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Geografia Italia - Indice

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GEOGRAFIA - ITALIA - PIEMONTE

IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE

LE CITTÀ

TORINO

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PRESENTAZIONE

Posta ad Occidente della Pianura Padana, la regione piemontese occupa quella parte dell'arco alpino, che va dal Colle di Cadibona al Passo di San Giacomo, e la prima parte dell'Appennino Ligure fino al Monte Antola. La sua superficie è di 25.399 kmq. Il Piemonte confina a Nord-Ovest con la Valle d'Aosta, a Nord con la Svizzera, a est con la Lombardia, e con l'Emilia, a Sud con la Liguria e a Ovest con la Francia. Il suo territorio piuttosto vario ospita una popolazione di 4.231.334 abitanti (densità: 169 abitanti per kmq). Le province, oltre a Torino, che è il capoluogo, sono sette: Alessandria, Novara, Asti, Cuneo, Biella, Verbania e Vercelli. È una delle regioni più periferiche rispetto all'asse centrale della Penisola ed è la più occidentale; questa sua posizione l'ha resa aperta alle influenze culturali d'Oltralpe, specialmente francesi. Per lunghi secoli politicamente separato dall'Italia, il Piemonte è stato inizialmente unito alla regione francofona della Savoia, sotto il governo dell'omonima dinastia sabauda fondata a Chambéry da Umberto Biancamano. Circondato su tre lati dai monti, ha preso l'appellativo di Pedemontium (ai piedi dei monti), da cui deriva l'attuale nome di Piemonte.

Cartina del Piemonte

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IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE

Dall'antichità all'anno Mille

Prerogativa peculiare del Piemonte, densa di riflessi in campo artistico, è di essere terra di confine tra due mondi: quello mediterraneo a Sud e quello dell'Europa continentale a Nord; confine tuttavia assai permeabile poiché da sempre attraversato, nelle due direzioni di marcia, da eserciti, mercanti, pellegrini che, muovendosi lungo la Via Francigena (già strada consolare romana, oggetto di accurata manutenzione fino al tardo Impero), valicavano i suoi passi valsusini (Moncenisio e Monginevro) e valdostani (Grande e Piccolo San Bernardo) e anche il Sempione all'estremo della Val d'òssola, come attestano i più antichi materiali di produzione romana emersi dalla necropoli di Ornavasso (I-II secolo a.C., ora al Museo del Paesaggio di Verbania). L'intera romanizzazione della regione si era completata sotto Augusto e fu suggellata dagli archi a lui dedicati a Susa (c. 8 a.C.) e ad Aosta (25 a.C.). A questo imperatore si deve la creazione di tre capisaldi dell'organizzazione del territorio: Augusta Taurinorum (Torino), Augusta Bagiennorum (Bene Vagienna), e Augusta Praetoria (Aosta). Anche l'epoca tardo-antica lasciò segni tangibili, come attestano le trasformazioni alla cinta muraria di Susa e la costruzione della porta Savoia poi addossata alla Cattedrale (III sec. d.C.) o il sarcofago di Elio Sabino (Testona, Museo Civico), legato alla cultura di derivazione greco-ellenistica, forse giunto a Testona dalla zona di Aquileia-Grado. La diffusione del Cristianesimo ricalcò la situazione consolidata nei secoli dell'Impero romano; gran parte delle chiese furono fondate su precedenti nuclei romani, come accadde alla primitiva sede vescovile di Aosta (V sec.), trasformatasi poi nella cattedrale romanica, edificata appunto su un preesistente edificio romano. Eccezionale esempio superstite di quest'età è l'ottagonale battistero di Novara (V-VI secolo, modificato tra X e XI, epoca a cui appartengono gli affreschi del tiburio) da cui discendono quelli di Settimo Vittone e di San Ponso Canavese. Anche i Longobardi posero particolare attenzione alla conquista di posizioni strategiche di confine individuate nelle "chiuse" della Val di Susa e in quella di Belmonte, unico abitato barbarico del Piemonte (VI-VII secolo), mentre sedi ducali longobarde erano a Torino, Ivrea, Asti. Importanti reperti longobardi provenienti dalla necropoli di Testona (VI-VII secolo) e dalla tomba di Borgo d'Ale (VII sec.) sono ora conservati al Museo di Antichità di Torino, mentre al Museo Civico d'Arte antica è il tesoro di Desana (Vercelli) che comprende splendidi gioielli ostrogoti (V-VI secolo).

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Il Romanico e le suggestioni transalpine

L'intensa attività edificatoria che prese l'avvio dopo l'anno Mille lasciò in Piemonte molteplici esempi di alto livello. Lo testimonia in particolare la città di Aosta, che sotto il vescovato di Anselmo vide riedificata la Cattedrale e fondata la chiesa dei Ss. Pietro e Orso; il chiostro di quest'ultima, unico esempio superstite a capitelli istoriati di tutta l'Italia settentrionale, è di poco più tardo poiché legato al vescovo Erberto e datato 1132. Entrambe le chiese furono interamente affrescate (come attesta quanto sopravvive ancora nei rispettivi sottotetti) entro la prima metà dell'XI secolo. Negli stessi anni il vescovo di Ivrea Warmondo faceva ricostruire la propria cattedrale (ma non rimane oggi che la zona absidale) e fondava quel famoso "sciptorium" che produsse, tra gli altri codici, il celebre Sacramentario di Warmondo. Al suo grande avversario Arduino e al famoso architetto e monaco Guglielmo da Volpiano (961-1031), è legata l'abbazia di Fruttuaria a San Benigno Canavese. Anche Arduino ebbe un acerrimo nemico: il vescovo di Vercelli, Leone (999-1026), che nell'anno Mille ottenne dall'imperatore Ottone III i beni del marchese d'Ivrea; a lui si deve la costruzione dell'antico Duomo vercellese, raso al suolo fra XVI e XVIII secolo, ricco di meravigliosi arredi tra cui il monumentale Crocifisso d'arco trionfale in lamina d'argento (1000-1020) ora splendidamente restaurato. In area novarese è ancora possibile vedere straordinarie testimonianze di questa stagione negli affreschi della chiesa di S. Tommaso a Briga Novarese e in S. Michele a Oleggio; ma il più affascinante monumento di scultura romanica di tutta la provincia si trova nella basilica di S. Giulio, sull'omonima isola del Lago d'Orta; si tratta del pulpito in marmo nero (1110-20), opera di uno scultore lombardo. La geografia favorì, anche in questa età, la nascita di fondazioni in luoghi strategici; due grandi esempi sono l'abbazia di Novalesa e quella di S. Michele della Chiusa, punti di osmosi tra la cultura oltralpina e quella lombarda. La prima conserva, nella Cappella di S. Eldrado, un famoso ciclo di affreschi databile alla fine dell'XI secolo, mentre la celebre Sacra di S. Michele, fondata tra il 983 e il 987, ha il proprio gioiello nel portale del grande Nicolò, la cui formazione crebbe sull'altissima tradizione inaugurata da Wiligelmo nella cattedrale di Modena. Il passaggio dal Romanico al Gotico venne giocato in Piemonte con soluzioni di compromesso tra le forme della tenace tradizione lombarda e le nuove suggestioni oltremontane. Di grande rilievo per la penetrazione del nuovo linguaggio, fu la costruzione di molteplici abbazie cistercensi che sorsero a partire dalla metà del XII secolo; tra le più importanti quelle di Staffarda (Saluzzo), interamente in cotto, Lucedio (Vercelli), Rivalta Scrivia (Novara) e la canonica di S. Maria di Vezzolano, gioiello del Medioevo piemontese. Ma il vero monumento del primo Gotico piemontese è costituito da S. Andrea di Vercelli, voluto dal cardinale Guala Bicheri nel 1219.

