Geografia Astronomia La Terra

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Geografia Astronomia La Terra














GEOGRAFIA - AFRICA - ASTRONOMIA - LA TERRA

GEOGRAFIA - ASTRONOMIA - LA TERRA

INTRODUZIONE

In ordine di distanza dal Sole, da cui dista 149,6 milioni di chilometri, la Terra è il terzo pianeta del sistema solare con un'orbita compresa fra quelle di Venere e di Marte. Ha un solo satellite: la Luna. La forma della Terra è sferica e più precisamente essa viene definita un geoide: cioè una sorta di globo schiacciato ai poli. La superficie terrestre è per 7/10 ricoperta dai mari; solo i 3/10 sono occupati dalle terre emerse. Il suo diametro è 1/109 di quello solare e il volume è 1.300.000 volte inferiore a quello del Sole.
Trapani La Terra sorgente dietro la Luna, ripresa dall'Apollo 11

I MOVIMENTI DELLA TERRA

I principali moti della Terra sono quelli di rotazione e di rivoluzione; fra i numerosi altri moti minori vi sono quelli di traslazione, di precessione e di nutazione.
Il moto di rotazione intorno al proprio asse è compiuto dalla Terra in 23 ore 56 min 4 sec (giorno siderale), assumendo come riferimento le stelle fisse; in 24 ore se il riferimento è il Sole. Questo periodo si definisce come giorno solare medio.
Il giorno solare vero e proprio è il periodo intercorrente fra due passaggi successivi del Sole per lo stesso meridiano.
Poiché il giorno solare varia nel corso di un anno a causa della variazione della velocità della Terra nella sua orbita intorno al Sole, si preferisce assumere un valore fisso corrispondente a 24 ore.
Il moto di rivoluzione intorno al Sole è compiuto su di un'orbita ellittica, il cui piano è inclinato sull'equatore celeste di circa 23°26¨. La Terra si muove più rapidamente quando è vicina al Sole e più lentamente quando è lontana. Il tempo impiegato per compiere una rivoluzione completa è chiamato anno. L'anno siderale equivale a 365 giorni solari, 6 ore, 9 min, 9 sec, quello solare è più breve (365 giorni, 5 ore, 48 min, 45 sec) ed è il più importante poiché è stato scelto come unità di misura.
La traslazione è un moto che la Terra compie con tutto il sistema solare. Dal momento che il Sole si sposta con il sistema solare nello spazio percorrendo un'orbita in circa 200 milioni di anni, la Terra non descrive intorno al Sole un'orbita chiusa su un piano, ma una spirale inclinata di 50° sul piano dell'eclittica.
La precessione è un lento moto conico cui è soggetto l'asse di rotazione terrestre a causa dell'attrazione esercitata dal Sole e dalla Luna. La precessione dell'asse terrestre provoca un leggero anticipo degli equinozi (precessione degli equinozi), cioè la Terra incontra gli equinozi un po' prima del punto in cui li aveva incontrati l'anno precedente.
Un altro movimento cui la Terra è soggetta è la nutazione, una oscillazione provocata dal variare della posizione della Luna rispetto al Sole e alla Terra. La nutazione è un movimento conico che si compie in circa 19 anni e si sovrappone al moto di precessione.

ORIGINE ED ETA' DELLA TERRA

Tra le numerose e spesso contrastanti ipotesi relative all'origine della Terra, avanzate dagli studiosi - da Laplace a Chamberlin a Weizsìacher - appare attualmente la più valida quella che attribuisce la genesi del globo terrestre alla condensazione da una nebulosa originaria rotante attorno al Sole. L'iniziale massa fluida ad alta temperatura della Terra si sarebbe in seguito progressivamente raffreddata sino a permettere, circa 4 miliardi d'anni fa, la formazione e il consolidamento di una crosta superficiale. Grazie a misurazioni dei livelli di radioattività si è potuto stabilire che le più antiche rocce sedimentarie rinvenute in Groenlandia, hanno un'età di circa 3,7 miliardi di anni. Tali valori appaiono confermati per ora anche dai risultati delle ricerche condotte sui campioni di rocce lunari, riportati a terra dagli astronauti statunitensi e dalle sonde automatiche sovietiche. Le prime forme viventi unicellulari si fanno invece presumibilmente risalire a 3,2 miliardi d'anni fa.

IL GIORNO E LA NOTTE

La successione del giorno e della notte è dovuta al moto di rotazione. Se l'asse di rotazione terrestre fosse perpendicolare al piano di rivoluzione, il giorno e la notte avrebbero per tutto l'anno uguale durata e in ogni luogo il clima sarebbe sempre costante. A causa dell'inclinazione dell'asse solo in coincidenza degli equinozi, quindi due giorni all'anno, il Sole illumina esattamente metà globo bisecando tutti i paralleli, poiché l'asse è perpendicolare alla congiungente Terra-Sole. Dopo l'equinozio il circolo di illuminazione si allontana dai poli fino al giorno del solstizio in cui si verifica la massima durata del giorno per un emisfero e la minima per l'altro. Di conseguenza un circolo polare rimane illuminato per tutto il giorno, mentre l'altro è al buio.

LE STAGIONI

Il movimento orbitale della Terra intorno al Sole e l'inclinazione dell'asse terrestre, determinano l'avvicendarsi delle stagioni, cioè i periodi dell'anno che si differenziano per la diversa altezza raggiunta dal Sole all'orizzonte e quindi per la diversa durata dell'insolazione. Quando il Sole è più basso e i raggi sono più deboli perché giungono obliqui si ha l'inverno. Al contrario quando il Sole raggiunge la massima altezza sull'orizzonte in un determinato luogo abbiamo l'estate. Le stagioni intermedie sono l'autunno e la primavera. All'estate in un emisfero corrisponde l'inverno nell'altro; lo sfasamento stagionale è quindi di sei mesi.
Il cerchio dell'equatore terrestre è inclinato di 23°30¨ rispetto al piano dell'eclittica (cerchio massimo della sfera celeste descritto dal Sole nel suo moto apparente; coincide con il piano dell'orbita terrestre); i due piani si intersecano in due punti chiamati nodi (ascendente se passa dalle regioni australi a quelle boreali; discendente nel caso opposto). Quando la Terra passa per i nodi, cioè i punti equinoziali, si ha l'inizio dell'autunno (23 settembre) o della primavera (21 marzo). L'estate e l'inverno hanno invece inizio quando la Terra raggiunge i punti di maggior distanza dall'equatore celeste, chiamati solstizi. Il solstizio d'estate cade il 21 giugno, quello d'inverno il 21 dicembre.

