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Non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro Paese.
John Fitzgerald Kennedy

La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l'individuo in condizione di fare a meno di essa.
(Ernesto Codignola)

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GEOGRAFIA - ASIA - ISRAELE

PRESENTAZIONE

Collocato nell'Asia anteriore, Israele confina a Nord con il Libano;

a Nord-Est con la Siria;

a Est con la Giordania;

a Sud-Ovest con l'Egitto.

È bagnato a Sud dal Mar Rosso e a Ovest dal Mar Mediterraneo.

Israele ha una superficie di 20.700 kmq e una popolazione di 9.043.387 (2023) abitanti con una densità di 332 abitanti per kmq.

La maggioranza degli Israeliani appartiene al gruppo ebraico (76,7%);

il resto è costituito da minoranze etniche varie.

La lingua ufficiale è l'ebraico, sostituito all'arabo dopo la formazione dello Stato d'Israele.

La religione professata è l'Ebraismo (76,7%);

la minoranza araba è però di fede musulmana (15,8%) e ci sono esigui gruppi di cristiani (2,1%) e di drusi (1,6%).

Israele è una Repubblica parlamentare.

Privo di una Costituzione scritta, lo Stato è così organizzato:

l'Assemblea nazionale (Knesset), composta da 120 membri eletta per quattro anni a suffragio universale, esercita il potere legislativo e sceglie il presidente.

Il potere esecutivo spetta invece al Consiglio dei ministri presieduto dal primo ministro, che deve ottenere la fiducia della Knesset.

Amministrativamente è diviso in 6 distretti.

L'unità monetaria è lo sciclo (sheqel).

La capitale è Gerusalemme (704.900 ab.).

IL TERRITORIO

La conformazione geomorfologica di Israele è tutt'altro che semplice e omogenea.

Nella parte interna si eleva un altopiano brullo e profondamente eroso che scende ripido verso Est nella valle del Giordano, mentre digrada dolcemente verso Ovest.

Esso è costituito a Nord, vicino al confine libanese, da propaggini dei monti dell'Alta Galilea e a Sud dai monti della Samaria e della Giudea.

A Sud della depressione del Mar Morto si estende una vasta zona desertica, il Negev, che giunge fino in prossimità del Mar Rosso (golfo di Aqaba) e occupa quasi la metà della superficie del Paese.

Lungo il confine orientale si trova la depressione tettonica del Ghor, percorsa dal fiume Giordano che rappresenta l'unico corso d'acqua importante d'Israele.

Della rete idrografica fanno parte anche il Lago Tiberiade e il Mar Morto, entrambi sotto il livello del mare.

Le coste coincidono con fasce pianeggianti e il litorale mediterraneo, dritto e orlato di dune sabbiose è interrotto nell'estremo tratto settentrionale dal promontorio roccioso del Monte Carmelo.

Il clima è caratterizzato da una grande aridità in tutte le stagioni e da forti escursioni termiche fra estate e inverno.

Solo lungo la costa si registra un clima mediterraneo con estati calde e secche e inverni miti e piovosi.

Cartina d'Israele

Cartina d'Israele

L'ECONOMIA

Lo Stato israeliano, pur essendo molto giovane, ha un'economia evoluta con un livello pari a quello di molti Stati europei.

Tre sono i fattori che hanno permesso questa crescita:

un forte aumento di manodopera, un afflusso di capitali dall'estero sotto forma di prestiti e di investimenti privati, ed infine un razionale sfruttamento del territorio.

L'economia israeliana, grazie anche agli aiuti stranieri, ha potuto così svilupparsi velocemente, ma le guerre con i Paesi arabi confinanti hanno ultimamente rallentato la sua crescita.

Da alcuni anni il Paese si trova inoltre a dover affrontare un'inflazione galoppante che nel 1984 ha toccato la cifra record del 1.000%.

Il settore principale dell'economia israeliana è l'agricoltura, limitata però dalla natura arida del terreno e dalla scarsità delle risorse idriche.

L'agricoltura si è sviluppata grazie ad un'opera di ammodernamento e di bonifica di zone paludose, intrapresa dai primi coloni.

Questo continuo lavoro sul territorio non solo ha accresciuto la superficie arabile disponibile, ma ha anche aumentato la produttività del terreno.

La produzione è pianificata, le tecniche utilizzate sono tra le più moderne e l'uso dell'acqua è strettamente controllato proprio per evitare sprechi.

I successi dell'agricoltura sono stati favoriti in modo particolare dalle nuove forme di conduzione agricola adottate.

La maggior parte del suolo, di proprietà collettiva, fu inizialmente organizzata in kibbutz e moshav.

I kibbutz, sviluppati nel Nord e nelle zone di frontiera, sono delle aziende agricole all'interno delle quali la proprietà individuale non esiste e la terra viene lavorata in comune da tutte le famiglie.

Ogni scelta è fatta collettivamente e il lavoro viene suddiviso e organizzato da un comitato elettivo.

Nel moshav invece ogni famiglia gestisce autonomamente il proprio podere, mentre l'acquisto di nuove attrezzature e la vendita dei prodotti avviene in forma cooperativistica.

Accanto a queste forme di organizzazione del lavoro si sono sviluppate anche molte cooperative che si occupano della vendita e dell'approvvigionamento dei prodotti.

La coltivazione è intensiva e varia:

i maggiori prodotti sono gli agrumi (Israele è infatti il nono produttore mondiale di arance), gli ortaggi e i legumi.

Il settore industriale è molto avanzato perché, pur avendo a disposizione delle materie prime limitate, si avvale di sofisticati strumenti tecnologici.

I principali settori produttivi sono quello alimentare, tessile, metallurgico e chimico.

Importante è anche la lavorazione delle pietre preziose, iniziata dagli immigrati ebrei che provenivano da Amsterdam e che erano specializzati nel taglio dei diamanti.

Altri settori che hanno raggiunto un notevole sviluppo sono quello meccanico e quello militare.

Il sottosuolo è povero di materie prime e gli unici minerali presenti sono il potassio e il fosfato.

La rete di comunicazione e dei trasporti è stata ampliata e migliorata negli ultimi anni.

La rete stradale ammonta a 15.065 km.

Il principale aeroporto si trova nei pressi di Tel Aviv e riesce ad assorbire tutto il traffico del Paese;

di notevole rilievo è anche il porto di Elat, sul Mar Rosso, e quelli di Haifa e di Ashod sul Mar Mediterraneo.

CENNI STORICI

Verso la fine del XIX secolo si formava in Europa il movimento sionista con lo scopo di restituire agli ebrei di tutto il mondo la terra che, dal XVIII sec. a.C. al II sec. d.C., era appartenuta al popolo di Israele.

Fu il giornalista viennese Theodor Herzl ad immaginare nel suo libro Lo Stato ebraico la creazione di uno stato-nazione che avrebbe posto fine a tutte le persecuzioni sofferte dagli ebrei.

Sion è il nome di una collina di Gerusalemme, che per estensione rappresenta tutta la Palestina e «sionisti» si chiamarono i seguaci di Herzl, che sembrarono non prendere in considerazione che l'area era abitata, oltre a nuclei di ebrei rimasti nella loro terra natale, da arabi che avevano lì radici e tradizioni millenarie.

