica in merito alla politica del PCI. L'interlocutore privilegiato di Berlinguer nella DC fu Moro, deciso fautore di un accordo politico con i comunisti, il quale trovava però forti resistenze all'interno del suo stesso partito.
A preoccupare il mondo cattolico, oltre all'eventualità di un'alleanza politica con il PCI, vi erano i processi di trasformazioni, in senso antitradizionale e antiautoritario, della mentalità e dei costumi delle masse giovanili messi in moto dalle contestazioni del 1968. A dimostrazione di ciò vi fu la battaglia contro il divorzio in cui i cattolici subirono una duplice sconfitta, dapprima nel momento della sua approvazione in Parlamento (1970), poi nel referendum popolare (1974) che respinse con il 59,1% la proposta di abrogazione della legge sul divorzio.
Un'immagine dell'ex presidente Giovanni Leone

Enrico Berlinguer


GLI ANNI DI PIOMBO

Il diffondersi della corruzione pubblica ("lottizzazione", politica delle tangenti, finanziamenti ai partiti in cambio di favoreggiamenti) e l'emergere di complicità tra forze politiche e sociali e "trame nere", determinarono un riaccendersi della protesta estremistica di sinistra che, attraverso il ricorso ad azioni illegali, voleva dimostrare alle masse la debolezza dello Stato, inducendole a spostarsi su posizioni rivoluzionarie. In quest'ottica nell'aprile 1974 venne rapito dalle Brigate Rosse il giudice genovese Mario Sossi, poi rilasciato il 23 maggio. Nel corso del 1974 si verificarono anche gravi atti terroristici di matrice nera: il 28 maggio una bomba esplose a Brescia, in piazza della Loggia, durante una manifestazione sindacale, provocando otto morti e un centinaio di feriti; il 4 agosto un attentato sul treno Italicus provocò 12 morti e 48 feriti. Sequestri, attentati a uomini politici, magistrati, dirigenti industriali, giornalisti e intellettuali, scontri tra terroristi e forze dell'ordine, rapine caratterizzarono la storia d'Italia per circa un decennio, in quelli che furono non a caso definiti "anni di piombo".
La strage di Piazza della Loggia a Brescia

Di particolare importanza per l'evoluzione del quadro politico, furono le elezioni amministrative del giugno 1975 nelle quali il PCI si affermò in importanti regioni, province e comuni del Centro-Nord, mentre nella DC, sconfitta, si aprì una crisi di vaste proporzioni che portò all'allontanamento di Fanfani dalla segreteria. Le elezioni politiche anticipate del giugno 1976 confermarono le tendenze in atto, mentre per la prima volta entrarono in Parlamento i radicali, che avevano condotto numerose lotte per l'affermazione e l'allargamento dei diritti civili. Data la novità della situazione, i socialisti dichiararono esaurita l'alleanza di centro-sinistra e proposero nuovi schieramenti di Governo con la partecipazione dei comunisti. Ma il PCI preferì non prescindere dall'alleanza con le grandi masse cattoliche e, accentuando la propria autonomia dall'URSS, avviò una revisione ideologica interna con la svolta "eurocomunista" (1974-77), condivisa anche dai comunisti spagnoli e francesi, con la quale il PCI affermò la sua piena adesione ai principi della democrazia pluralista e la ricerca di una "terza via" tra comunismo di stampo sovietico e socialdemocrazia.
Data l'impraticabilità dell'accordo tra DC e PCI e della ricostituzione del centro-sinistra, nel luglio 1976 si giunse alla costituzione di un Governo monocolore democristiano presieduto da Andreotti che ottenne l'appoggio (sulla base inedita della "non sfiducia") dei comunisti i quali, in un momento di particolare difficoltà per il Paese che doveva far fronte a una grave crisi economica e alla lotta contro il terrorismo, optarono per la collaborazione. Con questa scelta il PCI si attirò le forti critiche dei gruppi estremistici facenti capo alla cosiddetta area "dell'autonomia" che diedero vita a violente agitazioni in varie zone del Paese. Il Governo riuscì tuttavia a trovare contromisure in ambito economico e nella lotta al terrorismo.
Nel novembre 1977 il PCI invitò tutti i partiti dell'arco costituzionale (DC, PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI) a formare un Governo di unità nazionale. La DC, nonostante il suo leader Moro caldeggiasse l'operazione, rifiutò su pressione degli Stati Uniti, prudenti nella valutazione della svolta eurocomunista. I comunisti, dichiaratisi comunque disposti a far parte della maggioranza parlamentare, diedero il loro esplicito appoggio al Governo monocolore presieduto da Andreotti (marzo 1978 - marzo 1979). Questa nuova formula di Governo, denominata di "solidarietà nazionale", sembrava preludere a una futura grande alleanza tra DC e PCI. Ma il 16 marzo 1978, il giorno stesso in cui il Parlamento si stava apprestando ad ascoltare le dichiarazioni programmatiche del nuovo Governo, un gruppo di terroristi delle Brigate Rosse sequestrò Moro in via Fani, a Roma, dopo aver ucciso i cinque uomini della sua scorta. Di fronte allo sgomento del Paese, le Camere decisero di votare immediatamente la fiducia ad Andreotti onde assicurare al Governo la pienezza dei poteri. Il rapimento sollevò una serie di domande sui reali obiettivi dei sequestratori e fomentò sospetti di un possibile coinvolgimento dei servizi segreti statunitensi o sovietici, entrambi interessati, chi per un verso chi per l'altro, al futuro assetto dell'Italia.
Nel corso della prigionia di Moro gli schieramenti politici e l'opinione pubblica si divisero sull'opportunità o meno di trattare con le Brigate Rosse: DC e PCI mantennero la linea dell'intransigenza, escludendo qualsiasi trattativa con i sequestratori; il PSI, insieme ai radicali e ai gruppi alla sinistra del PCI, sostennero la necessità di un atteggiamento più "morbido" per salvare la vita dell'ostaggio. Appelli solenni vennero rivolti agli uomini delle Brigate Rosse dal segretario generale dell'ONU Kurt Waldheim e dal papa Paolo VI, amico personale dello statista, ma invano: il corpo di Moro venne ritrovato nel bagagliaio di una vettura abbandonata nel centro di Roma il 9 maggio 1978. La morte di Moro segnò la fine della politica di apertura verso il PCI.
Nello stesso mese di maggio, su pressione dei movimenti femministi, venne approvata la legge che consentiva l'interruzione volontaria della gravidanza, duramente ma inutilmente contrastata dal mondo cattolico (tale legge verrà poi confermata dal referendum del 1981). Il 16 giugno il presidente della Repubblica Giovanni Leone, sospettato di essere coinvolto in irregolarità tributarie, in traffici immobiliari e nello scandalo Lockheed (una questione di tangenti sull'acquisto di questo tipo di aerei), fu costretto alle dimissioni. Alla massima carica dello Stato venne eletto a grandissima maggioranza il socialista Sandro Pertini il cui stile prese immediatamente risalto con il richiamo non formale del neopresidente ai valori della Resistenza, della quale era stato un autentico protagonista, e con le sue decise prese di posizione in politica interna ed estera. Grazie alle sue qualità politiche e soprattutto morali, riuscì nel non facile tentativo di mantenere unito il Paese in un momento di particolare difficoltà, in cui le istituzioni democratiche erano attaccate dai terroristi di destra e di sinistra. Il Governo, preoccupato per l'infuriare del terrorismo, affidò al generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa compiti speciali nella repressione.
Nel gennaio 1979 cadde il Governo Andreotti, e il presidente Pertini, per la prima volta dopo l'ultimo Governo Parri, affidò l'incarico di formare il Governo a un laico, Ugo La Malfa, capo storico del PRI, che però non riuscì a portare a buon fine l'incarico. Nel giugno 1979 vi furono nuove elezioni politiche anticipate che registrarono un netto calo del PCI, mentre il PSI non riuscì neanche questa volta a superare la soglia del 10%. Ciò era da addebitarsi fondamentalmente al fatto che il partito, negli anni Settanta, era rimasto imbrigliato nell'alleanza con la DC in una posizione sempre più subalterna e non aveva elaborato una chiara linea politica. Un cambio di rotta si attuò dal momento in cui prese in mano le redini del PSI Bettino Craxi (1976), che rese irreversibile il distacco ideologico del suo partito dal marxismo, collegandolo alle socialdemocrazie europee. Critico nei confronti del PCI, troppo legato alla sua matrice leninista, e nei confronti di un'eventuale coalizione tra PCI e DC, nociva per il pluralismo democratico, Craxi creò le premesse per liberare il PSI dall'antica subalternità verso la DC, candidando il suo partito a svolgere un ruolo strategico nell'equilibrio politico italiano.
Un'immagine di Sandro Pertini


UN SOCIALISTA A PALAZZO CHIGI

Instabilità politica e terrorismo caratterizzarono anche il 1980, apertosi con la morte dell'esponente socialista Pietro Nenni (1° gennaio), un altro dei grandi protagonisti dell'Italia del dopoguerra. Il 27 giugno un DC9 dell'Itavia precipitò in mare (probabilmente in seguito a un'esplosione) nei pressi di Ustica, provocando la morte di 81 persone. Riguardo alle cause dell'incidente non si riuscì in realtà a fare chiarezza negli anni successivi, benché vi fosse il sospetto di un coinvolgimento delle forze militari italiane e di altri Paesi. Il 2 agosto 1980 un nuovo tremendo attentato fece saltare in aria un'intera ala della stazione ferroviaria di Bologna provocando la morte di oltre 85 persone e il ferimento di circa 200.
In ottobre al Governo Cossiga succedette il Gabinetto presieduto da Arnaldo Forlani (fino al maggio 1981), autore del cosiddetto "preambolo" con cui si sceglieva come interlocutore di Governo il PSI, mentre si escludeva ogni possibilità di accordo con il PCI.
Il 23 novembre un'immane tragedia distolse l'opinione pubblica dalle vicende politiche: un terremoto sconvolse Campania e Basilicata, provocando la morte di 3.000 persone e la distruzione di interi paesi. L'opera di soccorso mise in luce l'impreparazione e l'inefficienza delle strutture statali. Nel frattempo il Governo Forlani venne travolto da una serie di scandali, tra cui quello della P2, una loggia massonica con finalità eversive che contava tra i suoi adepti parecchi esponenti del mondo politico, degli apparati dello Stato, della finanza, del giornalismo. Una avvenimento sconvolgente fu l'attentato a Giovanni Paolo II compiuto il 13 maggio 1981 dal turco Ali Agcà (condannato all'ergastolo il 22 luglio).
Nel giugno 1981, per la prima volta dopo il 1945, diventò presidente del Consiglio un laico, lo storico e leader del PRI Giovanni Spadolini. In politica interna, il Governo Spadolini si impegnò soprattutto nel tentativo di contenimento dell'inflazione e nella lotta contro la mafia, per contrastare la quale inviò a Palermo, in qualità di superprefetto, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, distintosi già nella lotta al terrorismo, che venne tuttavia assassinato il 3 settembre insieme alla moglie e all'agente di scorta. In politica estera, Spadolini, fautore di una partecipazione più attiva dell'Italia nell'Alleanza Atlantica, consentì l'installazione di basi missilistiche in Sicilia e decise per l'invio di militari italiani in Libano.
Un'immagine di Giovanni Spadolini

Caduto il Governo Spadolini (novembre 1982) per contrasti tra democristiani e socialisti, si ebbe un Governo guidato da Fanfani (dicembre 1982 - agosto 1983) che rifletteva la situazione di precarietà economica, politica e sociale del Paese. Alla fine della primavera del 1983 le elezioni sembravano l'unica via d'uscita a una situazione contrassegnata da problemi che richiedevano provvedimenti urgenti: la lotta all'inflazione e alla crisi economica, accompagnata dalla disoccupazione; la lotta contro il terrorismo e la mafia; la crisi e la sfiducia nelle istituzioni.
I partiti si presentarono alle elezioni anticipate decisi a vincere o, almeno, a non perdere terreno: la DC, guidata dal nuovo segretario Ciriaco De Mita, aveva cercato di rinnovarsi e di offrire agli elettori un'immagine diversa e più omogenea; il PSI puntava a un proprio rafforzamento e quindi, in prospettiva, a conquistare posizioni politiche di rilievo in seno alla nuova coalizione del dopo-elezioni, sull'esempio delle socialdemocrazie europee (a tal proposito Craxi aveva lasciato intendere che il suo partito non avrebbe assunto un ruolo subalterno nei confronti della DC); il PCI, dopo il periodo del sostegno alle coalizioni di solidarietà nazionale, era tornato su posizioni fortemente critiche, per cui il principale avversario fu individuato nella DC, contrastata sia sul piano della politica economica, sia su quello delle alleanze. Le posizioni dei diversi partiti si scontrarono e si confrontarono non più soltanto nei tradizionali comizi di piazza, ma soprattutto nei dibattiti televisivi e radiofonici, che ebbero ampio spazio sulle reti nazionali e private. Le elezioni di giugno videro il buon piazzamento dei repubblicani e del PSI e una netta sconfitta della DC che rese possibile l'ascesa alla guida del Governo di Craxi, il primo presidente del Consiglio socialista della storia d'Italia.
Craxi presiedette due Governi dall'agosto 1983 all'aprile 1987 (fu capo del più durevole Governo nella storia della Repubblica, dall'agosto 1983 al giugno 1986). Si aprì così un periodo di stabilità politica, mancata nel corso dell'intero decennio precedente, in cui le sorti del Paese vennero rette dal cosiddetto "pentapartito", una coalizione formata da democristiani, socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali nella quale i socialisti ebbero un ruolo determinante. Il Governo Craxi riuscì vittorioso nella lotta al terrorismo e ottenne alcuni importanti successi in politica economica nella lotta contro l'inflazione e nel contenimento del costo del lavoro, scontrandosi con CGIL e PCI che criticò aspramente anche la decisione di Craxi di permettere l'installazione degli euromissili in Italia.
Bettino Craxi

Manifestazione promossa dal PCI

Durante il Governo Craxi venne firmato il nuovo Concordato tra lo Stato e la Chiesa (18 febbraio 1984), mediante cui la religione cattolica cessava di essere considerata religione di Stato e cadeva l'obbligatorietà dell'insegnamento della medesima nelle scuole pubbliche. La politica economica craxiana raccolse i suoi primi frutti alla fine del 1984 che si chiuse per l'Italia col raggiungimento del più alto tasso di crescita tra i Paesi dell'Europa occidentale. Nello stesso anno il tasso d'inflazione si era sensibilmente ridotto rispetto al 1983, pur essendo ancora nettamente al di sopra della media degli altri Paesi industrializzati. Le note allarmanti erano rappresentate dall'aumento della disoccupazione e dal forte indebitamento della bilancia dei pagamenti.
Tra le altre questioni che impegnarono seriamente l'azione del Governo vi furono la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, l'eliminazione dei poteri occulti e il risanamento delle istituzioni dello Stato. Su quest'ultimo fronte, ebbe particolare rilevanza la relazione presentata nel maggio 1984 da Tina Anselmi, presidente della Commissione parlamentare di indagine sulla loggia massonica P2, con cui vennero in parte chiarite le interferenze della loggia all'interno degli apparati statali (specialmente rispetto ai servizi segreti).
Nel corso dell'anno, nonostante la lotta armata apparisse in fase regressiva e nonostante le contromisure adottate dal Governo, si verificarono azioni eversive che confermarono il perdurare della pericolosità del fenomeno terroristico e la necessità di non abbassare la guardia: il 23 dicembre un attentato terroristico sul rapido Napoli-Milano, provocò 15 morti e 200 feriti. La battaglia contro la criminalità politica si caratterizzò, sul piano giudiziario, per il costante e rapido aumento dei dissociati e dei pentiti. Le sentenze si avvalsero spesso di ampi margini di discrezione offerti dalla legislazione attraverso l'applicazione di cospicue riduzioni di pena a coloro che collaboravano con la giustizia. Alcune decisioni della magistratura suscitarono però vaste discussioni ed aspri contrasti. In particolare destò scalpore la scarcerazione di Marco Barbone, reo confesso dell'assassinio del giornalista Walter Tobagi.

IL «SORPASSO»

Le elezioni europee del giugno 1984 registrarono una vittoria clamorosa del PCI, che per la prima volta superò la DC. La vittoria del PCI, ottenuta anche grazie al cosiddetto «effetto Berlinguer» (vale a dire all'ondata di emozione suscitata dall'improvvisa scomparsa del leader comunista l'11 giugno 1984, sostituito alla segreteria da Alessandro Natta), non sortì però alcuna conseguenza pratica. La compattezza della compagine pentapartitica non venne infatti intaccata dal «sorpasso» comunista.
Nel 1995 in politica estera Craxi, pur ribadendo risolutamente la scelta in favore dell'installazione degli euromissili e l'esigenza di una salda coesione all'interno dell'Alleanza Atlantica, si preoccupò di mantenere aperte tutte le possibilità di dialogo con l'Unione Sovietica e i Paesi socialisti (si incontrò con Gorbaciov a Mosca nel giugno 1985). Sul fronte interno, nel 1985, la lotta politica tornò improvvisamente ad accendersi in occasione di tre importanti scadenze politiche: le elezioni amministrative, il referendum popolare promosso dai comunisti e le elezioni presidenziali. Presentatosi alle elezioni amministrative (maggio 1985) in una condizione di estremo isolamento, il PCI subì una battuta d'arresto. L'elettorato espresse così l'esigenza di stabilità politica consolidando il pentapartito anche nelle amministrazioni locali. I comunisti andarono poi incontro, nel giugno successivo, ad una nuova sconfitta nel referendum promosso contro il decreto che, in seguito all'accordo tra forze sociali e Governo, operava il taglio della contingenza (febbraio 1984). I due insuccessi elettorali consecutivi aprirono un ampio dibattito all'interno del PCI sugli errori, i ritardi e le manchevolezze nell'azione del partito. Si allontanarono così improvvisamente le prospettive di un definitivo sorpasso comunista, e si ridimensionarono le aspirazioni del PCI a guidare il Paese, una prospettiva che sembrava realistica solo un anno prima.
In questo quadro politico il leader della DC, Ciriaco De Mita, alla scadenza del settennato di Pertini, rivendicò l'elezione di un democristiano alla presidenza della Repubblica, secondo la "logica dell'alternanza" di un laico e di un cattolico alla guida dello Stato. La richiesta di De Mita incontrò il favore delle forze politiche e venne così eletto alla presidenza della Repubblica Francesco Cossiga, che ottenne ben 752 voti fin dal primo scrutinio.
Un'immagine di Alessandro Natta

Un'immagine di Ciriaco De Mita

Un'immagine di Francesco Cossiga


LA STAFFETTA

L'azione del Governo Craxi fu spesso ostacolata dai conflitti interni alla maggioranza, tanto che il primo ministro nell'ottobre 1985 rassegnò le dimissioni per una crisi aperta dai repubblicani in relazione ai tragici avvenimenti del sequestro della motonave Achille Lauro (settembre 1985) ad opera di terroristi palestinesi. La crisi tuttavia finì col rientrare e Craxi, ritirate le dimissioni, proseguì il suo mandato.
Nell'aprile 1986 gli USA bombardarono obiettivi libici a Tripoli e Bengasi per punire il regime della Libia in quanto ispiratore di terrorismo internazionale. I libici per rappresaglia lanciarono due missili contro l'isola di Lampedusa (sede di una postazione d'avvistamento statunitense) senza colpire il bersaglio e nonostante l'atteggiamento di mediazione tenuto dall'Italia. Sul piano interno, l'anno si collocò ancora sotto il segno della continuità del Governo Craxi. Nonostante le frequenti liti fra i partner della maggioranza, i cinque partiti della coalizione finirono sempre per riconoscere il vantaggio della stabilità, rinviando a un futuro più o meno prossimo le rispettive esigenze di alternativa.
Benché il ruolo dell'opposizione tendesse a farsi sempre più evanescente, verso la fine dell'anno crebbe il tono della polemica. Le divergenti posizioni, specie della DC e del PSI, vennero momentaneamente conciliate grazie ad un accordo informale, il cosiddetto "patto di staffetta", per cui gli uni si impegnavano a lasciare il posto agli altri a un certo punto della legislatura. Non essendo stato rispettato il patto, il Governo cadde nel marzo 1987 e il presidente Cossiga indisse le elezioni politiche anticipate per giugno. L'esito del voto premiò la DC e soprattutto i socialisti che registravano un aumento complessivo del 3%, toccando il massimo storico. Una dura sconfitta subirono invece i comunisti che si attestavano ai livelli degli anni Sessanta, ma la vera novità della legislatura fu rappresentata dall'ingresso in Parlamento di una nuova formazione politica: i verdi, rappresentanti dei diversi movimenti ecologisti.
Dopo un momento di stagnazione determinato dalla rivendicazione della presidenza del Consiglio sia da parte della DC sia da parte del PSI, l'incarico di formare un nuovo Governo fu affidato al democristiano Giovanni Goria, che ribadì la validità del pentapartito formando un Governo in cui confluirono tutte le forze aderenti alla precedente coalizione. Fin dai primi passi il Governo Goria fu costretto ad affrontare gravi difficoltà, prima fra tutte la tremenda alluvione che colpì, nello stesso mese di luglio, la Valtellina. Nel frattempo cominciò a delinearsi la questione relativa all'invio di una flotta italiana nel Golfo Persico, dilaniato dalla guerra Iran-Iraq. Inizialmente contrario alla missione, Goria mutò progressivamente avviso, e, su pressione delle forze politiche della maggioranza, tutte propense a una presenza italiana nel Golfo, inviò (15 settembre) una piccola flotta, allo scopo di proteggere i mercantili e le petroliere italiane nelle acque internazionali. Durante il Governo Goria si svolsero numerosi referendum, tra cui alcuni che chiedevano il blocco delle iniziative di sviluppo delle centrali nucleari, destinati a condizionare l'evoluzione della politica energetica italiana.
Nell'aprile 1988, caduto il Governo Goria, Cossiga affidò l'incarico di formare un nuovo esecutivo a De Mita che, come i Governi precedenti, non riuscì ad affrontare uno dei problemi più urgenti, ossia la riforma delle istituzioni. Il Governo incontrò subito un grave problema, ossia la recrudescenza del terrorismo: il 16 aprile venne infatti assassinato dalle Brigate Rosse il senatore Roberto Ruffilli, stretto collaboratore di De Mita. Il criminale attentato avvenne a breve distanza dalla strage perpetrata in un circolo ricreativo per ufficiali statunitensi a Napoli.
Oltre al cambio della guardia al vertice dell'esecutivo, altri mutamenti si verificarono in seno ai partiti nella prima metà del 1988. Il segretario del PSDI Franco Nicolazzi, coinvolto nello scandalo delle "carceri d'oro", venne sostituito da Antonio Cariglia. Il 22 maggio morì a Roma Giorgio Almirante, che lasciò il partito diviso tra l'ala moderata, guidata dal neosegretario Gianfranco Fini, e quella intransigente di Pino Rauti. Il 13 giugno, colpito da un attacco cardiaco, si dimise il segretario del PCI Alessandro Natta, subito rimpiazzato (21 giugno) da Achille Occhetto, suo successore designato. Nei mesi seguenti l'immagine del Governo andò appannandosi, sotto il peso di polemiche e scandali ("lenzuola d'oro", Irpiniagate) che coinvolsero in varia misura l'esecutivo. Da un punto di vista politico, l'elemento più importante fu però costituito dal progressivo deterioramento dei rapporti tra De Mita e il suo stesso partito, all'interno del quale venne ora messo in discussione il doppio incarico del presidente del Consiglio, che contemporaneamente deteneva anche la carica di segretario della DC. De Mita perse a poco a poco il controllo della DC e la nuova maggioranza, facente capo ad Antonio Gava e a Andreotti, determinò l'elezione di Arnaldo Forlani alla segreteria (febbraio 1989). La perdita della segreteria da parte di De Mita comportò il progressivo indebolimento del Governo da lui presieduto; la crisi si aprì ufficialmente nel maggio.
Achille Occhetto