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La lunga parabola gotica e il Quattrocento

Lo sviluppo dell'architettura gotica in Piemonte a partire dal XIII secolo si deve alla spinta dei grandi ordini mendicanti (soprattutto francescani e domenicani) alla costruzione di nuove sedi di culto; a questa si affiancò la diffusione di un'architettura militare e difensiva legata alla nobiltà feudale (si pensi alle torri che punteggiavano la Valle d'Aosta, trasformate nel Trecento in potenti castelli) che permeò di sé il panorama della regione. Ai domenicani si deve l'unica chiesa gotica torinese ancora esistente: S. Domenico, che conserva un raro ciclo ad affresco databile alla metà del Trecento. Negli stessi anni gli Agostiniani fondarono, a Vercelli, S. Marco (oggi sede del mercato), conclusa nel XV secolo, mentre i francescani edificarono i loro complessi conventuali a Vercelli (1292), a Cuneo (fine XIII sec.), ad Alessandria (consacrato nel 1314) e ad Aosta (metà Trecento). Le chiese gotiche piemontesi, generalmente a tre navate e costruite in laterizio, furono partecipi delle scelte culturali lombarde; un'eccezione, più aderente al gusto oltralpino, fu la Cattedrale di Asti. Suggestioni legate all'Oltralpe si trovano anche in quanto di più eletto si conserva della pittura astigiana di metà Trecento: gli affreschi della cappella del castello di Montiglio e della seconda campata del chiostro di S. Maria di Vezzolano; diverso orientamento mostra l'area alessandrina, allineata alle tendenze lombarde, come indicano gli affreschi della ex Sala capitolare di S. Francesco a Cassine (entro la metà del Trecento) o la più tarda decorazione dell'abside maggiore di S. Giustina di Sezzàdio, ormai piena espressione del Gotico internazionale. Il massimo rappresentante di questo gusto fu il torinese Giacomo Jaquerio, pittore degli Acaia, dei Savoia e di potenti istituzioni ecclesiastiche; educato alla maniera che si era definita presso le grandi corti di Francia, divenne punto di riferimento per la pittura nel Piemonte occidentale nel corso di tutta la prima metà del XV sec. La sua prova più intensa si trova nel complesso abbaziale di S. Antonio di Ranverso, dove l'artista si espresse su differenti registri: raffinatissimo ed elegante nella Madonna in trono del presbiterio, appassionatamente drammatico nella Salita al Calvario della sagrestia. A un maestro di stretta osservanza jaqueriana si deve il bel ciclo, voluto da Bonifacio I di Challant, eseguito intorno agli anni '20 del Quattrocento nella ex sala-cappella e nel cortile del castello di Fénis. L'apertura degli artisti piemontesi a fatti culturali europei è documentata anche da un eletto esempio scultoreo qual è la Madonna col Bambino del Duomo di Chieri databile al secondo decennio del Quattrocento e partecipe delle tendenze borgognone. Il Duomo di Chieri, ricostruito a partire dai primi anni del XV secolo con un fortissimo sviluppo verticale del coronamento dei portali, che troverà ampia eco in Piemonte, conserva nel suo battistero un altro importante episodio decorativo: il ciclo della Passione (post 1432) di Guglielmetto Fantini che innovò la lezione jaqueriana su cui era cresciuto, come dimostra il bel trittico, firmato e datato 1435, ora al Museo d'Arte antica di Torino. La Chieri quattrocentesca era una delle città economicamente più importanti della regione per la presenza di ricche famiglie di banchieri e di mercanti; tra le più prestigiose fu quella dei Villa, in rapporto con le Fiandre, che scelse, per arredare le proprie cappelle, due opere precoci di Rogier van der Weyden destinate a incidere profondamente sulla cultura locale: il celebre trittico dell'Annunciazione (ora a Parigi, Louvre), le cui ante laterali sono conservate alla Galleria Sabauda, e quello della Crocifissione (ora a Riggisberg, coll. Abbeg). Diverse le tendenze di gusto dell'area orientale del Piemonte, da sempre legate alla maniera lombarda (come testimonia l'attività di Johannes de Campo in terra novarese o il ciclo di affreschi di casa Zoppi a Cassine, presso Alessandria), e della Valle d'Aosta, rivolta al mondo oltralpino.

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Il grande mecenate che, a partire dagli anni Settanta fino alla morte (1509), arricchì le proprie dipendenze valdostane fu Giorgio di Challant, priore di S. Orso, promotore della decorazione del priorato e della collegiale, che seppe trasformare il castello di Issogne, di cui divenne feudatario nel 1494, in una ricca dimora signorile. Qui lavorò tale Colin, artista già attivo a Ivrea; a lui si devono il ciclo della cappella del castello di Issogne e le famose "Botteghe" del portico, mentre un altro personaggio, fortemente segnato dalla maniera borgognona, decorò la grande Sala di Giustizia. Per Giorgio di Challant lavorò anche un miniatore oltralpino che ornò i due messali del priore (l'uno in collezione privata torinese, il secondo in S. Orso). è solo in anni recentissimi che la critica ha ricostruito l'attività dell'artista più significativo del Piemonte del secondo Quattrocento, destinato a lasciare profonda traccia di sé nell'area Nord-occidentale, ed è riuscita a dargli un nome: si tratta del borgognone Antonio de Lonhy, straordinario epigono delle innovazioni fiamminghe; è documentato nel 1462 al castello sabaudo di Avigliana, ma lo conosciamo a Tolosa e a Barcellona come pittore, miniatore, disegnatore per ricami e maestro vetraio. Tra le opere più importanti a lui attribuite sono il polittico con Storie di S. Pietro (Aosta, già in S. Orso), la tavola della Trinità (Torino, Museo d'Arte antica), le Ore di Saluzzo (Londra, British Library), Il "Breve dicendorum compendium" (Torino, Biblioteca Nazionale), gli affreschi del presbiterio e della Cappella Provana all'abbazia della Novalesa. Negli stessi anni nell'area compresa tra Casale, Ivrea e Vercelli, andava crescendo una nuova figura d'artista: Giovanni Martino Spanzotti, formatosi sull'opera del Cossa bolognese, capace di assimilare i caratteri peculiari della luminosità pierfrancescana e di confrontarsi con la cultura del secondo Quattrocento provenzale. Fondamentale testimonianza della sua prima maniera sono la Madonna Tucker (Torino, Museo d'Arte antica) e il ciclo con le Storie della vita di Cristo nella chiesa di S. Bernardino di Ivrea; tra il 1486 e il 1495 si situa la sua attività al Sacro Monte di Varallo, per il quale eseguì il gruppo libero di sculture lignee, la cosiddetta Pietra dell'Unzione (Varallo Sesia, Pinacoteca). Le proposte di questo artista, la cui attività si inoltra nel Cinquecento, ebbero un'ampia eco soprattutto tra gli allievi della sua bottega chivassese, primo fra tutti Defendente Ferrari. Alternativo a Spanzotti fu Macrino d'Alba, legato alla pittura rinascimentale tosco-romana del tardo Quattrocento; tra le sue opere più significative sono la Madonna col Bambino e santi (1495, Torino, Museo d'Arte antica) e l'ancona per il santuario di Crea (1503). In area occidentale la più alta personalità a cavallo tra i due secoli fu quella di Hans Clemer (già noto come Maestro d'Elva), attivo per la corte marchionale dei Saluzzo e cresciuto su esperienze figurative provenzali, da Quarton a Lieferinxe. Oltre il ciclo della parrocchiale di Elva, di lui si ricordano in particolare la Madonna col Bambino della parrocchiale di Celle Macra (1496) e la Madonna di Misericordia (c. 1498, Saluzzo, Museo di casa Cavassa). è ancora la terra dei marchesi di Saluzzo che vede gli ultimi esempi di architettura gotica in Piemonte. Tra il 1491 e il 1501 viene eretto il nuovo Duomo, dalla navata centrale assai sopraelevata; negli stessi anni avviene la trasformazione del coro della chiesa d. S. Giovanni in cappella marchionale (1491-1504), che segna il momento estremo del gotico piemontese.

