CHE COS'È LA RELIGIONE
Benché la religione
abbia rappresentato una delle forze più potenti nella storia dell'uomo e
migliaia di persone siano morte a causa della loro fede, è assai
difficile definire in maniera chiara e univoca il fenomeno religioso. Si
dovrebbe infatti tener conto di tutti gli aspetti e di tutte le forme che la
religione ha assunto nella storia del genere umano.
La filosofia
occidentale ha spesso descritto la religione in termini di «rapporto tra
l'uomo e la divinità», sia pure concepita in maniera diversa. Questa
definizione, che a noi pare ovvia, risulta tuttavia inadeguata se applicata alle
religioni orientali. Quando, tra breve, esamineremo, ad esempio, il buddhismo,
potremo subito constatare che questa religione sostanzialmente non è che
una teoria per la salvezza dell'uomo senza alcun appello alla
divinità.
D'altra parte non è possibile neppure affermare che
la caratteristica principale della religione sia quella di spiegare l'origine
del mondo attraverso l'intervento divino, giacché la spiegazione del
mondo è un compito specifico della filosofia.
Un modo esauriente di
definire la religione è forse proprio quello di affermare che essa esiste
allo scopo di salvare l'uomo, o meglio ancora, che la religione gli offre una
garanzia di salvezza. In questo senso, la salvezza rappresenta il fine ultimo di
tutte le pratiche religiose (preghiere, riti, sacrifici, cerimonie ecc.). La
garanzia, che esse procurano o conservano, è ovviamente di tipo
soprannaturale, cioè fa appello a poteri che non solo sono al di
là dei limiti dell'uomo, ma che spesso agiscono con finalità
misteriose e indecifrabili.
La salvezza di cui si parla può non
essere semplicemente la liberazione da questo o da quel male o, più in
generale, dai mali del mondo. Viceversa può anche essere intesa come
salvezza dal mondo, visto come un male nella sua totalità.
Tra le
popolazioni primitive, il terrore dell'ignoto dà luogo ad una serie di
pratiche irrazionali volte a sconfiggere il male. Tali tentativi si collocano
nell'ambito della magia.
In altre parole, l'uomo, attraverso determinate
pratiche, si illude di acquisire il controllo diretto degli eventi naturali,
piegandoli al proprio potere. Comprendendo però che questi eventi
sfuggono al suo controllo, l'uomo cerca allora di ottenere la salvezza
conquistandosi il favore delle potenze superiori che governano il mondo
naturale. Un'idea di salvezza di questo tipo è chiaramente connessa con
la vita terrena e non è tipica solo delle religioni primitive. Anche le
religioni più evolute prevedono infatti delle pratiche indirizzate ad
ottenere la salvezza da eventi naturali (guerre, catastrofi, pestilenze ecc.).
Tuttavia l'idea di salvezza non è concepita solo in rapporto alla vita
terrena: molte religioni, specie le più evolute, la considerano legata ad
una futura vita ultraterrena che ricompenserà l'uomo delle sofferenze
patite in vita. In queste religioni, ad esempio nel cristianesimo, la salvezza
viene raggiunta dall'anima dopo la morte. Le anime che non raggiungono la
salvezza sono destinate ai tormenti dell'inferno.
Si suole distinguere le
religioni in due grandi gruppi: le rivelate (o positive) e le naturali. Le prime
hanno origine da un preciso evento storico (appunto la rivelazione divina), le
seconde sorgono invece per uno spontaneo impulso dell'uomo (deismo). All'interno
di questa suddivisione si distinguono poi le religioni monoteiste (credenza in
un unico dio, dal greco mono = unico e theós = dio); le religioni
politeiste (credenza in più divinità, poli = molti) come quelle
degli antichi Greci e Romani; religioni panteiste (dal greco pan » tutto)
che identificano Dio con l'intero creato, ravvisandolo in ogni manifestazione e
in ogni aspetto della realtà.
La religione è anche una
visione della vita, poiché costituisce un modello in base al quale l'uomo
interpreta e giudica la realtà.
La religione offre quindi un senso
globale dell'esistenza, garantendo valori e proponendo norme e infine
raggruppando gli uomini in una sorta di comunità spirituale.
L'INDUISMO
L'
induismo è la
principale religione dell'India e una delle più antiche del mondo. I suoi
seguaci sono chiamati indù, un termine derivante dalla voce persiana Hind
che un tempo designava la regione del fiume Indo, nel nord del subcontinente
indiano. La parola indù designa genericamente anche tutti gli abitanti
dell'India.