IL RITORNO DI ANDREOTTI

Nel luglio 1989 Andreotti, avuto l'incarico dal presidente Cossiga, formò un Governo sempre secondo la formula del pentapartito, di cui entrò a far parte Claudio Martelli (il delfino di Craxi) in qualità di vicepresidente del Consiglio, il quale, per fronteggiare il grave problema dell'immigrazione straniera, per lo più clandestina e proveniente dai Paesi poveri, fu l'artefice del decreto legge che da lui prese nome, riguardante la regolamentazione del fenomeno. Sul fronte dell'opposizione vi è da segnalare un'inedita iniziativa del PCI che, su proposta del segretario Achille Occhetto, costituì il cosiddetto "Governo ombra". Con tale organismo, ispirato al sistema democratico anglosassone, l'opposizione puntava a contrastare più da vicino l'azione del Governo, proponendo, punto per punto, delle alternative.
Di fondamentale importanza furono le elezioni amministrative del maggio 1990 che registrarono un clamoroso successo nel Nord delle leghe autonomiste, prima fra tutte la Lega Lombarda, portavoce del crescente malcontento della popolazione contro la partitocrazia e il malfunzionamento dello Stato. Una crisi politica interna di ampia portata venne provocata dalle conseguenze della guerra scoppiata nel Golfo Persico in seguito all'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein (agosto 1990) e alla successiva reazione armata statunitense, autorizzata dall'ONU nel 1991, a cui prese parte, benché in misura modesta, anche l'Italia. Sulla necessità dell'intervento armato per la liberazione del Kuwait, l'opinione pubblica nazionale si spaccò in due e altrettanto fece il mondo politico: fautori del diritto internazionale da una parte, pacifisti, mondo cattolico, papa e antimperialisti dall'altra.
Nel mese di ottobre, in un ex covo milanese delle Brigate Rosse, vennero ritrovati numerosi scritti e missive redatti da Aldo Moro. Dubbi e sospetti vennero avanzati da più parti sull'autenticità dei documenti ritrovati che contribuirono tuttavia a rendere più acceso il dibattito tra i partiti. In ottobre esplose anche il caso Gladio, un'organizzazione clandestina volta a contrastare anche militarmente il comunismo internazionale, che suscitò polemiche per i sospetti di essere stata un illegale strumento di trame eversive di destra. Gli inquietanti interrogativi e le aspre polemiche che ne conseguirono, finirono per investire lo stesso presidente Cossiga.
Il 1991 si aprì con un avvenimento politico di grande rilevanza: il segretario del PCI Occhetto nel corso del congresso del suo partito (gennaio-febbraio 1991), in considerazione della disgregazione del mondo sovietico e del fallimento del comunismo nell'Est europeo, decise di sciogliere il PCI e di dar vita a una nuova formazione, denominata Partito Democratico della Sinistra (PDS). Le forze comuniste che non si riconobbero nel nuovo partito fondarono il Partito della Rifondazione Comunista, guidato da Armando Cossutta, Sergio Garavini e Lucio Libertini (10 febbraio). Nell'aprile 1991 si formò il settimo Governo Andreotti, quadripartito dal momento che i repubblicani, in seguito a contrasti nati per le nomine dei ministri, si collocarono all'opposizione. Un ruolo sempre più da protagonista nella vita politica italiana stava assumendo il presidente della Repubblica Cossiga che si fece sempre più deciso ed esplicito fautore di riforme istituzionali in senso presidenzialista. I continui appelli del presidente finirono per creare una nuova spaccatura nel mondo politico italiano: Cossiga, detto allora il "picconatore", ebbe l'appoggio di PSI, MSI e PLI e delle leghe, creò imbarazzi e opposizione nella DC, indusse PDS, Rifondazione, Rete e Pannella a chiederne formalmente l'impeachment. In agosto i numerosi sbarchi sulle coste pugliesi di migliaia di profughi albanesi crearono una situazione di emergenza a cui si fece fronte da un lato con il rimpatrio forzato, dall'altro con l'incremento degli aiuti economici all'Albania.
Un evento politico assai significativo fu l'affermazione nelle elezioni amministrative di Brescia (novembre 1991) della Lega Nord di Umberto Bossi, che divenne il primo partito della città.
Giulio Andreotti

IL TRAMONTO DELLA PRIMA REPUBBLICA

La situazione politica si fece tesa nel febbraio 1992, quando, in seguito all'arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, colto in flagrante mentre intascava una tangente, ebbe inizio l'inchiesta Mani pulite, condotta dal sostituto procuratore Antonio Di Pietro e da altri magistrati della Procura di Milano (per un approfondimento vedi il paragrafo successivo: Tangentopoli). Lo scandalo di Tangentopoli, così chiamato perché partito da una serie di inchieste che stabilirono che ogni aspetto della vita e dell'economia pubblica era governato da un sistema di corruzione e tangenti, si estese a tutta l'Italia, coinvolgendo gli uomini dei partiti di Governo (tra i quali lo stesso Craxi) e anche il PCI-PDS. Lo scandalo e le misure economiche sempre più pesanti e impopolari, presi per sanare anni di gestione "allegra" delle finanze determinarono da una parte la richiesta sempre più forte di riforme politiche e dall'altra il rivolgersi da parte dell'elettorato a partiti non tradizionali, come la Lega Nord, che, nata agli inizi degli anni Ottanta, nelle elezioni politiche del 5-6 aprile ottenne un grande successo, così come Rifondazione Comunista e La Rete di Leoluca Orlando. Di contro, DC, PSI, PSDI, PRI e PLI che avevano molti esponenti inquisiti, conobbero un crescente sfaldamento interno.
Gli effetti del terremoto del 5 aprile ebbero ripercussioni anche sulla costituzione del nuovo Parlamento, in cui apparve subito evidente un sensibile ricambio della classe dirigente: personaggi politici da tempo sulla breccia vennero sostituiti da volti nuovi, spesso non provenienti dalla politica professionista.
Il 25 aprile il presidente Cossiga rassegnò le dimissioni da capo dello Stato. Il 23 maggio Giovanni Falcone, direttore della sezione Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia, venne ucciso in un attentato sull'autostrada nei pressi di Capaci, in seguito all'esplosione di cento chili di tritolo. Il giorno seguente, in un clima teso e incandescente, il Parlamento elesse alla presidenza della Repubblica il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, esponente gradito a un vasto schieramento di forze politiche e aperto avversario dei progetti presidenzialisti di Cossiga. Il 19 giugno Scalfaro incaricò il socialista Giuliano Amato di formare il nuovo Governo. Il presidente del Consiglio presentò un esecutivo basato su un quadripartito costituito da DC, PSI, PSDI e PLI, ma con un aspetto decisamente rinnovato sia per il numero quasi dimezzato dei ministri e dei viceministri che lo componevano, sia per la presenza di "tecnici" e di esponenti assolutamente nuovi all'incarico ministeriale.
Amato condusse una politica di risanamento della disastrata economia italiana fatta di tagli e di nuove imposte che portò altresì alla privatizzazione dei grandi enti a partecipazione statale (IRI, ENI, ENEL e INA). Durante il Governo Amato venne anche ratificato il trattato di Maastricht volto ad accelerare l'unificazione europea.
Un altro grave problema che il Governo dovette affrontare fu quello della lotta contro Cosa Nostra (di cui erano stati scoperti legami col potere politico), responsabile, oltre che dell'attentato che costò la vita a Falcone, dell'omicidio dell'europarlamentare democristiano Salvo Lima (12 marzo 1992), già sindaco di Palermo e maggiore esponente in Sicilia della corrente andreottiana, per anni sospettato di collusione con la mafia, e dell'assassinio del magistrato Paolo Borsellino, candidato alla guida della superprocura, che venne ucciso da un'autobomba esplosa in via D'Amelio a Palermo (19 luglio 1992).
Giuliano Amato


TANGENTOPOLI

La velocità con cui si attuò il processo di disgregazione del sistema politico legato alla prima Repubblica non sarebbe comprensibile senza prendere in considerazione uno dei fattori trascinanti di questa rivoluzione istituzionale: la vicenda di Tangentopoli.
L'instabilità della situazione politica e l'indebolimento delle forze di potere tradizionali permisero un rafforzamento del potere giudiziario che si tradusse in una maggiore libertà d'azione della magistratura; la celerità e l'alacrità dell'operato dei giudici, senza precedenti rispetto al passato, portò alla perquisizione delle sedi dei partiti e a moltissime richieste di autorizzazione a procedere contro deputati e senatori. Le indagini giudiziarie partite da Milano dilagarono come un fiume in piena su tutto il territorio nazionale e da ogni inchiesta ne sorsero infinite altre. Si indagò con pazienza e perseveranza su tutti i settori possibili e soprattutto sui grandi affari politico-economici dell'ultimo decennio.
Tutto ebbe inizio a Milano il 17 febbraio 1992 con l'arresto del presidente del Pio Albergo Trivulzio, il socialista Mario Chiesa, colto in flagrante mentre intascava una tangente di 7 milioni richiesta a una piccola impresa di pulizie per un appalto. L'inchiesta che ne derivò, definita dal sostituto procuratore della Repubblica Antonio Di Pietro con il nome di Mani pulite, svelò all'opinione pubblica la degenerazione di un sistema basato su una classe politica corrotta che, avvalendosi della complicità di imprenditori disposti a pagare tangenti per accaparrarsi gli appalti delle opere pubbliche, aveva frodato indisturbata per anni i soldi dei contribuenti. Le deposizioni di alcuni esponenti di primo piano dell'industria e della finanza italiana, tra cui i presidenti dell'IRI e dell'ENI e di alcuni dirigenti del gruppo FIAT, fecero sì che nello spazio di alcuni mesi numerosi parlamentari fossero sottoposti a indagini giudiziarie; tra questi spiccavano i nomi di personaggi di rilievo, funzionari e segretari di partito, deputati e ministri.
Le indagini, infatti, portarono alla luce la fitta trama di finanziamenti illeciti che garantivano il sostentamento di quasi tutti i partiti politici italiani, in particolare di PSI e DC, ma anche di altri partiti della maggioranza di Governo (PRI, PLI, PSDI) e dell'opposizione (PCI-PDS). Tutti i segretari dei partiti di maggioranza Craxi, Forlani, La Malfa, Altissimo, Cariglia vennero coinvolti in prima persona nell'inchiesta e si dimisero dal loro incarico.
Particolarmente grave fu la posizione di Bettino Craxi, carismatico leader del Partito Socialista Italiano, che venne investito da una pioggia di avvisi di garanzia per corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento ai partiti. Craxi si difese inizialmente affermando di non essere a conoscenza dei metodi di finanziamento del suo partito, quindi, una volta dimostratasi insostenibile questa tesi, reagì con un attacco a tutto campo contro gli altri partiti - e in particolare contro il PDS -, colpevoli quanto il suo di essersi sostentati in maniera illecita. Costretto alle dimissioni (11 febbraio 1993), Craxi venne sostituito prima da Giorgio Benvenuto, quindi da Ottaviano Del Turco, senza che si riuscisse in alcun modo a fermare l'emorragia di voti dal PSI. Nell'aprile del 1993 la Camera dei deputati negò quattro delle sei autorizzazioni a procedere contro Craxi, provocando nell'opinione pubblica un'ondata di risentimento che si sarebbe ripercossa anche sul neonato Governo Ciampi, determinando le dimissioni di quattro ministri.
L'inchiesta Mani pulite proseguiva intanto a ritmo incalzante e i filoni di indagine si contavano ormai a decine: si andava dalle tangenti Anas all'inchiesta sulla ricostruzione dopo il terremoto dell'Irpinia (Irpiniagate), che travolse Ciriaco De Mita, costretto a dimettersi dalla presidenza della Democrazia Cristiana, incarico nel quale venne sostituito da Rosa Russo Jervolino; dalla gestione dei fondi destinati alla cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, per cui vennero indagati Craxi e De Michelis, agli appalti per la costruzione della metropolitana di Milano e poi di quella di Roma, che vide coinvolti i vertici della maggiore industria italiana, la FIAT. Nell'ambito di quest'ultimo filone di indagine vennero arrestati Paolo Mattioli, ex presidente della Cogefar Impresit, società edilizia del gruppo FIAT, e Antonio Mosconi amministratore della Toro Assicurazioni, appartenente anch'essa al gruppo FIAT.
A Napoli, la procura indagò sul "voto di scambio", cioè sulla prassi illecita ma consolidata di scambiare favori, raccomandazioni o promesse di assunzione con il voto: un vero e proprio commercio elettorale, a rispondere del quale furono chiamati, tra gli altri, il liberale Francesco De Lorenzo - all'epoca ministro della Sanità -, il socialista Giulio Di Donato e il democristiano Alfredo Vito. De Lorenzo venne in seguito coinvolto anche nello scandalo delle tangenti pagate dalle aziende farmaceutiche per assicurarsi l'ingresso di alcuni loro prodotti nel prontuario e per aumentare i prezzi di vendita al pubblico. Nel settembre 1993 la Camera concesse l'autorizzazione a procedere nei confronti di De Lorenzo, ma negò l'autorizzazione all'arresto, provocando ancora una volta violente proteste nell'opinione pubblica. De Lorenzo sarebbe stato arrestato nel maggio 1994, una volta abolita la necessità della preventiva autorizzazione parlamentare. Nell'ambito di questo filone di inchiesta venne poi arrestato anche Duilio Poggiolini, ex direttore del Servizio farmaceutico nazionale, che, grazie alle sue attività illecite, aveva accumulato un vero e proprio "tesoro" fatto di conti correnti miliardari, opere d'arte, lingotti d'oro e gioielli.
Una delle indagini più complesse, e dalle conseguenze più drammatiche, fu quella legata alla vicenda Enimont, cioè all'inchiesta sulle illecite procedure di cessione della quota Montedison all'ENI e alla maxi-tangente (circa 150 miliardi) pagata ai partiti dai Ferruzzi al momento della rottura tra ENI e Montedison. Ben due suicidi, avvenuti a distanza di tre giorni l'uno dall'altro, insanguinarono questa inchiesta: il 20 luglio 1993 si tolse la vita nella sua cella del carcere milanese Gabriele Cagliari, ex presidente dell'ENI; tre giorni dopo a uccidersi con un colpo di pistola fu Raul Gardini, ex leader del gruppo Ferruzzi e personalità di spicco del panorama industriale italiano.
L'ex magistrato Antonio Di Pietro


IL GOVERNO CIAMPI

Ad avvelenare ulteriormente il già difficile clima politico contribuì anche la scoperta di oscure collusioni tra criminalità organizzata e potere politico: il pentito Pasquale Galasso accusò i democristiani Antonio Gava e Paolo Cirino Pomicino di collusioni con la camorra, mentre altri pentiti di mafia, tra cui Tommaso Buscetta e Francesco Marino Mannoia, parlarono di un legame esistente tra le cosche e Giulio Andreotti, senatore a vita e grande rappresentante della vita politica italiana del dopoguerra. Andreotti venne addirittura accusato di aver personalmente caldeggiato gli omicidi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e del giornalista Mino Pecorelli, eliminati perché sul punto di rivelare i mandanti politici del sequestro Moro e i legami tra mafia e DC siciliana (il senatore verrà prosciolto da tutti i capi d'accusa nel 1999). Sul fronte della guerra alla mafia, importanti successi si registrarono il 15 gennaio 1993 con la cattura del latitante Salvatore Riina, considerato il numero uno di Cosa Nostra, e il 18 maggio con l'arresto di Nitto Santapaola, latitante da undici anni ed esponente di spicco della cupola mafiosa.
Il 18 aprile 1993 i cittadini italiani furono chiamati alle urne per rispondere a otto referendum. I risultati misero in luce la volontà del Paese di pervenire a riforme istituzionali incisive: gli Italiani si espressero a larghissima maggioranza a favore del sistema maggioritario per l'elezione del Senato (in sostituzione del proporzionale), per l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, per la sottrazione dei controlli ambientali alle USSL, per la soppressione dei Ministeri dell'Agricoltura, del Turismo e delle Partecipazioni statali.
La situazione politica fu tuttavia resa incandescente da una serie di attentati compiuti a Roma, in via Fauro (14 maggio), a Firenze, in via dei Georgofili (27 maggio), a Milano e ancora a Roma (27 luglio), che provocarono vittime e danni al patrimonio artistico e fecero temere una riedizione della "strategia della tensione" fomentata da poteri occulti.
In tale clima si insediò il nuovo Governo presieduto dal governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi (12 maggio), il primo presidente del Consiglio della storia della Repubblica non facente parte del Parlamento. Ciampi venne scelto non solo perché personaggio del tutto estraneo al sistema dei partiti, ma soprattutto per le qualità professionali dimostrate nel corso della sua pluridecennale attività presso la Banca d'Italia. Il nostro Paese, infatti, per poter uscire dalla crisi in cui si trovava, aveva l'immediata necessità di acquisire nuova credibilità politica ed economica all'estero e l'indubbia esperienza di Ciampi in ambito finanziario, da sempre riconosciuta a livello internazionale, forniva in questo senso una garanzia. Inoltre, il fatto che la guida del Governo fosse assunta da un uomo sempre vissuto ai margini della vita politica apparve come un tentativo di interpretare la volontà popolare espressa attraverso il voto del 18 aprile, che chiedeva la progressiva diminuzione del ruolo preponderante esercitato dai partiti nella vita politica nazionale.
Nel comporre la sua squadra ministeriale, il neopresidente seguì fondamentalmente il criterio della valutazione personale, dei meriti e delle effettive competenze. I nomi dei ministri furono comunque scelti tra esponenti delle diverse aree politiche, onde poter assicurare una rappresentatività democratica, necessaria per ottenere un valido rapporto operativo con il Parlamento. Il cinquantunesimo Governo della Repubblica si presentò quindi con un volto nuovo: in linea con quanto precedentemente dichiarato, Ciampi optò per numerosi tecnici e per diversi rappresentanti dei partiti d'opposizione (PDS e verdi). La stabilità del nuovo esecutivo fu messa a repentaglio il 29 aprile, in seguito al discusso pronunciamento sul "caso Craxi" da parte della Camera, che negò quattro delle sei autorizzazioni a procedere richieste dalla magistratura contro il segretario socialista. Il voto provocò l'indignazione dell'opinione pubblica e degli stessi magistrati, rendendo la situazione politica italiana esplosiva. Immediate giunsero le reazioni dei neodesignati ministri di sinistra, Visco, Barbera, Berlinguer e Rutelli, che presentarono le dimissioni. In questa occasione Ciampi ribadì con fermezza e chiarezza il proprio impegno, dichiarando la più completa estraneità del Governo appena costituito alla votazione della Camera dei deputati sulle richieste di autorizzazione a procedere contro Craxi. La crisi fu superata grazie a un immediato rimpasto e alla sostituzione dei quattro ministri dimissionari. Il Governo Ciampi fu un esecutivo di transizione, che si prefisse come obiettivi primari il risanamento finanziario e il varo di una nuova legge elettorale.
Nei mesi di giugno e novembre si svolsero in molti comuni italiani, tra cui Milano e Roma, le elezioni amministrative, le prime caratterizzate dalla votazione diretta del sindaco e dall'applicazione di un sistema elettorale maggioritario, da cui emerse l'immagine di un'Italia nettamente divisa in tre: un Nord decisamente leghista, un Centro saldamente in mano alla sinistra, un Sud incerto e proiettato verso La Rete. A Milano venne eletto il candidato leghista Marco Formentini che ebbe la meglio sul candidato della sinistra Nando Dalla Chiesa; a Roma Francesco Rutelli, appoggiato dalla sinistra, vinse su Gianfranco Fini; a Napoli il pidiessino Antonio Bassolino sconfisse la missina Alessandra Mussolini; a Venezia il filosofo Massimo Cacciari, sostenuto dalla sinistra, ebbe la meglio sul leghista Aldo Mariconda; a Palermo Leoluca Orlando ottenne un'affermazione quasi plebiscitaria (72,5% dei consensi).
Francesco Rutelli

Massimo Cacciari

Nell'agosto 1993 il Governo Ciampi introdusse anche per la Camera il sistema maggioritario, mentre in ambito economico proseguì sulla linea delle privatizzazioni. Una volta esaurito il suo compito, Ciampi si dimise (13 gennaio 1994) e Scalfaro procedette allo scioglimento delle Camere (16 gennaio), indicendo le elezioni per il 27-28 marzo.