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Dal Rinascimento al Settecento: il ruolo di Torino capitale

Il vescovo di Torino Domenico della Rovere, affidando all'architetto Meo del Caprina da Settignano la riedificazione del Duomo della città (1491-98), aprì la strada a nuove esperienze legate al gusto rinascimentale (Brunelleschi, Alberti) che in Piemonte si mostrò assai articolato; è evidente, per esempio, l'adesione a proposte bramantesche sia nel S. Sebastiano di Biella (1504 metà XVI secolo) sia nella parrocchiale di Roccaverano (Asti), eseguita probabilmente su disegno dello stesso Bramante. Anche la scultura segnò, in apertura di Cinquecento, un drastico passaggio alla maniera rinascimentale; lo testimonia il monumento funebre di Galeazzo Cavassa (1518-23) dovuto a Matteo Sanmicheli (Saluzzo, Sala capitolare di S. Giovanni), che orientò tutta la scultura locale. Nelle stesse date è attivo ad Asti un pittore che conobbe buona fortuna anche nell'alessandrino: Gandolfino da Roreto; diverso, e circoscritto all'area torinese, fu invece il mercato figurativo legato a Defendente Ferrari che ebbe bottega a Chivasso. Attento all'area provenzale, ma nutrito anche di dati rinascimentali padani, la sua maniera si riconosce a partire dalle tavolette con Storie di S. Crispino e Crispiniano (ante 1507), ora reinserite intorno alla Madonna in trono del Duomo di Torino, fino al monumentale polittico della Natività e santi (1531, S. Antonio di Ranverso). Ma i risultati forse più interessanti del Cinquecento piemontese si coagularono intorno a Gaudenzio Ferrari, attivo tra Vercelli, Novara e la Valsesia. Partito da esperienze lombarde, ampliò i propri orizzonti con due soggiorni romani. Le sue prove migliori furono legate alla Valsesia (Storia della vita di Cristo, Varallo, S. Maria delle Grazie) e alla sua ampia partecipazione alla decorazione delle cappelle del Sacro Monte. L'insegnamento di Gaudenzio condizionò, in particolare a Vercelli, ogni possibile alternativa, come dimostra il corpus di cartoni conservati all'Accademia Albertina di Torino, che trasmisero il repertorio formale del maestro. Con il trasferimento della capitale sabauda da Chambéry a Torino (1563) la città andò assumendo nuova dignità e si aprì a contatti che determinarono la diffusione della cultura manierista romana. Nel 1605 giunse in città l'urbinate Federico Zuccari (già attivo a Caprarola per palazzo Farnese) chiamato a decorare la Grande Galleria voluta da Carlo Emanuele I che univa il Palazzo ducale al Castello (Palazzo Madama) e che un incendio distrusse nel 1659. La sua decorazione esercitò un forte influsso soprattutto in area cuneese: in palazzo Cravetta a Savigliano, alla certosa di Chiusa Pesio, al santuario di Vicoforte, iniziato su progetto di Vitozzi. La funzione di capitale assunta da Torino ne modificò anche la forma urbana, adeguandola al nuovo ruolo di centro del potere. Vitozzi aprì la "contrada nuova" (via Roma) che collegò il Palazzo ducale al Castello di Miraflores (oggi distrutto); quindi operarono Carlo di Castellamonte (piazza S. Carlo) e il figlio Amedeo, autore della facciata di Palazzo Reale (1646-58); ma già pochi anni dopo l'attività torinese di Guarino Guarini (1666-81) avviò un grande rinnovamento. Tra i suoi capolavori la Cappella della S. Sindone (1668-94) e la chiesa di S. Lorenzo (1668-80), ambedue a pianta centrale e realizzate con un audacissimo uso delle strutture, il Collegio dei nobili (ora Accademia delle Scienze) e Palazzo Carignano (1679- 81).

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In questi ultimi edifici utilizzò il mattone a vista, suggestionando un'intera generazione di architetti che ne diffuse l'uso in tutta la regione, segnandone così il paesaggio. I primi decenni del Settecento furono caratterizzati dalla presenza di Filippo Juvarra, giunto a Torino a seguito del re Vittorio Amedeo II di ritorno dalla Sicilia. I suoi primi interventi furono la basilica di Superga, ancora legata a ricordi romani, e l'avvio dei lavori al castello di Rivoli (1715). Cinque anni dopo progettò, per Palazzo Reale, l'elegante e geniale Scala delle Forbici e, nel 1729, iniziò la costruzione della Palazzina di caccia di Stupinigi di cui curò anche la progettazione degli interni. Verso la metà del secolo si inserirono nell'ambiente piemontese notevoli presenze esterne legate ad acquisti di opere d'arte fatte dai ministri della real casa a Roma, Napoli e Venezia e all'arrivo a Torino di artisti quali il napoletano Francesco de Mura e il romano Gregorio Guglielmi; ma la presenza che determinò una svolta in campo pittorico fu quella di Bernardo Bellotto, a cui Carlo Emanuele III commissionò due vedute di Torino (ora alla Galleria Sabauda). Con l'arrivo di Lorenzo Pécheux, chiamato nel 1776 da Vittorio Amedeo III a dirigere l'accademia di pittura e scultura, la cultura piemontese si aggiornò su nuovi orientamenti neoclassici. Alla fine del secolo fu invece la pittura di paesaggio che segnò l'avvio verso nuove ricerche; particolarmente significative le opere di Giuseppe Pietro Bagetti, che rivestì il ruolo di "disegnatore di vedute" al seguito dell'esercito sabaudo, e di César van Loo, a cui guardarono i paesaggisti del primo Ottocento piemontese.

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Dalla Restaurazione al Novecento

Dopo il breve periodo della dominazione francese e il ritorno del Piemonte ai Savoia (1814) la capitale vide nascere i grandi viali alberati in luogo della cinta muraria smantellata e grandi piazze (Vittorio, Carlo Felice, Statuto) come fulcro di ampliamenti urbanistici. Per celebrare il rientro della corte fu eretta, oltre il Po e di fronte a piazza Vittorio, la chiesa della Gran Madre di Dio, che segnò a Torino la fortuna del linguaggio neoclassico e che fu però solo una delle scelte della committenza sabauda, orientata anche verso un revival medievaleggiante che ben si adeguava agli ideali della Restaurazione (ristrutturazione neogotica delle residenze di Racconigi e di Pollenzo e degli edifici annessi). Il recupero del Medioevo si manifestò in effetti come una delle componenti del programma di legittimazione dinastica: in quest'ottica vanno visti i monumenti voluti per le più importanti piazze cittadine, come l'Emanuele Filiberto a cavallo di Carlo Marocchetti (1838, piazza S. Carlo) o il Conte Verde di Pelagio Palagi (1842, davanti a Palazzo di Città). Nella seconda metà del secolo, mentre l'Antonelli lanciava la sua sfida alle leggi della statica (S. Gaudenzio a Novara, 1841; Mole torinese, dal 1862) quasi presagendo l'imminente architettura in ferro, un gruppo di architetti (Alfredo D'Andrade, Vittorio Avondo, Edoardo Arborio Mella) puntò al restauro di antichi monumenti (castelli di Fénis e di Issogne, S. Andrea di Vercelli); emblematico di questa ripresa del passato fu il borgo medioevale progettato da D'Andrade per l'Esposizione italiana del 1884.