L'induismo non ha un fondatore storico. Secondo la tradizione,
le leggi contenute nei Veda, gli antichissimi testi sacri, furono rivelate ad
alcuni asceti chiamati rishis. Questi vivevano, nella notte dei tempi, lungo le
rive del Gange e dell'Indo. Più tardi gli insegnamenti dei Veda furono
raccolti da profeti e filosofi.
A questo periodo, chiamato vedico, risale
il patrimonio più antico della religione indù (dal 1500 a.C.) che
si sviluppò poi in altri periodi distinti. Dall'800 a.C. ebbe inizio
infatti una nuova fase, il brahmanesimo, segnata dall'influenza della casta
sacerdotale dei brahmani. La fase più recente, quella chiamata
propriamente induismo, iniziò invece nel III secolo a.C..
Durante la
sua storia millenaria, l'induismo ha visto sorgere numerose sette ed eresie che,
partendo come movimenti di riforma, vennero poi a costituire religioni separate.
Nel VI secolo a.C., Gautama Buddha fondò il buddhismo, rigettando il
sistema delle caste, l'insegnamento dei Veda e altre dottrine. Mahavira (599-527
a.C.) fondò il giainismo, dapprima sorto come setta ereticale. Guru Nanak
(14691538), il fondatore della religione sikh, fuse nella sua dottrina gli
insegnamenti dell'induismo con quelli dell'islam. Sia il giainismo, sia il
buddhismo hanno conservato la credenza nella trasmigrazione delle
anime.
Nonostante sia diviso in un gran numero di sette, l'induismo
è rimasto una religione vitale, in grado di riformare la propria dottrina
e le proprie pratiche. Nel corso del XIX secolo si è aperto all'influenza
di altre religioni. In particolare, l'incontro col cristianesimo ha determinato
la nascita di movimenti di riforma, caratterizzati da un grande rigore morale,
affiancato all'impegno sociale. In questa direzione si colloca senz'altro anche
l'appello alla non-violenza contenuto nel pensiero e nell'azione del Mahatma
Gandhi.
Affreschi nel tempio Menakshi
I PRINCIPI DELL'INDUISMO
Il brahman, il principio supremo dell'induismo, non è
descrivibile in termini umani, poiché gli attributi dell'uomo implicano
imperfezione, mentre il brahman è perfetto per
definizione.
L'induismo insegna che il brahman è l'essenza suprema
dell'essere, la forza che anima l'universo. Nonostante esso venga identificato
con un principio unico, l'induismo ammette l'esistenza di un centinaio di
divinità, considerate alla stregua di premesse per arrivare alla
comprensione del brahman. Gli dei, vien detto, non ne rappresentano che aspetti
differenti, personificazioni diverse. Gli indù, in particolare, venerano
tre personificazioni del brahman, la trimurti:
Brahma, il
Creatore
Shiva, il Distruttore
Vishnu, il Preservatore.
Parecchi
indù attribuiscono a Brahma un'importanza relativa, in quanto ritengono
che la sua opera si sia conclusa con la creazione, e adorano Shiva o Vishnu.
Shiva, in particolare, ha più templi di qualunque altra divinità:
i suoi seguaci credono che il dio, distruggendo, rinnovi l'universo. I seguaci
di Vishnu considerano il loro come un dio dell'amore e credono che sia sceso
sulla Terra sotto forme diverse. Tra le sue incarnazioni
(avatar), essi
assegnano un posto di rilievo a Rama e a Khrishna.
L'induismo insegna che
l'essenza di ogni creatura vivente è racchiusa nel suo spirito, nella sua
anima (atman). Siccome tutti gli esseri hanno un'anima, ognuno di essi deve
essere rispettato. Molti indù trattano gli animali con estremo rispetto e
un gran numero di essi è addirittura vegetariano, giacché non
crede che sia lecito uccidere, sia pure per procurarsi del cibo.
Essi
considerano sacre le vacche non in quanto simbolo della divinità, quanto
piuttosto come simbolo della vita animale e quindi anche della vita umana.