Durante la prima guerra mondiale Inghilterra e Francia si accordarono per una ripartizione di quello che rimaneva dell'impero Ottomano in Medio Oriente.

Nel 1917 la Gran Bretagna sostenne l'istituzione in Palestina di un Focolare nazionale ebraico pur nella «salvaguardia dei diritti civili e religiosi degli abitanti non ebraici della Palestina», ossia il 90% della popolazione in quel momento.

L'obiettivo della Gran Bretagna era quello di mantenere il possesso del Nord della Palestina, e fu centrato:

al termine della seconda guerra mondiale, nel 1945, le colonie francesi di Siria e Libano e quelle britanniche di Iran e Transgiordania ottennero l'indipendenza, ma l'Inghilterra conservò la Palestina.

Il sionismo che considerava gli ebrei degli esuli, organizzò nel dopoguerra il «rimpatrio» da tutti gli angoli della terra.

Agli inizi del 1900 vivevano in Palestina mezzo milione di arabi e cinquantamila ebrei, che salirono a trecentomila nel decennio 1930-40.

La persecuzione antisemita nella Germania nazista fece aumentare l'immigrazione al di sopra delle «quote» permesse dalla legge, preoccupando anche gli inglesi, che non volevano la supremazia di uno dei due popoli, ma ambivano ad una condivisione governativa.

I sionisti organizzarono atti di sabotaggio per ottenere che il Governo inglese non bloccasse le imbarcazioni cariche di profughi in fuga e mediante la raccolta di fondi in tutto il mondo ebraico acquistarono terre arabe da ricchi proprietari che vivevano a Beirut o a Parigi, che poco si interessavano alla sorte dei propri affittuari, i fellahin (contadini) palestinesi.

Gli ebrei poterono così arrivare con i titoli di proprietà, scacciare i palestinesi e instaurare colonie agricole (kibbutzim) difese militarmente.

La Gran Bretagna, preoccupata, pose il problema alle Nazioni Unite che il 17 novembre 1947 decretò la divisione della Palestina in due Stati, uno arabo e uno ebraico.

Gerusalemme avrebbe dovuto restare sotto l'autorità internazionale.

L'URSS appoggiò da subito la creazione dello Stato di Israele che vedeva preferibile alla permanenza inglese sul territorio.

Le organizzazioni armate sioniste occuparono le grandi città e cominciarono ad espellere in massa i palestinesi con la motivazione di un imminente attacco da parte degli eserciti arabi.

Nel maggio 1948 con il ritiro della truppe inglesi, Ben Gurion proclamò la nascita dello Stato di Israele.

Gli eserciti di Giordania, Egitto, Siria, Iran e Libano sferrarono un immediato attacco, mentre i Governi di questi Paesi esortarono i palestinesi a rifugiarsi all'estero.

Con l'armistizio del 1949 Israele vide i propri confini allargati (40% in più di territorio) e Gerusalemme venne divisa in due zone.

La vittoria avvenne anche grazie agli aiuti sovietici, ma subito dopo il conflitto Israele optò per un'alleanza con gli Stati Uniti.

Nel 1956 approfittando delle tensioni tra Egitto e Gran Bretagna per la nazionalizzazione del Canale di Suez, Israele occupò il Sinai, che dovette però abbandonare dopo qualche settimana.

Nel 1967 Israele entrò di nuovo in guerra con l'Egitto, la Siria e la Giordania, e alla fine del conflitto passato alla storia come «la Guerra dei Sei Giorni», estese i suoi confini sino al Canale di Suez e alle rive del Giordano e occupò l'intera città di Gerusalemme.

Nel 1973 venne attaccato da Egitto e Siria che volevano riconquistare le terre perse nel 1967.

Il conflitto, chiamato guerra del Kippur, si risolse con il Trattato di pace di Camp David del 1978, che stabiliva rapporti diplomatici con l'Egitto, mentre crebbero le tensioni con gli altri Paesi arabi, soprattutto per quanto riguardava la questione dei diritti dei Palestinesi.

Nel 1977 Menachem Begin fu eletto primo ministro.

Per la prima volta nella storia dello stato di Israele i laburisti erano rimasti fuori dal governo. Il trionfo di Begin rifletteva la tensione sociale tra gli ashkenaziti, ebrei di origine europea tradizionalmente laburisti, e gli ebrei, provenienti dai Paesi arabi e che formavano la base elettorale della destra.

Begin respinse qualsiasi tipo di negoziazione con l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).

A partire da quel momento, l'attenzione internazionale si spostò dal tema della sicurezza dei confini a quello della situazione dei palestinesi e l'OLP si conquistò nuovi alleati e simpatie crescenti.

Le varie incursioni israeliane contro le basi palestinesi in Libano culminarono nell'invasione del Libano meridionale (1982) e nell'annientamento delle formazioni guerrigliere palestinesi in quella regione.

Il massacro di centinaia di profughi palestinesi a Beirut ad opera di miliziani cristiani, protetti da Israele, diedero luogo a imponenti manifestazioni di protesta a Gerusalemme e nel 1983 il primo ministro Begin si dimise.

Nel 1984 venne formato un nuovo Governo di unità nazionale con il laburista Shimon Peres come primo ministro.

Il nuovo Governo ritirò, all'inizio del 1985, l'esercito che occupava da tre anni il Libano.

Ma la situazione rimase precaria a causa del permanere del terrorismo e, dopo un ennesimo attentato a Larnaka (Cipro) nel quale morirono tre turisti israeliani, Israele decise nell'ottobre il bombardamento del quartier generale dell'OLP a Tunisi.

Nel dicembre 1987 vi furono scontri tra giovani palestinesi e pattuglie militari israeliane nella Cisgiordania occupata, con vittime tra i primi.

I funerali si trasformarono in una delle tante manifestazioni di protesta e sfociarono in nuovi scontri, con altri morti, e scioperi dando il via all'Intifada (la rivolta delle pietre) che trasformò la politica del Medio Oriente.

L'immagine mostrata dalle televisioni di tutto il mondo di giovani palestinesi armati di fionde contro un potente esercito procurò a Israele il biasimo internazionale.

Ci si rese conto che, dalla sua fondazione, Israele aveva attirato solamente il 20% degli ebrei del mondo.

Gli aiuti nordamericani erano arrivati nel 1979 dopo Camp David a 40.000 milioni di dollari, oltre il 20% di tutti i fondi che gli Usa destinati agli aiuti esteri, mentre lo stesso Paese appariva come una società rigidamente militarizzata, in cui tutti gli uomini fino a 51 anni e le donne nubili fino a 24 erano riserve dell'esercito.

Sul piano demografico infine l'idea di stato ebraico si scontrò con il processo di espansione territoriale:

le annessioni avevano incluso due milioni di arabi nelle aree sotto controllo israeliano e a causa della crescita demografica la popolazione araba agli inizi degli anni Novanta era vicina a diventare la maggioranza.