DALLA PRIMA ALLA SECONDA REPUBBLICA

Il 18 gennaio 1994, dalle ceneri della DC, nacque il Partito Popolare guidato da Mino Martinazzoli. L'ala più moderata, in disaccordo con la linea politica della segretaria, diede vita al Centro Cristiano Democratico (CCD). La novità di maggiore portata fu però la costituzione di Forza Italia, un movimento politico di centro-destra nato per iniziativa dell'imprenditore milanese Silvio Berlusconi, che nella campagna elettorale riuscì ad aggregare Alleanza Nazionale (nuova formazione politica della destra di cui era presidente Gianfranco Fini), la Lega Lombarda di Bossi, il CCD, i sostenitori di Marco Pannella, spezzoni socialisti e liberali, che diedero vita alla coalizione detta Polo delle Libertà. Dal canto loro PDS, Rete, verdi, Alleanza Democratica, Cristiano-Sociali e Rifondazione Comunista si unirono sotto il segno dei Progressisti.
Le elezioni politiche del 27-28 marzo 1994, le prime ad essere svolte col nuovo sistema misto (maggioritario per il 75% e proporzionale per il restante 25%), segnarono una svolta a destra nel Paese con la vittoria del Polo. Scalfaro affidò a Berlusconi l'incarico di formare il nuovo esecutivo. Dopo gli iniziali contrasti tra Berlusconi e Bossi che rivendicava come condizioni essenziali per il nuovo esecutivo l'impegno di affrontare la questione del federalismo, il nuovo Governo si insediò nel maggio. Le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo (12-13 giugno), confermarono la supremazia dei partiti di centro-destra. La seconda sconfitta consecutiva della sinistra indusse Occhetto ad abbandonare la segreteria del PDS (13 giugno), sostituito alla guida del PDS da Massimo D'Alema (1° luglio).
Il primo atto del Governo Berlusconi fu il varo di una manovra economica che incise pesantemente in particolare sui settori della sanità e della previdenza, suscitando dure reazioni da parte delle forze di opposizione e dei sindacati, con conseguenti scioperi di protesta. Nonostante opinioni contrastanti anche all'interno della stessa maggioranza, la legge finanziaria venne approvata definitivamente dal Parlamento nell'autunno: i provvedimenti venivano infatti giudicati indispensabili, imposti dallo stato disastroso della finanza pubblica.
Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi

Nel luglio il ministro della Giustizia Alfredo Biondi presentò un decreto, subito tramutato in decreto legge dal Governo, che si configurò come una sorta di "soluzione politica" per uscire da Tangentopoli. Il provvedimento prevedeva tra l'altro la segretezza degli avvisi di garanzia e forti limitazioni all'istituto della custodia cautelare, che venne esclusa per i reati connessi a molte delle inchieste del pool Mani pulite. Immediata e molto dura fu la reazione sia della magistratura (Di Pietro e i suoi colleghi chiesero di essere trasferiti ad altro incarico) sia dell'opinione pubblica, che inscenò manifestazioni di sostegno al pool e di critica al Governo. Anche da parte dello schieramento politico si levò un'aperta ostilità nei confronti del provvedimento, non soltanto dalle opposizioni, ma anche dall'interno stesso della maggioranza: la Lega Nord contestò duramente il decreto, e anche Fini considerava l'arresto necessario per i reati connessi a Tangentopoli. Si trattò di un evidente "scivolone" del giovane Governo Berlusconi, che si trovò costretto a fare marcia indietro e a sostituire il decreto con un disegno di legge che accogliesse molte delle richieste degli oppositori.
In seguito all'aggravarsi di contrasti interni alla maggioranza, in particolare tra Lega e Forza Italia, e in seguito all'invio di un avviso di garanzia notificato dai magistrati di Mani pulite nei confronti del leader di Forza Italia (21 novembre), alla fine del 1994 Berlusconi si dimise dalla carica di presidente del Consiglio (22 dicembre). La situazione di incertezza politica, che ebbe gravi ripercussioni sia a livello economico, sia a livello finanziario, fu resa incandescente dalle accuse di tradimento che vennero rivolte alla Lega dai suoi ex alleati.
Da questo momento in poi la Lega di Bossi, vedendo allontanarsi la possibilità di un'attuazione in tempi brevi del federalismo, si arroccò su posizioni estremiste, intraprendendo con ostinazione la lotta per la secessione del Nord. In tale ottica, il 28 maggio 1995 la Lega istituì il Parlamento della Repubblica del Nord, con sede a Mantova, con il compito di controllare l'attività del Parlamento italiano; il 15 settembre 1996 Bossi lesse a Venezia la Dichiarazione d'indipendenza della Padania. La situazione si fece tesa in seguito all'arresto di un commando composto da otto uomini che il 9 maggio 1997 occuparono il campanile di piazza San Marco a Venezia, da dove fecero sventolare il vessillo della "Veneta Serenissima Repubblica". Gli uomini erano in possesso anche di un mezzo blindato e di un mitra. Il processo si concluse il 9 luglio con la condanna per tutti i componenti del commando con pene variabili da 4 a 6 anni di detenzione.
Un'immagine del leader leghista Umberto Bossi

Carlo Azeglio Ciampi

IL GOVERNO DINI

Nel gennaio 1995, mentre il leader del Movimento Sociale Gianfranco Fini scioglieva ufficialmente il partito per ricostituirlo con il nome di Alleanza Nazionale, il presidente Scalfaro conferì a Lamberto Dini, ministro del Tesoro nel precedente Governo Berlusconi, l'incarico di costituire un nuovo esecutivo. Dini si propose di guidare un Governo di tregua che affrontasse i problemi più urgenti, primo tra tutti quello economico, e portasse poi nuovamente gli Italiani alle urne. A tale scopo preparò una lista di ministri del tutto svincolati dalla politica, scelti unicamente sulla base della loro competenza tecnica nei diversi settori. Sostenuto da PDS, PPI e Lega, il Governo ottenne la fiducia di stretta misura, non sufficiente per sedare le accese polemiche che alimentavano lo scontro politico e che provocarono nuovi e pesanti contraccolpi a livello economico: i primi segnali positivi di una ripresa economica faticosamente avviata furono annullati da una crisi valutaria senza precedenti, alimentata in parte anche da una forte speculazione.
Il primo atto del Governo si tradusse in una manovra finanziaria aggiuntiva, resa urgente dalla grave crisi economica e dall'aumento progressivo del debito pubblico; ad essa fece seguito il decreto legge che prevedeva una precisa normativa sull'informazione (la cosiddetta par condicio) durante il periodo di campagna elettorale.
Nella primavera 1995 (22 aprile) si effettuarono le elezioni amministrative regionali, che assunsero un particolare rilievo politico soprattutto per l'inattesa vittoria dei partiti di centro-sinistra (tra i quali, oltre a PDS, verdi, Democratici di Segni, figuravano anche i Popolari di Gerardo Bianco, nati da un'ennesima scissione del Partito Popolare). Dopo un periodo di polemiche e di scontri politici, Dini rimise il mandato nelle mani del capo dello Stato (30 dicembre); rinviato alle Camere, si dimise una seconda volta (11 gennaio 1996). Verificata l'impossibilità di formare un nuovo Governo, Scalfaro sciolse le Camere (16 febbraio) e indisse elezioni politiche anticipate per il 21 aprile.
Il presidente del Consiglio Lamberto Dini


L'ERA DELL'ULIVO

Il 1995 segnò l'ingresso nella politica italiana di Romano Prodi, per sette anni a capo dell'IRI, autocandidatosi premier di una vasta aggregazione di centro-sinistra in aperto antagonismo alla leadership di Berlusconi nel polo di centro-destra. L'autocandidatura di Prodi venne subito accolta dal PDS, che riconobbe in Prodi il candidato premier della nascente coalizione democratica, denominata Ulivo, nel quale fu designato vicepremier il pidiessino Walter Veltroni, direttore dell'"Unità". Il nuovo movimento, rappresentato dall'albero di ulivo dalle salde radici e dai molti frutti, avrebbe dovuto costituire, negli intenti di Prodi, un'ampia aggregazione unitaria di centro-sinistra in cui il PDS si affiancasse alla componente cristiano-sociale su un piano di parità.
Le elezioni politiche del 21 aprile 1996, nelle quali solo la Lega Nord decise di non stringere alcun patto elettorale, presentandosi da sola alle urne, registrarono la vittoria dell'Ulivo, a cui avevano aderito PDS, PPI, Rinnovamento Italiano (il nuovo partito fondato da Dini), Unione Democratica (una formazione di centro guidata da Antonio Maccanico) e Verdi. Il 17 maggio Prodi presentò il nuovo Governo, formato, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, anche da esponenti di sinistra (ex comunisti). Il leader dell'Ulivo pose come obiettivi principali del proprio programma di Governo il risanamento dei conti pubblici (al fine di mantenere gli impegni assunti a Maastricht con gli altri partner europei), la creazione di una legge antitrust e la lotta alla disoccupazione (che in Italia registrava uno dei tassi più alti d'Europa). In vista del primo obiettivo, il Governo varò una manovra finanziaria che suscitò vivaci proteste da parte degli imprenditori e del centro-destra che il 9 novembre indisse una manifestazione a Roma. Nonostante ciò la finanziaria venne approvata il 22 dicembre; essa prevedeva, tra l'altro, la cosiddetta Eurotassa, ovvero una sovrattassa una tantum (rimborsata poi per il 60% nel 1998, durante il Governo D'Alema), necessaria, secondo il Governo, per garantire il rispetto da parte dell'Italia dei parametri stabiliti a Maastricht per l'adesione all'unione monetaria europea.
Prodi si impegnò anche sul fronte delle riforme costituzionali con l'istituzione (22 gennaio 1997) della Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali, presieduta dal segretario del PDS Massimo D'Alema (5 febbraio). La Commissione, composta da 35 deputati e 35 senatori, si sarebbe dovuta occupare della revisione della seconda parte della Costituzione, riguardante l'ordinamento dello Stato, senza modificare la prima parte relativa ai principi fondamentali e ai diritti e doveri dei cittadini. Dopo mesi di lavoro, il progetto si arenò in Parlamento nel maggio 1998, lasciando irrisolte alcune importanti questioni istituzionali e politiche, quali la riforma in senso federalista dell'ordinamento regionale e il problema dei rapporti tra gli organi della giustizia e della politica. Quest'ultima questione risultò ancora più delicata dopo la condanna in primo grado del leader di Forza Italia, per reati finanziari avvenuti prima del suo ingresso in politica.
Ai problemi della finanziaria e della Bicamerale, si aggiunse il grave problema dell'immigrazione clandestina dall'Albania, dilaniata dalla guerra civile. Per farvi fronte il Governo decise di instaurare un blocco navale, approntando altresì centri di soccorso in Puglia e nell'Italia centrale e adibendo la Marina nel pattugliamento dell'Adriatico per evitare lo sbarco di altre imbarcazioni di profughi. La collisione (28 marzo) nel canale di Otranto tra una corvetta della Marina italiana e una nave militare albanese carica di profughi, per la quale morirono 89 persone, provocò l'aspra reazione di Rifondazione e Verdi che attaccarono il ministro della Difesa Beniamino Andreatta, accusato di aver indirettamente causato la tragedia del canale di Otranto per aver deciso l'instaurazione del blocco navale.
L'ex premier della coalizione dell'Ulivo Romano Prodi


LA CRISI DI OTTOBRE

Le elezioni amministrative dell'aprile-maggio 1997 registrarono un sostanziale pareggio tra Polo e Ulivo, mentre la Lega subì una netta flessione (il sindaco uscente di Milano Formentini fu escluso addirittura dal ballottaggio).
Il 26 settembre, mentre i giudici della Corte d'Assise di Caltanissetta inflissero 24 ergastoli nei confronti di altrettanti imputati accusati di essere i mandanti della strage di Capaci (tra i condannati al carcere a vita vi era anche Salvatore Riina, mentre Giovanni Brusca, l'esecutore materiale del delitto, venne condannato a 26 anni di carcere), due forti scosse di terremoto colpirono l'Italia centrale, soprattutto Marche e Umbria, provocando la morte di 11 persone e costringendo migliaia di altre a lasciare le proprie abitazioni per essere alloggiate in roulotte e in tende messe a disposizione dalla Protezione Civile. Ingenti furono anche i danni al patrimonio artistico: il crollo di una parte della volta della basilica di San Francesco ad Assisi provocò la distruzione di alcuni affreschi di Cimabue e la rovina di alcune opere di Giotto; gravi danni subirono anche il duomo di Foligno e quelli di Orvieto e di Urbino.
Nel mese di ottobre il Governo Prodi dovette far fronte a una grave crisi politica innescata da Rifondazione Comunista, da cui il Governo dipendeva per avere la maggioranza alla Camera. Il partito di Fausto Bertinotti decise infatti di votare contro la finanziaria per il 1998, che prevedeva tagli alle pensioni e ai sussidi sociali e la riforma del sistema previdenziale, provocando di conseguenza la caduta del Governo Prodi (9 ottobre). D'altro canto, il forte impatto della crisi sull'opinione pubblica determinò il proseguimento delle trattative tra Prodi e Bertinotti che il 14 ottobre sottoscrissero un patto programmatico di Governo per un anno, ponendo fine alla crisi: in cambio del sostegno alla finanziaria, il Governo Prodi si impegnava a presentare un disegno di legge che prevedesse la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore settimanali a partire dal 1° gennaio 2001 e promise di non toccare le pensioni di anzianità di operai e lavoratori equivalenti. Superata la crisi di ottobre, il cammino del Governo proseguì con maggiore serenità. Tra i provvedimenti di maggiore importanza presi dal Governo vi fu la legge di riforma dell'esame di maturità, approntato dal ministro dell'Istruzione Luigi Berlinguer, che venne definitivamente approvato dal Senato il 30 novembre. Le nuove regole sarebbero diventate effettive in modo graduale a partire dal giugno 1998. Molte proteste suscitò invece la proposta, avanzata dalle forze centriste dell'Ulivo, di stanziare fondi pubblici alle scuole private.
Nelle elezioni amministrative di novembre, la coalizione dell'Ulivo riportò ottimi risultati, ottenendo il Governo delle 9 delle 10 maggiori città italiane (esclusa la sola Milano). Oltre ad Antonio Bassolino, Francesco Rutelli e Massimo Cacciari, rispettivamente sindaci di Napoli, Roma e Venezia, a Palermo e a Catania vennero riconfermati gli ulivisti Leoluca Orlando ed Ezio Bianco. Queste elezioni furono precedute dalle elezioni suppletive nel collegio del Mugello, in Toscana, per il seggio del Senato lasciato libero dal pidiessino Pino Arlacchi, nominato vice segretario generale dell'ONU, nelle quali ebbe la meglio l'ex pm di Mani pulite Antonio Di Pietro, candidato dell'Ulivo, che sconfisse Giuliano Ferrara, presentatosi per il Polo, e Alessandro Curzi, ex direttore del TG3, candidato di Rifondazione.

DA PRODI A D'ALEMA

Il 1998 fu un anno impegnativo per l'Italia, caratterizzato da traguardi raggiunti e da svolte eclatanti.
Il 19 febbraio il Parlamento approvò in via definitiva la legge sull'immigrazione volta a regolare il flusso d'ingresso e la condizione giuridica degli stranieri presenti nel Paese, benché la sua attuazione risultasse comunque difficile a causa dei continui sbarchi di clandestini sulle coste meridionali. Il testo prevedeva espulsioni più rapide per i clandestini e maggiori diritti per i regolari. Nel marzo venne inoltre varato il decreto di liberalizzazione del commercio, che prevedeva tra l'altro la possibilità di avviare esercizi commerciali anche senza licenze.
Nel maggio il Governo Prodi raggiunse l'obiettivo primario che si era prefissato, cioè il rispetto dei parametri economici fissati dal trattato di Maastricht, cosicché l'Italia venne ammessa nel primo gruppo di Paesi che avrebbero fatto parte dell'unione economica e monetaria europea (1° maggio). Oltrepassato questo traguardo che fungeva da collante interno alla coalizione ulivista, le acque della politica iniziarono ad agitarsi. Finita a giugno con un nulla di fatto la Commissione Bicamerale per la revisione della Costituzione, tutti gli sforzi si concentrarono sulla finanziaria per il 1999. Fu nuovamente Bertinotti ad opporsi a una manovra finanziaria (e a un Governo) dal suo punto di vista scarsamente orientata sul fronte del rilancio dell'occupazione e ad aprire ufficialmente una crisi di Governo che avrebbe portato all'affondamento dell'Ulivo e alle dimissioni di Prodi (9 ottobre). Per far fronte alla crisi, scartata l'ipotesi di elezioni anticipate, caldeggiate dal Polo, esclusa l'idea di un Governo istituzionale guidato da un tecnico super partes come Carlo Azeglio Ciampi, al presidente Scalfaro sembrò opportuno investire Massimo D'Alema, leader dei DS, del compiuto di formare il nuovo Governo (21 ottobre).
Il primo ministro Massimo D'Alema


IL GOVERNO D'ALEMA

Il Governo D'Alema, sostenuto da una maggioranza di centro-sinistra che comprendeva, tra gli altri, i Comunisti Italiani di Cossutta (fuoriusciti da Rifondazione Comunista in occasione della crisi del Governo Prodi i quali nel nuovo Governo ottennero il ministero della Giustizia, affidato a Oliviero Diliberto) e l'Unione Democratica della Repubblica (UDR) di Cossiga. Il nuovo esecutivo dovette affrontare una prima emergenza in campo internazionale già nel novembre, quando scoppiò il "caso Ocalan" che monopolizzò il dibattito parlamentare interno e mise a dura prova la tenuta del Governo e la sua credibilità sul piano internazionale. Atterrato a Roma (12 novembre), Ocalan, ricercato per terrorismo, venne arrestato, ma l'Italia si rifiutò di concedere l'estradizione alla Turchia dove vige la pena di morte. La crisi tra Italia e Turchia si attenuò in parte dopo la partenza di Ocalan da Roma (16 gennaio 1999).
Oltre al caso Ocalan, diverse furono le urgenze affrontate nell'ultimo mese dell'anno dal Governo D'Alema, tra cui l'approvazione della finanziaria (20 dicembre), varata da Prodi e poi ritoccata dal nuovo premier dopo il passaggio delle consegne, e la sottoscrizione del patto sociale con imprenditori e sindacati destinato a garantire (almeno sulla carta), stabilità economica e creazione di nuovi posti di lavoro.
In ambito internazionale, l'Italia dovette affrontare una grave emergenza nel marzo 1999, quando iniziarono le operazioni militari della NATO nel Kosovo (23 marzo). L'Italia intervenne sul piano militare, fornendo alla NATO le basi navali e aeree, e sul piano del sostegno umanitario con l'allestimento (da parte del Governo e di numerose organizzazioni non governative) di grandi campi di accoglienza in Albania e in Macedonia. L'assistenza in loco era volta a limitare l'esodo migratorio verso le coste italiane, dove comunque continuavano gli sbarchi di clandestini.
Il 13 maggio, scaduto il mandato di Scalfaro, il Parlamento riunito in seduta comune elesse al primo scrutinio, con un'amplissima maggioranza, Carlo Azeglio Ciampi nuovo capo dello Stato. Pochi giorni prima (5 maggio) Prodi era stato designato a larga maggioranza dal Parlamento europeo presidente della Commissione esecutiva dell'Unione europea. Le elezioni per il Parlamento europeo, tenutesi il 13 giugno 1999, evidenziarono (in Italia, come nel resto dell'Europa) risultati negativi per i partiti di centro-sinistra al Governo. Mentre DS, PPI e verdi registrarono un netto calo, un notevole successo venne ottenuto, tra le opposizioni, da Forza Italia e radicali, presentatisi come Lista Bonino.
Nell'estate il progetto del Governo di anticipare la riforma dello Stato sociale e delle pensioni sollevò la netta opposizione dei sindacati. In questo clima va inserita la ricomparsa del terrorismo politico, con l'assassinio a Roma dell'economista Massimo D'Antona, consulente del ministero del Lavoro, rivendicata dalle Brigate Rosse (20 maggio).
Nell'ultimo mese del 1999 il Governo D'Alema dovette affrontare una crisi di Governo, aperta dal Trifoglio (una coalizione comprendente i Socialisti Democratici di Boselli, i cossighiani fuoriusciti dall'UDR ed i repubblicani) e risolta con un rimpasto di Governo, per cui i ministri appartenenti al Trifoglio vennero sostituiti da esponenti dei Democratici di Di Pietro e Parisi. Ciò però non basterà per scongiurare la crisi.
Massimo D'Alema

IL D'ALEMA BIS

Il 23 dicembre 1999 nasce il D'Alema bis con solo quattro giorni di crisi per il passaggio dal primo al secondo Governo D'Alema (un vero record per gli esecutivi dell'Italia repubblicana). Sale così a 13 il numero dei casi in cui un presidente del Consiglio succede a se stesso. Queste le novità principali: debuttano quattro nuovi ministri; manca la figura del vicepremier, incarico che nel precedente Governo era stato ricoperto da Sergio Mattarella, il quale nel D'Alema bis è divenuto ministro della Difesa; la rappresentanza femminile resta a quota sei, ma se ne va Rosa Russo Jervolino dal Ministero dell'Interno (al suo posto arriva Enzo Bianco) e arriva al Ministero delle Politiche comunitarie Patrizia Toia. Rimangono invece confermate nelle loro cariche precedenti le altre donne: Turco, Melandri, Bindi, Bellillo e Balbo.

LA CADUTA DEL SECONDO GOVERNO D'ALEMA

La caduta del Governo D'Alema è indubbiamente l'evento politico più importante del 2000. Il leader dei Democratici di sinistra, presidente del Consiglio dall'autunno del 1998, non riesce a imporsi come vero leader del centro-sinistra e per governare è costretto a cercare alleanze con il centro, favorendo il ritorno della partitocrazia e al basilare consenso delle piccole formazioni politiche. Alle elezioni del 16 aprile per il rinnovo di 15 giunte regionali, il centro-sinistra si presenta insieme a Rifondazione comunista (tranne in Toscana), mentre il centro-destra stringe alleanze con la Lega (che per l'occasione è costretta a eliminare dal proprio nome il riferimento alla secessione della Padania) nelle regioni del Nord e in Toscana, Marche e Umbria, e con Ms-Fiamma tricolore nelle regioni del Sud (tranne che in Calabria e in Molise) e in Abruzzo. I radicali di Emma Bonino e Marco Pannella, corteggiati prima dal Polo e poi dal centro-sinistra, si presentano da soli. I risultati, 8 regioni al Polo e 7 al centro-sinistra, evidenziano la vittoria di Polo e Lega nelle regioni del Nord (Lombardia - dove Roberto Formigoni raccoglie il doppio dei voti di Mino Martinazzoli -, Piemonte, Veneto, Liguria) e un'affermazione di misura del centro-destra in Abruzzo, Lazio, Puglia e Calabria; il centro-sinistra conquista Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Molise, Campania (dove si registra l'unico successo di rilievo con Antonio Bassolino) e Basilicata. Battuta d'arresto per i radicali, che passano dall'8,7% (Europee del 1999) al 2,7% (buoni risultati soltanto per la Bonino in Piemonte, che si attesta sul 7%). L'affluenza alle urne è del 72,6%, percentuale che raggiunge lo stesso livello delle europee del 1999, ma che è nettamente inferiore rispetto alle regionali del 1995, quando votò l'81,3% degli aventi diritto. Il risultato deludente del centro-sinistra finisce per travolgere Massimo D'Alema, che aveva trasformato le elezioni in un voto di consenso sul suo Governo e sulla sua stessa persona, mentre Polo e Lega, galvanizzati dalla vittoria, chiedono insistentemente elezioni anticipate. Lunedì 17 aprile il presidente del Consiglio presenta le dimissioni al capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, il quale lo rinvia al Parlamento per affrontare l'iter della crisi. Ma D'Alema non aspetta il voto di Camera e Senato e, mettendo in pratica le parole pronunciate al Congresso di Torino (“Me ne andrò un minuto prima che me lo chiedano”), il 19 sale per la seconda volta al Quirinale per dare le sue dimissioni definitive ed evitare che la sua maggioranza gli volti platealmente le spalle. Nel discorso di addio D'Alema chiede al centro-sinistra di far nascere un nuovo Governo per finire la legislatura e per consentire lo svolgimento del referendum che tocca anche la legge elettorale, indispensabile per completare la transizione del Paese.