Secondo l'induismo, il fine ultimo dell'esistenza è l'unione col brahman
che è beatitudine oltre il dolore e il cambiamento. La meta, tuttavia,
non può essere raggiunta nello spazio di una sola vita: l'induismo
sostiene infatti la dottrina della reincarnazione o della trasmigrazione delle
anime. L'anima, che non nasce e non muore, passa da un corpo all'altro
finché non diventa abbastanza pura da essere unita al brahman. Gli
indù credono nella legge del karma, o legge dell'azione condizionata, che
regola i movimenti delle anime. Secondo tale legge, le azioni dell'uomo nella
vita presente determinano quella successiva. Le future reincarnazioni dipendono
dunque dalle azioni che l'uomo compie durante la sua vita.
Quando l'anima
raggiunge finalmente l'unione col brahman, la legge del karma diventa
inoperante: l'anima si libera così dei cicli della vita e della
morte.
L'induismo insegna che l'uomo può unirsi al brahman anche
attraverso la pratica dello yoga, e il Bhagavad-Gita descrive tre vie per
raggiungerlo:
- la via del lavoro o dell'azione;
- la via del pensiero
o della meditazione;
- la via della fede e della devozione a un solo
Dio.
L'ultima è considerata la più importante.
LE CASTE
La divisione della società in caste è
stata per secoli uno degli elementi caratteristici della religione induista. Le
caste erano al principio una semplice istituzione sociale, ma ben presto
finirono col radicarsi nelle dottrine indù. Le quattro caste principali,
in ordine di importanza sono:
- brahmani che comprendono i preti e gli
intellettuali;
- kshatriya, i guerrieri e i governanti;
- vaisya, gli
artigiani e gli agricoltori;
- sudra, i lavoratori.
I paria, o
intoccabili, non fanno parte di alcuna casta e un tempo vivevano ai margini
della società.
Dal 1947, il governo indiano ne ha proibito
l'emarginazione.
Il sistema castale fu introdotto in India dagli Arii prima
del 1000 a.C., allorché la conquistarono. Essi cercarono di creare una
barriera tra sé e le popolazioni indiane dalla pelle scura. Il termine
varna, che in indostano sta per «casta», significa appunto
«colore». All'inizio esisteva una certa possibilità di ascesa
sociale, ma in seguito il sistema divenne rigido, si svilupparono diverse
sottocaste e furono emanate norme che proibivano ai membri delle caste superiori
persino di mangiare o di bere con i membri di quelle inferiori. Gradatamente il
sistema delle caste fu giustificato in termini religiosi e la dottrina della
reincarnazione venne usata per spiegare il grado diverso che gli individui
ricoprivano nell'ambito della società. Le scritture induiste sostenevano
infatti che gli appartenenti alle caste inferiori erano vissuti nel peccato in
una vita precedente. Qualora si fossero comportati rettamente nella vita
presente, avrebbero potuto aspirare, nella vita futura, a rinascere in una casta
più elevata.
Le caste ebbero un'influenza negativa sulla
società, impedendone il progresso, poiché fomentavano l'odio di
classe. Oggi alcune tracce del sistema castale sopravvivono solo nei villaggi
rurali dell'India.
IL BUDDHISMO
Il Buddha è il fondatore della religione che
da lui prende il nome; Buddha tuttavia non è un nome proprio,
bensì un titolo. In sanscrito significa letteralmente lo
«svegliato», l'«illuminato» e fu attribuito a Siddharta
Gautama, chiamato anche Gautama Buddha, proprio come i cristiani chiamano
Gesù Cristo (cristo = messia) il fondatore della loro religione. A
differenza di Gesù però il Buddha non si considerò
l'inviato di qualcuno o l'incaricato di qualcosa: egli volle soltanto essere
l'espositore di una dottrina da lui raggiunta con le sue sole forze. I suoi
seguaci sono chiamati buddhisti e la determinazione del loro esatto numero
determina una serie di dispute, poiché la fede buddhista nell'Estremo
Oriente si è sovrapposta alle religioni indigene senza però
sostituirvisi del tutto. Parecchi giapponesi, ad esempio, si affidano
contemporaneamente a rituali buddhisti e a rituali shintoisti. In questo senso,
rimane un fatto controverso stabilire se certe popolazioni seguano una religione
piuttosto che un'altra.
Buddhismo
IL BUDDHA STORICO
Il Buddha visse circa 2.500 anni
fa, ma i fatti concernenti la sua vita furono messi per iscritto solo parecchi
anni dopo la sua morte.