Coinvolto contro la sua volontà nella seconda Guerra del Golfo, il Paese subì nel 1991 attacchi missilistici contro Tel Aviv e Haifa, ma, una volta sconfitto l'Iraq da una coalizione internazionale, fu possibile intavolare trattative di pace per una soluzione definitiva del problema palestinese.

La vittoria elettorale dei laburisti nel 1992 e la nomina di Itzhak Rabin a primo ministro aumentarono le speranze per una pace duratura.

Proseguirono intanto in sordina le trattative tra il ministro degli Esteri Shimon Peres e Arafat, leader storico della causa palestinese, per risolvere lo spinoso problema mediorientale.

Nel febbraio 1993, Israele bombardò alcuni campi profughi palestinesi nel Sud del Libano e provocò la morte di Abas Musawi, leader di Hezbollah, un gruppo integralista filo-iraniano.

Scoppiò una nuova escalation di violenze sulla frontiera settentrionale.

I soldati israeliani ricevettero ordine di sparare senza preavviso a qualunque palestinese che avesse un'arma.

I lunghi e segreti negoziati si conclusero negli anni 1993-95 con la firma di uno storico trattato di pace che prevedeva l'autonomia dei territori occupati dai palestinesi, in particolare delle zone di Gaza e Gerico, il cui Governo locale venne affidato all'Autorità nazionale palestinese guidata da Yasser Arafat. La nuova situazione favorì l'espansione economica:

il PIL crebbe del 7% e gli investimenti del 20% e nel 1994 la disoccupazione passò dall'11% al 7,6%.

Nello stesso anno il primo ministro Rabin incontrò re Hussein di Giordania con il quale sottoscrisse un accordo in merito ai confini tra i due Paesi.

Il 1995 fu segnato dalla crescente divisione all'interno della società israeliana riguardo al cosiddetto processo di pace con i palestinesi.

Le manifestazioni contro Rabin furono molte e sfociarono, a novembre, nell'assassinio del primo ministro da parte di un esponente di estrema destra israeliano.

All'elezione del suo successore Benjamin Netanyahu (1996), esponente del Likud, il processo di pace subì una battuta d'arresto.

Ehud Barak, un generale a riposo, sostituì Peres alla guida del Partito laburista, diventando il leader dell'opposizione.

Peres si dimostrò favorevole ad un accordo con il Likud per formare un Governo d'unità nazionale, che avrebbe permesso di rilanciare il processo di pace, arrestatosi completamente nei primi mesi del 1997.

Nel febbraio 1998 Israele strinse un'alleanza militare anti-siriana e anti-irachena con la Turchia.

Nello stesso mese il Libano rifiutò l'offerta di Netanyahu di negoziare il ritiro delle truppe israeliane dal territorio libanese, in considerazione del fatto che il suddetto ritiro doveva essere effettuato incondizionatamente.

Sempre nel 1998 a Wye Plantation, negli Stati Uniti, il presidente Bill Clinton e re Hussein di Giordania mediarono una accordo tra Netanyahu e Arafat, in base al quale si prevedeva il ritiro israeliano dal 13% della Cisgiordania e la cancellazione dalla carta dell'OLP dell'impegno a distruggere lo Stato di Israele.

Nei mesi successivi il Governo israeliano favorì l'insediamento di nuovi coloni israeliani nei territori palestinesi occupati.

Le elezioni politiche del 1999 furono il riflesso dello stallo del processo di pace, e videro la vittoria del laburista Ehud Barak, forte dell'appoggio di quelle classi - gli industriali e il ceto medio - che dalla mancanza di una situazione stabile di pace furono i più danneggiati.

Intanto proseguirono gli attacchi militari contro gli Hezbollah nel Sud del Libano con cospicue perdite umane.

Nel gennaio 2000 negli Stati Uniti si concluse senza un accordo il primo giro di negoziati tra il premier Barak e il ministro degli Esteri siriano Faruk al-Shara, ed un mese più tardi non ebbero esito positivo nemmeno i colloqui tra Barak e Y. Arafat per il definitivo accordo di pace.

Al centro dei contrasti la delicata questione della sovranità di Gerusalemme.

Israele, nel febbraio, lanciò una serie di attacchi aerei nella fascia di sicurezza del Libano meridionale, lasciando al buio la maggior parte delle grandi città libanesi.

Il 16 febbraio intanto il presidente tedesco Johannes Rau chiese pubblicamente scusa ad Israele per lo sterminio degli ebrei compiuto dai nazisti, così come fece a sua volta il papa un mese più tardi, a nome della Chiesa, al Muro del Pianto di Gerusalemme.

In maggio i guerriglieri Hezbollah lanciarono dal Libano decine di missili contro alcuni insediamenti israeliani, scatenando l'immediata reazione.

Nello stesso mese Barak annunciò il ritiro degli israeliani dal Libano meridionale.

A luglio dopo ben due crisi di Governo rientrate, il presidente della Repubblica Ezer Weizmann si dimise dopo l'accusa di finanziamenti illeciti.

Il 25 luglio si concluse con un nulla di fatto il vertice di Camp David nonostante l'attiva mediazione di Bill Clinton.

Poche settimane dopo venne eletto il nuovo presidente della Repubblica, Moshe Katzav, deputato della destra (Likud).

La visita provocatoria (in quanto tesa a ribadire la sovranità israeliana sull'area) del leader del Likud Ariel Sharon alla Spianata delle moschee (28 settembre) scatenò la protesta dei Palestinesi che si trasformò ben presto in scontro aperto con le forze dell'ordine israeliane.

Quel giorno segnò l'inizio della seconda Intifada e la rabbia palestinese esplose concentrando la delusione per i risultati inconsistenti ottenuti dopo anni di trattative con Israele.

Dopo gli scontri alla Spianata delle moschee, nei giorni successivi si registrarono violenti incidenti a Nablus, nei pressi della tomba di Giuseppe, dove gli elicotteri israeliani aprirono il fuoco sulla folla di Palestinesi.

Il 7 ottobre gli scontri si estesero al confine tra Israele e Libano, dove morirono due Palestinesi sotto i colpi dei soldati di Tel Aviv.

Per ritorsione i guerriglieri Hezbollah sequestrarono tre soldati israeliani chiedendo il rilascio dei prigionieri libanesi.

Nonostante l'intervento dell'ONU, dopo il linciaggio dei tre militari israeliani da parte della folla a Ramallah (Cisgiordania), Barak, minacciando di chiudere i negoziati di pace se i Palestinesi non avessero posto fine alle violenze, diede il via a un durissimo bombardamento durato due giorni contro obiettivi civili e strategici nei Territori.

In un momento storico caratterizzato da continui attacchi da entrambe le parti, nel febbraio 2001 venne eletto primo ministro Ariel Sharon, il quale, nel successivo mese di aprile, non esitò a bombardare insediamenti palestinesi a Gaza come contromossa nei confronti degli attacchi palestinesi a postazioni civili israeliane.

Nel mese di giugno un attentato costò la vita a una ventina di giovani in una discoteca di Tel Aviv, e anche questa volta Sharon si mobilitò nel fornire una controffensiva di carattere militare.