LA STRUTTURA DELLA TERRA

Dal 1950 circa si studia in modo radicalmente nuovo la conformazione del nostro pianeta attraverso il paleomagnetismo, scienza che analizza le proprietà magnetiche delle rocce e le variazioni del campo magnetico terrestre. La geologia marina ha inoltre dato notevoli contributi al perfezionamento di alcune teorie, come quella della deriva dei continenti; altrettanto utili si sono rivelate le informazioni pervenuteci dalle esplorazioni spaziali degli ultimi anni.
Si può quindi dire che la Terra risulta essere composta da diversi strati: il primo, quello più superficiale, è detto crosta. Esiste la crosta continentale, costituita da silicati di alluminio (SIAL) e la crosta oceanica formata da silicio e magnesio (SIMA). Il SIMA, in continua evoluzione, è stato generato dai movimenti vulcanici dello strato sottostante detto mantello, è di spessore variabile e può raggiungere anche notevoli altezze, creando delle vere e proprie catene montuose sottomarine, chiamate dorsali oceaniche. La crosta continentale è invece paragonabile a delle gigantesche zattere (continenti), la cui attuale conformazione è il risultato di varie collisioni e fratture. La loro formazione risale a più di 4 miliardi di anni or sono. Le rocce più antiche sono state ritrovate in Groenlandia e hanno 3.750 milioni di anni.
A circa 35 km di profondità dai continenti e circa 10 km sotto i fondali oceanici si trova il Moho. Scoperta dal sismologo jugoslavo Mohorovicic, essa segna il livello intermedio tra la crosta e il mantello: questa fascia è caratterizzata dalla discontinuità della composizione mineralogica. Il mantello sembra essere il motore della deriva dei continenti, ed è inoltre da questa parte della Terra che, talvolta, risalgono alla superficie rocce non precedentemente fuse, formando isole di origine vulcanica, come le Hawaii. Un'altra importante demarcazione è quella nota con il nome di discontinuità di Gutenberg, scoperta nel 1914. Oltre questo limite, dopo i 2.900 km di profondità, la densità delle rocce quasi raddoppia; è questa la parte più centrale della Terra, lo strato chiamato nucleo. Qui è racchiuso un terzo della massa del nostro pianeta, benché il suo raggio non superi i 3.478 km. Si distinguono il nucleo esterno e il nucleo interno. Dagli esperimenti compiuti, si è arrivati alla conclusione che il materiale costituente la parte esterna del nucleo, deve avere la proprietà di un liquido, in quanto, proprio come nei liquidi, non consente il passaggio delle onde sismiche trasversali. La parte interna del nucleo, ancora più densa, costituisce l'unica sorgente possibile del campo magnetico terrestre. Nella parte superiore del nucleo, la struttura dal campo si muove verso ovest di 100 m al giorno. Ogni milione di anni circa si ha l'inversione di poli magnetici, cosicché, in questi periodi, la bussola indica il nord, anziché il sud.
Trapani Composizione della crosta terrestre
Trapani L'interno della terra
Trapani Rappresentazione grafica della dinamica della tettonica a zolle

LE ROCCE

La crosta ed il mantello terrestre sono in stretta correlazione attraverso il cosiddetto ciclo delle rocce. Secondo un processo senza fine, le rocce si formano, si modificano, contribuiscono al variare del paesaggio nelle loro fasi di mutazione e quindi si sgretolano, fino a diventare sabbia. Agiscono in questo processo tutte le forze naturali, dal vento all'acqua, al movimento dei continenti. L'uomo ha suddiviso i diversi tipi di rocce esistenti in tre gruppi principali: le rocce eruttive, dette anche magnetiche o ignee, le rocce sedimentarie e, in ultimo, le rocce metamorfiche. Le prime derivano dal raffreddamento e dalla solidificazione di materiali fluidi ed incandescenti delle eruzioni, mentre le seconde dall'accumulo o sedimentazione di resti organici (organògene), di sali (chimiche) o di frammenti di altre rocce (clastiche). Fra le organògene, i carboni sono il risultato di una lunga combustione di vegetali; i calcari, di origine marina, derivano dall'accumulo di miriadi di gusci animali (i quali, del resto, hanno reperito il materiale per costruirsi il guscio o lo scheletro da ioni di minerali provenienti dalle rocce erose); le rocce chimiche sono costituite dai sali evaporati dai laghi o dai mari, mentre la sabbia, la ghiaia e i ciottoli sono i materiali costituenti le rocce clastiche.
Infine, il terzo gruppo comprende rocce originariamente appartenenti alle sedimentarie, che hanno subìto delle trasformazioni in seguito a grandi pressioni e al contatto con lave incandescenti.

IL CICLO DELLE ROCCE

Qual è il processo secondo il quale si compie ininterrottamente il ciclo delle rocce?
Le catene montuose della crosta continentale sono soggette ad erosione, il materiale viene trasportato più a valle e, con il tempo, tali depositi possono essere sollevati dai processi orogenetici (cioè da quella serie di fattori che contribuiscono alla formazione di un rilievo terrestre) per venire di nuovo erosi. Può accadere che tale materiale venga sepolto nelle profondità terrestri, e qui, sia trasformato dal calore o dalla pressione originando così quel tipo di roccia che viene denominata metamorfica, oppure, a temperature maggiori, può fondere e risolidificarsi in roccia magmatica. Può ancora verificarsi che il materiale, sepolto sotto enormi quantità di detriti o sedimenti, si solidifichi nel sottosuolo, oppure fuoriesca attraverso eruzioni vulcaniche. I materiali sedimentari possono talvolta trovarsi in fondo all'oceano, essere assorbiti dal mantello terrestre e quindi dar vita ad un nuovo ciclo.
Attraverso lo studio delle rocce si può stabilire attendibilmente la storia del nostro pianeta; ogni tipo di roccia può infatti contenere informazioni diverse, relative al clima o alla fauna delle passate ere geologiche, nonché ai movimenti tellurici che hanno provocato la deriva dei continenti.