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Il Novecento

Al termine della lunga e travagliata crisi legata al trasferimento della capitale si tenne a Torino, quasi a simbolo della ripresa economica, la grande Esposizione d'Arte decorativa moderna (1902) che sancì l'affermazione del Liberty. Suo assoluto protagonista fu l'architetto Raimondo d'Aronco (1857-1932), che ne progettò il padiglione principale. Questa esposizione fu lo stimolo per una serie di trasformazioni del gusto che interessarono anche la pittura e la scultura; ne sono esempi l'attività del casalese Leonardo Bistolfi (1859-1933), sperimentatore di un nuovo linguaggio plastico attento agli effetti luministici (evidente nei grandi modelli in gesso del Museo Civico di Casale), e il famoso Quarto Stato dell'alessandrino Pellizza da Volpedo (ora a Milano, Galleria d'Arte moderna) che cercò di adeguare l'esperienza postimpressionista a nuovi contenuti civili. La fortuna del Liberty ebbe tuttavia in Piemonte vita breve e quasi esclusivamente circoscritta all'ambiente borghese, poiché si scontrò con le esigenze della produzione industriale che, a partire dall'ultimo Ottocento, con le sue fabbriche collocate lungo le vie d'acqua per sfruttarne l'energia idrica e le prime abitazioni operaie, aveva cominciato a incidere fortemente sull'assetto urbano di alcune aree del Piemonte. A Torino, per esempio, nacque Borgo Dora, caratterizzato da edifici di estrema povertà sia per i materiali impegnati sia per le soluzioni architettoniche adottate. Il nesso fabbrica-quartiere operaio determinò la nascita dell'originalissima Borgata Leumann (1817-1906), sulla strada tra Torino e Rivoli, formata da 59 case e villini, in gran parte progettati da Pietro Fenoglio e segnati da un gusto tra il Liberty e l'eclettismo; gusto superato da Giacomo Mattè Trucco che, con lo stabilimento Fiat Lingotto (1915-23), di estrema razionalità, innovò drasticamente il modello ottocentesco di fabbrica. La reazione alla ridondanza del Liberty e alle bizzarrie dell'eclettismo manifestò tutta la sua portata all'Esposizione torinese del 1928 in cui si impose il razionalismo legato alla secessione viennese; i massimi esponenti di questo nuovo linguaggio furono Giuseppe Pagano e Gino Levi Montalcini a cui si deve, tra l'altro, il Palazzo degli Uffici Gualino in corso Vittorio Emanuele II (1929-30). Intorno a Riccardo Gualino, vero e proprio mecenate, la cui collezione d'arte fu curata da Lionello Venturi, si coagulò un gruppo di intellettuali che innestò un processo di rinnovamento artistico e critico; figure di spicco furono, oltre a Venturi, Edoardo Persico e Felice Casorati che divenne, a partire dal 1923, punto di riferimento per i giovani artisti piemontesi: su posizioni alternative si costituì, nel 1928, il Gruppo dei Sei (Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio, Enrico Paolucci); eccentrico fu Luigi Spazzapan che, con il suo linguaggio spontaneo e immediato, arginò le ossessive costruzioni pittoriche di Casorati. Nel 1947 venne istituito il Premio Torino e intorno alla figura di Mastroianni si aggregò il rinnovamento in direzione postcubista. Intanto la città, legata a filo doppio alla Fiat, cresceva con questa, senza scelte programmatiche e urbanistiche. Questa crescita divenne esplosiva con l'ondata migratoria degli anni Cinquanta, quando nelle periferie Nord e Sud nacquero nuovi insediamenti operai separati dal resto della città: Falchera (1951), Vallette (1958), Mirafiori Sud (1961). Alternativo a queste scelte fu invece l'esperimento condotto a Ivrea dall'imprenditore Adriano Olivetti che si sostituì all'insufficiente intervento pubblico raccogliendo intorno a sé un gruppo di architetti (Luigi Figini, Gino Pollini, Ignazio Gardella, Ludovico Quaroni) che puntarono alla ricerca di un nuovo equilibrio tra fabbrica, insediamenti abitativi e paesaggio. Nel 1961 le celebrazioni per il centenario dell'Unità d'Italia lasciarono a Torino una serie di edifici, tra cui l'immenso Palazzo del Lavoro progettato da Pier Luigi Nervi e il Palazzo delle Mostre, con una particolare copertura 'a vela'. Negli stessi anni un gruppo di artisti torinesi che operava con materiali poveri e segni essenziali (la cui produzione venne definita nel 1967 da Germano Celant "arte povera") entrò con successo nel circuito internazionale collegandosi alla minimal art americana.

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LE CITTÀ

Torino

(909.717 ab.). La città di Torino è situata al limitare della Pianura Padana, fra le Alpi e le colline del Po. La presenza dell'industria automobilistica e meccanica ha notevolmente influenzato l'economia della città favorendo lo sviluppo di numerose attività ad essa collegate (carrozzerie, fabbriche di accessori e parti di ricambio per auto, di pneumatici ecc.). Fra le altre industrie ricordiamo quelle metallurgiche, tessili, siderurgiche, chimiche, conciarie, calzaturiere, alimentari, dolciarie, enologiche (produzione di liquori e aperitivi), grafiche ed editoriali. Torino è anche un attivo centro commerciale.

STORIA.