Alcune settimane dopo un timido, temporaneo, cessate il fuoco proclamato unilateralmente da Sharon (giugno), gli scontri tornarono a essere cruenti, con attentati, ripercussioni e sparatorie sia da parte palestinese che da parte israeliana.

Ad agosto nel bombardamento alla sede di Hamas perse la vita, oltre a 8 persone (di cui due bambini), Jamal Mansour, uno dei capi del movimento.

Sempre ad agosto si assistette a un riacutizzarsi degli attentati dei kamikaze, cui fecero seguito incursioni israeliane nelle zone autonome palestinesi che infransero di fatto ogni speranza per una ripresa della tregua annunciata in giugno.

Il 25 agosto, per la prima volta nella sua storia, il Fronte democratico per la liberazione della Palestina rivendicò un attentato commesso contro un commando israeliano a Marganit, a Sud della striscia di Gaza.

Due giorni più tardi, Abu Ali Mustafa, leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, fazione più violenta del movimento irredentista palestinese, venne ucciso nel suo ufficio di Ramallah.

Nonostante il clamore internazionale successivo agli attentati di New York e Washington e la forte spinta negativa da parte di Ariel Sharon, il 26 settembre Yasser Arafat e Shimon Peres si incontrarono a Gaza, dove decisero di impegnarsi per un cessate il fuoco e per la ripresa di negoziati di pace.

Tuttavia, la situazione era destinata a diventare ancora più esplosiva.

Il 17 ottobre Rechavam Zeevi, ex ministro del Turismo israeliano e capo del partito ultranazionalista Moledet, dimessosi il giorno prima dal Governo Sharon (da lui considerato troppo morbido nei confronti della questione palestinese) venne ucciso in un hotel di Gerusalemme.

L'attentato venne rivendicato dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina che volle così vendicare la morte del suo leader, Ali Mustafa, ucciso nell'attentato del 27 agosto.

L'omicidio scatenò una serie di manifestazioni culminate nelle incursioni israeliane in sei centri palestinesi, che fecero decine di vittime.

Agli inizi di dicembre la situazione precipitò dopo che una serie di attentati suicidi, messi a segno da membri di Hamas e della Jihad islamica, provocarono la morte di una trentina di persone.

Arafat fece immediatamente arrestare circa 150 esponenti dei due movimenti estremisti, al fine di scongiurare una forte reazione da parte israeliana:

l'esercito israeliano procedette comunque a una durissima offensiva contro le città di Gaza e Ramallah.

Vennero disposte inoltre alcune misure restrittive nei confronti di Arafat al quale venne impedito di recarsi a Betlemme in occasione delle celebrazioni natalizie.

La situazione precipitò sempre più, con molte vittime da entrambe le parti e con l'isolamento graduale di Arafat da parte degli esponenti più radicali del movimento, ma anche da parte del Governo israeliano, che lo accusò di immobilismo decisionale nei confronti degli estremisti.

Nel frattempo gli attentati suicidi si moltiplicarono e crebbero in cruenza.

Nel mese di marzo 2002 Israele decise di inviare nuovamente alcune truppe nei territori palestinesi nell'ambito di un'operazione denominata «Muraglia di difesa». Ramallah venne letteralmente assediata:

Arafat, che proprio a Ramallah aveva il suo quartier generale, si trovò quindi accerchiato, impossibilitato a lasciare la città e, in un secondo momento, a lasciare l'edificio nel quale si trovava.

Nel frattempo venne messo a punto un piano di pace dal principe ereditario saudita Abdullah, sottoscritto dalla maggior parte del mondo arabo, ma questo non impedì a Israele di continuare la sua offensiva che, nel mese di aprile, si allargò fino a comprendere le città di Betlemme, Tulkarem, Jenin, Qalqilya e Nablus.

A Betlemme e Jenin gli episodi più duri.

Nella città simbolo della Cristianità il 2 aprile iniziò un lungo assedio alla Basilica della Natività nella quale si erano asserragliati, insieme ai frati, 200 Palestinesi, miliziani e civili.

A Jenin, invece, una delle roccaforti della resistenza palestinese, l'esercito riuscì, dopo lunghi e cruenti combattimenti, a prendere la città che si arrese l'11 aprile e che venne abbandonata dalle truppe di Sharon il 19 dello stesso mese.

Il presidente statunitense Bush, su pressione internazionale e dopo ripetute richieste a Sharon di ritirarsi dai territori occupati (richieste alle quali il primo ministro israeliano aveva sempre risposto con un netto «no» motivato dalla necessità di effettuare un'operazione «mirata» e definitiva contro il terrorismo), decise di inviare il segretario di Stato Colin Powell per cercare di trovare una soluzione a una situazione apparentemente senza spiragli.

Dopo avere incontrato Sharon e Arafat, sempre rinchiuso nel suo quartier generale di Ramallah, Powell ripartì per Washington a mani vuote.

Il 20 aprile fu la volta Consiglio di sicurezza dell'ONU che decise all'unanimità di mandare una commissione incaricata delle indagini sul massacro di Jenin, ma Sharon si rifiutò di accettarne l'invio.

Intanto, il 15 aprile, Marwan Barghouti, uno dei leader dell'Intifada e possibile successore di Arafat a capo dell'Autorità palestinese, venne arrestato dall'esercito israeliano a Ramallah, mentre alla fine del mese Israele decise di accettare la proposta americana di allentare l'assedio al quartier generale di Arafat in cambio della consegna di 6 Palestinesi, quattro dei quali condannati per l'assassinio dell'ex ministro Zeevi.

A metà maggio, venne tolto l'assedio, durato 38 giorni, alla chiesa della Natività:

dei circa 150 palestinesi asserragliati 13, accusati da Israele di terrorismo, vennero trasferiti a Cipro;

da lì avrebbero poi dovuto essere accolti in Europa.

In seguito al moltiplicarsi degli attentati suicidi (tra tutti citiamo l'autobomba esplosa in un autobus il 5 giugno a Meggido, che provocò la morte di 17 persone e il ferimento di 37), il 16 giugno 2002 Israele diede il via ai lavori per la costruzione di un muro difensivo lungo tutta la "linea verde" che separa lo Stato ebraico dalla Cisgiordania (350 km circa), sperando così di fermare gli attentati suicidi palestinesi.

Il muro, eretto anche intorno a Gerusalemme, fu duramente criticato sia dall'estrema destra israeliana che dai Palestinesi.

Nel mese di luglio, l'esercito israeliano distrusse il quartier generale dell'ANP a Hebron, dopo un assedio durato cinque giorni.

Dopo mesi di fortissima tensione, durante i quali si susseguirono attentati palestinesi e rappresaglie israeliane, in ottobre il Governo Sharon entrò in crisi per le defezioni dei ministri laburisti contrari alle sovvenzioni previste dalla legge finanziaria per il 2003 di cui avrebbero beneficiato i coloni ebrei abitanti nei Territori occupati.

Il premier tentò invano un rimpasto, sciogliendo quindi il Parlamento (novembre) e indicendo elezioni anticipate.