I FOSSILI

I fossili sono resti, impronte, tracce di animali, di vegetali o di loro parti risalenti a tempi remotissimi e conservati grazie al processo di fossilizzazione. Di essi si occupa la scienza chiamata «paleontologia» che studia, appunto, i fossili degli animali, delle piante e dell'uomo allo scopo di conoscere la storia degli organismi vissuti nelle varie epoche geologiche per comprendere la loro evoluzione attraverso i millenni e per paragonare i caratteri degli esseri viventi scomparsi con quelli delle specie viventi. Lo studio dei fossili è anche utilissimo per ricostruire gli ambienti geografici succedutisi nelle varie regioni del nostro pianeta durante la storia geologica. Per trasformarsi in fossile, un animale o un vegetale subisce un processo chimico-fisico che ne tramuta le parti consistenti come le ossa, le conchiglie, il legno, in materia minerale (pietrificazione). L'organismo destinato a trasformarsi in fossile deve essere sepolto rapidamente per evitare la decomposizione; per di più deve rimanere indisturbato durante l'intero, lunghissimo, processo di pietrificazione. Questi sono i motivi per cui soltanto una minima parte degli organismi viventi che morirono nelle antiche ere geologiche è conservata sotto forma di fossile. All'inizio del processo di fossilizzazione le parti molli dell'organismo morto e sepolto nel limo o nella sabbia si decompongono rapidamente; a poco a poco i sali minerali che costituiscono le ossa, la conchiglia o la corazza dell'animale, vengono sostituiti da altri sali contenuti nelle acque circolanti. A completa sostituzione le parti dure diventano molto più resistenti senza tuttavia perdere la loro struttura originaria; avendo assunto le proprietà della pietra esse possono conservarsi intatte per millenni. Anche il limo o la sabbia che li avvolgevano finiscono, col tempo, col diventare compatti e col trasformarsi quindi in una roccia entro la quale il fossile viene perfettamente conservato. Può tuttavia accadere che le ossa, il legno, la conchiglia o la corazza (tutte parti dure) vengano in seguito disciolte dall'afflusso di nuove acque contenenti solventi adatti; in tal caso, sulla roccia rimarrà la loro impronta. Questo fenomeno si è verificato anche nel caso di strutture molto delicate come pinne di pesci, piume di uccello, foglie, ecc. Fossili sono considerate anche le impronte lasciate da un animale camminando sulla melma che, dopo il suo passaggio, si è rapidamente solidificata e, col passare del tempo, trasformata in solida roccia. Purtroppo le parti molli di un animale o di un vegetale si decompongono rapidamente e non possono quindi né trasformarsi in fossili né lasciare alcuna traccia. Perciò nulla è arrivato fino a noi di quegli organismi che popolavano il nostro pianeta nei periodi precedenti l'era Paleozoica; furono soltanto trovati fossili di protozoi (radiolari e foraminiferi) appartenenti al periodo Algonkiano, l'ultimo dell'era Arcaica (o Prepaleozoica) o di qualche crostaceo e mollusco. Naturalmente i fossili di questi organismi, che conducevano indubbiamente vita acquatica, si sono conservati perché costituiti dalle parti dure di quegli animali (minuscoli carapaci, corazze, ecc.).
Trapani Fossile di pesce preistorico
Trapani Le prime forme di vita sulla Terra

LE ERE GEOLOGICHE

Il procedimento più sicuro e completo per ricostruire l'ordine cronologico delle ere geologiche è fornito dall'analisi di alcuni elementi radioattivi contenuti nelle rocce magmatiche e metamorfiche. Questi elementi, o isotopi, emettono energia perdendo così di peso atomico: la misurazione di questo peso consente di determinare l'età di una roccia e gli avvenimenti che ne hanno permesso la formazione. Gli studi effettuati con questo criterio hanno consentito di articolare la storia del nostro pianeta in cinque ere geologiche.

ERA ARCHEOZOICA

E' l'era della preistoria della Terra. E' suddivisa in tre periodi: archeozoico inferiore, medio e superiore. All'archeozoico inferiore si fa risalire la probabile origine della Terra (circa 4,5 miliardi di anni fa) e il completamento della primitiva crosta terrestre. Nel medio appaiono le prime forme di vita acquatica e l'atmosfera si completa, permettendo così la comparsa di esseri viventi anche sulla superficie. Il superiore coincide con la comparsa di forme di vita più complesse: risalgono infatti a questo periodo animali pluricellulari a corpo molle. I fossili di questa era non ci sono purtroppo giunti in buone condizioni. Una grande glaciazione conclude l'era archeozoica circa 650 milioni di anni fa.

ERA PALEOZOICA

Comprende all'incirca 350 milioni di anni ed è suddivisa in 6 periodi. Il cambriano (da 570 a 500 milioni di anni fa) durante il quale fanno la loro apparizione animali con guscio, mentre tra i vegetali esistono solo alghe o piante con struttura tra loro simile. Nell'ordoviciano (440 milioni di anni fa) compaiono i pesci e quindi i primi vertebrati di cui si abbia notizia, nel siluriano conclusosi 395 milioni di anni orsono e nel devoniano (che dura circa 50 milioni di anni) si verifica l'orogenesi caledoniana, provocata dall'urto dell'Europa e dell'America Settentrionale. Il periodo carbonifero (da 350 a 280 milioni di anni fa) vede la comparsa delle foreste e dei primi insetti in grado di volare. Altre importanti orogenesi si verificano nel permiano (conclusosi 225 milioni di anni fa). Il continente africano e l'America settentrionale vengono a collisione formando la catena appalachiana, mentre anche l'Asia e l'Europa si toccano elevando la catena degli Urali. Le terre emerse risultano così unite in un unico continente chiamato Pangea, circondato da un solo oceano (Panthalassa) che comprendeva il Golfo di Titide, l'attuale Mediterraneo.

ERA MESOZOICA

E' suddivisa in tre periodi: il triassico (225 milioni di anni fa) durante il quale compaiono i rettili, il giuriassico (190 milioni di anni orsono) che vede spezzarsi la Pangea e la formazione dell'Oceano Atlantico. Nel terzo periodo di questa era, il cretacico (136 milioni di anni fa) vivono i dinosauri che scompariranno poi quasi improvvisamente, insieme ad altre forme di vita (rettili, ammoniti) forse a causa di eventi distruttivi la cui natura resta tuttora sconosciuta.
Le rocce sedimentarie risalgono a questo periodo: grandi strati di calcari, dolomie, arenarie, si accumulano sul fondo del mare e saranno oggetto di processi orogenetici nelle ere successive.
Trapani Modello tridimensionale di Tirannosauro Trapani Modello tridimensionale di Triceratopo

ERA CENOZOICA

Comprende due periodi: il paleogene e il neogene. A loro volta i due periodi sono suddivisi in epoche; il paleogene è infatti costituito dal paleocene che inizia 65 milioni di anni fa e dura circa 9 milioni di anni, l'eocene di circa 16 milioni e l'oligocene che termina 26 milioni di anni orsono. Nel paleocene compaiono i primi mammiferi e si verifica l'orogenesi delle Montagne Rocciose, mentre nell'eocene vi è quella del massiccio himalayano provocato dall'urto tra il continente asiatico e l'India. La formazione delle catene montuose delle Alpi e degli Appennini risale all'oligocene, quando Eurasia e Africa si spingono reciprocamente. Il periodo neogene si suddivide in due epoche: il miocene (conclusosi 38 milioni di anni fa circa) e il pliocene (che termina 1,8 milioni di anni fa). Nel primo si ha il sollevamento della catena delle Ande, nel secondo appare un gruppo di preominidi detti australopitechi, i cui resti fossili sono stati rinvenuti in Africa.