Molte storie lo presentano come un essere divino,
inviato sulla Terra in forma umana e sono arricchite da miracoli e da
particolari fantasiosi. Quel che è certo è che egli nacque nei
pressi di Kapilavastu, una città dell'attuale Nepal. La sua famiglia
apparteneva alla casta dei nobili (kshatriya) e il padre Suddhodana era il capo
supremo di una delle famiglie che governavano la repubblica aristocratica dei
Sakya.
Da giovane il Buddha iniziò a riflettere sul problema del
dolore e, una volta cresciuto, sviluppò il desiderio di aiutare i suoi
simili, procurando loro una via di salvezza per sfuggire al
dolore.
All'età di ventinove anni Siddharta decise di abbandonare la
patria e la famiglia, dedicandosi alla ricerca della verità. All'inizio
si legò a diversi maestri che affermavano di conoscere la via della
liberazione, ma, insoddisfatto, incominciò a praticare lo yoga, una
severa disciplina consistente in complicati esercizi fisici e psichici per
ottenere il controllo della mente e del corpo. Si sottopose pure a digiuni
estremi e visse per molti anni da eremita nella foresta. Tali esperienze,
tuttavia, pur essendo utili, non lo condussero alla pace che cercava. Dopo sei
anni, disperato, stava quasi per rinunciare alla ricerca, senonché il
ricordo di un'esperienza giovanile gli infuse nuovo vigore. Si ricordò
infatti che da ragazzo aveva sperimentato una grande pace interiore sedendo
sotto la fresca ombra di un albero: forse aveva scoperto il modo di cercare la
verità. Pieno di speranze, il Buddha raggiunse il luogo dell'odierno Bodh
Gaya nella regione indiana del Bihar e, trovato rifugio all'ombra di un fico,
decise di rimanervi a meditare finché non avesse trovato la
verità.
E infatti la raggiunse proprio in quel luogo: da allora il
fico fu chiamato l'albero di Bodhi, l'«albero
dell'illuminazione».
L'INSEGNAMENTO DEL BUDDHA
Solo dopo
una lunga riflessione, il Buddha si decise ad esporre agli uomini la
verità da lui appresa. Secondo la tradizione, la prima persona cui il
Buddha illustrò la sua dottrina rimase indifferente. Poi però in
un boschetto alle porte di Varanasi (Benares), dove nel frattempo si era
trasferito, espose la sua verità a cinque asceti itineranti,
convertendoli. Era così nato il sangha, la comunità dei
monaci.
Per altri quarant'anni il Buddha peregrinò nelle odierne
regioni indiane del Bihar e dell'Uttar Pradesh predicando e operando conversioni
finché non morì all'età di ottant'anni a Kusinagara, pare,
per intossicazione alimentare.
Dopo la morte, egli divenne talmente famoso
che la sua figura sfumò nella leggenda. Ma tutto ciò non riveste
alcuna importanza ai fini della comprensione della sua dottrina.
Secondo il
Buddha, la concezione di un Dio che crea e governa il mondo è
un'illusione, come sono illusioni le credenze nell'immortalità
dell'anima, nella beatitudine o nella dannazione eterna. La morte stessa non
libera dal dolore, poiché l'esistenza è una catena ininterrotta di
vite (samsara), durante la quale l'uomo ha la possibilità di incarnarsi
anche in animali, esseri celesti, creature infernali ecc. Nondimeno esiste
ancora la possibilità della definitiva liberazione dalla sofferenza. Solo
la coerente realizzazione della via indicata dal Buddha può condurre ad
essa. I fondamenti dell'insegnamento buddhista sono formulati nelle Quattro
verità sacre che il Buddha espose fin dal suo primo discorso, la predica
di Benares.
Una delle virtù più importanti predicate dal
Buddha è la conoscenza del proprio Io che ha per effetto l'estinzione
dell'egocentrismo, dei desideri e quindi del dolore. Il modo più
appropriato per pervenire ad una tale conoscenza è attraverso un'adeguata
condotta: autocontrollo, umiltà, generosità e
pietà.
Tali ideali possono essere raggiunti dopo un periodo di
apprendistato in un monastero buddhista. Là il monaco ricerca la
conoscenza della propria vita interiore, unica via per ottenere la
libertà spirituale.
Una volta superato tale livello, egli
potrà finalmente aiutare gli altri a trovare la salvezza.