Le consultazioni del gennaio 2003 sancirono la netta vittoria del Likud, mentre sia i laburisti che il partito ultraortodosso Shas incassarono una dura sconfitta.

Il nuovo Esecutivo, guidato ancora da Sharon, a maggio accettò le misure proposte nella "Road Map", il piano di pace messo a punto da Stati Uniti, Unione europea, Russia e ONU per la creazione, entro il 2005, di uno Stato palestinese.

Nel corso del 2004 il piano di Sharon di smantellare gran parte delle colonie ebraiche nella Striscia di Gaza, in vista del ritiro unilaterale di Israele da quel territorio, suscitò le vive proteste del Likud e degli altri partiti di destra.

Il primo ministro trovò tuttavia il sostegno dei laburisti, che in ottobre avrebbero contribuito all'approvazione del piano votando alla Knesset al fianco di Sharon.

Le tensioni con i Palestinesi tuttavia non accennarono a scemare e le notizie di attentati e ritorsioni divennero quasi quotidiane.

In particolare il Governo Sharon si distinse per attacchi mirati nei confronti di esponenti di spicco di Hamas, che portarono all'uccisione dello sceicco Ahmed Yassin (marzo 2004) e del suo sostituto Abdel Aziz Rantisi (aprile 2004).

In seguito alla morte di Yasser Arafat (novembre 2004) e all'elezione a presidente dell'ANP di Abu Mazen (gennaio 2005), Israele e Palestina riaprirono il dialogo, firmando una tregua a Sharm el Sheikh.

Abu Mazen, da parte sua, si impegnò a contrastare gli estremisti e a fermare gli attacchi suicidi, mentre Sharon (da gennaio a capo di un nuovo Esecutivo di unità nazionale con la partecipazione dei laburisti) a metà marzo procedette a riportare Gerico e Tulkarem, in Cisgiordania, sotto il controllo dell'ANP.

Nei mesi seguenti, tuttavia, il dialogo entrò nuovamente in crisi:

Sharon dovette affrontare le proteste degli abitanti delle colonie ebraiche e dei partiti di destra, contrari al suo piano di smobilitazione nei Territori;

Abu Mazen fu contestato dai movimenti radicali palestinesi (in particolare Hamas e Jihad islamica) che proseguirono negli attacchi contro Israele.

Le proteste contro lo sgombero degli 8.000 coloni ebrei dalla Striscia di Gaza, iniziato ad aprile e terminato a settembre, aprì un forte dissidio tra Likud e Sharon, il quale decise di lasciare il partito conservatore per fondarne uno nuovo, denominato Kadima (Avanti), a cui aderirono sia esponenti provenienti dal Likud, sia esponenti laburisti (tra cui Shimon Peres).

Nel gennaio 2006, in seguito alla grave malattia che colpì Sharon, la guida del Paese fu assunta da Ehud Olmert, ex sindaco di Gerusalemme ed ex ministro delle Finanze dal 2003 al 2005, che sarebbe stato confermato primo ministro nelle elezioni di marzo, nelle quali prevalse il suo partito, Kadima.

Il neo premier dovette fronteggiare una situazione incandescente innescata dalla vittoria, nelle elezioni palestinesi di gennaio, di Hamas, che aveva conquistato 76 seggi su 132.

Contrario a un dialogo con il movimento estremista che inneggiava alla cancellazione di Israele, il Governo Olmert avviò contatti con il presidente palestinese Abu Mazen al fine di riaprire i negoziati di pace, ma nello stesso tempo riprese le incursioni e i raid mirati che causarono la morte di alcuni esponenti di Hamas, Jihad e Fatah, ma anche di numerosi civili.

In un clima di guerra civile, a causa delle tensioni tra Hamas e Fatah, e di minaccia di guerra aperta tra Israele e ANP, uno spiraglio si aprì in giugno, quando il presidente palestinese Abu Mazen presentò un documento di riconciliazione nazionale, detto "Documento dei prigionieri" perché elaborato da esponenti di Hamas, Fatah, Fronte popolare per la liberazione della Palestina e Jihad islamica detenuti in carcere, che chiedeva la creazione di un Governo di unità nazionale in vista della nascita di uno Stato palestinese nei confini preesistenti alla guerra del 1967, con il conseguente riconoscimento di Israele.

Approvato da Fatah, il documento fu in sostanza respinto da Hamas e verrà sottoposto a referendum in luglio. A fine giugno le tensioni tra Israeliani e Palestinesi si acuirono:

in risposta alle uccisioni mirate israeliane, i miliziani delle Brigate al Qassam, il braccio armato di Hamas, lanciarono missili sulla cittadina di Sderot, nel Sud di Israele, e condussero un raid in territorio israeliano assassinando due soldati e rapendone un terzo, per la liberazione del quale chiesero il rilascio di tutte le donne e i minorenni palestinesi reclusi in carceri israeliane.

Israele si rifiutò di trattare e mise in atto un'offensiva con raid aerei nella Striscia di Gaza e arresti in Cisgiordania di ministri di Hamas e di decine di parlamentari del movimento estremista.

Dopo la notizia della morte del soldato rapito, l'esercito israeliano procedette a nuovi arresti compiendo inoltre incursioni nella Striscia di Gaza.

IL MURO DEL PIANTO

Il Muro del Pianto è l'unico vero luogo santo dell'ebraismo, oggetto di particolare devozione da parte degli ebrei di tutto il mondo. È uno dei quattro muri di sostegno del terrapieno su cui sorgeva il tempio di Gerusalemme. La sua costruzione viene fatta risalire a Erode il Grande, cioè all'epoca romana; qualche studioso, tuttavia, la ritiene assai più antica e ne attribuisce l'edificazione addirittura a re Salomone. Il Muro del Pianto, che gli ebrei chiamano kotel kamàaravi, è alto 18 m, lungo 45 ed è costituito da 24 strati sovrapposti, di cui i primi nove formati da massi di pietra squadrati lunghi da 4 a 5 m; molti di essi mostrano i danni provocati dal tempo e dalle intemperie. L'origine del nome è dovuta al fatto che gli ebrei vi si recavano a piangere la distruzione del Tempio operata dalle legioni romane dell'imperatore Tito che, nel 70 d.C. sottomisero gli ebrei. Con la proclamazione dello Stato d'Israele nel 1948, la città di Gerusalemme rimase divisa in due parti: il settore orientale in mano alla Giordania (Città Vecchia), mentre il settore occidentale fu affidato agli israeliani. Poiché il Muro si trovava nella città vecchia, gli ebrei ne furono allontanati. In seguito, la Conferenza armistiziale del 1949 stabilì il libero accesso al muro ma tale clausola non fu mai messa in pratica. Nel 1967, infine, con la riunificazione della città, dopo la Guerra dei Sei Giorni contro i Paesi arabi confinanti, il Muro del Pianto tornò all'antico ruolo come principale luogo di culto ebraico. Il Muro è stato ampiamente studiato dagli archeologi sin dalla metà dell'800: dapprima E. Robinson, nel 1838, poi Barclay nel 1850, C. Wilson nel 1865 e infine C. Warren.