ERA NEOZOICA

E' divisa in due periodi: il pleistocene che inizia 1,8 milioni di anni orsono e l'olocene che, iniziato 11.000 anni fa, giunge fino ai giorni nostri. Il primo periodo di questa era è caratterizzato da una serie di importanti variazioni climatiche e da numerose glaciazioni. L'avvenimento biologico da sottolineare è quello della comparsa dell'uomo. Il secondo periodo è invece più stabile e le variazioni di temperatura meno violente; sono salve, dopo le dure prove del periodo precedente, le forme di vita attuali, tra le quali predominano gli insetti, i gasteropodi polmonati tra gli invertebrati e la specie umana tra i vertebrati.
Trapani La terra 300 milioni di anni fa

TERREMOTI, MAREMOTI E BRADISISMI

Durante il corso delle ere geologiche, la crosta terrestre ha subìto delle modificazioni prodotte da cause interne o endogene, e da agenti esterni o esogeni. I terremoti, i vulcani, i bradisismi costituiscono le forze endogene e testimoniano il costante dinamismo della Terra.
I terremoti hanno origine da movimenti che si verificano all'interno della crosta terrestre e nella parte superiore del mantello. L'energia accumulata da questi spostamenti preme contro le masse rocciose, deformandole. Se la pressione alla quale sono sottoposte le rocce non è più da queste contenibile, si ha liberazione di energia sotto forma di fenomeni sismici. I terremoti possono provocare delle spaccature della crosta terrestre, di solito lungo piani di fratture preesistenti (faglie). Quando una faglia è stata oggetto di eventi sismici in tempi relativamente recenti è in grado di produrre un nuovo scorrimento, ed offre quindi minor resistenza alle forze deformanti provenienti dalla crosta terrestre e dal mantello. L'ipocentro del terremoto è il punto in cui hanno origine le scosse sismiche e si trova, solitamente, a una profondità di poche decine di chilometri, mentre l'epicentro è il punto della superficie, posto sulla verticale dell'ipocentro, dove si risente con maggior violenza l'effetto del movimento tellurico. Le scosse di terremoto (ondulatorie, se si manifestano con vibrazioni orizzontali, sussultorie, se con vibrazioni verticali, e vorticose o rotatorie se si sovrappongono tra di loro o giungono fortemente inclinate in superficie) s'irradiano dall'ipocentro e, attraverso le onde sismiche, si propagano (in maniera differente secondo la densità del globo terrestre) per un'area tanto più vasta quanto più è profondo l'ipocentro, e con intensità tanto minore quanto maggiore è la distanza dall'epicentro. La quantità di energia liberata dall'ipocentro del terremoto si misura con la scala logaritmica di Ritcher, mentre la sua intensità è misurata con la scala Mercalli, secondo gli effetti distruttori subìti da persone e cose. I terremoti sono generalmente divisi in tre tipi:
- Terremoti di assestamento. Se una cavità sotterranea sprofonda improvvisamente può provocare delle scosse di assestamento talvolta anche violente, ma in un'area assai limitata.
- Terremoti di origine vulcanica. Anch'essi possono provocare effetti catastrofici, benché in aree ristrette, e costituiscono un fenomeno che precede o accompagna le eruzioni vulcaniche.
- Terremoti di origine tettonica. Sono i più temibili, a causa delle vaste aree che interessano. Si verificano per assestamento della crosta terrestre o della parte superiore del mantello, in quei punti, cioè, dove non è ancora stato raggiunto un equilibrio fra le varie parti della Terra. Così si spiega il motivo per cui le zone generalmente più colpite da questi fenomeni sono situate lungo le catene montuose di origine recente, o lungo le grandi fosse oceaniche, e corrispondono alle zone vulcaniche. Le regioni sismiche sono l'America Centrale e la parte occidentale dell'America del Sud, la Kamciatka, il Giappone, le Filippine, l'Indonesia, le catene alpine himalayane, l'Africa orientale e le zone attorno alle fratture degli Oceani Atlantico, Indiano e Pacifico. Prevedere il verificarsi di un terremoto non è ancora scientificamente possibile, anche se possono esservi dei segnali premonitori, quali: il dilatarsi delle rocce, la variazione della conducibilità elettrica della falda freatica o il rapido abbassamento del livello dell'acqua nei pozzi.
Più semplice invece, è la previsione dei maremoti: se infatti l'epicentro è sufficientemente lontano dalla costa, è possibile calcolare il tempo che l'onda impiegherà per raggiungere una località costiera.
Il maremoto è originato da improvvisi mutamenti nella configurazione del fondo marino, (cioè da altri terremoti, gli ipocentri dei quali si trovino sotto o in prossimità del fondale marino) i quali danno luogo ad un sistema di onde che si spostano con grande rapidità. Le onde di maremoto, conosciute anche col nome giapponese di tsunami, possono anche raggiungere altezze di 30 metri in acque poco profonde, provocando effetti gravemente distruttivi alle coste basse, non protette.
Altra forza endogena è costituita da un lentissimo movimento tellurico detto bradisismo. Tali spostamenti si osservano soprattutto lungo le fasce costiere, dove il suolo si alza o si abbassa, secondo la natura del bradisismo. Si dice infatti positivo, quando provoca l'abbassamento, e negativo quando da luogo all'innalzamento del suolo.
Trapani I disastri naturali

GLI TSUNAMI

Il sostantivo è giapponese e significa «onde sul porto». E' usato in italiano quale sinonimo di maremoto. Queste onde, prodotte da movimenti del fondo marino, sono solitamente molto lunghe e quindi molto veloci, anche se di modesta altezza. Esse sono provocate dal risucchio di una grande massa d'acqua, determinato dallo sprofondamento della costa oceanica. Il cavo formatosi trascina con sé l'acqua, che prima poggiava sul fondale, e conseguentemente si viene a creare un'onda anomala, in grado di viaggiare per molti chilometri e capace quindi di scaricare l'enorme forza che trattiene al primo contatto con la crosta terrestre. Si hanno notizie circa un maremoto verificatosi nel 1946 nelle Hawaii, quando le acque del Pacifico, di solito assordanti, tacquero improvvisamente mettendo in allarme gli abitanti dell'isola. Un attimo più tardi l'oceano si ritirò lasciando allo scoperto più di 150 metri di fondale, per tornare sotto forma di onda gigantesca e violentissima. Si trattava di uno Tsunami provocato da un terremoto che aveva avuto luogo cinque ore prima nelle isole Aleutine a circa 3.700 chilometri di distanza. Dopo 18 ore dalla scossa che l'aveva generata, l'onda s'infranse anche a Valparaiso che dista 13.000 chilometri dall'epicentro del terremoto. Fatto strano, ma spiegabile, l'onda non venne praticamente avvertita dalle navi che in mare aperto la incrociarono; questo perché lo Tsunami, in quanto lunghissimo, provocò solo dislivelli di qualche decina di centimetri.
Dopo questo drammatico avvenimento sono state create delle stazioni di rilevamento nel Pacifico, che oggi consentono di stabilire l'ora in cui lo Tsunami si infrangerà sulle zone costiere e quindi di predisporre le misure di sicurezza per le popolazioni delle località interessate.
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I VULCANI