La storia di Torino ha inizio nel III secolo a.C. quando lungo le rive del Po si insediarono le prime tribù "taurine", discendenti dalle fusioni di stirpi celto-liguri con popolazioni galliche migrate oltralpe alla ricerca di pianure coltivabili. Nel periodo dell'espansione romana nell'Italia settentrionale l'antico insediamento torinese fu teatro di guerre, riappacificazioni e alleanze con Roma, fino alla fondazione - per decisione di Giulio Cesare - di una vera e propria postazione militare. Presidio di confine e accampamento sotto Augusto, la città prese il nome di Augusta Taurinorum (29 - 28 A.C.). Porta principale delle Alpi occidentali, alla caduta dell'Impero romano, Torino fu poi assoggettata ai Goti, ai Longobardi e ai Franchi che vi stabilirono una Contea (VII sec. dopo Cristo). Seguì un lungo periodo in cui i Savoia si inserirono in un complesso gioco di forze che vide Impero, vescovi, feudatari e organismi del nascente Comune intrecciarsi e contrapporsi in un continuo alternarsi di lotte e alleanze, fino a quando Torino fu concessa in feudo ai Savoia dall'imperatore Federico II. Con l'unificazione amministrativa e politica di tutte le province sabaude all'inizio del XV secolo i Savoia assegnarono a Torino il ruolo di capitale. Nel 1536 fu la volta della dominazione francese ad opera di Francesco I. Trent'anni dopo il duca Emanuele Filiberto riottenne Torino per la casa di Savoia decidendo, per ragioni politiche, di trasferirvi la capitale del suo regno da Chambery. Nel 1620 Carlo Emanuele I diede avvio al primo ampliamento di Torino. Questa prima fase dello sviluppo portò a quel modello di città "ordinata" con strade e grandi corsi allineati divenuto poi la sua caratteristica principale. è questo il periodo più fecondo nella storia di Torino: una stagione di arte e cultura che abbraccia due interi secoli. Tra il Seicento e il Settecento la città assunse la fisionomia di una capitale rigorosa e austera che riservava il lusso e lo sfarzo all'interno degli edifici di governo e nobiliari. Allo scopo furono chiamati a corte architetti del calibro di Ascanio Vitozzi, Carlo e Amedeo di Castellamonte, Guarino Guarini e Filippo Juvarra, autorevoli firme dei capolavori del Barocco piemontese. Tre gli ampliamenti successivi della città (1620, 1673, 1674) - illustre esempio del razionalismo urbanistico sei-settecentesco - operati nell'intento di far coincidere la struttura romana con la definizione della capitale barocca dello stato sabaudo. Gli anni della dominazione francese diedero inizio nei primi anni del XIX secolo allo smantellamento della cinta fortificata che coincise con la fine del modello sabaudo di città, capitale dell'assolutismo. Grazie al suo centro storico, dove il tracciato viario, le strutture architettoniche e le lunghe teorie di portici danno spazio, forma e vita a piazze armoniose e accoglienti, la città conserva un'impronta di antica aristocrazia che non contrasta con il dilagante contorno delle moderne zone residenziali e della sua periferia industriale. La grande svolta si verifica subito dopo la proclamazione dell'Unità d'Italia. Il periodo risorgimentale la porterà nel 1861 sino al 1864 ad essere capitale del Regno d'Italia. E a partire da questa data, Torino inizia a mostrare la sua crescente vocazione industriale. è in questo periodo che viene abbandonato il tradizionale assetto urbanistico: nella Torino che ancora ricalca l'impianto dell'antica colonia romana, viene introdotto il sistema a raggiera, con la creazione delle prime barriere operaie, fuori dalla cinta daziaria. All'inizio del ventesimo secolo - un'epoca storica che rappresenta una forte ripresa soprattutto dopo la perdita del primato politico di capitale - lo sviluppo sarà tumultuoso con la nascita della grande industria e la conseguente immigrazione dal Sud. Nel febbraio 2006 la città di Torino ha ospitato la XX edizione dei Giochi Olimpici Invernali.

ARTE.

Dell'antica colonia romana Torino ha conservato il caratteristico impianto a scacchiera del castrum augusteo che le conferisce un assetto urbanistico regolare con ampi viali e belle piazze d'importanza storica. Risalgono al periodo romano la Porta Palatina (I sec. d.C.), una delle quattro porte che si aprivano nella cerchia delle mura urbiche e le rovine del Teatro, distrutto nel corso delle invasioni barbariche. L'attuale volto della città deve molto all'opera di ricostruzione ed abbellimento iniziata dai principi di casa Savoia sin dal '500 e culminata nei piani architettonici e monumentali di Vittorio Amedeo II che incarica il messinese Filippo Juvarra di progettare un ulteriore ampliamento di Torino dopo i due secenteschi. Nascono tra il XVI e il XVIII sec. alcuni tra i più interessanti edifici cittadini: il Palazzo Reale (1660) con la celebre Scala delle Forbici (1720) dello Juvarra e imponenti sale (l'Armenia Reale ospita una ricca collezione di armi ed armature d'ogni epoca e Paese); Palazzo Madama, così chiamato in quanto residenza delle due madame reali Maria Cristina di Francia e Giovanna di Nemours e comprendente nella sua struttura parti romane e medievali successivamente modificate (XV-XVII sec.); Palazzo Carignano (in cui ha sede il Museo Nazionale del Risorgimento italiano, risalente al 1679-85 e considerato una delle maggiori creazioni dell'architetto Guarino Guarini, cui spetta anche il barocco Palazzo dell'Accademia delle Scienze (1678). Capolavoro del Guarini è la Cappella della S. Sindone nella Cattedrale edificata tra il 1668 e il 1694 per custodire la preziosa reliquia del lenzuolo in cui la tradizione vuole sia stato avvolto il corpo di Cristo deposto dalla Croce. Il sacello, che presenta pianta circolare ed è rivestito di marmi neri, rivela la genialità del suo costruttore nella soluzione originale della cupola, decorata all'esterno da un complesso intreccio di archetti e culminante in un'alta guglia. Lo stesso virtuosismo tecnico compare nella cupola della chiesa di San Lorenzo, altra creazione guariniana (1666-1679) che rivela, oltre a evidenti echi borrominiani, lontani ricordi di architetture arabe e gotiche. Numerose sono le chiese di Torino tra cui ricordiamo la già citata Cattedrale intitolata a S. Giovanni Battista ed unico esempio d'architettura rinascimentale della città (l'interno custodisce opere di D. Ferrari e F. M. Spanzotti); la chiesa del Carmine (1732-35) dello Juvarra; S. Cristina (1639) progettata da Carlo di Castellamonte, con facciata juvarriana; S. Domenico (1331), raro documento dell'età medievale, molto restaurata, con facciata in laterizio; S. Filippo (1675), la più grande chiesa torinese, portata a termine da Guarini e Juvarra (1717-34); S. Maria di Piazza (1751) di B. A. Vittone; Ss. Martiri (1577) di P. Tibaldi, dal sontuoso interno riccamente decorato; il Santuario della Consolata, antica costruzione, forse paleocristiana, modificata nell'Alto Medioevo e trasformata alla fine del Seicento su disegno del Guarini con l'aggiunta del santuario barocco (altare maggiore dello Juvarra). Un cenno a parte merita la famosa basilica di Superga, eretta negli anni 1717-31 dallo Juvarra per volontà di Vittorio Amedeo II, sull'alto di un colle dominante la città. L'architetto rivela il suo talento nell'originale rielaborazione di suggestioni classiche e rinascimentali particolarmente evidenti nella pianta centrale, nella snella cupola e nel pronao antistante l'ingresso. Lungo le rive del Po è da visitare il suggestivo Parco del Valentino con il castello, dalla chiara fisionomia francesizzante, costruito (1630-63) da Carlo e Amedeo di Castellamonte e il borgo medievale, realizzato, nell'ambito dell'Esposizione generale svoltasi a Torino nel 1884, per presentare al pubblico della mostra un campione quanto più fedele possibile all'originale dell'architettura piemontese del XV sec. Acquistato dal Comune, il complesso della rocca e del borgo ospitò in seguito una sezione dei musei civici. Altri interessanti monumenti dal punto di vista turistico sono inoltre la costruzione neoclassica della chiesa della Gran Madre di Dio (181831) di F. Bonsignore e la Mole Antonelliana quasi simbolo stesso della città, innalzata su progetto di Alessandro Antonelli a partire dal 1878. Alta 168 m, è costituita da una cupola a facce trapezoidali incurvate, poggianti su di un basamento a struttura metallica, e termina con un'ardita guglia telescopica, distrutta nel 1953 in seguito ad un nubifragio e fedelmente ricostruita. Torino vanta numerosi musei, alcuni di fama mondiale come il Museo Egizio, secondo solo a quello del Cairo, e altri specializzati nei settori cinematografico (Museo del Cinema, in Palazzo Chiablese) e automobilistico (Museo Nazionale dell'Automobile). Da non dimenticare la Galleria Civica d'Arte moderna, la Galleria Sabauda, con splendide opere di artisti toscani, veneti e fiamminghi, il Museo di Arte antica di Palazzo Madama (Ritratto virile, di Antonello da Messina e Libro d'Ore del duca di Berry, miniato da J. van Eyck), il Museo di Antichità, nel Palazzo dell'Accademia delle Scienze, notevole per le raccolte di materiali preistorici e protostorici romani, greci ed etruschi provenienti dal Piemonte e dalla Valle d'Aosta; la Galleria dell'Accademia Albertina (dipinti italiani e stranieri dal '400 al '700); Museo Nazionale d'Artiglieria nella Cittadella, fortificazione cinquecentesca di F. Paciotto.