LE CITTÀ

Gerusalemme

(704.900 ab.). Capitale dello Stato di Israele e capoluogo del distretto omonimo (557 kmq; 829.800 ab., compresa la popolazione di Gerusalemme Est) è una delle più celebri città del mondo. Essa infatti non è solo la città santa per gli ebrei e i cristiani ma lo è anche per i musulmani. Conserva ancora il Muro del Pianto, dove gli ebrei si recano a pregare. Mentre luoghi sacri per la religione cristiana, sono il Calvario, su cui si compì secondo la tradizione la Via Crucis di Gesù e la chiesa del Santo Sepolcro. Monumenti pure cristiani sono la basilica dei Getsemani, la tomba della Vergine, il Cenacolo. La moschea di Omar è d'altro canto una delle più venerate del mondo islamico. Gerusalemme è considerata centro religioso anche per i cristiani di rito armeno. La città è divisa in due zone: quella orientale, in via di ammodernamento, con i vecchi quartieri arabi; e quella occidentale, che comprende gli edifici costruiti all'europea. Infine Gerusalemme è sede di una importante università.

Gerusalemme: la moschea di Omar

Gerusalemme: La Moschea di Omar

La cupola della Roccia a Gerusalemme

Tel Aviv-Giaffa

(371.000 ab.). Città dello Stato di Israele, capoluogo del distretto di Tel Aviv (170 kmq; 1.177.300 ab.), risulta composta dalle due città di Tel Aviv e di Giaffa. Modernamente costruita, con grandi palazzi e ampi viali, Tel Aviv rappresenta il massimo centro culturale, commerciale ed industriale del Paese. È inoltre un buon porto sul Mar Mediterraneo. Fra le costruzioni più recenti di particolare valore architettonico è da ricordare l'Auditorium Mann.

Il centro di Tel Aviv

Il centro di Tel Aviv

Haifa

(269.300 ab.). Città dello Stato di Israele, capoluogo del distretto omonimo (854 kmq; 852.600 ab.). Dispone di un ottimo porto naturale, formato da un braccio del Monte Carmelo, ai piedi del quale è situata. Al porto di Haifa fa capo circa l'80% dell'attività marittima di Israele. Nella città si distinguono tre settori: quello più elevato, costruito, sulla sommità del Monte Carmelo, adibito esclusivamente a centro residenziale; quello alle pendici, in cui ai quartieri residenziali sono inframmezzate le costruzioni commerciali, e quello inferiore, presso il porto, che accoglie i quartieri commerciali e amministrativi. Sulle sponde della baia, a Nord-Est della città, si trova il modernissimo complesso industriale, con le grandissime raffinerie di petrolio, tra le maggiori di tutto il Medio Oriente. Il minareto della porta «Al Silsilah» a Gerusalemme è una delle numerose testimonianze della civiltà islamica nella Città Santa.

PICCOLO LESSICO

Askenaziti

Ebrei tedeschi o dell'Europa orientale, dal nome della Germania nei testi rabbinici medioevali (Ashkenaz).

Diaspora

(dal greco diaspora: disseminazione). In genere indica la dispersione di popoli costretti ad abbandonare le sedi di origine; in particolare si riferisce alla dispersione degli ebrei nel mondo antico, dall'esilio di Babilonia in poi. La diaspora giudaica cominciò con la deportazione in Assiria dopo la distruzione di Samaria nel 722 a.C., continuò con le deportazioni in Babilonia del 597-586 a.C, dove si stabilì un'importante colonia ebraica sotto la guida civile di un esiliarca, il Resh Galuta, e crebbe dopo il 135 d.C., anno della distruzione definitia di Gerusalemme. Colonie ebraiche si stabilirono quindi in Egitto, specie ad Alessandria, poi nell'Impero Romano e nel Regno dei Parti.

Kibbutz o Kibbuz

Termine ebraico («raccolta, adunanza») che indica un esperimento di vita collettiva a carattere militare ed agricolo, molto diffuso nello Stato di Israele. I kibbutz sono basati sull'assoluta eguaglianza tra i vari membri mediante l'esclusione dei lavoratori stipendiati e la rotazione delle mansioni. Le famiglie vivono in comunità poiché la proprietà privata è abolita ed i bambini vengono allevati in comune.

Knesset

Assemblea nazionale che esercita il potere legislativo. È costituita da 120 membri eletti per quattro anni a suffragio universale diretto e col sistema proporzionale. L'Assemblea elegge il presidente della Repubblica, in carica per cinque anni.

Pogrom

Vocabolo russo (propriamente: devastazione) usato per indicare le manifestazioni popolari antisemite e soprattutto le violente esplosione di collera collettiva contro gli ebrei. Queste manifestazioni hanno acquistato un particolare rilievo nella seconda metà dell'Ottocento e all'inizio del Novecento, soprattutto in Russia e nell'Est europeo. Nella seconda metà del secolo scorso, infatti, la diffusione delle idee razziste alimentò le forze antisemite che cominciarono a diffondersi in molti Paesi europei, soprattutto là dove le comunità ebree erano particolarmente numerose. Vennero promulgate leggi antiebraiche e si ebbe lo scoppio di sanguinosi pogrom soprattutto in Polonia e in Russia.

Sionismo

(da Sion, nome ebraico di Gerusalemme). È il movimento politico che ha ottenuto la ricostruzione di uno Stato nazionale ebraico in Palestina. Promotore del sionismo fu il giornalista Theodor Herlz che nel 1897, al I Congresso mondiale di Basilea, formulò il programma di un Movimento di liberazione nazionale che avrebbe condotto gli ebrei della diaspora all'unificazione nella «terra promessa» nominata nella Bibbia. I sionisti si proponevano, in quel momento, di ottenere dal Governo turco (all'epoca la Palestina era un provincia dell'Impero Ottomano) particolari agevolazioni. Sul piano concreto, inoltre, venne costituito un istituto bancario, il Jewish Colonial Trust, con sede a Londra, e fu creato il Fronte nazionale ebraico. Allo scadere del mandato britannico (1948), i sionisti proclamarono a Tel Aviv la nascita del nuovo Stato ebraico che difesero con le armi. L'azione del movimento sionista mondiale trasse nuove spinte dalla situazione di conflitto cronico venutosi a creare tra Israele e i vicini Paesi arabi; il XXIII Congresso, riunitosi a Gerusalemme nel 1951, riaffermava i principi del sionismo più intransigente contro gli assertori di uno Stato palestinese bi-nazionale arabo-ebraico.