Fra i 30 e i 100 km circa di profondità, nella parte superiore del mantello, si forma il magma. Raggiunte temperature molto alte, il magma cerca una via d'uscita verso la superficie e forma i vulcani. Il magma passa attraverso fratture interne generate dal moto dei continenti e fuoriesce dalle zone crostali di minor resistenza. Il complesso degli elementi che compongono un vulcano è detto apparato vulcanico: esso è costituito da un focolare o focolaio o serbatoio o camera, magmatico, da un camino con eventuali ramificazioni, dal cratere e dall'edificio vulcanico superficiale. I vulcani possono essere subaerei o sottomarini, questi si formano, generalmente, in prossimità delle dorsali oceaniche. Il vulcano sottomarino può crescere talmente da emergere dalle acque e formare isole vulcaniche, le quali, se il graduale e naturale sprofondamento della crosta non viene compensato dall'apporto di nuovo materiale magmatico, sono destinate ad essere sommerse. I magmi basici con basso tenore di silicio e d'acqua fuoriescono con quiete eruzioni (o eruzioni areali) dando origine a vulcani molto piatti, detti a scudo (o plateau di lava), mentre il magma più viscoso e a maggiore contenuto di silicio ed acqua produce delle eruzioni più esplosive. La lava che resta in prossimità della bocca vulcanica costruisce, per accumulazione, il tradizionale strato-vulcano di forma conica, a versanti ripidi. Questo tipo di vulcano può avere numerose bocche laterali prodotte dall'aumentare della pressione sotterranea. Se un vulcano ha origine da una o più eruzioni dello stesso tipo, esso è detto semplice od omogeneo, mentre sono detti composti o compositi i vulcani generati da eruzioni magmatiche diverse, modificatesi tra un'esplosione e l'altra. Attività vulcaniche molto violente possono generare una depressione del vulcano stesso, oppure un crollo dell'edificio vulcanico sotto il suo peso. Tale depressione, detta caldera, resta comunque una via d'uscita per il magma. La forza dell'esplosione può provocare ingenti danni alle abitazioni, alla popolazione e alla vegetazione. La ricaduta delle ceneri brucia le colture, i gas velenosi uccidono ogni forma di vita, la lava può arrestare il corso dei fiumi. Emissioni di gas e di vapori o sorgenti calde, spesso, si manifestano nelle regioni circostanti il vulcano. I geyser, per esempio, sono delle sorgenti termali dalle quali fuoriesce ad intermittenza una colonna d'acqua allo stato liquido e gassoso. Nelle fenditure sotterranee, riempite d'acqua, si verifica talvolta un apporto di gas e vapore acqueo ad alta temperatura che riscaldano gradatamente l'acqua nella fessura fino ad ebollizione. L'acqua bollente spinge verso l'alto, formando il geyser.
Prevedere approssimativamente il momento in cui si potrebbe verificare un'eruzione vulcanica è relativamente facile. I segnali premonitori sono legati a terremoti di lieve intensità o alla fuoriuscita dai vulcani di gas specifici: ciò preannuncia che una nuova massa di magma sta salendo in superficie. Nel mondo si conoscono circa 700 vulcani attivi, la maggior parte dei quali concentrati attorno all'Oceano Pacifico e gli altri distribuiti in regioni orogeniche recenti o ai margini delle zolle contigue in allontanamento. Ve ne sono 116 tra le Curili e il Giappone, 123 dalle Filippine alla Nuova Zelanda, 80 in America e 107 in Alaska, Aleutine e Kamciatka, nonché 108 in Indonesia, 2 nel Caucaso, 5 nel Mediterraneo (Santorino, Etna, Vulcano, Stromboli e Vesuvio), quindi 23 nelle Hawaii e in altre isole del centro Pacifico, 70 negli Oceani Indiano e Atlantico e una cinquantina in Africa.
Trapani Colata lavica di un vulcano
Trapani Veduta aerea del cratere del Vesuvio
Trapani La nascita di un vulcano

GLI OCEANI

La Terra possiede acqua allo stato liquido in abbondanza e il 97% della quantità totale è contenuto nei mari e negli oceani. Ma l'acqua è presente nel nostro pianeta anche in altre forme: allo stato solido (ghiacci) e allo stato gassoso (vapor acqueo). La loro distribuzione varia nel tempo, solo 20.000 anni fa, il livello del mare era più basso di un centinaio di metri; innalzandosi, ha sommerso delle terre che ora costituiscono la piattaforma continentale. Oggi il livello del mare aumenta solo di 1 mm all'anno, ma se tutti i ghiacci della Terra si sciogliessero, s'innalzerebbe di 60 m, sommergendo regioni litoranee, isole e molte tra le città più grandi del mondo. La quantità d'acqua presente sulla Terra rimane costante seguendo un ciclo continuo di trasformazione: il Sole provoca l'evaporazione dell'acqua dei mari, degli oceani, dei bacini lacustri, dei fiumi, nonché delle foreste (infatti le foglie traspirano); il vapore acqueo generato dall'evaporazione e trasportato dai venti si condensa in nubi (che ritorneranno ad essere acqua allo stato liquido attraverso le precipitazioni) oppure in nebbia o brina nelle regioni dove la temperatura è più rigida.
Si distinguono tre grandi masse d'acqua: l'Oceano Atlantico, con una superficie di 106 milioni di kmq circa, l'Indiano, di 75 milioni di kmq e il Pacifico di 180 milioni di kmq. Queste grandi estensioni di acqua sono in continuo movimento: tra i moti principali si possono distinguere i saltuari (onde), i periodici (maree) e i costanti (correnti marine). Prodotte dai venti, le onde si propagano ad una velocità che può variare tra i 15 e i 100 km orari e raggiungere un'altezza di 12 m nell'Oceano Atlantico e di 20 m in quello Pacifico, mentre la distanza tra due creste successive, cioè la lunghezza, può anche arrivare a 400 m in pieno Oceano Pacifico. La velocità dell'onda è in generale direttamente proporzionale alla sua lunghezza, quindi tanto più l'onda è lunga, quanto più essa è veloce. Se venti intensi vengono a combinarsi con basse pressioni atmosferiche ed a tempeste, si possono verificare innalzamenti enormi del livello del mare, con conseguente allagamento di vaste estensioni di terra (si ricordi il fenomeno dell'acqua alta dell'Adriatico settentrionale e degli Storm surges del Mare del Nord). L'azione dirompente delle onde provoca anche la formazione degli iceberg, montagne galleggianti di ghiaccio che si staccano dai ghiacciai continentali o dalle barriere polari. Lunghi anche parecchi chilometri, essi emergono solo per circa un decimo della loro altezza. Gli iceberg vanno alla deriva e il moto ondoso, le correnti marine, nonché l'effetto combinato del calore e dell'acqua provocano inizialmente la formazione di incavi e grotte nei loro fianchi, e, gradualmente, una progressiva diminuzione di volume finché, giunti alle medie latitudini, essi si sciolgono completamente.
Le maree sono determinate dall'azione gravitazionale esercitata sulla Terra dal Sole e dalla Luna. E' la Luna comunque che fissa il ritmo delle maree, poiché la sua attrazione è maggiore di quella del Sole.
Essa impiega 24 ore e 50 minuti a compiere un'orbita apparente attorno alla Terra. Allo scadere di questo termine, si ripetono due innalzamenti (alta marea o flusso) e due abbassamenti del livello del mare (bassa marea o riflusso). Si verificano le minime oscillazioni di marea (maree di quadratura) durante il primo e l'ultimo quarto delle fasi lunari, quando cioè l'attrazione della Luna contrasta con quella del Sole, mentre si registrano i minimi di bassa marea e i massimi di alta marea (maree sigiziali) durante il plenilunio. L'ampiezza delle maree è trascurabile nei bacini chiusi, viceversa è maggiore negli oceani e assume valori massimi presso le coste dove si hanno profonde baie ed estuari. I venti periodici e costanti determinano la formazione delle correnti superficiali. I venti e il movimento di rotazione della Terra trascinano tali correnti nei circuiti, vortici ampi quanto oceani. Esiste un continuo movimento di questi circuiti prodotto dai venti che sta all'origine dello spostamento di acqua calda dall'Equatore verso i poli e viceversa. Quindi anche nelle regioni temperate o subtropicali, al di sotto delle acque calde superficiali, c'è uno strato permanente di acqua fredda proveniente dalle regioni polari. La presenza dei continenti può modificare il flusso e la temperatura delle acque oceaniche: la Corrente del Golfo, ad esempio, dopo aver incontrato il continente americano, si dirige verso oriente, conservando una notevole quantità di calore che produce benefici effetti sulle isole britanniche. La salinità dell'acqua marina varia con la temperatura, il volume delle precipitazioni, la frequenza dei venti e la conformazione dei bacini marittimi. Mediamente si aggira sul 35 per mille, cioè 35 grammi di sale ogni litro d'acqua, ma il Mar Rosso supera il 40 per mille, mentre nel Baltico raggiunge appena il 6-8 per mille. Si trovano in abbondante quantità il sodio, e il cloro, nonché altri 12 elementi.
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LE CORRENTI MARINE