IL GOVERNO AMATO

Il presidente Ciampi, concluse le consultazioni, dà l'incarico di formare il nuovo Governo al candidato indicato dal centro-sinistra, Giuliano Amato, che presenta la lista dei ministri il 25 aprile, dichiarando come priorità del suo esecutivo l'occupazione e la riforma elettorale. La composizione del Governo, frutto di una complicata mediazione con i partiti della maggioranza, presenta alcune novità: l'accorpamento dei Ministeri dell'Industria e del Commercio estero (i ministri sono quindi 24, uno in meno del precedente esecutivo); il debutto di Alfonso Pecoraro Scanio (Politiche agricole), di Nerio Nesi (Lavori pubblici), di Ottaviano Del Turco (Finanze) e di due “tecnici”, il linguista Tullio De Mauro, che va all'Istruzione al posto di Luigi Berlinguer, e l'oncologo Umberto Veronesi, che sostituisce Rosy Bindi alla Sanità. Per il resto la squadra rimane invariata, ma con alcuni significativi cambiamenti: Vincenzo Visco passa dalle Finanze al Tesoro; Piero Fassino dal Commercio estero alla Giustizia. Edo Ronchi, spostato dall'Ambiente alle Politiche Comunitarie, non accetta. Il 28 aprile la Camera vota la fiducia al Governo Amato: con 319 voti a favore il premier ottiene 10 voti in più della maggioranza richiesta e 3 in più della maggioranza prevista; i voti contrari sono 298, 5 gli astenuti. Il 3 maggio arriva anche la fiducia del Senato con 179 voti favorevoli, 112 contrari e 2 astensioni. In aula il senatore Antonio Di Pietro attacca duramente il primo ministro, accusandolo di essere stato uno dei consiglieri di Bettino Craxi nella strategia di delegittimazione del pool di Mani pulite e apre così nei Democratici una spaccatura che diventa insanabile e porta l'ex pm a lasciare il partito. Il leader dell'opposizione Silvio Berlusconi definisce Amato un “utile idiota che siede abusivamente a Palazzo Chigi, contro la volontà dei cittadini” e torna a chiedere elezioni anticipate, forte del fatto che il suo partito, dopo le regionali, risulta essere quello con più consensi. L'immagine di Berlusconi esce inoltre rafforzata da alcune sentenze favorevoli su inchieste che lo coinvolgevano (anche se rimangono aperti altri filoni di indagine): in appello gli vengono cancellate le condanne relative alle inchieste sull'affare Medusa (falso in bilancio nell'acquisizione della casa cinematografica da parte della Fininvest) e sulle tangenti alla Guardia di Finanza. Il leader di Forza Italia viene anche prosciolto dall'accusa di corruzione per la vicenda del lodo Mondadori.
Un altro terreno di scontro con il Governo è quello sul referendum elettorale per l'abrogazione della quota proporzionale nell'assegnazione dei seggi alla Camera dei deputati. Il quesito, proposto tra gli altri da Gianfranco Fini, incontra l'approvazione dei Ds e di altre forze della maggioranza che concordano sulla necessità di una nuova legge elettorale maggioritaria che muova dal quesito referendario e che garantisca un sistema bipolare moderno. Forza Italia, che torna a illustrare il suo manifesto proporzionalista, invita, unitamente ad altri partiti, a non recarsi alle urne. Il 21 maggio alle urne prevale l'astensionismo: il 70% circa degli Italiani non va a votare facendo quindi fallire la consultazione. Berlusconi definisce l'esito referendario la sua “terza vittoria consecutiva” (dopo le elezioni europee e quelle regionali), chiede le dimissioni di Amato e propone l'istituzione di un “Governo tecnico” che approvi una nuova legge elettorale sul modello del cancellierato tedesco. Amato, rimasto neutrale nella battaglia referendaria, dichiara che l'esito del voto non incide sulla tenuta del Governo e che l'esigenza di cambiare le regole elettorali rimane. Anche il presidente della Repubblica Ciampi promette di attivarsi per una legge che garantisca la necessaria stabilità di Governo. Nei mesi successivi Governo e maggioranza preparano diverse proposte di riforma che cercano di andare incontro alle richieste dell'opposizione, ma il Polo le boccia tutte e così il 2000 si chiude senza una nuova legge elettorale.
Un analogo scontro tra maggioranza e opposizione si era verificato all'inizio dell'anno in occasione dell'approvazione della legge sulla par condicio. L'ostruzionismo del Polo alla Camera (2.200 emendamenti) fa slittare di un mese il varo della legge che vieta gli spot elettorali su tutte le televisioni e le radio nazionali e che permette soltanto alle tv locali di ospitare messaggi politici a pagamento. Con la par condicio le tribune elettorali diventano inoltre gratuite e obbligatorie, sia in campagna elettorale sia fuori, sulla Rai e sulle tv private. Berlusconi si scaglia contro la legge “liberticida e illiberale” che renderà le prossime elezioni “illegittime”.
Per quanto riguarda l'operato del Governo di centro-sinistra, nel corso del 2000 prosegue l'opera di risanamento del bilancio pubblico accompagnata da significativi segni di ripresa della crescita e soprattutto dell'occupazione, anche nel Mezzogiorno. Nei primi tre trimestri dell'anno l'aumento del PIL è pari al 2,8% rispetto allo stesso periodo del 1999: si tratta del dato migliore degli ultimi cinque anni. Gli investimenti delle imprese aumentano del 6,8% e in un anno vengono creati circa 600.000 posti di lavoro. A ottobre il tasso di disoccupazione scende dall'11,1% al 10%, il più basso dal 1992. Ma se l'incremento dell'occupazione nel corso del 2000 si distribuisce in maniera omogenea sul territorio nazionale, l'antica spaccatura tra Nord e Sud è ben lontana dall'essere sanata.
A dicembre, con 300 voti a favore, 137 contrari e 2 astensioni, la Finanziaria 2001 viene approvata dalla Camera e diventa legge. Per la prima volta non sono previste nuove tasse, ma al contrario sgravi fiscali per le famiglie e per le imprese per un totale di 27.000 miliardi di lire, che salgono a 41.000 se si conteggiano anche i 14.000 miliardi distribuiti nelle buste paga di novembre, come anticipo del “bonus fiscale”. La manovra economica dà il via a una riduzione delle aliquote Irpef nel periodo 2001-2003; aumentano anche le detrazioni per i famigliari a carico e per i figli. La prima casa diventa esente da Irpef , vengono prorogati gli sconti del 36% sulle ristrutturazioni e sull'edilizia l'Iva resta al 10%. Confermate anche le detrazioni per gli affitti concordati. Per quanto riguarda le pensioni, aumenta la maggiorazione sociale e viene in parte a cadere il divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro. L'assegno per le neomamme prive di copertura previdenziale passa da 300.000 a 500.000 al mese, per cinque mesi. Aumentano anche il reddito minimo di inserimento, l'assegno per le famiglie povere con più di tre figli e gli sgravi per i nuclei con portatori di handicap. In campo sanitario è prevista l'abolizione graduale dei ticket: si comincia nel 2001 con la cancellazione del prelievo sulle ricette, mentre al 2002 è fissato il calo del contributo su lastre e analisi.
Tra le riforme, approvate nel 2000 da Governo e Parlamento, c'è quella che riguarda la scuola: a febbraio, dopo due anni e mezzo di discussioni e dopo decenni di tentativi andati a vuoto, il Senato dà il via libera al disegno di legge che riordina per intero i cicli scolastici. Il nuovo iter scolastico si avvarrebbe di un unico ciclo di sette anni (fino ai 13 anni), seguito da un biennio superiore obbligatorio e da un triennio di specializzazione volontario. In base alla riforma i ragazzi dovrebbero concludere la scuola superiore a 18 anni e non più a 19 come era stato finora, potendo quindi accedere all'università o alla formazione tecnica superiore con un anno di anticipo, come negli altri Paesi europei. A marzo viene varata la parità scolastica, con la quale la Camera istituisce il Sistema nazionale d'istruzione, del quale faranno parte, a pari diritti, le scuole pubbliche e quelle private. Anche l'Università cambia: la riforma approvata dal Governo ad agosto introduce 42 indirizzi di laurea triennale, con corsi più agili in funzione del mercato del lavoro. Le altre novità sono il credito formativo (l'unità di misura del lavoro dello studente), un test per accedere ai corsi, la conoscenza obbligatoria di una lingua straniera. La parte strutturale della riforma sarebbe stata però inficiata nel 2001 dall'allora ministro dell'Istruzione Letizia Moratti.
Un'altra riforma riguarda il servizio di leva obbligatorio, destinato ad essere gradualmente abolito, aprendo la strada a un esercito di professionisti volontari (circa 190.000 contro i 270.000 attuali) che si impegnano a rimanere sotto le armi per 5 anni, al termine dei quali potranno essere assorbiti dai corpi di polizia, dai vigili del fuoco, o trovare impiego nella Pubblica amministrazione e nei ruoli civili della Difesa. Inoltre, alla fine dell'anno entrano in servizio le prime 240 donne soldato, volontarie e facenti parte dell'esercito professionale.
A fine anno scoppia una bufera sulle missioni di pace, successiva a quella che, all'inizio dell'anno, aveva coinvolto membri direttivi della cosiddetta Missione Arcobaleno per i rifugiati kosovari in Albania, accusati di peculato aggravato e collusione con i boss mafiosi locali: questa volta ad essere sotto accusa sono i proiettili all'uranio impoverito usati nei bombardamenti in Bosnia, ai quali potrebbe essere fatta risalire la morte per leucemia di alcuni reduci della missione italiana di pace nei Balcani. I ministeri della Difesa e della Sanità aprono un'inchiesta che si concluderà l'anno dopo e che, insieme a quelle dei vertici Nato, non garantirà la stretta connessione tra i casi rilevati e le circostanze sospette.
Giuliano Amato

LE ELEZIONI DEL 13 MAGGIO 2001 E IL NUOVO ASSETTO POLITICO

La prima parte del 2001 fu caratterizzata dall'accesa campagna elettorale in vista delle elezioni politiche fissate per il 13 maggio. I due schieramenti principali (Ulivo, guidato da Francesco Rutelli, sindaco dimissionario di Roma, e Casa delle Libertà, capeggiata da Silvio Berlusconi) iniziarono una serie di diatribe politiche più o meno pungenti a difesa delle proprie posizioni.
L'ex sindaco di Roma e neo premier dell'Ulivo Francesco Rutelli

La campagna elettorale si fece via via più pesante, con momenti di duro scontro, anche a livello personale, soprattutto per quanto riguardava la questione del conflitto di interessi, lo svolgimento di un referendum sulla devolution da tenersi in Lombardia e la minaccia di terrorismo. Tema principale restò quello legato all'uso libero e democratico della televisione - di Stato ma non solo - e alla partecipazione dei leader delle coalizioni a trasmissioni di propaganda, di analisi politico-sociale e di confronto. Si tentò inoltre un'opera di censura nei confronti della satira e di un certo tipo di giornalismo impegnato e chiaramente schierato (fu il caso delle trasmissioni Satyricon e Il raggio verde) e si incrementò la già stretta osservanza della cosiddetta par condicio, ovvero la garanzia di una matematica equità di tempo e spazio data ai membri dei diversi soggetti politici sui mezzi di comunicazione.
Queste le maggiori forze in gioco: Casa delle Libertà, di centro-destra, costituita da Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord, Biancofiore (CCD e CDU), Nuovo PSI; Ulivo, di centro-sinistra, costituito da Democratici di Sinistra, Margherita (Partito Popolare Italiano, UDeuR, Democratici, Rinnovamento Italiano), Il Girasole (Verdi e SDI), Partito dei Comunisti Italiani; Rifondazione Comunista; Lista Bonino; Italia dei Valori-Lista Di Pietro; Democrazia Europea.
Le elezioni decretarono la vittoria della coalizione di centro-destra (49,6% al proporzionale della Camera; 45,4% all'uninominale della Camera; 42,5% al Senato) sull'Ulivo (35% al proporzionale della Camera; 43,7% all'uninominale della Camera; 38,7% al Senato): Rifondazione comunista raccolse il 5% delle preferenze, ma le altre forze, non ottenendo il quorum del 4%, vennero escluse in prima battuta dalla compagine parlamentare. Silvio Berlusconi venne nominato primo ministro, ma anche tutti i leader della coalizione vincente, a esclusione di quelli del nuovo PSI, ottennero cariche istituzionali: Gianfranco Fini (AN) divenne vice primo ministro; Rocco Buttiglione (CDU) ministro delle Politiche comunitarie; Pierferdinando Casini (CCD) presidente della Camera dei Deputati; Umberto Bossi (Lega Nord) ministro delle Riforme istituzionali e della Devoluzione. Tra i punti caldi del programma dei vincitori ricordiamo: la riorganizzazione dell'apparato statale; la rivisitazione del complesso di norme e Codici attualmente in vigore; la difesa della famiglia e dei servizi - scuola, diritto alla salute, ecc.- a essa più vicini; il blocco della riforma scolastica promossa dai precedenti ministri Berlinguer e De Mauro; la riduzione e il controllo dell'immigrazione; la garanzia della sicurezza pubblica tramite, soprattutto, il rafforzamento della macchina difensiva interna - polizia, carabinieri, vigilanza urbana, ecc.
Il centro-sinistra sembrò in un primo momento incapace di reagire alla nuova realtà politico-sociale italiana, segnata, tra l'altro, dalle gravi tensioni successive agli episodi di repressione durante le manifestazioni contro il summit dei G8 a Genova (culminate nell'uccisione del giovane Carlo Giuliani).
Disordini a Genova in occasione del G8 2001

Cercò in seguito di riorganizzarsi, anche grazie a sollecitazioni provenienti da gruppi di intellettuali e da settori della società che sfociarono in manifestazioni (come quella del 23 febbraio 2002 al Palavobis di Milano) e altre iniziative pubbliche (i cosiddetti "girotondi"). Grande fermento, inoltre, venne registrato in ambito sindacale, con un'imponente manifestazione organizzata a Roma il 23 marzo dalla CGIL (tra l'altro, a pochi giorni di distanza dall'omicidio dell'economista Marco Biagi, collaboratore del ministero del Lavoro, ucciso a Bologna da un commando delle Brigate Rosse) alla quale parteciparono centinaia di migliaia di persone, e uno sciopero generale fissato per il 16 aprile in difesa dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che una deroga del Governo intendeva modificare. La rinnovata militanza della società civile venne praticata anche a difesa della magistratura (e gli stessi magistrati, in giugno, scioperarono contro un progetto governativo di riforma dell'organizzazione giudiziaria) e della libertà di stampa e di espressione, considerate, da una parte della popolazione, in qualche modo compromesse dagli atteggiamenti dell'establishment governativo (esemplare al riguardo l'allontanamento dalla RAI di Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi). In materia di immigrazione, infine, la nuova legge restrittiva Bossi-Fini non mancò di suscitare polemiche e dissensi nel mondo dell'associazionismo e persino, ma per motivi del tutto diversi, in quello imprenditoriale.
L'arrivo di clandestini extra-comunitari in Italia

L'ITALIA DAL 2003 AL 2005

Nel 2003 la stagione della contestazione al secondo Governo Berlusconi (il primo era stato quello del 1994) vide in prima fila il movimento pacifista, contrario alla missione italiana in Iraq a sostegno delle truppe anglo-americane che, all'alba del 20 marzo, avevano scatenato la guerra contro Saddam Hussein. I pacifisti si fecero più agguerriti in particolare dopo l'approvazione da parte della maggioranza parlamentare (15 aprile 2003) dell'invio in Iraq di un contingente militare di 3.000 uomini (operazione detta "Antica Babilonia"; nel contesto di tale missione, peraltro, il 12 novembre morirono a Nassiriya, nel Sud dell'Iraq, 14 carabinieri, 3 soldati e 2 civili italiani, nonché 9 cittadini iracheni, rimasti vittima di attentati dinamitardi contro le palazzine in cui risiedevano).
Nel periodo in considerazione l'economia italiana registrò un arretramento preoccupante: calarono gli ordinativi industriali, crisi irreversibili colpirono realtà che avevano fatto la storia dell'industria nostrana (dalla FIAT - ormai orfana dell'avvocato Gianni Agnelli, deceduto il 24 gennaio 2003 - alle Acciaierie Terni, dalla Marzotto all'Alitalia), crebbero la disoccupazione e il costo della vita (dovuto anche al caro prezzi e alle relative speculazioni verificatesi all'indomani dell'entrata in vigore dell'euro, il 1° gennaio 2002), diminuirono i fondi destinati alla ricerca scientifica, emersero colossali scandali finanziari come quello della Parmalat, esploso nel dicembre 2003. Anche sul piano dei conti pubblici, come rilevato tra gli altri dal governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, la situazione divenne sempre più allarmante. Ancora all'inizio del 2006, i dati Istat riferiti al 2005 parlarono di "crescita zero" e di occupazione in calo: in particolare si persero in un anno ben 100.000 posti di lavoro, mentre il rapporto deficit/prodotto interno lordo passò dal 3,4% del 2004 al 4,3% del 2005.
Per tutto il 2003, nelle varie componenti della sinistra italiana all'opposizione rimasero aperte divergenze strategiche su molte questioni (dalla politica estera a quella economica e sociale, fino alle lotte di potere interne e alle rivalità personali), che delinearono due macroschieramenti nell'area cosiddetta ulivista: da una parte quello riformista, composto da Margherita, maggioranza DS e Socialisti Democratici Italiani (SDI); dall'altra quello più radicale, rappresentato dal cosiddetto correntone DS, da Verdi e PdCI, disposto altresì ad aprire il dialogo con Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti e con Italia dei Valori di Antonio Di Pietro.
Esemplare al riguardo fu il caso di Sergio Cofferati: nella prima metà dell'anno l'ex leader della CGIL occupò il centro del dibattito, poiché da più parti fu indicato quale punto di riferimento e futuro leader di tutto lo schieramento di centro-sinistra, cosa non gradita al gruppo dirigente diessino, in particolare a Massimo D'Alema e Piero Fassino. La questione, tuttavia, si sgonfiò automaticamente allorché Cofferati accettò la candidatura a sindaco di Bologna per le amministrative del 2004 (che poi avrebbe vinto). Successivamente, ad agitare le acque dell'opposizione ci pensò il presidente della Commissione europea Romano Prodi che, sebbene non ancora ufficialmente, dato che il suo mandato sarebbe scaduto nell'ottobre 2004, nel mese di luglio irruppe nella scena politica italiana. In un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, riguardante le elezioni del 2004 per il rinnovo del Parlamento europeo, Prodi propose la formazione di una lista comune dell'Ulivo: chiese cioè agli alleati di un tempo di presentarsi uniti sotto un unico simbolo alle elezioni europee (cosa che poi sarebbe avvenuta, gettando la basi per un confronto programmatico nelle forze di centro-sinistra in vista delle elezioni amministrative italiane del 2005 e, soprattutto, delle politiche 2006).
Sul versante opposto, la Casa delle Libertà (CdL), sempre nella seconda metà del 2003, attraversò un periodo di grave tensione, conseguenza della distribuzione del potere e dei rapporti di forza all'interno della coalizione e del Governo guidato da Silvio Berlusconi. Fu soprattutto AN, per iniziativa del suo leader Gianfranco Fini, a chiedere una verifica programmatica nella maggioranza, denunciando l'eccessivo peso politico della Lega Nord e reclamando per sé una maggiore visibilità nel Governo. Inoltre ancora AN, appoggiata dall'UDC di Marco Follini, chiese una maggiore collegialità per quanto atteneva le decisioni in materia economica, lamentando a tal proposito lo strapotere del ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Umberto Bossi e la Lega si scagliarono, a loro volta, contro il nuovo asse AN-UDC, accusando Fini e Follini di voler impedire le "grandi riforme", in particolare la riforma costituzionale sul federalismo (la cosiddetta devolution, in riferimento al disegno di legge presentato da Umberto Bossi per riscrivere l'articolo 117 della Costituzione, al fine di trasferire alle regioni la competenza esclusiva in materia di scuola, sanità e polizia locale), ovvero l'obiettivo primario di tutta la politica leghista dal 2001 in avanti.
Gianfranco Fini

Proprio in tema di riforme governative, il 2003 fu anche l'anno in cui furono varate la riforma della scuola o legge Moratti (in marzo), la riforma del mercato del lavoro, detta Maroni-Biagi (in ottobre), e quella del sistema radiotelevisivo e del settore dei media (messa a punto in dicembre dal ministro Gasparri; tale riforma fu tuttavia rinviata alle Camere dal capo dello Stato, per essere approvata in via definitiva nell'aprile successivo).
Agli inizi del 2004 si tirarono le somme sulla verifica programmatica chiesta da AN e UDC. Berlusconi, pur non prevedendo nessun ritocco nella squadra di governo, siglò con gli alleati un patto scritto in cui si introdussero il Consiglio di gabinetto, per esaminare preventivamente i provvedimenti da portare in Consiglio dei ministri e garantire così una maggiore collegialità, e un Dipartimento economico di Palazzo Chigi, la cui guida fu affidata al vicepremier Fini. I malumori interni alla CdL, tuttavia, non si placarono e riesplosero allorché, in marzo, prima Tremonti e poi Berlusconi annunciarono un improbabile piano per "tagliare le tasse". Il braccio di ferro sulle questioni economiche all'interno della maggioranza ebbe una svolta provvisoria con le dimissioni di Tremonti (luglio) e la nomina del nuovo ministro dell'Economia Domenico Siniscalco (Tremonti sarebbe tornato alla guida del dicastero economico nel settembre 2005).
Nel frattempo alcuni importanti (e spesso tragici) avvenimenti misero ulteriormente in crisi il Governo italiano e la sua maggioranza parlamentare: sul piano internazionale, lo scandalo delle torture perpetrate nel carcere di Abu Ghraib ad opera di soldati anglo-americani (maggio 2004) spinse l'opposizione di sinistra a chiedere con maggiore vigore il ritiro delle truppe italiane dal teatro iracheno; nel corso del 2004, sempre in Iraq, furono altresì rapiti diversi cittadini italiani: alcuni di essi, come le due operatrici umanitarie Simona Torretta e Simona Pari (rilasciate il 28 settembre), se la cavarono; altri invece, come la guardia privata Fabrizio Quattrocchi (14 aprile) o il giornalista Enzo Baldoni (26 agosto), furono uccisi. Tra febbraio e marzo 2005 sarebbe stata la volta dell'inviata del "Manifesto" Giuliana Sgrena, sequestrata a Baghdad da un gruppo di islamici integralisti: il 4 marzo, durante le operazioni di rilascio, soldati Usa spararono a un posto di blocco contro l'auto che stava portando la giornalista all'aeroporto per rientrare in Italia, uccidendo il funzionario del Sismi Nicola Calipari. Sul versante europeo, le consultazioni per il rinnovo del Parlamento comunitario (giugno 2004) fecero registrare un forte calo di Forza Italia (attestatasi al 21%, con 16 seggi) e l'avanzata del centro-sinistra, che ottenne complessivamente il 46,1% delle preferenze (contro il 45,4% del centro-destra). La sola lista Uniti nell'Ulivo, costituita da DS, Margherita e altre formazioni minori, registrò oltre il 31% dei consensi e 25 seggi. Unica consolazione per il Governo Berlusconi e per l'Italia, quantomeno a livello d'immagine, fu la solenne cerimonia romana, tenutasi in Campidoglio il 29 ottobre 2004, durante la quale i 25 Paesi dell'Unione europea firmarono la nuova Costituzione comunitaria.
La cerimonia per la firma della Costituzione europea avvenuta in Campidoglio il 29 ottobre 2004