LA PROVINCIA.

La Provincia di Torino (2.216.582 ab., 6.830 kmq) comprende un territorio montuoso e collinare delimitato ad Ovest dalle Alpi Cozie e Graie, dalla Serra di Ivrea a est e dalle colline del Po e del Monferrato. Il territorio è inoltre attraversato dal fiume Po e dai suoi affluenti alpini che convergono nella piana di Torino (Chisone, Dora Riparia ecc.). Caratteristica delle valli valdesi (Pellice, Chisone, Germanasca) sono le isole alloglotte e religiose, dove la popolazione è bilingue (francese e italiano) ed è di religione evangelico valdese. Nelle zone pianeggianti è diffusa l'agricoltura con produzione di ortaggi, legumi, cereali e foraggi ed è praticato l'allevamento dei bovini. Nelle zone collinari sono fiorenti l'orticoltura e la frutticoltura. Le industrie principali sono quelle metalmeccaniche, tessili, siderurgiche, meccanografiche, acciaierie, cotonifici, dei prodotti chimici e farmaceutici. Altra importante risorsa è il turismo praticato soprattutto nelle località attrezzate per gli sport invernali (Bardonecchia, Sestrière). Fra i centri principali ricordiamo Chieri, Chivasso, Collegno, Ivrea, Moncalieri, Pinerolo, Settimo Torinese, Venaria.

Panorama di Torino

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Luoghi di interesse

La Mole Antonelliana
Il progetto nasce nel 1862 ad opera dell'architetto Alessandro Antonelli con una costruzione a cupola alta 47 metri. Nel 1863 hanno inizio i lavori. L'estroso architetto di Ghemme Novarese aveva però nel frattempo già modificato il progetto portando l'altezza della costruzione a m 113; la Sinagoga torinese sarebbe diventata la più grande d'Italia e la più alta d'Europa. Dopo varie vicissitudini (derivate dall'arditezza del progetto e da motivi economici), la costruzione aveva raggiunto una notevole altezza (quasi il tempietto), ma qui, era il 1869, la Comunità ebraica accorgendosi che si andava troppo oltre il preventivo abbandonava il finanziamento. I lavori furono sospesi e fu applicato alla Mole un tetto provvisorio. L'Antonelli era però deciso a terminare la sua esaltante opera e riuscì a convincere nel 1873 la città di Torino a rilevare il cantiere dedicando l'edificio al re Vittorio Emanuele II. Dopo varie peripezie e proposte, l'Antonelli, sostenendo che così come era stata progettata non era degna di tale personaggio convince il Consiglio comunale di Torino ad approvare le modifiche che porteranno la costruzione prima a 146 m, poi a 153 m e infine, a 167 m definitivi, prevedendo di fissare sulla punta della guglia un genio alato alto parecchi metri. Con queste ultime decisioni però incominciano la maggioranza dei guai tecnici della Mole; le strutture che erano state dimensionate con grande attenzione per il primitivo progetto diventano insufficienti; l'Antonelli cercava e sceglieva personalmente i materiali per garantire qualità e resistenza ma purtroppo la tecnologia edile del tempo non era all'altezza di questo sogno verticale. Si ebbero problemi di sovraccarico delle fondazioni e deformazioni della struttura; nell'insieme però la costruzione reggeva bene grazie alle originali intuizioni nel progetto, con l'inserimento di catene di contenimento e all'uso di materiale con concetto ultramoderno, ottenendo resistenze incredibili con pesi molto ridotti, basti pensare che il guscio che forma la cupola, impostata su un quadrato di circa 30 m di lato e alto circa 50 m, è formato da due muri distanti meno di due metri e spessi 12 cm tenuti insieme da tiranti in ferro e da un intreccio di setti e di archi in mattoni; qui passano pure le rampe di scale a zig-zag per l'accesso di servizio alla guglia. Nel 1889 la guglia è arrivata alla fine del suo acrobatico percorso e nell'aprile del 1899 viene issato sulla punta il genio alato dorato. La fabbrica della Mole era durata 26 anni. Ma il suo completamento si protrasse ancora per parecchi anni sotto la guida del figlio dell'Antonelli, Costanzo; poi, fra il 1905 e il 1908 l'architetto Annibale Rigotti eseguì le decorazioni all'interno. La struttura riproponeva però in modo indilazionabile i suoi problemi e si doveva perciò correre ai ripari per garantirne la sicurezza. Furono interpellati i migliori professionisti del tempo, alla fine prevalse una scelta di sicurezza inserendo delle strutture in cemento armato all'interno della cupola che sicuramente avrebbero fatto inorridire l'Antonelli. Nel 1961 la Mole aveva riacquistato l'altezza originaria di 167 m, conseguita però con una struttura metallica rivestita di pietra. I lavori della ristrutturazione della Mole sono terminati nel 1987 e con questi essa ha riacquistato vitalità come sede di mostre e avvenimenti culturali. Un ascensore panoramico, in vetro e acciaio sorretto da sole funi metalliche, porta dalla base all'altezza del tempietto, da dove, particolarmente nelle giornate con cielo terso, si gode un magnifico panorama su Torino, sulle sue colline e sulle Alpi.

La Mole Antonelliana a Torino

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Teatro Regio
La decisione di costruire un vero e grande teatro d'opera a Torino, a imitazione delle altre capitali dell'epoca, fu presa nel 1713 quando il ducato di Savoia si trasformò in Regno di Piemonte, sancito dal Trattato di Utrecht e sotto la guida di Vittorio Amedeo II; dovettero però passare ancora parecchi anni prima che l'idea del teatro prendesse corpo e solamente nel 1738, il successore Carlo Emanuele III diede inizio ai lavori. Precedentemente (dal 1678) la sua funzione era svolta in parte dalla Sala del Teatro Ducale detta di S. Giovanni. Progettato da Filippo Juvarra e inserito nel complesso delle Segreterie, il nuovo teatro fu realizzato da Benedetto Alfieri. I lavori incominciarono nel 1738 e proseguirono con tale rapidità che il 26 dicembre 1740 il teatro fu inaugurato con l'opera Arsace di Francesco Feo su libretto di Pietro Metastasio. Nato quarant'anni prima della Scala, il Regio vanta centinaia di prime rappresentazioni fra le quali si annoverano Manon Lescaut e La Bohème di Giacomo Puccini, Salomé di Richard Strauss e la falsa prima scaligera di Giselle avvenuta invece a Torino il 26 dicembre 1842. Il nuovo teatro poteva contenere 2.500 spettatori e la sua sala era considerata la più grandiosa d'Europa. I più grandi nomi del bel canto e del balletto passarono sulla scena del Regio confermando la sua gloriosa tradizione. Nel 1798, durante l'occupazione francese di Torino il teatro prese il nome di National, nel 1801 diventò Grand Théatre des Arts e nel 1804 prese la denominazione di Théatre Impérial, nome che mantenne fino al 1814. Con la caduta di Napoleone e il ritorno dei Savoia sul trono di Torino si ritornò anche al Regio Teatro. Nel 1838 Pelagio Pelagi apportò una serie di modifiche alle strutture. Nel 1905 Ferdinando Cocito intervenne con notevoli lavori di trasformazione della sala e del palcoscenico; nel 1924 si ebbe l'introduzione del cemento armato nella torre di scena a cura di Giacomo Mattè-Trucco, il geniale progettista della Fiat Lingotto. Dall'inizio del secolo il Regio divenne il tempio della musica di Wagner e di Strauss e al tempo stesso uno dei teatri più aperti alla nuova opera francese e alla giovane scuola verista italiana. La notte tra l'8 ed il 9 febbraio 1936 segna un evento drammatico nella vita culturale e musicale torinese; un furioso incendio distrugge la sala e il palcoscenico del Teatro Regio. I bombardamenti del 1952 e '43, durante la seconda guerra mondiale completano la rovina; solo nel 1966, dopo alterne vicissitudini viene affidato il progetto per la ricostruzione all'architetto Carlo Mollino e all'ingegnere Marcello Zavelani-Rossi. Il nuovo Teatro Regio, ricostruito nello stesso luogo del precedente in piazza Castello, anche se con diversa dislocazione, rimane armoniosamente inserito nel contesto architettonico dell'antica piazza. è stato ufficialmente inaugurato la sera del 10 aprile 1973 con l'opera I Vespri Siciliani di Giuseppe Verdi. Una grande e artistica cancellata scorrevole in bronzo, opera di Umberto Mastroianni a titolo Odissea Musicale, chiude l'atrio d'ingresso principale. Il nuovo complesso teatrale è stato concepito e realizzato con le più moderne tecnologie e abbandonando la funzione esclusiva di sala da spettacoli, assume il più vasto ruolo di centro propulsore della vita culturale e artistica di Torino e del Piemonte. Il Teatro Regio a oltre un quarto di millennio dalla sua fondazione continua ad essere, con la sua attività, testimone della storia e degli eventi di Torino, dell'Italia e dell'Europa.