PERSONAGGI CELEBRI

Ariel Sharon

Ufficiale e uomo politico israeliano (Kefer Malal 1928). Nato in Palestina da genitori di origine russa, entrò giovanissimo nell'Haganà, il nucleo del futuro esercito israeliano, dove fu protagonista di una carriera folgorante che lo portò nel 1964 alla nomina di comandante del Comando Nord. Dotato di notevole intelligenza tattica, partecipò alla Guerra dei Sei giorni (1967) e nella guerra contro l'Egitto (1969-70), mentre nel 1971 fu impegnato a combattere il terrorismo palestinese nella Striscia di Gaza. Tuttavia, a causa dei suoi metodi eccessivamente violenti, fu rimosso dall'incarico dal Tribunale militare. Dopo aver combattuto nella guerra del Kippur (1973), nel dicembre 1973 fu eletto per la prima volta al Parlamento nelle file del Likud. Capo dei servizi di sicurezza del premier Yitzhak Rabin (1975-76), nel 1976 fondò il movimento Shlomzion, che entrò nel Likud dopo la sconfitta nelle elezioni (1977). Ministro dell'Agricoltura e presidente della Commissione interministeriale per gli insediamenti israeliani nei Territori del Governo Begin (1977), avviò la sua ascesa politica facendosi promotore di un programma di insediamento dei coloni in Cisgiordania. Ministro della Difesa (1981),nel 1982 decise l'invasione del Libano al fine di estirpare l'OLP da Beirut. Tuttavia, in seguito allo scandalo causato dalle stragi nei campi profughi di Sabra e Chatila, dovette dimettersi (1983). Ministro dell'Industria (1985-90) e quindi dell'Edilizia e delle Abitazioni (1990-92), favorì la colonizzazione dei Territori occupati. Con il ritorno del Likud al Governo, Sharon fu nominato ministro degli Esteri (1998) nell'Esecutivo guidato da Netanyahu. In seguito alla vittoria elettorale di Barak (1999) assunse la leadership del Likud. Nel 2000 la sua visita provocatoria alla Spianata delle Moschee diede avvio alla seconda Intifada che creò un senso di grande insicurezza negli Israeliani che nelle consultazioni del febbraio 2001 premiarono Sharon, favorevole a una linea di dura repressione contro i Palestinesi. Contrario al dialogo con Yasser Arafat, considerato spalleggiatore del terrorismo, per contrastare gli attacchi suicidi palestinesi fece largo uso della rappresaglia e delle uccisioni mirate. Il pugno duro di Sharon riscosse consensi anche alle elezioni anticipate del gennaio 2003, che sancirono il trionfo della linea politica scelta dal premier. In seguito alla nomina di Abu Mazen a primo ministro palestinese (marzo 2003), Sharon si dichiarò disponibile al dialogo con i Palestinesi, accogliendo positivamente la Road Map, il piano di pace proposto da USA, Russia, Unione Europea e ONU che prevedeva la nascita di uno Stato palestinese entro il 2005. Nel 2005, in disaccordo con gran parte del Likud, attuò il piano di sgombero dei coloni israeliani dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania. Isolato all'interno del suo partito, a novembre fondò Kadima (Avanti), una formazione politica moderata in cui confluirono esponenti fuoriusciti dal Likud ed esponenti laburisti. Ricoverato in ospedale nel dicembre 2005 a causa di un ictus, nel gennaio 2006 fu colpito da una grave emorragia cerebrale in seguito alla quale non riuscì più a riprendersi.

Ritratto del leader israeliano Ariel Sharon

Ehud Barak

Uomo politico israeliano (n. Mishmar Hasharon 1942). Dopo la laurea in fisica e matematica all'università di Gerusalemme, si specializzò a Stanford (USA) e poi entrò nell'esercito; partecipò come ufficiale alla guerra dei Sei giorni e a quella del Kippur. Divenne famoso come comandante delle unità speciali (liberazione degli ostaggi all'aeroporto d'Entebbe); dopo trentacinque anni di carriera ne prese la guida dal 1991 al 1994 come capo di stato maggiore. Entrato nel partito laburista nel 1995, l'anno dopo è stato eletto deputato. Ministro degli Interni nel governo Rabin (1995), non firmò gli accordi di Oslo considerati troppo favorevoli ai palestinesi; fu ministro degli Esteri nel governo Peres (1996). Nel giugno 1997 divenne capo del partito e nel 1999 ha vinto le elezioni ed è divenuto primo ministro. Nel novembre 2000 si dimise dopo la riesplosione dell'intifada palestinese e dopo la sconfitta alle elezioni a opera di Sharon (febbraio 2001) si ritirò dalla vita politica.

Ehud Barak

Ehud Barak

Yitzhak Shamir

Uomo politico israeliano (n. Bialystok, Polonia 1915). Nato in Polonia, aderì ancora ventenne alla «Gioventù polacca sionistica». Iscrittosi alla facoltà di legge a Varsavia, interruppe gli studi nel 1935 per trasferirsi in Palestina. Qui frequentò l'Università di Gerusalemme, a nel 1937 entrò a far parte dell'Irgun, l'organizzazione militare-nazionalista ebraica. Politicamente molto attivo, venne arrestato due volte dalle autorità mandatarie britanniche. Fuggito in Eritrea nel 1946, riparò successivamente a Gibuti, dove chiese asilo politico al Governo francese. Nel 1948, con la fondazione dello Stato di Israele, tornò in patria. Dopo un lungo periodo di assenza dalla scena politica, nel 1970 entrò nell'Herut (gruppo politico di destra aderente alla formazione del Likud). Riconfermato più volte deputato, nell'agosto del 1981 venne nominato ministro degli Esteri nel Governo di coalizione formato da M. Begin. Due volte ministro degli Esteri (1979-83; 1984-86) e primo ministro (1983-94; 1986-92), Shamir si oppose a qualunque negoziato in merito ai territori conquistati da Israele nel 1967, rifiutando gli accordi di Camp David (1979) e ogni mediazione con l'OLP. Il Governo Shamir, subentrato a quello di S. Peres in conformità agli accordi di alternanza tra il Likud (movimento conservatore) e i laburisti, dovette affrontare dal 1987 l'Intifada, la rivolta palestinese nei confronti della quale mostrò sempre una rigida intransigenza. Shamir partecipò inoltre, con il consueto atteggiamento di chiusura, alla Conferenza di pace di Madrid del 1991; nel 1993, in relazione alla sconfitta elettorale del suo partito, si ritirò dal Governo.