L’agente del Sismi Nicola Calipari, ucciso in Iraq durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena

Il trend elettorale positivo per l'opposizione, e negativo per i partiti di governo, continuò nel 2005 allorché, all'inizio del mese di aprile, si svolsero le elezioni amministrative regionali, provinciali e comunali. La coalizione della CdL fu nettamente sconfitta; FI, in particolare, perse circa un milione e mezzo di voti rispetto alle analoghe consultazioni del 2000. Invece l'Unione, cioè la nuova coalizione di centro-sinistra guidata da Romano Prodi (come si venne rinominando l'alleanza riformista e ulivista composta dalla Federazione dell'Ulivo - DS, Margherita, SDI e Movimento dei Repubblicani Europei - e allargata a Verdi, PdCI, Italia dei Valori, UDeuR e Rifondazione Comunista) si aggiudicò 2 province su 2, 8 comuni capoluogo di provincia su 9, numerosi sindaci in località minori e ben 12 delle 14 regioni interessate al voto.
D'altro canto, la mai sopita insofferenza di una parte delle forze di Governo (in primo luogo UDC, Nuovo PSI e AN) verso il cosiddetto "asse padano", cioè la stretta alleanza stabilitasi fra il premier Berlusconi e la Lega Nord, unita alla pessima prova elettorale, sortirono i loro effetti. Alla fine di aprile, dopo quasi quattro anni caratterizzati da una serie di discussi interventi legislativi e da interminabili polemiche giudiziarie riguardanti il premier e alcuni dei suoi più stretti collaboratori, l'Esecutivo più duraturo della storia della Repubblica entrò in crisi e Silvio Berlusconi fu costretto a rassegnare le dimissioni da presidente del Consiglio (21 aprile 2005). Tuttavia, al fine di portare comunque a termine la XIV legislatura senza ricorrere a elezioni anticipate, tra le forze della CdL si giunse rapidamente a un nuovo ma precario compromesso, che rese possibile la formazione del terzo Esecutivo guidato dal forzista Berlusconi (30 aprile). Escluso un modesto rimpasto ministeriale (che vide, tra l'altro, il rientro di Giulio Tremonti nella compagine governativa in qualità di vicepremier al pari di Gianfranco Fini, quest'ultimo nominato anche ministro degli Esteri), il programma e le modalità di gestione del potere esecutivo non si discostarono significativamente dal recente passato, a tal punto che uno dei provvedimenti più significativi caldeggiati dalla maggioranza berlusconiana - oltre naturalmente alla priorità assoluta di riordinare le fila in vista dell'imminente campagna elettorale per le politiche del 2006 - fu il varo dell'assai controversa riforma costituzionale federalista.
Il sequestro e l’uccisione in Irak del giornalista Enzo Baldoni

LA RIFORMA COSTITUZIONALE DEL CENTRO-DESTRA

Nel novembre 2005 venne approvato in via definitiva dalle Camere, e quindi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, il "Testo di Legge costituzionale recante Modifiche alla Parte II della Costituzione". Dopo la Legge costituzionale n. 3 del 2001 (che aveva riscritto il Titolo V della parte seconda della Costituzione, relativo a regioni, comuni e province), questo nuovo intervento del legislatore (peraltro molto più esteso del precedente) incideva in profondità sulla fisionomia e sui contenuti della Carta fondamentale dello Repubblica entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Sostanzialmente trasformava lo Stato italiano in senso federalista e dotava di maggiori poteri la figura del presidente del Consiglio, ora rinominato primo ministro. Senza addentrarci troppo nel dettaglio, rileviamo alcuni punti salienti della riforma costituzionale varata nel 2005:

- istituzione del Senato federale della Repubblica, quale Camera rappresentativa degli interessi del territorio e delle comunità locali. Del Senato federale, i cui componenti sono eletti contestualmente ai rispettivi Consigli regionali, fanno anche parte, senza diritto di voto, rappresentanti dei Consigli regionali e delle autonomie locali;
- riduzione del numero complessivo dei parlamentari: 518 alla Camera dei deputati, 252 al Senato federale;
- nuovo assetto delle competenze legislative: si accentua soprattutto il ruolo delle autonomie regionali, attraverso l'attribuzione di competenze esclusive in materia di assistenza e organizzazione sanitaria; organizzazione scolastica e definizione della parte dei programmi scolastici di interesse specifico della Regione; sicurezza pubblica, polizia amministrativa regionale e locale (è la cosiddetta devolution leghista);
- ridefinizione dell'iter legislativo: salvo alcune materie riservate al procedimento collettivo delle due Camere, il modello prevalente è quello dei procedimenti monocamerali, rispettivamente di competenza della Camera e del Senato federale;
- assegnazione di un ruolo specifico (e minori prerogative) alle opposizioni alla Camera e alle minoranze al Senato;
- modifica delle modalità di elezione e delle funzioni del Capo dello Stato, quale supremo garante della Costituzione e rappresentante dell'unità federale della Repubblica;
- rafforzamento del ruolo dell'Esecutivo, sia attraverso l'indicazione diretta del primo ministro da parte del corpo elettorale, sia attraverso il ruolo che questi assume all'interno del Consiglio dei ministri, nonché all'interno del procedimento legislativo. Diventa premier, infatti, il candidato della coalizione che vince le elezioni e per l'insediamento al Governo non c'è più bisogno del voto di fiducia. Il premier inoltre "determina" (e non più "dirige") la politica del Governo, nomina e revoca i ministri e ha il potere di chiedere al presidente della Repubblica lo scioglimento della Camera dei deputati.

Come previsto dal dettato costituzionale, poiché il testo di legge in questione non era stato approvato da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei componenti, ma solo a maggioranza assoluta, esso poteva essere sottoposto a referendum costituzionale, allorché, entro tre mesi dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ne avessero fatto richiesta almeno un quinto dei parlamentari di una Camera, oppure cinque Consigli regionali o 500.000 elettori.
Le forze parlamentari di opposizione, nonché settori consistenti della società civile, del mondo del lavoro e della cultura (fra cui il comitato "Salviamo la Costituzione", presieduto dall'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro), si mobilitarono immediatamente in tal senso, denunciando quello che ritenevano essere uno stravolgimento non solo negativo, ma anche pericoloso e dagli esiti imprevedibili, del patto fondamentale di convivenza dei cittadini italiani, così come originariamente risultato dal compromesso tra le forze democratiche antifasciste del secondo dopoguerra.
Per i promotori del referendum non fu difficile raccogliere consensi attorno alla propria campagna, a tal punto che non uno - peraltro già sufficiente - ma tutti e tre i requisiti di legge previsti per l'indizione del referendum popolare furono soddisfatti. Si trattava ormai solo di stabilire la data delle consultazioni referendarie e, soprattutto, verificarne l'esito: dopodiché la riforma costituzionale sarebbe entrata in vigore a tutti gli effetti, oppure sarebbe stata abrogata.

VERSO LE POLITICHE DEL 2006

Dopo la crisi di aprile e la costituzione del nuovo Esecutivo, lo stesso Berlusconi cercò nella seconda parte del 2005 di risollevare le sorti elettorali del proprio schieramento mettendo in campo l'idea della costruzione di un grande partito unico in cui si fondessero le varie anime della precedente coalizione, nella prospettiva di instaurare in Italia un sistema parlamentare di bipolarismo compiuto. Tale progetto in realtà fu ben presto abbandonato (soprattutto per la riluttanza dei vari leader dei partiti alleati di FI - da Fini di AN a Follini e al presidente della Camera dei deputati Casini, entrambi dell'UDC - di rinunciare alle proprie specificità politico-elettorali), mentre l'obiettivo primario divenne quello di studiare una riforma elettorale che in qualche modo contribuisse a scompaginare i piani del centro-sinistra.
Così, nell'ottobre 2005, la maggioranza parlamentare di centro-destra, incurante delle accuse di scorrettezza e faziosità provenienti dall'opposizione, e di un certo malumore interno, che portò alle dimissioni del segretario dell'UDC Follini, varò una nuova legge elettorale di stampo neo-proporzionalista (contemperata, tuttavia, da un premio di maggioranza e da soglie di sbarramento). Abolendo i precedenti collegi uninominali e le preferenze di lista, avrebbe dovuto arginare, se non addirittura ribaltare, una situazione data in molti sondaggi per compromessa nel caso in cui si fosse mantenuto il precedente sistema maggioritario.
Nel dettaglio, il dispositivo della legge 270/2005, entrata in vigore il 31 dicembre, prevedeva che per eleggere i deputati le liste venissero presentate nelle 26 circoscrizioni elettorali nelle quali era suddiviso il territorio nazionale. Gli elettori potevano scegliere esclusivamente il simbolo della lista (senza facoltà, dunque, di indicare preferenze). I seggi sarebbero poi stati attribuiti alle liste secondo l'ordine di presentazione dei candidati (liste bloccate). Unica eccezione quella dei 12 deputati eletti, con sistema proporzionale e possibilità di voto di preferenza, dai cittadini italiani residenti all'estero per la circoscrizione estero (suddivisa in quattro ripartizioni continentali). Per la Camera, potevano accedere alla ripartizione dei seggi solo le coalizioni che avessero superato il 10% dei voti validi sul piano nazionale e, al loro interno, i partiti che avessero superato il 2% o che rappresentassero minoranze linguistiche; nonché la migliore lista sotto soglia, cioè quella che avesse ottenuto più voti tra le liste non arrivate al 2%. I partiti che si fossero presentati al di fuori di una coalizione avrebbero dovuto conseguire almeno il 4% per poter ottenere deputati. Alla coalizione (o alla singola lista) che avesse ottenuto il maggior numero di voti validi a livello nazionale, ma non sufficienti a conseguire almeno 340 seggi alla Camera (sul totale di 630 deputati), sarebbe stato attribuito un premio di maggioranza affinché raggiungesse la quota minima dei 340 deputati previsti. Per il Senato, invece, i seggi venivano ripartiti tra le regioni sulla base dei risultati dell'ultimo censimento generale della popolazione (con due eccezioni: la Valle d'Aosta, che era costituita in unico collegio uninominale, e il Trentino-Alto Adige, che manteneva sei collegi uninominali, e dunque il diritto a sei rappresentanti in Senato). La ripartizione dei seggi senatoriali tra le varie liste sarebbe stata effettuata in misura proporzionale, con l'eventuale attribuzione del premio di coalizione anch'esso su base regionale. Le soglie di sbarramento al Senato erano pari al 20% per le coalizioni, 3% per le liste coalizzate, 8% per le liste non coalizzate e per le liste che si fossero presentate in coalizioni che non avessero conseguito il 20%. Nel caso in cui nessuna lista avesse conseguito un numero di senatori pari al 55% (ovvero 170 sul totale di 315, calcolando a parte i sei senatori eletti nella circoscrizione estero), sarebbe stato l'ufficio elettorale regionale ad assegnare alla coalizione di liste o alla singola lista che avesse ottenuto il maggior numero di voti il premio di maggioranza, ossia gli ulteriori seggi necessari per raggiungere la quota del 55%. Ai senatori eletti sul territorio nazionale andavano aggiunti, infine, i sei eletti con sistema proporzionale e possibilità di voto di preferenza dai cittadini italiani residenti all'estero.
Nel frattempo, le forze di centro-sinistra (DS, DL-Margherita, SDI e MRE, Verdi, PdCI, Italia dei Valori, UDeuR e Rifondazione Comunista), pur fra mille contraddizioni e pesanti polemiche interne (non da ultima quella legata alla formazione della Rosa nel Pugno, nuovo soggetto politico nato nel novembre 2005 dalla federazione fra Radicali Italiani e SDI), consolidarono definitivamente la coalizione dell'Unione a sostegno della candidatura di Romano Prodi quale futuro (eventuale) capo del Governo italiano. All'interno dell'Unione, inoltre, si svolsero delle consultazioni primarie (16 ottobre 2005) proprio per mettere in evidenza i reali rapporti di forza tra le varie componenti della coalizione, al fine di calcolare il "peso specifico" dei vari partiti nella costruzione del programma di Governo. Le primarie servirono a legittimare, anche formalmente, la leadership di Prodi, che su oltre 4.300.000 voti ottenne il 74% delle preferenze. Forte di questo risultato, Prodi si accinse a rendere pubblico il programma dell'Unione nel febbraio 2006, al Teatro Eliseo di Roma.

I PROGRAMMI ELETTORALI DELLA CDL E DELL'UNIONE

Le Camere furono sciolte con decreto del presidente della Repubblica l'11 febbraio 2006, mentre le elezioni per il rinnovo del Parlamento italiano si svolsero il 9 e 10 aprile successivi. La prima riunione del nuovo Parlamento in seduta comune venne fissata per il 28 aprile. Nel giro di pochi giorni, oltre alla formazione del Governo ad opera del leader della coalizione vincitrice delle elezioni politiche, si dovette affrontare anche la delicata questione dell'elezione del nuovo capo dello Stato, poiché il settennato di Carlo Azeglio Ciampi giunse in maggio alla sua scadenza naturale.
Contestualmente allo scioglimento delle Camere si aprì la campagna elettorale: come era già accaduto nel 2001, fra le più scottanti questioni in campo ci furono quelle della giustizia e della sicurezza, dell'estrema personalizzazione dello scontro politico e del ruolo dei mezzi di comunicazione di massa (della televisione in primo luogo, con le relative polemiche su censura, satira e rispetto della par condicio; con la grande novità mediatica dei "duelli" in diretta fra Prodi e Berlusconi). A questi temi si aggiunsero quelli della precarizzazione diffusa delle forme di occupazione, della crisi economica e dell'immagine internazionale dell'Italia, scossa dalle losche vicende finanziarie che, sul finire del 2005, avevano portato alle dimissioni del governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio e, nel febbraio 2006, dalle manifestazioni antislamiche del ministro delle Riforme Roberto Calderoli, che causarono dure proteste e scontri in Libia, nonché le dimissioni forzate dello stesso ministro leghista.
Il ministro delle Riforme Roberto Calderoli

A norma della nuova legge elettorale, inoltre, le coalizioni o i singoli partiti concorrenti alle elezioni, qualora si fossero "candidati a governare", furono tenuti a depositare il proprio programma elettorale in cui veniva anche indicato il capo unico della coalizione (ovvero del gruppo o partito politico). I due grandi schieramenti rivali erano da tempo quello di centro-sinistra dell'Unione, guidato da Romano Prodi, e quello di centro-destra della Casa delle Libertà, guidato da Silvio Berlusconi, ma lo scontro divenne appunto "ufficiale" con il deposito legale dei rispettivi programmi.
Vediamo, dunque, quali furono i punti programmatici sui quali Prodi e Berlusconi si impegnarono, nel caso di vittoria, a formare il Governo e a condurre le sorti della politica italiana, interna e internazionale, nel quinquennio 2006-2011 (XV legislatura della Repubblica).
La CdL partiva da un preambolo in cui, da un lato, si descrivevano i cambiamenti intervenuti nella società italiana e nel mondo a partire dall'inizio del nuovo millennio e, dall'altro, si elencavano i presunti risultati generali della gestione Berlusconi nel suo quinquennio di Governo (dalla "tenuta sociale del Paese", alla "tenuta dell'economia", alla "tenuta dei conti pubblici"), nonché le 36 "riforme" varate, fra cui: la riforma della seconda parte della Costituzione, nuova disciplina del lavoro, fisco, pensioni, immigrazione, diritto societario e fallimentare, codice della strada e patente a punti, sistema radiotelevisivo, tutela del risparmio e Banca d'Italia, legge elettorale e voto agli italiani all'estero. Il programma della CdL passava alla presentazione delle proposte per il futuro, fermi restando l'alleanza strategica con gli Stati Uniti, in politica estera, e i principi cardine della tradizione, della famiglia e dell'identità sul versante nazionale, ovvero (come si può leggere nel testo): "la difesa dei valori religiosi e dei principi morali, la difesa della famiglia e delle nostre radici, l'impegno a rispettare la nostra civiltà da parte di chi entra, la difesa delle nostre fabbriche, del nostro lavoro e la valorizzazione del nostro ambiente".
Il primo dei dieci punti in cui si articolava lo snello programma elettorale del centro-destra partiva proprio dalla famiglia, "intesa come comunità naturale fondata sul matrimonio fra uomo e donna", a sostegno della quale si prevedevano un "bonus bebé" per favorire la natalità, aiuti alle famiglie meno agiate per l'acquisto di latte artificiale, aiuti per sostenere il costo degli studi, detassazioni e fondi pubblici in favore di asili aziendali e sociali, nonché "bonus locazioni" per aiutare le giovani coppie a far fronte al caro affitti.
Il secondo punto trattava del "Piano decennale straordinario per il superamento della questione meridionale" e prevedeva, tra l'altro, la realizzazione di grandi infrastrutture (porti, reti stradali, ponte sullo stretto di Messina, ecc.), l'attuazione di un "federalismo fiscale solidale" e la lotta alla criminalità organizzata.
Al terzo punto si parlava di "Sviluppo economico e competitività", promettendo in apertura "un ulteriore milione di posti di lavoro", proseguendo con il principio che in Italia occorresse "più concorrenza nella gestione dei servizi in settori nevralgici come le banche, le assicurazioni, l'energia, le autostrade, le telecomunicazioni", per finire con una serie di misure di detassazione a favore delle imprese e altri interventi a favore dell'agricoltura.
I punti 4 e 5 affrontavano rispettivamente i temi del fisco e della finanza pubblica, ribadendo il concetto che l'attuazione del "federalismo fiscale solidale" si sarebbe tradotto in una "riduzione della spesa pubblica, maggiore trasparenza dei conti, maggiore efficienza, minore evasione e minori sprechi".
Il sesto punto era quello relativo all'abitazione: in esso si parlava di un "Piano casa", da realizzarsi "attraverso il riscatto da parte degli inquilini delle case di proprietà pubblica e conseguente finanziamento di mutui per acquisto, affitti e costruzione di abitazioni per giovani coppie, nonché forme di Risparmio Casa sul modello tedesco e austriaco". Erano inoltre previste misure di detassazione per investimenti nella difesa termica e nel riscaldamento della casa, nonché per la costruzione in città di nuovi posti-auto sotterranei.
Al punto settimo venivano elencate le seguenti misure per la "Sanità": eliminazione delle liste d'attesa, incremento dei fondi per la ricerca sanitaria, riforma della legge 180 sulla malattia mentale, educazione sanitaria nelle scuole e misure di prevenzione per le popolazioni giovanili e per quelle immigrate.
"Ricerca ed energia" era il titolo del punto ottavo, in cui si prevedevano, fra le altre cose, la "libera trasformabilità delle Università in Fondazioni, in modo da aprire le Università italiane ai contributi della società civile, al mercato, all'estero" e, in materia energetica, la "diversificazione del funzionamento degli impianti elettrici a olio combustibile attraverso il ricorso al carbone pulito", nonché la "partecipazione ai progetti europei di sviluppo del nucleare di ultima generazione".
Nel penultimo punto programmatico, il nono, la CdL prometteva l'innalzamento delle pensioni minime a 800 euro, il mantenimento del potere d'acquisto delle pensioni stesse attraverso il recupero dell'inflazione, oltre ad agevolazioni di varia natura per gli ultrasettantenni (eliminazione del canone tv, una carta oro per accesso gratuito a viaggi ferroviari, teatri, cinema, stadi, ecc.).
L'ultimo punto era infine dedicato a "Giustizia e sicurezza territoriale". In esso si prevedevano una maggiore repressione dei cosiddetti piccoli reati (furti in appartamento, furti d'auto, spaccio di droga, prostituzione, ecc.), un rafforzamento del contrasto all'immigrazione clandestina e un incremento (fino a 10.000 unità) dei poliziotti e dei carabinieri di quartiere. Si riproponeva inoltre, entrando senza timore nel delicato meccanismo garantista della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giurisdizionale), la volontà di arrivare a una separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, nonché si prometteva di "riformulare l'attuale normativa anche costituzionale in tema di responsabilità penale, civile e disciplinare dei magistrati, al fine di aumentare le garanzie per i cittadini".