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Palazzo Madama
Circa duemila anni fa, all'epoca dell'Impero romano, Palazzo Madama era una delle porte d'ingresso alla città in corrispondenza del decumano massimo che oggi è via Garibaldi. Due alte torri, quelle che tuttora affiorano sul lato della piazza pedonale, incorniciavano quattro grandi aperture ad arco: l'entrata e l'uscita da Torino (Augusta Taurinorum) verso Est, verso Roma. Nel Medioevo, la porta romana subisce la sua prima radicale metamorfosi. Da soglia alla città diviene difesa della città: vengono chiusi gli archi romani, aperto un nuovo passaggio, accanto alla torre meridionale, la porta Fibellona, e, soprattutto, eretto un fortilizio a ridosso delle torri. Nei primi decenni del 1300 la struttura fortificata si trasforma in un castello per mano di Filippo I d'Acaja, del ramo cadetto dei Savoia. Ma è solo con Ludovico d'Acaja, all'inizio del Quattrocento, che il castello assume l'aspetto che ora coincide con uno dei due volti di Palazzo Madama: quattro torri angolari, scale di collegamento tra i vari piani e, all'interno, una corte circondata da portico. In seguito, il suo ruolo varierà, pur rimanendo centrale: dimora per ospiti di rango, scenario per le cerimonie pubbliche, spazio scenografico per le feste. Il 1637 è un anno importante per la storia del palazzo. Maria Cristina di Francia, reggente del ducato in nome del figlio minorenne Carlo Emanuele II, infatti, elegge il castello a sua residenza, iniziando un ammodernamento che porta, tra l'altro, alla copertura della corte medioevale interna. Ma è Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, vedova di Carlo Emanuele II, l'artefice della nuova immagine di quello che è ormai diventato Palazzo Madama, soprannome della residenza ufficiale delle madame reali. è lei, infatti, che affida all'architetto Filippo Juvarra il progetto del grandioso avancorpo (completato nel 1721) che è l'altro dei due volti dell'attuale Palazzo Madama: una tra le più significative realizzazioni del Barocco europeo. Chiara, luminosa, trasparente, in dialogo con la linea retta di via Garibaldi, la facciata juvarriana, all'esterno, racconta la potenza, con un basamento a pilastri bugnati, un ordine superiore gigante, scandito da colonne e lesene, entro cui si aprono grandi finestre e una balaustra marmorea con rilievi, statue e vasi. All'interno, invece, incarna con soavità inedita la leggerezza: quattro agili colonne centrali nell'atrio sembrano ancorare a terra le volte su cui poggia la scala monumentale, invasa dalla luce che penetra da tre lati. Il progetto di Juvarra era molto più ambizioso, ma non fu mai completato e quello che rimane è il capolavoro dell'avancorpo: una sorta di maschera barocca, davanti al possente edificio medioevale, che non nasconde, ma amplifica la visione, dall'interno verso l'esterno, dall'esterno verso l'interno. Così, Palazzo Madama aggiunge definitivamente al complesso di segni che racchiude (porta, passaggio, difesa, dimora) anche quello di una nuova immagine del potere: un potere esibito e centrale, nel cuore della città. Per questo, nel 1799, in epoca di dominazione francese, il generale Barthélemy-Catherine Joubert non può che insediare qui, simbolicamente, la sede del governo provvisorio. Ma da quando il palazzo comincia a perdere la sua funzione di dimora, perde anche la sua unità, subendo modificazioni disarmoniche degli ambienti: prigione, sede del commissariato di polizia, di uffici amministrativi, degli alloggi degli impiegati e delle loro famiglie. Sarà il re Carlo Alberto a riqualificare le sorti dell'edificio, destinandolo, nel 1832, a sede della Regia Pinacoteca. è questa la prima volta che il palazzo ospita un museo. Ma i simboli continuano a stratificarsi e nel palazzo, con Carlo Alberto, entra anche la politica: nel 1848, il re colloca nel grande salone al primo piano il Senato Subalpino, destinato a divenire uno dei luoghi della politica in cui più fortemente si è prefigurata l'Unità d'Italia. Più tardi, nel 1869, il palazzo accoglie un altro importante organo istituzionale: la Corte di Cassazione. In questa epoca inizia i suoi studi Alfredo D'Andrade che dà il via, nel 1883, ad imponenti scavi archeologici ricostruendo la storia bimillenaria dell'edificio: le mura medioevali esterne, le arcate della corte, i resti della porta romana e del lastricato che la attraversava. Quando nel 1934 Palazzo Madama diviene la sede del Museo Civico d'Arte antica, sono già state ripristinate le merlature, il tetto e i cammini di ronda. Nel 1988 il palazzo è stato chiuso. Un complesso lavoro di adeguamento dei locali e rifacimento degli impianti tecnologici ha caratterizzato i lavori di restauro. Il 2 giugno 2001 Palazzo Madama, edificio simbolo dei due millenni di storia della città di Torino, ha riaperto parzialmente le sue porte; la fine dei lavori è prevista per l'inverno 2006-07.