Altra
importante virtù per il Buddha è l'amore, come del resto lo
è per i cristiani. Il Buddha affermava che il monaco ideale doveva
coltivare la purezza ignorando l'ira e i cattivi pensieri e amando
indistintamente tutti gli esseri viventi.
Questo amore universale doveva
esprimersi nella carità e nella generosità, estendendosi anche a
coloro che non l'avrebbero contraccambiato.
Il Buddha sosteneva che l'odio
non cessava se si continuava ad odiare, ma poteva essere estinto solo con
l'amore.
Monaco buddhista
LA DIFFUSIONE DEL BUDDHISMO
I discepoli del Buddha si organizzarono in comunità
monastiche e si diedero il nome di arahat che significa «persona degna di
merito».
Ogni monaco era vincolato alle regole dell'ordine: indossare
un saio giallo, radersi i capelli, portare sempre con sé la ciotola del
mendicante, meditare ogni giorno, facendo la seguente professione di fede:
«Mi rifugio nel Buddha, mi rifugio nel dharma (legge), mi rifugio nel
sangha (l'ordine)». Ogni monaco doveva abbandonare la famiglia, gli amici e
le ricchezze. Un buddhista laico, non membro di un monastero, poteva continuare
a vivere nella società, ma doveva promettere di non uccidere, non rubare,
non mentire, non bere alcolici e non commettere atti impuri.
Dopo la morte
del Buddha, i suoi discepoli ne diffusero l'insegnamento finché il
buddhismo non divenne la principale religione dell'India. Tuttavia, più
tardi, in seguito ai processi di riforma che interessarono l'induismo, esso
finì con l'esserne completamente riassorbito. Nel 200 a.C. i missionari
buddhisti esportarono la loro fede a Sri Lanka e successivamente, nel 500 d.C.,
il buddhismo si diffuse anche in Birmania e quindi in Thailandia e Cambogia,
influenzate dalla cultura indiana. Dal I secolo, era passato anche alla Cina e
di qui alla Corea (IV sec.), al Giappone (V sec.) e infine al Tibet (VII
sec.).
Nel corso della sua espansione, il buddhismo si era però
scisso in due gruppi principali: l'Hinayana, o «piccolo veicolo della
Legge» e il Mahayana o «grande veicolo».
I seguaci
dell'Hinayana mantennero le originali ed austere regole di vita dettate dal
Buddha, diffondendosi principalmente a Sri Lanka e nell'Indocina. I seguaci del
Mahayana invece ampliarono gli insegnamenti del Buddha, accogliendo anche altre
dottrine concernenti l'esistenza dell'inferno, del paradiso e dei santi, oltre
che di diversi buddha. Venne poi elaborata anche la dottrina della salvezza
attraverso la fede e la grazia.
Questo gruppo, che si diffuse soprattutto
nell'Estremo Oriente, annovera un gran numero di sette: dagli Shin, noti per il
loro amore per le ricchezze, fino agli Zen che, per i loro rigidi costumi e
l'importanza attribuita alla meditazione, si ricollegano all'Hinayana.
Nel
XX secolo il buddhismo è stato investito da un vero e proprio risveglio
religioso: le dottrine sono state rielaborate e, in qualche modo, arricchite di
una veste intellettuale. Dal 1954 al 1956, i capi delle principali
comunità si incontrarono in un convegno a Rangoon in Birmania. Il
consesso stabilì la riorganizzazione dell'attività missionaria,
espandendo il programma a livello planetario e, nel contempo, decise l'inizio
dei lavori per giungere a una redazione definitiva delle sacre
scritture.
LE QUATTRO VERITÀ E L'OTTUPLICE SENTIERO
La prima verità afferma: «Tutto
è dolore»; la seconda è che il desiderio conduce al dolore:
l'uomo diventa triste perché ricerca continuamente il piacere,
riducendosi alfine schiavo delle cose. Il desiderio del possesso impedisce
all'uomo di raggiungere la vera conoscenza; solo i desideri di santità,
verità e salvezza sono degni di lode.
La terza verità dice
che solo attraverso il distacco dal desiderio ci si libera dal dolore. Dal
momento che l'uomo è pienamente responsabile delle sue azioni, ha quindi
la concreta possibilità di scindere i legami che lo condizionano, se lo
desidera.