Se il programma della CdL si esaurì in un documento di una ventina di pagine, l'elaborazione progettuale dell'Unione confluì nelle 281 pagine del faldone intitolato "Per il bene dell'Italia". Una complessità d'impianto che, agli occhi dell'elettorato di centro-sinistra e di quanti non avevano ancora deciso per chi votare, non depose certo a favore della chiarezza delle proposte, ma che sembrò essere la risposta (in un certo senso obbligata) alla cultura della semplificazione estrema elargita a piene mani dal marketing elettorale di stampo berlusconiano.
Data l'impossibilità di rendere conto di un programma così vasto, ci limiteremo ad alcuni esempi e temi significativi, a cominciare dalla politica estera, dalla strategia per combattere il terrorismo internazionale e dalla guerra in Iraq, così come furono visti dall'Unione.
Il capitolo di riferimento si intitolava "Noi e gli altri" e nel paragrafo d'apertura si poteva fra l'altro leggere: "Scegliamo di mettere la vocazione di pace del popolo italiano e l'articolo 11 della Costituzione italiana al centro delle scelte che il nostro Paese compie in materia di sicurezza. [...] Scegliamo una politica preventiva di pace che persegua attivamente l'obiettivo di equità e giustizia sul piano internazionale, favorendo la prevenzione dei conflitti e il prosciugamento dei "bacini dell'odio". Scegliamo la legalità internazionale, come chiave per affrontare i conflitti e per la costruzione di un ordine internazionale fondato sul diritto e sui diritti. Scegliamo di rilanciare sulla scena europea e internazionale il ruolo dell'Italia, come attore attivo e consapevole, per favorire la pace, la stabilità, la giustizia, la democrazia, i diritti umani, il commercio equo, la cooperazione, l'economia ambientale sostenibile, la tutela delle risorse storiche, culturali, ambientali. [...] Scegliamo di mettere al centro dell'azione dell'Italia la promozione della democrazia, dei diritti umani, politici, sociali ed economici, a cominciare dai diritti delle donne".
Specificamente sulla questione del terrorismo internazionale la posizione era la seguente: "Occorre un forte e rinnovato impegno nella lotta al terrorismo internazionale, che minaccia l'insieme delle società del mondo contemporaneo. Il fenomeno terrorista è mosso oggi, in primo luogo, da un feroce fondamentalismo, che agita la bandiera religiosa per coprire un disegno politico perverso, che con i valori religiosi non ha nulla a che fare. E' necessario un maggior coordinamento nelle indagini antiterrorismo. Siamo fermamente convinti che la lotta al terrorismo debba essere condotta con strumenti politici, di intelligence e di contrasto delle organizzazioni terroristiche. E' in primo luogo sul piano politico, sociale ed economico che dobbiamo battere il progetto del terrorismo, prosciugandone il serbatoio di adepti, dando risposte anche ai sentimenti di umiliazione e di emarginazione. Riteniamo comunque necessario affermare una ripulsa morale e politica dei metodi terroristici, condotti sia da organizzazioni sia da Stati, che non possono essere giustificati neppure nell'ambito di contesti locali particolarmente estremi e drammatici. Questo richiede una politica globale per la lotta al terrorismo. E' necessario promuovere un maggior coordinamento, sia a livello nazionale che tra i responsabili nazionali della sicurezza dei Paesi europei, per definire una strategia condivisa di contrasto: collaborazione dei servizi di intelligence, controllo sui flussi finanziari sospetti e lotta ai paradisi fiscali, ma anche accordi di cooperazione con i Paesi terzi. Parallelamente, è opportuno che i Paesi membri dotino l'Ue di strumenti che rafforzino lo spazio comune di libertà e giustizia - nel pieno rispetto dei principi democratici e dello stato di diritto e dei diritti delle persone - come il mandato di cattura europeo, Europol, Eurojust, le banche dati europee, il miglioramento del sistema Schengen".
Infine, le affermazioni sull'Iraq: "Consideriamo la guerra in Iraq e l'occupazione un grave errore. Essa non ha risolto, anzi ha complicato il problema della sicurezza. Il terrorismo ha trovato in Iraq una nuova base e nuovi pretesti per azioni terroristiche interne ed esterne ai confini iracheni. La guerra, avviata in violazione della legalità internazionale, ha avuto l'effetto di indebolire l'ONU e minare il principio di una governance multilaterale del mondo. Dobbiamo dare un forte segnale di discontinuità sia al popolo iracheno sia alla comunità internazionale, anche per affermare il valore del multilateralismo come metodo per la soluzione concordata dei conflitti e per rafforzare il ruolo delle Nazioni Unite, restituendo loro autorevolezza. In coerenza con il principio del multilateralismo, riteniamo necessaria l'internazionalizzazione della gestione della crisi irachena, con una netta ed evidente inversione di rotta da realizzarsi con la presenza di una autorità internazionale (ONU) che superi l'attuale presenza militare e che affianchi il governo iracheno nella gestione della sicurezza, del processo di transizione democratica e della ricostruzione. Se vinceremo le elezioni, immediatamente proporremo al Parlamento italiano il conseguente rientro dei nostri soldati nei tempi tecnicamente necessari, definendone, anche in consultazione con le autorità irachene, al governo dopo le elezioni legislative del dicembre 2005, le modalità affinché le condizioni di sicurezza siano garantite. Il rientro andrà accompagnato da una forte iniziativa politica in modo da sostenere nel migliore dei modi la transizione democratica dell'Iraq, per contribuire a indicare una via d'uscita che consenta all'Iraq di approdare a una piena stabilità democratica, e a consegnare agli iracheni la piena sovranità sul loro Paese. In questo quadro, l'impegno italiano in Iraq deve prendere forme radicalmente diverse, prevedendo azioni concrete per sostenere la transizione democratica e la ricostruzione economica".
Altro tema fondamentale era quello istituzionale. In particolare nei paragrafi "In difesa dei valori della Costituzione" e nel successvio "La Costituzione si cambia insieme", l'Unione, dopo aver criticato il merito e il metodo della riforma costituzionale voluta dal centro-destra ("una riforma costituzionale incoerente che lacera il Paese e contrappone i territori con la cosiddetta devolution" e "una riforma che non nasce da un patto costituzionale tra tutte le rappresentanze politiche, come è nella tradizione delle democrazie, ma da un accordo tra le sole componenti della maggioranza"), e dopo aver rinnovato l'invito ai cittadini italiani affinché la bocciassero mediante referendum costituzionale, avanzava le seguenti promesse per il futuro: "Crediamo innanzitutto che la Costituzione sia fonte di legittimazione e limitazione di tutti i poteri, e ci impegniamo a ristabilirne la supremazia, a presidio delle regole e dei valori fondamentali della collettività. A questa tutela uniamo precise garanzie per il futuro, per evitare che future maggioranze di governo realizzino riforme costituzionali senza ottenere un ampio consenso in Parlamento e nella società. Modificheremo il quorum previsto dall'articolo 138 della Costituzione elevando la maggioranza necessaria per l'approvazione, in seconda lettura, di leggi di revisione costituzionale. Questo garantirà il raggiungimento di un ampio consenso, evitando per il futuro riforme costituzionali approvate a colpi di maggioranza evitando ogni confronto democratico. Manterremo inoltre la facoltà di sottoporre a referendum la legge di revisione costituzionale nel caso in cui lo chiedano un quinto dei componenti di una Camera, o cinque consigli regionali, o cinquecentomila elettori. Tale proposta avrà carattere di priorità, e richiederà un ampio accordo in Parlamento".
Fatte dunque salve le procedure democratiche e garantiste nel processo di trasformazione dell'assetto istituzionale della Repubblica, non si nascondeva certo la volontà di proseguire lungo alcune direttrici di riforma (in senso federalista) già tracciate in passato dallo stesso centro-sinistra, a cominciare (come indicato nei rispettivi paragrafi) da "Un nuovo Senato per regioni e autonomie locali", dall'obiettivo di "Migliorare la riforma del Titolo V della Costituzione" e da quello di "Attuare il federalismo fiscale".
Se tra i punti salienti del programma prodiano andavano sicuramente annoverati anche le promesse di una lotta serrata all'evasione fiscale, di una nuova politica di sviluppo del Mezzogiorno, di un'attenzione particolare alla formazione e alle possibilità di riuscita delle nuove generazioni, di un'informazione più libera e pluralistica, di politiche di gestione dell'immigrazione più razionali e tolleranti e di maggiori investimenti nel campo della ricerca scientifica e nel comparto della cultura in senso lato (dalla valorizzazione del patrimonio storico e artistico di centri grandi e piccoli, al cinema e al teatro, fino al diritto allo sport per tutti), concludiamo questa rassegna illustrando la prima parte del paragrafo intitolato "Lavoro, diritti e crescita camminano insieme", a sua volta articolato in più punti programmatici, ovvero: "Una piena e buona occupazione", "Una previdenza sicura e sostenibile", "Il pilastro del futuro: la previdenza complementare", "La nuova rete dei diritti di cittadinanza: la persona e la famiglia", "Risolvere il problema casa", "Diritto alla salute e nuovo welfare locale", "Una società solidale: il non profit e le reti di protezione sociale".
Come introduzione generale all'intreccio delle tematiche in questione si poteva leggere: "Il binomio lavoro e welfare è l'asse portante dei valori che ispirano tutte le nostre politiche economiche e sociali. Il punto di partenza è la creazione di un circuito virtuoso tra sviluppo economico e sviluppo sociale, tra diritti e crescita, tra competitività e giustizia: un welfare state declinato come 'ambito di giustizia' e come 'fattore produttivo'. È in questo contesto che possiamo e dobbiamo recuperare il nesso inscindibile tra diritti individuali, diritti del lavoro e diritti sociali, secondo un nuovo approccio allo 'sviluppo umano' che veda l'idea di libertà non solo come attributo individuale, ma come impegno sociale. Allo stesso modo, per noi uguaglianza è anche 'uguaglianza delle capacità fondamentali' e solidarietà è soprattutto responsabilità degli uomini e delle donne gli uni per gli altri e di ciascuno verso la società".
In favore di una "piena e buona occupazione" invece si affermava: "Noi siamo contrari ai contenuti della legge n. 30 e dei decreti legislativi n. 276 e 368 che moltiplicano le tipologie precarizzanti. Per noi la forma normale di occupazione è il lavoro a tempo indeterminato, perché riteniamo che tutte le persone devono potersi costruire una prospettiva di vita e di lavoro serena. In tal senso, crediamo che il lavoro flessibile non possa costare meno di quello stabile e che tutte le tipologie contrattuali a termine debbano essere motivate sulla base di un oggettivo carattere temporaneo delle prestazioni richieste e che non debbano superare una soglia dell'occupazione complessiva dell'impresa".
Più avanti il discorso sul lavoro si precisava e si ampliava nel modo seguente:
"Oltre al superamento della legge Maroni, noi puntiamo:
- all'estensione a tutti i lavoratori delle tutele e dei diritti di base (maternità, paternità, malattia, infortunio, diritti sindacali, ecc.) e dell'accesso al credito;
- all'aumento delle opportunità di crescita professionale, attraverso il diritto alla formazione permanente;
- alla garanzia e al sostegno non solo del reddito attuale, ma anche dei trattamenti pensionistici futuri, con strumenti quali: la totalizzazione di tutti i contributi versati, anche in regimi pensionistici diversi, e la copertura figurativa per i periodi di non lavoro.
Vogliamo inoltre estendere le tutele anche nel mercato del lavoro riformando gli ammortizzatori sociali, potenziando i servizi pubblici all'impiego e la formazione professionale sul territorio, innovando e allargando le politiche attive di sostegno all'occupazione e per la formazione lungo tutto l'arco della vita. In particolare, proponiamo politiche specifiche per aumentare le opportunità di lavoro dei gruppi oggi sottorappresentati sul mercato del lavoro, in primo luogo:
- i giovani, per accrescerne istruzione e qualificazione professionale e stabilizzarne i rapporti di lavoro;
- le donne, con strumenti che ne garantiscano la parità di diritti normativi, retributivi e pensionistici, senza discriminazioni. Anche a tal fine, vogliamo favorire la conciliazione delle responsabilità genitoriali degli uomini e delle donne con la vita lavorativa, con diversi strumenti: dall'estensione degli asili nido di territorio come diritto alla socializzazione primaria dei bambini e delle bambine, alla possibilità di part-time e di congedi adeguatamente retribuiti, agli incentivi per l'inserimento e il reinserimento al lavoro dopo periodi di assolvimento di responsabilità genitoriali;
- gli anziani, con azioni che promuovano la vecchiaia attiva: sostegni e incentivi al reinserimento al lavoro, formazione professionale per adeguare le competenze; forme di passaggio graduale fra lavoro e non lavoro, anche con part-time misto a pensione;
- i lavoratori delle aree depresse, specie del Mezzogiorno, con incentivi mirati all'occupazione stabile e alla regolarizzazione del lavoro nero oltre che con il rilancio dello sviluppo di quelle regioni;
- i soggetti disabili e svantaggiati, attraverso il superamento delle normative introdotte dalla legge 30 e il potenziamento dei centri pubblici per i servizi di inserimento lavorativo mirato delle persone con disabilità.
Queste politiche di promozione della buona occupazione e di estensione dei diritti devono riguardare anche i lavoratori immigrati. A questo proposito, noi seguiamo unìimpostazione diametralmente opposta a quella repressiva e incostituzionale della legge Bossi-Fini. Vogliamo superare l'approccio restrittivo al problema dell'immigrazione. Analogamente, per contrastare la tendenza al lavoro nero, riteniamo che occorra garantire il permesso di soggiorno a ogni immigrato che denunci la propria condizione di lavoro irregolare. [...] Inoltre, riteniamo indifferibile una profonda riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, che preveda:
- l'incremento e l'estensione dell'indennità di disoccupazione a tutti i lavoratori (anche discontinui, economicamente dipendenti e non subordinati);
- il riordino e l'armonizzazione dei trattamenti del settore agricolo;
- la costituzione di una rete di sicurezza universale che protegga tutti i lavoratori nei casi di crisi produttive.
Un altro obiettivo generale imprescindibile delle nostre politiche economiche e sociali è costituito dalla difesa del potere d'acquisto dei salari e delle pensioni. [...] A tal fine, proponiamo di agire in diverse direzioni:
- monitorare a livello centrale e territoriale l'andamento dei prezzi e delle tariffe e intervenire per un loro contenimento, con particolare riferimento alle tariffe elettriche, del gas, dell'acqua, delle telecomunicazioni e dell'assicurazione obbligatoria sull'auto;
- superare il criterio dell'inflazione programmata nel rinnovo dei contratti di lavoro e definire i meccanismi più efficaci e più equi per garantire la copertura dall'inflazione reale;
- distribuire una quota dell'incremento della produttività a favore delle retribuzioni perché risulta evidente che, da molti anni a questa parte, essa è andata esclusivamente a vantaggio delle imprese;
- recuperare il drenaggio fiscale;
- ridurre l'imposizione sulle basse retribuzioni;
- estendere a tutti i pensionati l'integrazione al trattamento minimo, premiando chi ha versato più contributi;
- ridurre la tassazione sul trattamento di fine rapporto.
In generale, riteniamo che il problema del potere d'acquisto non possa essere disgiunto da una politica fiscale basata sul prelievo progressivo per tutti i redditi - dai salari alle rendite - e dall'adozione di un criterio di trasparenza nella definizione del paniere di prodotti che definiscono l'aumento dell'inflazione".

LE ELEZIONI DEL 9 E 10 APRILE 2006

Le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica si svolsero durante l'intera giornata di domenica 10 aprile e nella prima metà di lunedì 11. L'affluenza alle urne in Italia fu molto elevata (l'83,6% degli aventi diritto) e per la prima volta votarono anche i cittadini italiani residenti all'estero (affluenza attorno al 39% registrata presso i vari Enti e Consolati italiani all'estero), cui spettava per legge di determinare l'asseganzione di 12 seggi alla Camera, su 630, e 6 seggi al Senato, su 315.
Ancor prima dell'avvio effettivo delle operazioni di spoglio delle schede, iniziarono a susseguirsi sondaggi ed exit-poll che diedero per sicura una netta vittoria dello schieramento di centro-sinistra. Alla fine, la coalizione dell'Unione, guidata da Romano Prodi, vinse effettivamente la competizione, ma riuscì a spuntarla con un margine davvero esiguo di voti alla Camera (meno dello 0,1%, che tuttavia, per effetto del premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale introdotta dal centro-destra, garantì all'Unione la maggioranza assoluta in Parlamento) e con una differenza in Senato ancora più ristretta, ottenuta proprio all'ultimo (e per certi versi paradossalmente) dall'esito delle votazioni estere.
La Casa delle Libertà, rinfrancata dalla buona tenuta elettorale, ma incapace di digerire una sconfitta di così stretta misura, diede adito nei giorni seguenti il voto a sterili polemiche sulla presunta irregolarità delle operazioni di conteggio delle schede nulle. Contestazioni poi messe a tacere dallo stesso ministero dell'Interno e dal verdetto definitivo (espresso il 19 aprile) dell'Ufficio elettorale centrale nazionale costituito presso la Corte di Cassazione, che, dopo aver riesaminato tutti i verbali elettorali, confermò l'assoluta regolarità delle consultazioni e del loro esito.
Restava il fatto che i risultati delle elezioni fotografavano una società italiana quasi perfettamente divisa a metà, e le premesse numeriche e politiche per la futura azione di governo del nuovo Esecutivo di centro-sinistra guidato da Romano Prodi non erano certo delle migliori.
Nel dettaglio gli esiti elettorali furono i seguenti: l'Unione ottenne il 49,805% delle preferenze alla Camera, che (in virtù del premio di maggioranza) si tradusse automaticamente in 340 seggi. Le liste e i partiti aderenti all'Unione ottennero singolarmente i seguenti risultati: l'Ulivo (lista unica formata da DS, DL-Margherita e Movimento Repubblicani Europei) il 31,265% e 220 seggi; Rifondazione Comunista 5,844% e 41 seggi; la Rosa nel Pugno 2,597 e 18 seggi; Comunisti Italiani 2,319% e 16 seggi; Italia dei Valori 2,299% e 16 seggi; Federazione dei Verdi 2,054% e 15 seggi; UDeuR Popolari 1,401% e 10 seggi; Südtiroler Volkspartei (SVP) 0,478% e 4 seggi; altre formazioni minori (fra cui i Socialisti, il Partito Pensionati e la Lista Consumatori) non raggiunsero la percentuale sufficiente ad ottenere alcun deputato. Un deputato il centro-sinistra l'ottenne invece nel collegio uninominale della Valle d'Aosta grazie ad Autonomie Liberté Democratie, mentre altri 7 deputati furono eletti nelle liste dell'Unione presentate all'estero (6 in particolare andarono alla lista L'Unione-Prodi e uno a Di Pietro-Italia dei Valori). In totale l'Unione poteva quindi contare su 348 deputati alla Camera. Ad essi, molto probabilmente, si sarebbe aggiunto il deputato indipendente eletto all'estero nella formazione Associazioni Italiane in Sud America.
Al centro-destra, ovvero alla coalizione della Casa delle Libertà, andarono in totale 281 seggi alla Camera. La CdL ottenne il 49,739% dei voti, così suddivisi: Forza Italia 23,709% e 137 seggi; Alleanza Nazionale 12,336% e 71 seggi; UDC 6,762% e 39 seggi; Lega Nord 4,581% e 26 seggi; Democrazia Cristiana-Nuovo PSI 0,748% e 4 seggi; altre formazioni minori (fra cui Alternativa Sociale, Fiamma Tricolore, Partito Liberale Italiano, No Euro e Pensionati Uniti) non ottennero alcun deputato. Ai 277 eletti in Italia si sommarono i 4 deputati eletti all'estero: 3 nelle fila di Forza Italia e uno appartenente alla lista Per l'Italia nel Mondo del nazionalalleato Mirko Tramaglia.
Al Senato l'Unione ottenne complessivamente 158 senatori contro i 156 della CdL, mentre un senatore indipendente, eletto nelle fila di Associazioni Italiane in Sud America, dichiarò che avrebbe appoggiato a sua volta la maggioranza di Governo. Ma l'esito finale delle votazioni per il Senato non fu affatto scontato: al centro-destra andò infatti la percentuale complessiva del 50,212% dei voti, che si traduceva (per effetto dei premi di maggioranza calcolati questa volta su base regionale, e non nazionale come per la Camera) in 153 senatori, mentre il centro-sinistra, con il 48,958%, otteneva 148 senatori. Con i risultati di Trentino Alto Adige (7 seggi) e Valle D'Aosta (1 seggio) il numero dei senatori salì rispettivamente a 155 contro 154, risultato che venne infine ribaltato a favore dell'Unione in virtù dei voti provenienti dall'estero. Nel dettaglio le forze dei due schieramenti si spartirono i seggi del Senato nel modo seguente: Democratici di Sinistra 62 senatori, DL-La Margherita 39 senatori, Rifondazione Comunista 27 senatori, Insieme con L'Unione 11 senatori, Di Pietro-Italia dei Valori 4 senatori, L'Unione-SVP 3 senatori, UDeuR Popolari 3 senatori, SVP 2 senatori, Autonomie Liberté Democratie 1 senatore, l'Ulivo 1 senatore, Lista Consumatori 1 senatore (tot 154). Cui si aggiunsero i 4 senatori eletti all'estero nell'Unione-Prodi (tot. 158).
Per la CdL invece: Forza Italia 78 senatori, Alleanza Nazionale 41, UDC 21, Lega Nord 13 e Casa delle Libertà 2 (tot. 155). Cui si aggiunse l'unico senatore, appartenente ancora a Forza Italia, eletto all'estero (tot. 156).
Romano Prodi

IL NUOVO ASSETTO POLITICO-ISTITUZIONALE DEL PAESE

Il rinnovato Parlamento italiano si riunì la prima volta sotto le presidenze provvisorie di Oscar Luigi Scalfaro al Senato e di Fabio Mussi alla Camera, chiamati, il 28 aprile 2006, a inaugurare la XV Legislatura rispettivamente a palazzo Madama e a Montecitorio. Le prime e fondamentali scadenze istituzionali e parlamentari furono le seguenti: elezione dei nuovi presidenti di Camera e Senato (in sostituzione degli uscenti Pier Ferdinando Casini e Marcello Pera), elezione del nuovo presidente della Repubblica (in sostituzione di Carlo Azeglio Ciampi, giunto ormai a fine mandato) e insediamento del nuovo Governo del Paese. Il leader di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti, appoggiato dalla coalizione dell'Unione, e dopo la rinuncia del diessino D'Alema alla stessa carica, il 29 aprile fu eletto presidente della Camera dei Deputati alla quarta votazione a scrutinio segreto, avendo superato con 337 voti la soglia dei 305 richiesti dal quorum. Il neopresidente Bertinotti nel suo discorso inaugurale dedicò l’elezione alla terza carica dello Stato alle operaie e agli operai; omaggiò Ciampi "per il modo autorevole e popolare con cui ha rappresentato il Paese" e si rivolse al suo predecessore, Casini, per un ringraziamento istituzionale. Il senatore Franco Marini, segretario organizzativo della Margherita, fu invece eletto presidente del Senato alla terza votazione valida (senza contare un'ulteriore votazione annullata per contestazioni) nella giornata di sabato 30 aprile: Marini fu eletto con 165 voti, contro i 156 di Giulio Andreotti, canditato proposto dalla Casa delle Libertà. Il 10 maggio il Parlamento in seduta plenaria elesse a presidente della Repubblica il senatore a vita Giorgio Napolitano, che subentrò così a Ciampi. Il voto decisivo per la nomina dell'undicesimo capo dello Stato italiano, primo ex comunista a salire al Colle, arrivò alla quarta votazione, dopo due giorni spesi in ipotesi di trattativa tra la maggioranza dell'Unione e l'opposizione: il voto al quarto scrutinio, con maggioranza assoluta (dopo i tre precedenti con maggioranza qualificata dei due terzi), poneva la soglia a 505 voti e Napolitano la superò ampiamente, raggiungendo quota 543. Subito dopo il suo insediamento (15 maggio), il neopresidente Napolitano investì ufficialmente dell'incarico di presidente del Consiglio dei Ministri il leader dell'Unione Romano Prodi, il quale, non senza difficoltà interne, riuscì a formare la sua squadra di Governo, che ottenne la fiducia di Senato e Camera (19-23 maggio) con i voti del centro-sinistra e dei senatori a vita (al Senato: 165 voti a favore e 155 contrari; alla Camera: 344 a favore e 268 contrari). Tra le figure di spicco del nuovo Governo di centro-sinistra vi erano: Massimo D'Alema al ministero degli Esteri e Francesco Rutelli ai Beni culturali (entrambi, altresì, vicepresidenti del Consiglio), Giuliano Amato al ministero dell'Interno, Tommaso Padoa Schioppa all'Economia, Clemente Mastella alla Giustizia, Arturo Parisi alla Difesa, Alfonso Pecorario Scanio al ministero dell'Ambiente e Antonio Di Pietro alle Infrastrutture. Il secondo Esecutivo guidato da Prodi (il suo primo Governo risaliva al maggio 1996 - ottobre 1998) pose come priorità assolute il risamento del bilancio dello Stato, lo sviluppo del Paese e il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq. Fra le prime misure prese vi furono una serie di provvedimenti di liberalizzazione (licenze per taxi, obblighi notarili su passaggi di proprietà, ecc.) che incontrarono la forte resistenza delle categorie e delle professioni interessate al mantenimento dello status quo.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Il giuramento e il discorso di insediamento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

IL REFERENDUM COSTITUZIONALE DEL 25-26 GIUGNO 2006

A circa due mesi di distanza dalla vittoria dell'Unione nelle elezioni politiche, e dopo l'elezione a Presidente della Repubblica del senatore a vita Giorgio Napolitano (10 maggio) e l'insediamento del Governo Prodi (17 maggio), si svolse la consultazione popolare più attesa, ossia il referendum costituzionale avente per oggetto la conferma o la bocciatura della Legge costituzionale del novembre 2005 (recante Modifiche alla Parte II della Costituzione), fortemente voluta dal centro-destra e in primo luogo da Lega Nord e Forza Italia. Sebbene non fosse necessario per la validità del referendum in questione (dato che l'istituto del referendum costituzionale non prevede alcun quorum), la percentuale dei votanti superò la maggioranza assoluta degli aventi diritto (53,6%). Tale condizione - che non si verificava in un qualsiasi referendum in Italia da almeno un decennio - avvalorò maggiormente la scelta dei cittadini che in netta maggioranza risposero NO al quesito referendario (61,7%, contro il 38,3% dei SI), bocciando così quella che da più parti veniva considerata una pericolosa "controriforma" dell'assetto democratico e unitario della Repubblica. Le uniche Regioni in cui il SI ebbe la meglio furono significativamente il Veneto e la Lombardia (rispettivamente 62,2% e 60,6%), mentre il resto della Penisola si schierò decisamente per il NO, con punte dell'82,5% in Calabria e ampiamente superiori al 70% in Puglia, Basilicata, Campania, Molise, Sardegna e Toscana.

LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE DEL 27 E 28 MAGGIO 2007

Le elezioni tenutesi nel maggio 2007 hanno riguardano i presidenti di 7 province con i relativi consigli provinciali e i sindaci, con i relativi consigli comunali e circoscrizionali di 862 comuni, gran parte dei quali con popolazione inferiore ai 15 mila abitanti. Per i Comuni inferiori a 15 mila abitanti, il metodo di elezione è il maggioritario, tramite il quale vengono eletti contestualmente i consiglieri comunali e il sindaco. Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, il sindaco è eletto a suffragio universale e diretto, contestualmente all'elezione del consiglio comunale. Scrutando i dati definitivi di queste elezioni amministrative una cosa alla coalizione di Governo di centro sinistra è certamente chiara: la persistenza di quella che viene identificata come "la questione Nord", che presenta forti criticità per il centrosinistra. Questione che ha portato l'Unione a perdere quasi il 10% dei consensi al comune di Genova e ad essere battuta a Verona e Monza. Il dato più significativo è che in questi 29 comuni capoluogo nelle elezioni politiche del 2006 centrodestra e centrosinistra erano alla pari e in questo confronto si è riprodotto un distacco molto simile a quello delle amministrative del 2002. Al Sud, la coalizione guidata da Romano Prodi ha "guadagnato" Agrigento, grazie a un candidato sindaco ex Udc e L'Aquila. Il centrodestra invece si riconferma con consensi che pesano, grazie alla Lega, nelle province del nord e ottiene risultati importanti, con forti scarti in positivo, pure a Reggio Calabria e Olbia. Resta l'incognita sull'astensionismo: per le comunali la flessione rispetto al 2002 è stata quasi del 3%, ma per le provinciali (dove il voto è maggiormente legato a logiche di appartenenza politica piuttosto che di preferenza ai singoli candidati) è arrivato vicino al 7%. Il confronto di questo dato con quello sulle zone ad alto tasso di astensione lascia pensare che chi non è andato a votare sia più facilmente un elettore di centrosinistra. Nel centrodestra esce certamente irrobustito l'asse Berlusconi-Bossi, mentre i risultati al Sud evidenziano la crisi con l'Udc.

LE ELEZIONI POLITICHE DEL 13 E 14 APRILE 2008

Nell'aprile 2008 si sono tenute le elezioni politiche per il rinnovo dei due rami del Parlamento, a seguito dello scioglimento anticipato delle Camere avvenuto il 6 febbraio 2008. Le elezioni sono state vinte dalla coalizione di centro-destra composta da Il Popolo della Libertà, Lega Nord e Movimento per l'Autonomia, che ha ottenuto la maggioranza assoluta degli eletti in entrambe le assemblee legislative (344 su 630 alla Camera, 174 seggi su 315 al Senato). Gli elettori chiamati a votare nelle 61.225 sezioni sparse sul territorio nazionale sono stati più di 47 milioni per la Camera e più di 43 milioni per il Senato, a cui si devono aggiungere circa 2 milioni e mezzo di elettori all'estero. Rispetto alle precedenti elezioni gli schieramenti erano molto variati. Quelle che erano state le due grandi alleanze, nel 2006 e prima, erano già estinte, e i partiti al loro interno erano stati protagonisti di grandi mutazioni.
Tendenza generalizzata è stata la scomposizione in più liste e l'accorpamento fra loro di forze politiche simili.
L'alleanza di centrosinistra L'Unione si è sciolta con la caduta del governo Prodi e le forze che l'avevano composta hanno dato vita a varie nuove formazioni. Il Partito Democratico ha deciso di fare a meno della quasi totalità degli ex-alleati sia per le elezioni del Senato sia per quelle della Camera. Unica alleanza mantenuta dal PD è stata quella con l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, che, secondo gli accordi, avrebbe mantenuto il proprio simbolo nella corsa elettorale per poi formare gruppi parlamentari unificati con il compagno di coalizione.
Altri quattro partiti Rifondazione Comunista - Il Partito dei Comunisti Italiani - I Verdi - Sinistra Democratica si sono unificati sotto l'unica lista di La Sinistra L'Arcobaleno e per esprimere un'unica candidatura a Palazzo Chigi.
L'Unione dei Democratici Cristiani e di Centro (UDC) non ha aderito alla formazione del Popolo della Libertà e si è presentato indipendentemente, con un proprio candidato premier.
L'UDEUR, abbandonato definitivamente il campo del centro-sinistra e posizionatosi al centro, ha preso la decisione di presentarsi senza entrare in nessuna coalizione.
Per quanto riguarda il centro-destra, lo scenario proposto agli elettori è risultato mutato rispetto a quello del 2006. Dopo la scelta del Partito Democratico di correre con in una coalizione ristretta, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini hanno deciso che i rispettivi partiti, Forza Italia e Alleanza Nazionale, si sarebbero presentati sotto l'unico simbolo del Popolo della Libertà in coalizione con la Lega Nord, che avrebbe presentato le sue liste solo al Centro-Nord, e con il Movimento per l'Autonomia, che lo avrebbe fatto nelle altre regioni.
La coalizione di centro-destra ha ottennuto una netta vittoria, sia alla Camera dei Deputati che al Senato e ha affidato a Silvio Berlusconi la guida del governo. L'attribuzione dei seggi è risultata decisamente sbilanciata a centro-destra (344 su 630 alla Camera, 174 seggi su 315 al Senato). Per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana i risultati elettorali hanno consegnato alle aule parlamentari una composizione di eletti che non vede rappresentanze dei partiti estremi (la Sinistra Arcobaleno di Bertinotti e La Destra-Fiamma Tricolore della Santanchè) a causa dello sbarramento posto al 5%.
I dati dei flussi elettorali hanno dimostrato che il primo partito italiano, Il Popolo della Libertà, ha subito un calo cedendo voti rispetto a quelli sommati delle forze componenti, pur mantenendosi stabile in termini di percentuali, mentre il centrosinistra, considerato nel suo insieme, ha subito un pesante arretramento nelle preferenze elettorali.
Nella coalizione vincente del centro-destra ha suscitato sorpresa il risultato eccezionale della Lega Nord, che ha quasi raddoppiato i suoi voti a livello nazionale, pur non essendo presente che in circa metà delle circoscrizioni, ha visto l'affermarsi come forza politica principale del nord Italia. L'effetto dei risultati elettorali è stato quello di rendere indispensabile l'apporto degli eletti leghisti perché la coalizione vincitrice sia in grado di controllare ciascuna delle due Camere.

PICCOLO LESSICO

Arco costituzionale

È l'espressione con cui si fa riferimento alle forze politiche che concorsero, nel 1946, alla formulazione del testo della Costituzione: erano, da sinistra a destra, PCI, PSI, Partito d'Azione, Democrazia Cristiana, PLI. Con l'espressione arco costituzionale si faceva dunque riferimento alla collocazione dei partiti nell'emiciclo delle aule del Senato e della Camera dei deputati.

Compromesso storico

È la formula che fu enunciata da Enrico Berlinguer nell'autunno del 1973 in un articolo apparso sul settimanale del PCI, «Rinascita». In esso, Berlinguer, commentando gli avvenimenti del Cile (il golpe militare di Pinochet che, nel 1973, aveva abbattuto il regime costituzionale di sinistra di Salvador Allende), giungeva alla conclusione che in Italia era necessario un «compromesso di portata storica» nella società e un Governo congiunto delle forze di sinistra e delle forze cattoliche. Ciò significava che il PCI, per la prima volta dopo trent'anni, si riproponeva come alleato politico della Democrazia Cristiana. I Governi di «solidarietà nazionale» che realizzarono la strategia berlingueriana del compromesso storico nacquero nel 1977 e 1978, sotto la guida di Giulio Andreotti, raccogliendo una vasta maggioranza nel Parlamento.

Strategia della tensione

Questa espressione nacque negli anni Settanta ad indicare la particolare strategia di gruppi politici neofascisti che intendevano destabilizzare il sistema democratico italiano. Alle aperture verso sinistra che si verificavano allora nella società italiana (centro-sinistra, contestazioni studentesche e operaie, avvio del compromesso storico) essi contrapposero una serie di attentati dinamitardi contro centri e strutture di uso sociale. Del 13 dicembre 1969 è la prima bomba, che esplose all'interno della Banca dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano. Da allora, altre bombe furono collocate su treni, nelle piazze affollate per pubblici incontri, nelle sale d'attesa delle stazioni ferroviarie. Una di esse, collocata all'interno della stazione ferroviaria di Bologna, il 2 agosto 1980, provocò una enorme strage, con oltre 80 morti e centinaia di feriti.

PERSONAGGI CELEBRI

Giorgio Almirante

Uomo politico italiano (Salsomaggiore 1914 - Roma 1988). Dopo aver aderito alla Repubblica di Salò, fu tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, per il quale fu deputato dal 1948. Dal 1969 segretario del partito, appoggiò la fusione con i monarchici in un'unica formazione (MSI - Destra Nazionale) che si presentò alle elezioni del 1972. Coinvolto in vari tentativi di ricostruzione del Partito fascista nel 1973 e nel 1974, riuscì tuttavia a rimanere alla guida del MSI. Riconfermato segretario nel 1977 dopo la scissione dell'ala moderata, confluita in Democrazia Nazionale, si adoperò attivamente per creare un movimento di destra a livello europeo. Dissoltasi Democrazia Nazionale, si preoccupò di rafforzare la sua posizione personale e quella del MSI, cogliendo un successo significativo nelle elezioni del 1979. Dal 1981 promosse una campagna a favore della pena di morte che però riscosse scarsi consensi nel Paese. Negli anni seguenti cercò di rilanciare il MSI accreditandogli una veste moderata. Ricoprì la carica di segretario nazionale del MSI fino al 1987; al congresso di Sorrento di quell'anno, infatti, la segreteria vanne assunta dal giovane Gianfranco Fini, mentre Almirante vanne insignito della carica onorifica di presidente del MSI.

Giulio Andreotti

Uomo politico italiano (n. Roma 1919). Deputato al Parlamento dal 1946, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dal 1947 al 1954, ministro delle Finanze dal 1955 al 1958, ministro del Tesoro nel 1959, ministro della Difesa dal 1959 al 1966, quindi ministro dell'Industria e del Commercio. Presidente del Consiglio nel 1972. Nel 1976 varò il suo terzo Governo monocolore, definito Governo della «non sfiducia», in quanto basato sull'astensione di PCI, PSI, PSDI, PLI. Alla guida di una compagine ministeriale priva della maggioranza parlamentare, dimostrò grande abilità politica, aggirando oltretutto gli ostacoli rappresentati dagli scandali relativi alle tangenti Lockheed e alla fuga del criminale nazista Kappler nel 1977. Nonostante ciò, nel 1978, una crisi di Governo lo costrinse a dimettersi. Ottenuto subito dopo il reincarico, formò un nuovo Governo monocolore che sarebbe durato fino al gennaio 1979. Nel 1983 fu nominato ministro degli Esteri, carica che conserverà, dopo i Governi Craxi, anche fino al Goria-bis. Nel 1989 Andreotti tornò al Governo per guidare una coalizione pentapartitica (DC-PSI-PRI-PSDI-PLI). Subita la defezione del Partito Repubblicano, nel 1991 Andreotti formò una seconda edizione dello stesso Governo, appoggiata dal rimanente quadripartito, con lo scopo di giungere alla fine della legislatura (1992). Nella primavera del 1993 Andreotti fu accusato da alcuni pentiti di mafia di collusione con Cosa Nostra e di essere stato il mandante degli omicidi del generale Dalla Chiesa e del giornalista Mino Pecorelli, eliminati perché in procinto di rivelare i mandanti politici del sequestro Moro e i legami tra mafia e DC siciliana. Nel maggio il Parlamento concesse l'autorizzazione a procedere contro Andreotti, il quale nel 1999 fu prosciolto da tutti i capi d'accusa, così l'anno seguente, nel successivo grado di giudizio. Autore di libri di memorie, Andreotti ha scritto, tra l'altro: A ogni morte di Papa (1980), i Diari 1976-1979 (1981), Visti da vicino (2 volumi, 1981-83), Onorevole, stia zitto (1987).
Giulio Andreotti

Enrico Berlinguer

Uomo politico italiano (Sassari 1922 - Padova 1984). Nato da una famiglia della buona borghesia di tradizioni risorgimentali e socialiste (il padre, Mario, era stato un dirigente del PSI; il nonno, Enrico, amico di Garibaldi e di Mazzini, aveva fondato il quotidiano "La Nuova Sardegna"), e di lontana origine catalana. Nel 1943, ancora studente, aderì al Partito Comunista, e il 12 gennaio dell'anno seguente venne arrestato durante la cosiddetta rivolta del pane, con l'accusa di propaganda sovversiva, insurrezione armata e saccheggio. Dopo tre mesi di carcere riprese l'attività politica e nel giugno del 1944 incontrò a Salerno Palmiro Togliatti. Si trasferì quindi a Roma a lavorare per il partito, e nel 1945 entrò a far parte del Comitato centrale. Segretario della Federazione giovanile comunista (1949-56), dal 1950 al 1953 fu anche presidente della Federazione mondiale della gioventù democratica, incarico che lo portò a viaggiare a lungo nei Paesi comunisti dell'Europa orientale. Nel 1956 Togliatti lo mandò a dirigere la Scuola centrale di partito alle Frattocchie; l'anno seguente tornò nella sua isola come vicesegretario regionale. Richiamato a Roma diresse la Sezione centrale di organizzazione, succedendo in questo delicato incarico a Giorgio Amendola. Gli anni Sessanta furono per Berlinguer anni di consolidamento al vertice del partito. Dopo la morte di Togliatti (1964) divenne segretario regionale del Lazio e membro dell'Ufficio politico. Nel 1968 fu eletto per la prima volta deputato, e l'anno seguente assunse la vicesegreteria accanto a Luigi Longo. Nel 1972, infine, venne eletto segretario generale, al termine del XIII congresso del PCI. In questa veste guidò i comunisti italiani all'autonomia da Mosca (lo «strappo»), nonché all'elaborazione di una strategia integralmente democratica, stabilita di comune accordo - almeno per un certo periodo - coi partiti fratelli spagnolo e francese, ridando forza alla linea tradizionale di collaborazione con le masse cattoliche (eurocomunismo; compromesso storico). Morì improvvisamente a Padova.
Enrico Berlinguer


Silvio Berlusconi

Imprenditore e uomo politico italiano (n. Milano 1936). Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza, iniziò a operare nell'ambito dell'edilizia con la costruzione del complesso Edilnord a Brugherio a cui fece seguito la realizzazione dei centri residenziali di Milano 2 e Milano 3. Proprio da Milano 2 prese avvio l'avventura delle televisioni commerciali con la costituzione di TeleMilanocavo (settembre 1974), che assunse nel 1980 la denominazione di Canale 5. In seguito Berlusconi acquistò Italia 1 (1982) da Rusconi e Rete 4 (1984) da Mondadori, costituendo il primo network privato e rompendo così il monopolio della televisione di Stato. Presidente del Milan A.C. dal 1986 e della STANDA dal 1988, nel 1985 diede vita alla prima stazione televisiva privata della Francia, chiamata La Cinq, e nel 1990 alla prima pay TV italiana, Telepiù. Nel 1987 iniziò la scalata editoriale con l'acquisto del quotidiano “Il Giornale'' di I. Montanelli e l'acquisizione del gruppo Mondadori (1990). Dal 1994 lasciò la guida della Fininvest per dedicarsi all'attività politica, fondando un nuovo movimento denominato Forza Italia con il quale fu presidente del Consiglio per alcuni mesi nello stesso 1994 e, successivamente, dal 2001 al 2006.
Silvio Berlusconi

Bettino Craxi

Uomo politico italiano (Milano 1934 - Hammamet 2000). Assessore socialista al Comune di Milano nel decennio 1960-70, rappresentò il PSI nell'Internazionale socialista. Membro della direzione del PSI dal 1965 e deputato dal 1968, divenne segretario del partito nel 1976, subentrando a Francesco De Martino. La sua segreteria ridiede slancio al partito, puntando a consolidare il ruolo centrale del PSI nello schieramento politico italiano e a garantire, nel breve termine, la governabilità del Paese. Nel 1980 il PSI, dopo sei anni di assenza, rientrò in una coalizione di Governo, mentre si rafforzò sempre di più la sua intesa con i partiti dell'area laica. Craxi venne poi riconfermato segretario nel 1981, e nell'agosto 1983 divenne presidente del Consiglio, primo capo di Governo socialista nella storia del dopoguerra. Conclusosi nel 1987 il suo mandato, a seguito di un'aspra crisi di Governo determinata da un clima politico di forte incertezza e conflittualità, annunciò il suo proposito di continuare ad occuparsi di politica dall'interno dei quadri organizzativi del partito, riconnettendosi così alla matrice del suo impegno militante. Craxi visse nel 1992 un momento di particolare difficoltà politica, allorché il partito e la sua persona in veste di segretario vennero investiti dalla bufera delle indagini sulle tangenti, l'inchiesta avviata a Milano dal giudice Di Pietro. Inquisito per finanziamento illegale ai partiti, ricettazione, corruzione, nel novembre 1996 venne condannato per corruzione in relazione al finanziamento illecito ai partiti nell'ambito della vicenda Eni-Sai. Dal 1993 si trasferì in Tunisia, ad Hammamet.
Bettino Craxi


Massimo D'Alema

Uomo politico italiano (n. Roma 1949). Figlio di un deputato del PCI, nel 1962, in occasione del X congresso del Partito Comunista, il tredicenne Massimo D'Alema parlò davanti a Togliatti in nome dei Pionieri d'Italia. L'anno seguente si iscrisse alla Federazione giovanile comunista (FGCI) di cui divenne segretario nel 1976. All'interno del Partito Comunista assunse incarichi sempre più rilevanti, fino a diventare responsabile dell'organizzazione del partito e poi direttore de "L'Unità''. Deputato dal 1987, fu collaboratore di Occhetto e suo sostenitore nella trasformazione del PCI in PDS; nel luglio 1994, in seguito alle dimissioni di Occhetto, D'Alema fu eletto alla guida del partito, battendo il secondo candidato Walter Veltroni. Fautore della coalizione di centro-sinistra (Ulivo), condusse il suo partito a un'importante vittoria in occasione delle elezioni politiche del 1996, che portarono il PDS al Governo. Nell'ottobre 1998, in seguito alle dimissioni di Prodi da primo ministro, fu incaricato dal capo dello Stato di formare il nuovo esecutivo, divenendo il primo presidente del Consiglio ex comunista. Dopo un secondo mandato, rassegnò le dimissioni da primo ministro nel 2000, anno in cui divenne presidente del partito dei DS. Dopo le elezioni politiche dell'aprile 2006 vinte dalla coalizione di centro-sinistra denominata l'Unione, D'Alema entrò a far parte del nuovo Esecutivo guidato da Romano Prodi in qualità di vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri.
Il leader dei Democratici di Sinistra Massimo D'Alema


Antonio Di Pietro

Magistrato e politico italiano (n. Montenero di Bisaccia, Campobasso 1950). Iniziati gli studi a Roma, si trasferì in Germania, per tornare in Italia nel 1973. Laureatosi nel 1978 in Giurisprudenza, dopo aver lavorato nel corpo di Polizia e come segretario comunale a Como, nel 1981 divenne procuratore a Bergamo, mantenendo l'incarico fino al 1985. Trasferito al Tribunale di Milano come procuratore della Repubblica, intraprese alcune inchieste riguardanti reati amministrativi, come quelle sulle cosiddette patenti facili (1987), sulle tangenti legate alle refezioni scolastiche e sulle forniture alle aziende municipalizzate. In seguito a indagini su un traffico di tangenti di vaste proporzioni, nel febbraio 1992 Di Pietro diede inizio, con l'arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, alla vasta operazione che prese poi il nome di "Mani pulite". Dal 1992 al 1994 portò alla luce numerosi traffici illeciti da parte di esponenti della pubblica amministrazione e del mondo imprenditoriale e politico italiano, provocando rapidi cambiamenti all'interno della classe politica, con il crollo dei partiti tradizionali (PSI e DC in particolare), ma suscitando anche aspre critiche e polemiche. Dopo il coinvolgimento nelle inchieste della Guardia di Finanza, e dopo l'ulteriore inasprimento di tali polemiche, nel dicembre 1994 Di Pietro lasciò la magistratura. Indagato nel corso del 1995 per i reati di concussione e abuso di ufficio, fu prosciolto da tutte le accuse. Nominato collaboratore della Commissione parlamentare sulle stragi e il terrorismo (1995), nel 1996 entrò a far parte del Governo Prodi come ministro dei Lavori pubblici. Rassegnò le dimissioni da tale carica quando nel novembre 1996 venne nuovamente indagato per corruzione e concussione nell'ambito dell'inchiesta sull'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Lorenzo Necci, e sul finanziere Pierfrancesco Pacini Battaglia il quale sosteneva di aver pagato per uscire indenne da Mani pulite, godendo di coperture giudiziarie. Eletto senatore nel collegio del Mugello (novembre 1997), nel marzo 1998 diede vita al movimento L'Italia dei valori. Nel gennaio 1999 fu tra i fondatori del movimento dei Democratici, che abbandonò l'anno seguente per dar vita al proprio movimento Italia dei Valori. Con il suo partito entrò a far parte della nuova coalizione guidata da Romano Prodi, l'Unione, che vinse le elezioni politiche dell'aprile 2006. Di Pietro fu così chiamato da Prodi a ricoprire la carica di ministro delle Infrastrutture nel Governo di centro-sinistra insediatosi nel maggio 2006.