Yitzhak Shamir

Yitzhak Shamir

Shimon Peres

Uomo politico israeliano (n. Wotozyn, Polonia 1923). Arrivato in Palestina nel 1934, trascorse diversi anni in kibbutz, dove aderì al movimento giovanile laburista Hanoar Haoved, di cui fu eletto segretario nel 1943. Entrato nell'entourage di David Ben Gurion, nel 1947 fu arruolato nell'Haganà, il nucleo delle future forze di difesa israeliane con il ruolo di responsabile per il personale e l'acquisto delle armi. Nominato capo della Marina israeliana durante la guerra di indipendenza del nuovo Stato (1948), diventò quindi direttore della delegazione del ministero della Difesa negli Stati Uniti, Paese dove ebbe modo di studiare alla New York School for Social Research e ad Harvard. Designato direttore generale del ministero della Difesa (1953), in tale veste ottenne diversi successi militari e promosse lo sviluppo dell'industria militare israeliana, soprattutto nell'aeronautica. Nel 1959 entrò per la prima volta alla Knesset eletto per il partito Mapai. Impegnato al ministero della Difesa dal 1959 al 1965, nel 1965 lasciò il Mapai e fondò il partito Rafi. Dalla fusione tra le due formazioni politiche nel 1968 nacque il Partito laburista. Ministro de4ll'Assorbimento (1969), ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni (1970), nel 1974 si candidò a premier, ma venne battuto dal compagno di partito Yitzhak Rabin, nel cui Governo Peres entrò in qualità di ministro della Difesa, impegnandosi inoltre in una proficua attività diplomatica. Primo ministro per una breve parentesi nel 1977, quando Rabin fu costretto alle dimissioni per uno scandalo che coinvolse la moglie, nel corso dello stesso anno assunse la leadership del partito, che tuttavia nelle elezioni perse il potere per la prima volta dalla nascita dello Stato di Israele. Nominato vice presidente dell'Internazionale socialista (1978), nel 1981 subì una seconda sconfitta elettorale, mentre nel 1984 fu designato primo ministro di un Governo di larghe intese che comprendeva, oltre ai laburisti, il Likud di Yitzhak Shamir a cui lasciò la guida del Paese nel 1986. Ministro degli Esteri (1986) e quindi delle Finanze (1988), nel 1990 lasciò la coalizione di Governo, capeggiando l'opposizione nella Knesset. Uscito sconfitto dalle prime elezioni primarie del indette dai laburisti (1992), battuto ancora una volta da Rabin, nel Governo che formò il suo compagno di partito ricoprì l'incarico di ministro degli Esteri. Premio Nobel per la pace, insieme a Yasser Arafat, nel 1995, dopo l'assassinio di Rabin, gli subentrò a capo del Governo. Nelle elezioni del 1996, le prime dirette, fu sconfitto da Benjamin Netanyahu, svolgendo comunque un prezioso ruolo diplomatico non ufficiale grazie al prestigio acquistato nell'opinione pubblica internazionale. Ministro dello Sviluppo regionale nel Governo Barak (1999-2001), nel 2001 guidò il Partito laburista nel Governo di unità nazionale capeggiato da Ariel Sharon, nel quale fu ministro degli Esteri (2001). In crisi all'interno del suo stesso partito e oggetto di critiche da parte della destra per l'incapacità di fare passi in avanti nel processo di pace, nel 2003 uscì dall'Esecutivo insieme agli altri ministri laburisti, tornando a formare una coalizione governativa con Sharon nel gennaio 2005. Alla fine del 2005 fondò con Sharon il partito Kadima, che risultò vincente nelle elezioni del marzo 2006.

Shimon Peres

Shimon Peres

Yitzhak Rabin

Uomo politico israeliano (Gerusalemme 1922 - Tel Aviv 1995). Partecipò alla guerra dei Sei giorni (1967) come capo di stato maggiore. Deputato laburista dal 1973, fu primo ministro dal 1974 al 1977. Nel governo di unità nazionale fu eletto ministro della Difesa (1984). Dal 1992 assunse nuovamente la carica di primo ministro e contribuì attivamente al processo di pacificazione con l'OLP, con cui firmò gli accordi del 1993 e del 1994. Per il suo impegno ottenne nel 1994 il Nobel per la pace. Fu ucciso il 4 novembre 1995, durante un comizio elettorale, da un estremista della destra israeliana.

Yitzhak Rabin

Yitzhak Rabin

ALTRI CENTRI

Be'er Sheva

(184.800 ab.). Città dello Stato d'Israele, capoluogo del distretto Meridionale (14.107 kmq; 985.200 ab.). Fondata nel 1950 nel cuore del deserto del Negev, funse da base per la valorizzazione dei terreni circostanti.

Elat

(24.700 ab.). Città dello Stato d'Israele, è situata in prossimità del deserto del Negev, sulle coste del Mar Rosso, in fondo al golfo di Aqaba. Dispone di un porto di recente costruzione, che monopolizza praticamente tutto il traffico israeliano nel Mar Rosso. La città riceve inoltre due oleodotti. Il centro urbano è stato costruito con criteri modernissimi.

Nazareth o Nazaret

(50.600 ab.). Città dello Stato d'Israele, capoluogo del distretto del Nord (3.325 kmq; 914.000 ab.), sul pendio di un colle tra i 350 e i 480 m sul livello del mare. Fondata nell'Età del Bronzo, menzionata nei Vangeli quale residenza di Gesù prima della predicazione, fu centro propulsore del cristianesimo. Conquistata dai musulmani (636), poi dai crociati (1099), tornò agli arabi (Saladino 1187). Rasi al suolo gli edifici religiosi cristiani dal sultano Baybars I (1263), la città decadde fino all'arrivo di missionari francesi nel 1620. Conserva la chiesa dell'Annunciazione del XVIII secolo.

La basilica dell'Annunciazione a Nazaret

Basilica dell'Annunciazione a Nazaret

TERRITORI AMMINISTRATI DALL'ANP (AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE)

Cisgiordania

(5.878 kmq; 1.881.000 ab.). Parte della Giordania a Ovest del fiume Giordano e Gerusalemme Est. Nel 1988, in seguito alla proclamazione dello Stato palestinese, la Giordania rinunciò a ogni diritto sulla regione. La popolazione è formata da Palestinesi, ma sono presenti circa 240.000 coloni ebrei. Dal 2002 è in costruzione un muro di sicurezza di 350 km che segue la linea di confine del 1967. Le città principali sono Gerusalemme, Gerico, Nablus, Betlemme.

Gaza

(superficie 378 kmq, 1.363.000 ab.). Striscia costiera che si estende dal confine egiziano verso Nord fino oltre la città di Gaza. La popolazione è costituita da Palestinesi. Occupata dalle truppe dell'Intesa (1917), nella partizione della Palestina fu assegnata, dall'ONU, allo Stato arabo (1947). Scoppiata la guerra arabo-israeliana fu occupata dall'Egitto (1948), e qui si rifugiarono i profughi palestinesi. Nel giugno 1967 venne occupata dalle forze di Tel Aviv che favorirono l'insediamento di migliaia di coloni israeliani. Da quell'anno in poi il territorio fu sede di aspre tensioni. Nel 1988 fu dichiarata parte dello Stato indipendente di Palestina, proclamato dall'OLP di Yasser Arafat. Nel 1991 furono avviate le trattative arabo-israeliane e nel 1993 l'OLP e Israele riconobbero l'autonomia reciproca con un accordo sottoscritto a Washington da Yasser Arafat e Yitzhak Rabin. Nel 1994 Israele trasferì il controllo di Gaza all'Autorità palestinese e venne ripristinata la legislazione vigente prima dell'occupazione israeliana. Nel 2005 il Governo israeliano attuò lo sgombero totale dei coloni ebrei presenti nella Striscia di Gaza.

TERRITORI OCCUPATI DA ISRAELE

Alture del Golan

(1.176 kmq; 36.300 ab.). Altopiano della Siria sud-occidentale, a Est del Giordano e del Lago di Tiberiade. Durante la guerra dei Sei giorni (1967) fu occupato dagli israeliani che, nel 1981, ne hanno dichiarato l'annessione, nonostante il non riconoscimento da parte delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e della Siria. Centro principale è Al Qunaytirah.

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