La quarta verità è l'Ottuplice
Sentiero:
1) giusta opinione
2) giusta risoluzione
3) giusto parlare
4) giusto agire
5) giusto modo di sostentarsi
6) giusto sforzo
7) giusta concentrazione
8) giusta meditazione
L'osservanza di queste regole auree
conduce all'estinzione del dolore e porta a sconfiggere l'egoismo e la
sofferenza, ottenendo così la vera libertà e la pace. Il Buddha
chiamò nirvana questo stato ideale che libera l'uomo dal ciclo delle
reincarnazioni. Il nirvana è un concetto del tutto originale e non ha
nulla a che vedere, ad esempio, col paradiso dei cristiani, ma è
piuttosto una qualità della mente.
LE RELIGIONI DELLA CINA E DEL GIAPPONE
IL TAOISMO
Il taoismo è una
delle grandi religioni della Cina. Il termine tao significa «la
strada», «la via». I taoisti credono che l'universo si regga su
un'armonia perfettamente ordinata, ma ritengono che l'uomo abbia smarrito
«la via», creandovi il disordine. L'uomo in sostanza ha operato la
sostituzione dei propri progetti a quelli del tao, il principio trascendente che
determina l'armonia dell'universo. L'uomo deve dunque, attraverso il tao,
ritrovare il giusto cammino, vivendo con semplicità ed umiltà,
rifiutando gli onori e senza abbandonarsi all'ambizione personale.
Fondato
dal leggendario Lao-Tse, vissuto dal V al IV secolo a.C., che ne scrisse il
testo sacro, il taoismo conobbe una prima fase in cui assunse un carattere
prevalentemente filosofico ed una seconda in cui venne contaminato dalla magia e
dalla superstizione. Il credo taoista ha esercitato una profonda influenza in
Estremo Oriente, nelle arti, nella letteratura, nelle scienze nonché
nella vita quotidiana.
IL CONFUCIANESIMO
Per confucianesimo si intende la dottrina morale,
politica e religiosa elaborata da Confucio (K'ung fu- tzu), filosofo cinese del
IV secolo a.C. Egli fondò questa dottrina sugli antichi testi dei saggi
cinesi, allo scopo di restaurare la fede e le pratiche religiose tradizionali. I
suoi insegnamenti sono raccolti nei Cinque Classici, il testo che divenne la
Bibbia del confucianesimo e che fu usato nelle scuole cinesi. I confuciani
credono che le leggi dell'universo siano basate sull'armonia e sulla giustizia.
L'ordine cosmico viene tuttavia infranto quando gli uomini trascurano i doveri e
le responsabilità connessi a cinque relazioni fondamentali:
- tra
governante e suddito
- tra padre e figlio
- tra marito e moglie
-
tra fratello maggiore e minore
- tra amici.
Secondo Confucio,
coltivando e nobilitando la propria natura, l'uomo può trasmettere
l'armonia a tutta la società.
LO SHINTO
È la religione nazionale del Giappone. Il termine
shinto, di origine cinese, vuol dire «la via degli dei» e si riferisce
a un culto tributato agli elementi della natura: ogni manifestazione della
natura è infatti rappresentata da un dio.
Dal VI secolo d.C., lo
shinto fu affiancato dal buddhismo, con cui, dopo un periodo di forte
rivalità, finì con l'intrecciarsi, assumendone alcuni
aspetti.
PICCOLO LESSICO
ANIMA
Dal greco anemos,
«soffio». Principio vitale che presiede all'attività cosciente
e alle operazioni psichiche dell'uomo.
Molte dottrine religiose la
considerano immortale e indipendente dal corpo dal quale si separa dopo la
morte.
DHARMA
Voce sanscrita dai molti significati. Indica la
legge sotto tutti i suoi aspetti (religioso, civile, sociale). Il termine
equivalente in italiano è perciò «legge», intesa in tre
significati fondamentali: la legge che regola l'universo, l'insegnamento del
Buddha, la funzione di ogni singola entità
nell'universo.
GIAINISMO
Dal sanscrito jaini: «vincitore».
Dottrina indiana, affermatasi nel periodo post-vedico che, insieme col
buddhismo, ebbe un'importanza preminente nella vita intellettuale e spirituale
dell'India dove, ancora oggi, conta un certo numero di seguaci. La prima
formulazione del giainismo, in sede etico-religiosa più che filosofica,
è attribuita a Parçvamatha (o Pasva) vissuto intorno al 750 a.C.