Gianfranco Fini

Uomo politico italiano (n. Bologna 1952). Dopo essere stato segretario nazionale del Fronte della Gioventù (il movimento giovanile missino), nel 1976 fu dirigente del MSI-DN. Venne eletto deputato nel 1983, nel 1987 e nel 1992. Dopo la morte di Almirante nel 1988, fu eletto alla segreteria del MSI come fautore di una posizione più moderata; sostituito alla guida del partito da Pino Rauti nel 1990, ottenne nuovamente la carica nel 1991. Candidatosi come sindaco di Roma in occasione delle elezioni amministrative del dicembre 1994, Fini fu battuto al ballottaggio da Francesco Rutelli, esponente della sinistra. A partire dallo scioglimento delle Camere del gennaio 1994 e in vista delle elezioni politiche del marzo 1994 Fini iniziò a lavorare alla creazione di un nuovo gruppo di destra, che prese parte direttamente all'attività del Governo Berlusconi. Nel gennaio 1995, nel corso del XVII congresso del Movimento Sociale Italiano, Fini dichiarò ufficialmente il cambiamento del nome del partito in Alleanza Nazionale. Il 29 gennaio fu nominato presidente di AN. In occasione delle elezioni politiche del 1996 fu eletto alla Camera nelle liste del Polo delle Libertà. Nel 2000 entrò a far parte della coalizione della Casa delle Libertà e, dopo la vittoria alle elezioni politiche del 2001, venne nominato vice primo ministro.
Il leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini


Ugo La Malfa

Uomo politico italiano (Palermo 1903 - Roma 1979). Studioso di economia e di finanza, nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d'Azione. Dopo la Liberazione ricoprì la carica di ministro dei Trasporti nel primo Gabinetto De Gasperi. In seguito alla scissione del Partito d'Azione, nel febbraio 1946 fondò con Parri il Partito Democratico Repubblicano, nelle cui file fu eletto alla Costituente. Dopo la fusione di questo raggruppamento politico con il Partito Repubblicano Italiano (1948), venne eletto deputato per il PRI in tutte le legislature. Ministro del Bilancio nel quarto Gabinetto Fanfani (1962-63), nel 1965 divenne segretario generale del suo partito. Sostenne la necessità dell'instaurazione in Italia di Governi di centro-sinistra e della razionalizzazione della struttura politica del Paese. Ministro del Tesoro nel 1973, rassegnò le dimissioni l'anno dopo, provocando la caduta del quarto Governo Rumor. Fu poi vicepresidente del Consiglio in un Governo bicolore DC-PRI retto da Moro (1974-76). Ai primi del marzo 1979, dopo le dimissioni di Andreotti, tentò invano, su incarico del presidente della Repubblica Pertini, di formare un nuovo Governo. Morì poco dopo.

Aldo Moro

Uomo politico italiano (Maglie, Lecce 1916 - Roma 1978). Laureatosi in Giurisprudenza, dal 1939 al 1942 fu presidente della Federazione Universitaria Cattolica Italiana e, successivamente, del Movimento Laureati Cattolici. Deputato alla Costituente e, dal 1948, alla Camera per la DC, non abbandonò la carriera accademica e, nel 1948, assunse la cattedra di Diritto penale presso l'università di Bari. Sottosegretario agli Esteri nel quinto ministero De Gasperi, assunse successivamente la presidenza del gruppo parlamentare democristiano e occupò vari incarichi ministeriali. Eletto segretario politico della DC nel febbraio 1959, venne riconfermato dal congresso di Firenze (1959) e da quello di Napoli (1962). Seguendo un metodo insieme duttile e fermo, riuscì a far convergere la maggioranza democristiana su posizioni di apertura a sinistra. Lasciata la segreteria del partito, nel novembre 1963 costituì il primo Governo di centro-sinistra, con la partecipazione diretta del PSI. Le difficoltà economiche e l'opposizione della destra democristiana non consentirono tuttavia di attuare gli ambiziosi programmi di riforma enunciati. Dimessosi nel giugno 1964, riuscì a ricostituire un nuovo Governo di centro-sinistra, ma con una base programmatica più modesta. Caduto anche il suo secondo ministero, nel febbraio 1966, egli si pose nuovamente alla guida di un Governo di centro-sinistra, condizionato, più dei precedenti, dalle forze moderate. Nel maggio 1968 si dimise, mentre il crescente disagio del Paese trovò uno sbocco nella protesta operaia e studentesca. Assunto il ministero degli Esteri, sembrò estraniarsi dai problemi di politica interna sino alla costituzione, nel giugno 1972, del Governo di centro-destra presieduto da Andreotti. Protagonista, insieme con Fanfani, al congresso democristiano del giugno 1973, diede un contributo decisivo alla svolta che portò alle dimissioni del Governo Andreotti e alla costituzione, nel luglio successivo, di un Governo di centro-sinistra presieduto da Rumor, in cui assunse il ministero degli Esteri. Nel 1974 divenne nuovamente presidente del Consiglio, carica che tenne fino al luglio 1976. Il 16 marzo 1978 fu improvvisamente rapito da terroristi mentre si recava al Parlamento e, dopo un drammatico alternarsi di trattative e incertezze circa la sua liberazione, venne ritrovato senza vita il 9 maggio nel centro di Roma. È questa una delle pagine più tormentate della vicenda del terrorismo in Italia, che scosse profondamente l'opinione pubblica e creò gravi lacerazioni anche nel dibattito politico, spesso degenerato in polemiche e in scambi di accuse anche pesanti. L'assassinio di Moro segnò nel contempo il culmine, ma anche l'inizio del declino dell'attività del terrorismo in Italia, poiché determinò una compatta mobilitazione delle forze democratiche, accompagnata da una profonda e coraggiosa riflessione sulle cause reali e sul complesso di motivi culturali, sociali e politici di un fenomeno eversivo tanto più preoccupante in quanto sostenuto da un apparato organizzativo e ideologico di vaste proporzioni. Diverse furono le interpretazioni politiche date a questo evento, che aveva violentemente traumatizzato la vita italiana, proprio nel momento delicatissimo in cui il disegno politico di Moro l'avviava verso soluzioni di Governo decisamente innovative, con la contestata alleanza DC-PCI nel quadro della cosiddetta unità nazionale.

Giorgio Napolitano

Uomo politico italiano (n. Napoli 1925). Dopo aver preso parte, insieme a un gruppo di giovani universitari antifascisti, ad alcune azioni della Resistenza in Campania, nel 1945 si iscrisse al Partito Comunista Italiano (di cui divenne segretario federale a Napoli e Caserta) e due anni più tardi, seguendo le orme del padre, si laureò in Giurisprudenza all'Università di Napoli, con una tesi di economia politica dal titolo: "Il mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno dopo l'unità e la legge speciale per Napoli del 1904". La militanza comunista (di ispirazione moderata) e l'impegno meridionalista sarebbero state le costanti della sua carriera politica. Dal 1946 al 1948 fu nella segreteria del Centro Economico Italiano per il Mezzogiorno, mentre dal 1947, e per oltre 10 anni, operò nel Movimento per la Rinascita del Mezzogiorno. Eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati nel 1953, dal 1968 in poi fu sempre rieletto nella circoscrizione di Napoli, fino al 1996. Nel 1956 divenne membro del Comitato centrale del PCI, assumendo l'incarico di responsabile della Commissione meridionale; da allora ricoprì altri importanti incarichi alla direzione del partito relativi all'organizzazione, alla politica economica e internazionale, all'attività parlamentare. Europarlamentare dal 1989 al 1992, aderì dalla fondazione al Partito Democratico della Sinistra (poi Democratici di Sinistra). Fu presidente della Camera dei Deputati dal 1992 al 1994, mentre dal maggio 1996 all'ottobre 1998 ricoprì la carica di ministro dell'Interno nel primo Governo Prodi. Dal giugno 1999 al giugno 2004 sedette all'Europarlamento di Bruxelles, dove ricoprì l'incarico di presidente della Commissione affari costituzionali. Nel settembre 2005 fu nominato senatore a vita dal capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi. Nel maggio 2006 fu eletto presidente della Repubblica, l'undicesimo nella storia d'Italia. Personalità politica dall'alto profilo umano e istituzionale, fu autore di numerosi saggi, tra cui: Movimento operaio e industria di Stato (1962), Intervista sul PCI (con Eric Hobsbawn, 1975), In mezzo al guado (1979), Oltre i vecchi confini (1988), Al di là del guado: la scelta riformista (1990), Europa e America dopo l'89 (1992), Dove va la Repubblica. Una transizione incompiuta (1994), Europa politica (2002), Dal PCI al socialismo europeo: un'autobiografia politica (2005).

Pietro Nenni

Uomo politico italiano (Faenza 1891 - Roma 1980). Oppositore del fascismo, visse per molti anni esule in Francia. Tornato in patria, fu direttore del quotidiano socialista «L'Avanti» e segretario del PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria). Vicepresidente del Consiglio e membro della Costituente con Parri (giugno 1945), quindi con De Gasperi (dicembre 1945). Dall'ottobre 1946 al gennaio 1947, fu ministro degli Esteri. Dopo la scissione dell'ala destra del partito, divenne segretario del PSI. Condusse una coerente politica di unione e collaborazione fra i partiti della classe operaia e di equidistanza e neutralità in campo internazionale. Vicepresidente del Comitato mondiale dei partigiani della pace fu autore di numerosi volumi in cui sono raccolti i suoi articoli e i suoi saggi. Dopo essere rimasto per anni all'opposizione con il suo partito, entrò di nuovo a far parte del Governo nel 1963, come vicepresidente del Consiglio nel primo e nel secondo Gabinetto Moro, e nel 1968 come ministro degli Esteri nel Governo Rumor, dimettendosi nel luglio 1969 in seguito alla nuova scissione socialista. Nel novembre 1970 fu nominato senatore a vita per «altissimi meriti nel campo sociale» dal presidente Saragat. Nel 1971 compì un viaggio in Cina. Nel 1971 e 1973 venne eletto presidente del suo partito. Scrisse: Pagine di diario; Lo spettro del comunismo; Histoire de la lutte de classe en Italie; Tempo di guerra fredda; Diari 1943-1956. Nel 1951 fu insignito del premio Stalin per la pace.

Romano Prodi

Uomo politico ed economista italiano (n. Scandiano, Reggio Emilia 1939). Laureatosi in Economia e Commercio presso l'Università Cattolica di Milano (1962), seguì corsi di specializzazione in Inghilterra e negli Stati Uniti. In seguito esercitò la docenza di Economia politica industriale in diverse università, tra cui quella di Bologna, di Trento e di Harvard; fu, inoltre, tra i soci fondatori del centro di ricerche economiche Prometeia e presidente della casa editrice Il Mulino (1974-78). Nel 1978-79 divenne ministro dell'Industria nel Governo Andreotti, mentre nel 1982 gli fu assegnata la carica di presidente dell'IRI al fine di guidarne il processo di risanamento, compito che portò a termine con successo. Sostituito durante il 1989 da F. Nobili, Prodi fu chiamato a riassumere l'incarico nel 1993, dimettendosi però l'anno seguente. Nel 1995, in relazione al nuovo assetto bipolare della politica italiana, si adoperò per la costituzione di una larga coalizione di forze, partitiche e sociali, orientate su posizioni di centro-sinistra e si propose come suo leader e candidato alla presidenza del Consiglio. La nuova formazione (battezzata Ulivo), alternativa e concorrente al Polo delle Libertà, in occasione delle elezioni politiche del 1996, risultò vincitrice. Prodi, che aveva partecipato direttamente alla competizione elettorale per i deputati nelle liste proporzionali del Partito Popolare, venne eletto alla Camera; nel maggio 1996 ricevette l'incarico per la formazione del nuovo Governo. Come presidente del Consiglio gestì con esito positivo l'obiettivo principale del suo programma elettorale, cioè l'adeguamento del bilancio dello Stato ai parametri fissati dalla Conferenza di Maastricht in relazione al tasso di inflazione e al rapporto tra deficit e prodotto interno lordo, risultato che consentì all'Italia di entrare nell'unione economica e monetaria europea del 1999. Dimessosi da primo ministro nell'ottobre 1998, nel maggio 1999 fu designato presidente della Commissione esecutiva dell'Unione europea, mantenendo l'incarico fino alla scadenza naturale nel settembre 2004. Dopo l'esperienza comunitaria, tornò a occuparsi della politica italiana, promuovendo nel 2005 la nascita della coalizione di centro-sinistra denominata l'Unione, di cui attraverso delle consultazioni primarie fu confermato leader (ottobre 2005). In seguito alla vittoria elettorale dell'Unione alle politiche dell'aprile 2006, Prodi fu incaricato dal presidente della Repubblica di formare il suo secondo Esecutivo, che ottenne la fiducia dei due rami del Parlamento fra il 19 e 23 maggio successivo. Fra i suoi scritti ricordiamo: La diffusione delle innovazioni nell'industria italiana (1971), Per una ristrutturazione e riconversione dell'industria italiana (1980), Il capitalismo ben temperato (1995), Governare l'Italia (1995).
Romano Prodi

Giovanni Spadolini

Storico, giornalista e uomo politico italiano (Firenze 1925 - Roma 1994). Docente di Storia contemporanea all'università di Firenze (1950), fu direttore del quotidiano bolognese "Il Resto del Carlino" (1955-68), del "Corriere della Sera" (1968-72) e di "Nuova Antologia" (1978-94). Di orientamento politico liberal-conservatore, accettò la candidatura come indipendente nelle liste del Partito Repubblicano Italiano, di cui divenne uno dei massimi esponenti dopo l'elezione a senatore nel 1972. Capogruppo repubblicano al Senato, fu ministro Costituente del nuovo Ministero per i Beni culturali e ambientali (1974-76) e, nel 1979, ministro della Pubblica istruzione. Assunta la carica di segretario del PRI dopo la morte di Ugo La Malfa nel 1979, fu riconfermato nei successivi congressi del partito. Ricevuto l'incarico di costituire un nuovo Governo nel 1981, diede vita a una coalizione pentapartitica (DC-PSI-PSDI-PRI-PLI), primo laico dal 1945 ad assumere la direzione del Governo. Rimasto in carica sino al 1982, ritornò al Governo nel 1983, come ministro della Difesa, nella nuova coalizione pentapartitica presieduta dal socialista Craxi. Spadolini mantenne l'incarico di ministro della Difesa anche nei Gabinetti successivi sino al 1987, quando venne eletto presidente del Senato e lasciò l'incarico di segretario del PRI a Giorgio La Malfa. Confermato nel 1992 alla presidenza del Senato, ricoprì la carica fino al 1994. Nel 1991 fu nominato senatore a vita. La sua attività di storico fu incentrata soprattutto sull'Italia moderna, e specificatamente sulle relazioni tra Stato e Chiesa, sulla cultura laica e sui partiti politici nella storia italiana. Tra le sue numerose opere, si ricordano: Il papato socialista (1950); L'opposizione cattolica da Porta Pia al '98 (1954); Giolitti e i cattolici 1901-1914 (1969); Autunno del Risorgimento (1969); Le due Rome (1973); L'Italia della ragione (1978); Italia di minoranza (1983); Cattolicesimo e Risorgimento (1986); Intervista sulla democrazia laica (1987); Coscienza laica e coscienza cattolica (1988); In diretta col passato (1994). La bibliografia completa degli scritti di Spadolini è raccolta in Spadolini storico, a cura di L. Lotti e A.C. Jemolo (1980) e in Spadolini storico e uomo politico, a cura di C. Ceccuti (1990). Spadolini fu anche presidente dell'università Bocconi di Milano, della giunta centrale di studi storici e della Società toscana di storia del Risorgimento.
Giovanni Spadolini

Silvio Berlusconi

RIASSUNTO CRONOLOGICO

1960 (febbraio): Si dimette il Governo Segni.

1960 (luglio): Si costituisce il Governo Fanfani.

1962 (dicembre): Si costituisce il Governo Moro, il primo con la partecipazione diretta del PSI.

1964: Vi è il tentativo di organizzare un colpo di Stato militare.

1964 (dicembre): Il socialdemocratico Saragat è il nuovo presidente della Repubblica.

1968-69: Agitazioni studentesche e operaie.

1969 (12 dicembre): Strage di piazza Fontana.

1970: Approvazione dello Statuto dei lavoratori.

1971 (dicembre): Giovanni Leone viene eletto capo dello Stato.

1973: Berlinguer enuncia la formula del compromesso storico.

1974 (maggio): Referendum sul divorzio.

1974 (28 maggio): Strage in piazza della Loggia a Brescia.

1974 (4 agosto): Attentato sul treno Italicus.

1974-77: Il PCI compie la svolta eurocomunista.

1976 (luglio): Governo Andreotti, basato sull'inedita formula della "non sfiducia".

1978 (marzo) - 1979 (marzo): Governo di "solidarietà nazionale" presieduto da Andreotti.

1978 (16 marzo): Aldo Moro viene rapito dalle Brigate Rosse: il suo corpo verrà ritrovato il 9 maggio.

1978 (luglio): Inizia il mandato presidenziale di Sandro Pertini.

1980 (27 giugno): Un DC9 dell'Itavia precipita in mare nei pressi di Ustica.

1980 (2 agosto): Strage di Bologna.

1980 (23 novembre): Terremoto in Campania e Basilicata.

1981 (13 maggio): Giovanni Paolo II è vittima di un attentato compiuto dal turco Ali Agcà.

1981 (giugno): Per la prima volta diventa presidente del Consiglio un laico, Giovanni Spadolini.

1982 (3 settembre): Uccisione del generale Dalla Chiesa.

1983 (agosto): Primo Governo a guida socialista (Craxi).

1984 (18 febbraio): Firma del nuovo Concordato tra lo Stato e la Chiesa.

1984 (23 dicembre): Attentato terroristico sul rapido Napoli-Milano.

1985 (giugno): Francesco Cossiga è il nuovo presidente della Repubblica.

1991 (gennaio-febbraio): Occhetto decide di sciogliere il PCI e di dar vita a una nuova formazione chiamata PDS.

1992 (febbraio): Scoppia lo scandalo di Tangentopoli.

1992 (25 aprile): Si dimette Cossiga.

1992 (23 maggio): Giovanni Falcone viene ucciso in un attentato avvenuto nei pressi di Capaci.

1992 (24 maggio): Oscar Luigi Scalfaro viene eletto alla presidenza della Repubblica.

1992 (19 luglio): Paolo Borsellino viene ucciso da un'autobomba esplosa in via D'Amelio a Palermo.

1994 (maggio-dicembre): Governo Berlusconi.

1995: Nasce l'aggregazione di centro-sinistra chiamata Ulivo.

1996 (maggio) - 1998 (ottobre): Governo Prodi.

1998 (1° maggio): L'Italia viene ammessa nell'unione economica e monetaria europea.

1998 (ottobre): Si costituisce il Governo D'Alema.

1999 (23 dicembre): Nascita del D'Alema bis.

2000 (21 aprile): Dimissioni di D'Alema, sostituito da Giuliano Amato.

2001 (13 maggio): Vittoria alle elezioni politiche della coalizione di centro-destra denominata Casa delle Libertà: Silvio Berlusconi diventa il nuovo primo ministro.

2001 (luglio): Giornate di protesta a Genova contro la riunione dei G8, culminate nell'uccisione di Carlo Giuliani ad opera di un carabiniere e nel pestaggio notturno alla scuola Diaz.

2002 (1° gennaio): Entra in vigore l'euro.

2002 (16 aprile): Per la prima volta dopo 20 anni viene organizzato uno sciopero generale al quale aderiscono moltissimi lavoratori in difesa dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

2003 (15 aprile): Il Parlamento approva la missione irachena "Antica Babilonia".

2003 (12 novembre): Attentato alle truppe italiane di stanza a Nassiriya, nel sud dell'Iraq, in cui muoiono 14 carabinieri, 3 soldati e 2 civili italiani, nonché 9 cittadini iracheni; in Italia viene proclamato un giorno di lutto nazionale.

2004 (luglio): Viene approvato in via definitiva il provvedimento che, a partire dal 1° gennaio 2005, abolisce la leva militare obbligatoria. Il servizio militare obbligatorio era stato introdotto nel 1861, con l'Unità d'Italia.

2005 (aprile): Si svolgono le elezioni amministrative: i candidati dell'Unione di centro-sinistra si aggiudicano due Province su due, 8 Comuni capoluogo di provincia su 9, numerosi sindaci in località minori e ben 12 delle 14 Regioni interessate al voto.

2005 (21 aprile): Cade il secondo Governo Berlusconi, il più lungo della storia repubblicana. Il 30 aprile lo stesso Berlusconi forma un nuovo Esecutivo.

2005 (16 ottobre): Nella coalizione di centro-sinistra dell'Unione si svolgono - novità assoluta in Italia - delle elezioni primarie per scegliere e legittimare il candidato premier.

2005 (novembre): Viene varata la riforma costituzionale contenente la cosiddetta devolution: tuttavia, non essendo stata approvata da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei componenti, ma solo a maggioranza assoluta, essa verrà sottoposta a referendum costituzionale (per entrare poi in vigore o essere abrogata).

2005 (24 dicembre): Coinvolto sin dall'estate precedente in gravi scandali finanziari, si dimette Antonio Fazio, governatore a vita della Banca d'Italia.

2005 (31 dicembre): Entra in vigore la nuova legge elettorale di stampo neo-proporzionalista.

2006 (11 febbraio): In vista delle elezioni politiche di aprile, il Presidente della Repubblica firma il decreto di scioglimento delle Camere.

2006 (9-10 aprile): Lo schieramento di centro-sinistra dell'Unione, guidato dal candidato premier Romano Prodi, vince le elezioni per il rinnovo del Parlamento italiano: all'Unione spettano 348 deputati (contro i 281 della Casa delle Libertà, e 1 deputato indipendente) e 158 senatori (contro i 156 della CdL, e 1 senatore indipendente).

2006 (10 maggio): Giorgio Napolitano è eletto nuovo Presidente della Repubblica (l'undicesimo); il giorno 15 presta giuramento e subentra a Ciampi.

2006 (17 maggio): Nasce il secondo Governo Prodi; il giorno 23 ottiene la definitiva fiducia parlamentare.

2006 (25-26 giugno): Il referendum costituzionale, avente per oggetto la Legge costituzionale varata nel novembre del 2005 dalla maggioranza parlamentare della CdL e intitolata "Modifiche alla Parte II della Costituzione", vede la vittoria dei NO (61,7% dei votanti).

2007 (27-28 maggio): Alle elezioni amministrative si registra una netta affermazione della Casa delle Libertà al Nord rispetto all'Unione, che invece si conferma al centro.

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