LA CORRENTE DEL GOLFO (GULF STREAM)

Corrente marina calda, dell'Atlantico boreale, che si muove tra il Golfo del Messico e le rive dell'Europa settentrionale. Nasce tra Cuba e la penisola della Florida e procede con direzione nord-est costeggiando l'America settentrionale. E' costituita da un'imponente massa d'acqua larga 80 km, profonda 700 m, e capace di percorrere 6 km all'ora. Si distingue per la temperatura più elevata, il colore più scuro, il sapore più salato. Giunge fino a Terranova e qui, attraverso l'Atlantico, piega verso est e, presso le coste europee, in parte verso sud, mentre con un'altra parte raggiunge le coste scandinave recando il benefico influsso della propria temperatura ancora abbastanza elevata.
La Corrente del Golfo, inoltre, fa sì che i porti dell'Europa settentrionale siano liberi dai ghiacci tutto l'anno e mitiga il clima dell'Europa occidentale. Alla stessa latitudine infatti il clima in America è di gran lunga peggiore.

LA CORRENTE DEL LABRADOR

E' una corrente fredda che si forma a nord dello Spitzbergen, nelle acque del Mar Glaciale Artico. Queste acque seguono quindi la costa orientale della Groenlandia e, doppiatone il punto più meridionale, risalgono lungo le sue coste occidentali. Arrivano quindi nella baia di Baffin e infine piegano a sud lungo la costa americana e i grandi banchi di Terranova. L'incontro della corrente del Labrador, proprio al largo di Terranova, con la corrente del Golfo, molto più calda, è la causa dei fittissimi banchi di nebbia caratteristici di questa zona.

LE CORRENTI DEL PACIFICO

Dalle coste occidentali dell'America Centrale, a causa della deviazione dovuta al moto rotatorio della Terra, si sviluppa in direzione est-ovest la Corrente Equatoriale, originata dall'azione dei venti Alisei di nord-est. Nei pressi delle Filippine si divide in due rami, uno dei quali, chiamato Kuro Siwo (corrente nera), va a lambire gli arcipelaghi dell'Asia orientale. Giunto a questo punto piega verso est e arriva alle coste occidentali dell'America Settentrionale, dove si divide a sua volta in diversi rami, uno dei quali segue la costa della California e si congiunge alla corrente nord-equatoriale del Pacifico. Altre correnti del Pacifico sono la Oyasiwo (corrente bianca) che, giungendo dai mari polari, si spinge fino allo stretto di Formosa dopo aver lambito la costa asiatica a ovest della Kamciatka e delle Curili; la Corrente sud-equatoriale che arriva a lambire le coste orientali della Nuova Zelanda dopo aver attraversato il Pacifico. Prosegue quindi verso le coste orientali dell'Australia, e risale poi verso l'Equatore per ricongiungersi con la Controcorrente equatoriale. Un fenomeno molto caratteristico è rappresentato dalla corrente «El Niño» che raggiunge, in media una volta ogni 10 anni, le coste del Perù e del Cile settentrionale. La sua apparizione coincide con le feste natalizie ed è causa di piogge torrenziali che hanno effetti deleteri sull'attività della pesca e sulla produzione di guano (che è escremento di uccelli marini dal quale, seccato e decomposto, si estrae la guanina). Questa corrente è calda, e la brusca variazione di temperatura delle acque superficiali provoca l'inabissamento dei pesci abituati ad acque superficiali più fredde.