Ma il vero fondatore, o riordinatore, di quello che all'inizio non era
probabilmente ancora un vero sistema speculativo fu Mahavîra (il Grande
eroe) detto anche il Jina ossia il vincitore delle passioni umane, che fu
contemporaneo (539-467 a.C.) del Buddha. In sede puramente religiosa, il
giainismo è una dottrina di rigido ascetismo; in sede speculativa esso si
contraddistingue come una dottrina di tipo relativistico. Secondo tale dottrina
il mondo è costituito, oltre che dalla materia, da innumerevoli anime. La
materia è sottoposta a continue trasformazioni dipendenti dall'anima che
dà vita alla materia. La via principale per la salvezza dell'anima,
liberata dalla materia, è l'ascetismo. I monaci s'impegnano in uno sforzo
di perfezionamento morale, perseguendo l'ahimsa, il precetto di non nuocere a
nessun essere vivente, per cui si attengono a uno stretto vegetarianismo e,
quando camminano, procedono muniti di una scopa, con cui rimuovono ciò
che si trova innanzi, per evitare di calpestare i piccoli esseri viventi che
possono trovarsi sul loro cammino.
GURU
Termine usato in India per indicare un maestro
spirituale o religioso. Voce affine a quella latina di gravis (saggio). Il guru
ha con i suoi discepoli un rapporto continuato nel tempo, poiché egli
indica loro la strada per raggiungere la saggezza suprema. Il suo compito
termina quando i discepoli raggiungono la verità.
LAMAISMO
Religione sorta nel XV nel Tibet per opera del
monaco Tsong-Khapa (1355-1417). È una derivazione del buddhismo, ma con forma
più strettamente gerarchica e con assetto politico. I successori del
fondatore congiunsero il potere temporale a quello spirituale, e dalla capitale
Lhasa i capi (Dalai Lama) inaugurarono un governo teocratico. I lama seguaci del
lamaismo sono detti gialli dal colore delle loro vesti, per distinguerli dai
lama rossi, dediti specialmente a pratiche di magia. Il lamaismo ha 333 libri
canonici. Dal Tibet si è esteso specialmente nel Nepal, in Mongolia ed in
Manciuria.
SAKTI
Dea della mitologia indù, ritenuta la sposa
di Shiva. Rappresenta la divina energia creatrice o la potenza cosmica. Il
saktismo è una setta indù derivata dallo shivaismo. I suoi seguaci
si dividono in due grandi gruppi: i «fedeli di destra», che adorano
Vishnu e Shiva, e i «fedeli di sinistra» che invece adorano
esclusivamente Sakti.
SIKH
Nella lingua del Punjab, «discepoli». I
sikh sono una potente comunità religiosa dell'India. Il sikhismo, fondato
da Nanak Dev (Guru Nanak 1469-1538), è noto anche col nome di nanakismo.
Nanak, appartenente alla casta nobiliare, peregrinò per l'India
settentrionale radunando intorno a sé un gran numero di seguaci ai quali
predicava l'esistenza di un unico e vero Dio e l'unione degli indù e dei
musulmani in una grande confraternita. Le sue idee, che traevano ispirazione sia
dall'induismo sia dall'islam, furono poi modificate dai suoi nove successori che
assunsero il titolo di guru e trasformarono il movimento in una confraternita
militare. Il testo sacro dei sikh è il Granth, custodito nel santuario
nazionale, il Tempio d'Oro di Amritsar dove, ogni giorno, viene letto ad alta
voce.
YOGA
In sanscrito, «congiunzione». Sistema
filosofico indiano, poi trasformatosi in un complesso di tecniche ascetiche,
assorbite sia dall'induismo sia dal buddhismo. Sin dalle origini lo yoga
presentò due aspetti, uno pratico e uno teorico. L'aspetto teorico
deriva, in gran parte, dal sistema Sankhya, e si basa su una concezione
dualistica: la vita universale si riduce all'azione di due elementi
fondamentali, la materia primigenia e le anime individuali. Assai più
importante, per la sua originalità, è la parte pratica, costituita
da un insieme di norme per giungere alla concentrazione e all'estasi. Tali norme
tendono a conseguire l'isolamento dello spirito e la visione diretta di quella
che si crede essere la verità trascendente i sensi. Sotto questo aspetto
lo yoga è soprattutto una tecnica psicofisica e, come tale, è
stata fatta propria, in diversa misura, da pressoché tutte le scuole
religiose e filosofiche indiane.