LE CORRENTI DELL'OCEANO INDIANO

La direzione di queste correnti si inverte ogni sei mesi a causa dell'alternarsi della stagione dei Monsoni. Quando soffia il Monsone invernale (nord-est), le correnti occidentali si dirigono prima verso sud-ovest. A causa della rotazione della Terra girano poi verso ovest. Nell'emisfero australe un'altra corrente, spinta dal vento Aliseo di sud-est, assume la stessa direzione. Dall'unione di queste due correnti si origina la forte controcorrente equatoriale che attraversa l'Oceano Indiano. Quando invece il Monsone soffia dal mare, le correnti a nord dell'Equatore vanno da sud-ovest a nord-est. Correnti orientali prevalgono invece a sud dell'Equatore: sono causate dall'Aliseo di sud-est e si piegano ancora verso la loro sinistra a causa del movimento di rotazione della Terra. Si spingono fino all'estremo sud del continente africano dopo aver lambito l'isola di Madagascar. Alla punta più meridionale dell'Africa, dove queste correnti si incontrano con le acque dell'Atlantico, Bartolomeo Diaz diede il nome di Capo delle Tempeste, dopo averlo doppiato nel 1487. Più tardi Vasco de Gama lo ribattezzò Capo di Buona Speranza, dopo essere riuscito nella storica impresa della circumnavigazione dell'Africa.
Trapani Le correnti mediterranee

LA DERIVA DEI CONTINENTI

Agli inizi di questo secolo, e precisamente nel 1912, Alfred Wegener dedicava molte ricerche all'ipotesi della «deriva dei continenti», già formulata in tempi più remoti, basandosi sull'osservazione dei profili costieri dei continenti. Egli aveva infatti constatato che ricomponendo i continenti oggi separati si possono verificare numerose e significative analogie anche nella storia geologica dei continenti affiancati, rilevabili dall'analisi dei reperti fossili, delle strutture, dei paleoclimi e dei depositi glaciali. La teoria di Wegener è stata documentata da lunghi studi sui fondali oceanici, svolti soprattutto negli ultimi 30 anni. Negli anni '50, da una serie di rilevamenti geologici, si scopriva una catena montuosa sommersa lunga 60.000 km. L'asse di questa dorsale presentava, a tratti, una fossa tettonica e risultava talvolta deviata da lunghe fratture trasversali nel fondo oceanico. Inoltre si scoprì che il fondale presenta caratteristiche magnetiche, poiché i basalti della crosta contengono numerosi piccoli cristalli di magnetite. Quando questi basalti si raffreddano, conformano il loro campo magnetico a quello della Terra in quel momento. Questo dato è estremamente importante, se si considera che il campo magnetico terrestre si è più volte invertito durante le varie epoche. Essendo stato rilevato che, spesso, le fasce di diversa polarità si trovavano in posizione simmetrica ai due lati della dorsale oceanica, si è giunti alla conclusione che tali fasce si sono formate assieme nella dorsale medio-oceanica e che, insieme, si sono poi allontanate, mentre tra loro si formava nuova crosta, che avrebbe poi dato origine a nuove fasce. A questa considerazione ne seguiva un'altra. Se gli oceani si espandono, due sono le possibilità: o tutto il pianeta è in espansione o il fondo oceanico si consuma. Attraverso lo studio di zone sismiche è stato possibile determinare che è appunto il fondale oceanico che va consumandosi. In effetti si è rilevato che non esistono croste oceaniche più vecchie di 200 milioni di anni. Questo per il fenomeno della subduzione, secondo il quale le zone sismiche ubicate attorno all'Oceano Pacifico sprofondano verso l'interno della Terra. Man mano quindi che la crosta oceanica delle zone sismiche invecchia, essa si raffredda, si contrae e quindi sprofonda.
Oltre ai margini costruttivi (cioè alla formazione di croste dorsali) e ai margini distruttivi (cioè alle zone di subduzione) vi sono ancora i margini di zolla detti conservativi, dove le zolle (involcri superficiali rigidi della Terra) scorrono l'una rispetto all'altra: esse possono ad esempio collegare due parti di una dorsale. Tutti questi movimenti creano, distruggono, rinnovano la crosta oceanica, dando così origine al cosiddetto fenomeno della deriva dei continenti. Oggi si accetta quindi la teoria proposta da Wegener, secondo la quale i continenti avrebbero cambiato la loro posizione nel corso della storia evolutiva del nostro pianeta. Unica, rilevante modifica è stata apportata nel quadro della tettonica a zolle: i continenti infatti non sono più considerati galleggianti come zattere sganciate dalla crosta oceanica, ma ciascuno di essi si muove assieme alla zolla di cui fa parte. Circa 225 milioni di anni fa, esisteva un solo grande continente chiamato Pangea, circondato da un unico oceano detto Panhalassa, mentre il golfo detto Tetide, l'attuale Mar Mediterraneo, separava l'Africa dall'Eurasia. Dopo 45 milioni di anni ci fu una prima evoluzione: la Pangea si suddivise, la Laurasia andò alla deriva verso nord, mentre il blocco Africa-America del Sud si staccò dal blocco Australia-Antartide, così come l'India, che iniziò la sua deriva verso nord.
L'Oceano Indiano e Atlantico si aprirono 135 milioni di anni fa, mentre 70 milioni di anni più tardi, l'India stava per entrare in collisione con l'Asia. Oggi l'India ha completato la sua deriva e si è saldata all'Asia, l'Australia si è staccata dall'Antartide e l'America del Nord si è separata dall'Eurasia. I continenti non si sono certo stabilizzati e si può ipotizzare che tra 50 milioni di anni l'Australia continuerà la sua deriva verso nord, una parte dell'Africa orientale si staccherà dal continente e la California dall'America del Nord. Il Mar Mediterraneo è destinato a scomparire, mentre ci sarà un'espansione degli Oceani Atlantico e Indiano che compenseranno la riduzione della massa oceanica del Pacifico. Quando i continenti alla deriva collidono si ha la nascita delle catene montuose. Le montagne sono spinte verso l'alto dalla pressione delle zolle mobili della crosta terrestre; esse sono costituite da sedimenti erosi dalle masse continentali. Gli agenti esogeni aggrediscono le montagne giovani riducendone l'altezza. Il materiali erosi confluiscono nel mare e sono nuovamente integrati nella continuità del processo orogenetico.
Trapani La teoria della deriva dei continenti
Trapani L'origine delle montagne
Trapani L'origine delle montagne (versione inglese)

I VENTI

Quando masse di aria calda o umida incontrano masse di aria fredda o secca si producono i venti. E' da ricordare che le molecole di ossigeno e azoto dell'aria fredda o secca sono meno leggere di quelle dell'aria calda o umida. E' la diversità di pressione delle due masse che si incontrano a provocare le correnti d'aria, i venti. Infatti la massa a pressione maggiore, d'aria fredda o secca, tende a spostarsi verso quella a pressione minore, d'aria calda o umida, e il vento così prodotto si sposterà da luoghi freddi o secchi a luoghi caldi o umidi. La velocità con cui spira il vento è direttamente proporzionale al dislivello di pressione, perché dalle aree anticicloniche (ad alta pressione) sarà più forte il richiamo verso le aree cicloniche (a bassa pressione). La classificazione dei venti è effettuata in base alla loro direzione di provenienza e velocità. La prima è stabilita rispetto al nord geografico, la seconda invece è misurata in base a un'apposita scala che l'astronomo inglese Sir Francis Beaufort compilò nel 1805.

GLI ALISEI

Sulla zona equatoriale persiste annualmente un regime di basse pressioni. Si forma pertanto una colonna d'aria costantemente ascendente che conferisce alla fascia equatoriale una calma atmosferica quasi assoluta (calme equatoriali). D'altra parte il vuoto lasciato dall'aria che sale attira masse di altra aria da zone a pressione più elevata (zone tropicali), per cui dai Tropici all'Equatore si avrà rasente a terra la formazione di venti costanti: gli alisei, che, per effetto della rotazione terrestre, soffiano da nord-est nell'emisfero boreale e da sud-est in quello australe.
D'altra parte l'aria ascendente sopra la fascia equatoriale, giunta ad una altitudine variabile tra i 3.000 e i 5.000 metri, si sarà raffreddata e appesantendosi tenderà a ridiscendere. Non potendolo fare nello stesso luogo per l'incalzare di altre masse ascendenti, scivolerà verso i Tropici a riempire i vuoti lasciati dall'aria attirata verso l'Equatore e, chiudendo così la circolazione atmosferica con la formazione di altri venti costanti diretti in senso opposto agli alisei (i «controalisei»), determinerà ai Tropici una zona di alte pressioni costanti.

I MONSONI E LE BREZZE

Nella zona dell'Oceano Indiano, appena a nord dell'Equatore, si presenta l'enorme mole continentale dell'Asia. La maggior parte di questo continente si estende in piena zona temperata, cioè in una zona particolarmente interessata dalle escursioni termiche stagionali. Durante l'inverno vi si crea una zona anticiclonica marcatissima (anticiclone siberiano) in netto contrasto con le basse pressioni dell'Oceano dalle acque piuttosto calde. Sicché d'inverno spirerà un vento secco e relativamente freddo dall'interno dell'Asia verso l'Oceano Indiano. In estate la situazione barica si capovolgerà e il vento spirerà caldo e soprattutto umido verso le coste asiatiche. E' il fenomeno dei «monsoni» (da «mausin» che in arabo vuol dire stagione). Venti pure periodici, ma giornalieri, sono anche le «brezze», ben conosciute dalla gente di mare e da quella di montagna. Infatti, si possono distinguere in brezze di monte e di valle e in brezze di mare e di terra. Durante il giorno, per il maggior riscaldamento delle aree montane rocciose, e precisamente dalle 11 del mattino alle 10 di sera, spira un vento tiepido ed umido dal fondovalle verso le cime dei monti determinandovi, specie al mattino, un po' di nebulosità; quasi cessato dopo il tramonto, riprende secco e gelido durante la notte, ma in direzione opposta, cioè dalla montagna verso la valle. Analoga origine (differenza di pressione per diverso riscaldamento tra mare e terra) hanno le brezze di mare e di terra. Dalle prime ore del pomeriggio esse spirano dal mare verso la costa, dove si spingono (sempre che non incontrino rilievi) fino a circa 40 km nell'interno; durante la notte spirano invece da terra verso il mare.

LA BORA E IL MAESTRALE

Le situazioni bariche che si determinano sui continenti, soprattutto in rapporto con la loro configurazione verticale, provocano la formazione di particolari tipi di venti variabili, alcuni dei quali molto caratteristici. La «Bora», ad esempio, è un vento invernale secco, freddo e violento, che si forma per lo squilibrio di pressione tra Mare Adriatico e Pianura Ungherese. Piomba sulla città di Trieste scendendo dall'altipiano Carsico alla velocità di oltre 100 km orari. Il «Maestrale» è un vento primaverile e invernale che soffia dall'interno della Francia verso il Mediterraneo richiamatovi da un'area di pressione molto bassa. E' anch'esso freddo e asciutto. Lo «Scirocco», altro vento invernale, proviene dal Sahara e soffia verso il Mediterraneo attiratovi da una bassa pressione. I suoi effetti si fanno sentire fino alle coste liguri e venete. E' un vento caldo e secco in origine, ma poi, passando sul Mediterraneo, si carica di umidità e apporta maltempo e piogge. Il «Libeccio» è un vento generalmente impetuoso che proviene da sud ed è spesso causa di tempeste di mare. La sua azione si fa particolarmente sentire nei pressi di Livorno ed è tale da incidere sulla conformazione degli alberi, i quali presentano nel fusto un'inclinazione secondo la direzione in cui spira il vento.

IL FÖHN

E' un famoso vento primaverile e autunnale che soffia principalmente dal Mediterraneo sulla Svizzera e sul Tirolo, richiamato verso il Nord Europa da quelle basse pressioni che sono in contrasto con le alte pressioni della zona mediterranea (non è raro, però, che soffi in direzione opposta per inversione della situazione barica). Arriva alle Alpi caldo e umido, ne risale le pendici abbandonandovi umidità per condensazione ed acquistandovi maggiori capacità di riscaldamento appunto per la perdita di umidità. Quando scende per l'altro versante, violento, caldo e asciutto, è causa di valanghe e di piene improvvise.

L'AUSTRALOPITECO

Termine composto da australe più il sostantivo greco píthekos (scimmia), che sta ad indicare varie forme di Ominidi vissuti nel periodo pliocene in Africa australe e nel Tanganica.
Si tratta di forme assai differenziate tra loro, per cui inizialmente si proposero numerosi nomi di generi, oggi ridotti a due o tre. Attualmente infatti si tende a classificarli con il seguente criterio:
Australopithecus africanus comprendente le forme ancora designate come Plesianthropus e Australopithecus prometteus;
Australopithecus robustus che comprende le forme già note come Paranthropus robustus e Paranthropus crassidens;
Australopithecus boisei è il nome attuale usato per indicare il Zinjantropo del Tanganica; per designare tutte le forme più evolute degli Australopitechi del Sudafrica è ancora in uso il nome di Telanthropus capensis.
Infine si indica oggi con Homo habilis l'individuo ricostruito con almeno 4 scheletri diversi, le cui caratteristiche dimostrano essere il più avanzato nello stadio evolutivo rispetto alle altre forme. Gli australopitechi, in genere, avevano capacità craniche modeste rispetto a quelle degli uomini attuali, ma notevoli se si considera il volume esiguo del corpo; inoltre l'encefalo alquanto frontalizzato evidenzia lo spostamento della massa cerebrale verso la zona anteriore della scatola cranica. La pelvi era in posizione intermedia fra quella rialzata delle scimmie e quella rovesciata dell'uomo attuale: ciò è indicativo di una posizione di equilibrio molto vicina alla stazione eretta dell'uomo. Del resto le ossa tarsiali del piede non avevano più capacità prensili, benché continuassero a poggiare al suolo con angolatura diversa da quella dell'uomo attuale e fossero inadatte alla corsa. La dentatura era di tipo umano, specializzata per la masticazione e la triturazione, ma non per la difesa. Restano tuttavia molto primitive le caratteristiche delle ossa facciali, che presentano una notevole sporgenza in avanti delle ossa mascellari. I reperti delle forme scheletriche e degli oggetti lavorati da questi Ominidi indicano che, nel lungo periodo durante il quale essi vissero, vi fu una notevole evoluzione sia somatica sia culturale.

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