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Basilica di Superga
I principi Vittorio Amedeo II di Savoia ed il viennese Eugenio di Savoia, saliti sull'alto colle il 2 settembre 1706, per osservare le posizioni dell'esercito franco-spagnolo che da 4 mesi circa assediava la città, fecero, da questo luogo, voto alla Madonna delle Grazie per la liberazione di Torino, promettendo di fare costruire, sullo stesso colle, un grandioso tempio in caso di vittoria sui Francesi. Tale voto avvenne di fronte alla statua lignea della Madonna ora conservata nella relativa cappella riproducente quella demolita per l'erezione della basilica. L'episodio è ricordato anche in un affresco e un quadro nella chiesa di S. Cristina in piazza S. Carlo a Torino. Dopo un immane lavoro di sbancamento per quei tempi, per l'abbassamento della sommità del colle di oltre 40 m onde avere così un'ampia spianata per consentire l'impianto del tempio, alla quota di 670 m, il 20 luglio 1717 veniva iniziata su progetto del grande architetto Filippo Juvarra la costruzione della "fabbrica" della basilica e il 5 novembre 1731, 14 anni dopo, seppure incompleta, era inaugurata dal Carlo Emanuele III. La "fabbrica" del complesso venne orientata sull'asse della "stradone" o contrada di Francia. La pianta della basilica è circolare, anteriormente avanza con un imponente pronao sorretto da 8 colonne corinzie cui si accede da una solenne scalinata. L'altezza della basilica dal suolo alla punta della croce è di 75 m. La lunghezza interna è di 51 m, mentre la larghezza è di 34 m; l'interno ha ricche cappelle con stucchi, marmi, pregevoli sculture e quadri. Notevole è il bassorilievo di Bernardino Cametti (1633) sull'altare maggiore riproducente il beato Amedeo di Savoia e la battaglia di Torino del 1706. L'alta cupola domina il paesaggio circostante tra i due campanili (alti 60 m) ispirati dal Borromini. Una scala a chiocciola interna alla basilica conduce i visitatori sulla balconata esterna del tamburo della cupola, dove si ha una vista panoramica. Interessante lungo il chiostro interno la Sala dei Papi con i quadri raffiguranti tutti i pontefici. I sotterranei della Basilica custodiscono uno storico e artistico mausoleo nel quale sono raccolte le tombe dei sovrani sabaudi da Vittorio Amedeo II a Carlo Alberto (tranne Carlo Felice sepolto nell'abbazia di Altacomba) e di altri 50 fra principi e principesse, cioè tutti quelli deceduti dopo il 1732.

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Il Lingotto
Negli anni Venti, quando fu progettato e costruito dall'architetto Giacomo Mattè Trucco, lo stabilimento del Lingotto della Fiat era un esempio modernissimo di architettura industriale, capace di coniugare i modelli di sviluppo delle grandi case automobilistiche nordamericane, con le esigenze e le tendenze dell'architettura contemporanea. Con le sue misure grandiose era il simbolo delle aspirazioni alla modernità dell'Italia dell'epoca: i due corpi longitudinali raggiungevano i 507 metri di lunghezza e i 24 metri di larghezza ed erano uniti da 5 corpi trasversali; la larghezza complessiva era di 80 metri, i piani delle officine erano cinque; l'ispirazione, dichiaratissima, erano le catene di montaggio della Ford. I criteri costruttivi erano d'avanguardia. Nel 1925, due anni dopo l'inaugurazione dello stabilimento, avvenuta alla presenza del re Vittorio Emanuele III, l'architetto svizzero Le Corbusier, uno dei maestri dell'architettura del Novecento, definì il Lingotto "un documento per l'urbanistica". Nei decenni successivi, al centro dell'omonimo quartiere che si stava trasformando a sua misura, lo stabilimento del Lingotto produsse alcune delle prime vetture entrate nell'immaginario italiano: la Torpedo, la Balilla e la mitica Topolino. Nella sua storia sessantennale vide uscire dalle proprie officine più di 80 modelli di auto. Poi, nel 1982, la Fiat annunciò la sua chiusura. Nel frattempo la casa automobilistica torinese aveva aperto altri stabilimenti, sia in Italia che all'estero, ed erano Mirafiori e Rivalta, più che il Lingotto, a tracciare la strada e i modelli delle sfide al nuovo secolo e alla sua globalizzazione. La fabbrica dismessa fu un emblema di quell'archeologia industriale che iniziava a caratterizzare tante, troppe città europee. Le sue misure grandiose, che negli anni Venti avevano affascinato e colpito i contemporanei, erano una difficoltà ulteriore al suo recupero. Nel 1983 venne indetto un concorso internazionale per stabilire cosa fare dello stabilimento. Parteciparono i nomi più prestigiosi dell'architettura internazionale, vinse il genovese Renzo Piano, che negli anni Settanta aveva conquistato la celebrità internazionale con il progetto del Beaubourg, a Parigi. La proposta di Piano per il Lingotto è affascinante, coerente con il ruolo che il Lingotto aveva avuto sin dalla sua inaugurazione, e con il futuro che aspetta Torino. Come negli anni Venti lo stabilimento aveva indicato la direzione della città verso lo sviluppo industriale, così negli anni Novanta diventa simbolo del terziario avanzato, della sfida verso il futuro. Nei grandi spazi industriali vengono ricavati un Centro Congressi, un Centro Esposizioni, un Auditorium, un grande Hotel, un Centro Servizi, Uffici Direzionali, un'area per lo shopping. All'esterno le grandi finestre e il ritmo dei pilastri che avevano caratterizzato lo stabilimento industriale rimangono uguali, come se niente fosse cambiato, ma all'interno le moderne tecnologie e le esigenze di un centro polifunzionale dalle grandi ambizioni sono le vere protagoniste: l'Auditorium ha una volumetria plasmabile, modificabile in funzione delle esigenze del contesto. Il Centro Esposizioni diventa in pochi anni uno dei più importanti di Italia: ospita la Fiera del Libro, il Salone del Gusto, il Salone dell'Auto. L'hotel Le Meridien, uno dei più eleganti della città, gioca intelligentemente con il passato dell'antico stabilimento; le vetrate delle finestre ad altezza di piano, elementi distintivi dell'antica fabbrica del Lingotto, sono rimaste inalterate, le sale interne portano nomi che riecheggiano le antiche officine: Sala Presse, Rampa, Fonderia... All'interno dell'hotel, in uno dei cortili dello stabilimento, una delle sorprese volute da Renzo Piano: il magnifico giardino tropicale. Così rigoglioso ed esuberante e così incredibilmente verde, con le sue piante provenienti da terre lontane, nel cuore di una Torino dall'inverno continentale. Al Giardino Tropicale si può arrivare anche attraverso i Portici, la lunga via dedicata allo shopping che unisce l'hotel al Centro Congressi; nella stessa zona trovano posto gli uffici direzionali di numerose aziende. E in questa zona, sopra la mitica pista di collaudo, c'è l'altra creazione di Renzo Piano, diventata il simbolo del nuovo Lingotto. è la "bolla", una esclusiva sala riunioni costruita in cristallo e acciaio che permette agli assistenti alle riunioni di godere di un panorama privilegiato e sontuoso: la corona delle Alpi e della collina di Torino tutt'intorno. La bolla ha una doppia funzione: il suo design e le tecniche costruttive fanno pensare alle spinte verso il futuro, la sua forma, semplice e naturale, è estremamente tranquillizzante.

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Il Complesso del Valentino
Parco del Valentino
Realizzato a metà Ottocento su progetto di Jean-Pierre Barillet-Deschamp, è uno dei primi parchi urbani italiani, vero polmone verde di Torino, con un'estensione di 550.000 mq dal Ponte Umberto I al Ponte Isabella. All'interno dell'area si trovano il Castello del Valentino, l'Orto botanico, il borgo medioevale e il Palazzo Torino Esposizioni. Lungo la sponda del Po corre una pista ciclabile e si trova uno degli imbarcaderi per le gite sul fiume.
Castello del Valentino
Costruito a partire dal XVI secolo, venne trasformato e ampliato, per volontà di Cristina di Francia, moglie di Vittorio Amedeo I, da Carlo e Amedeo di Castellamonte (1620-60): al gusto francese della madama reale si devono i tetti a falde inclinate. L'originario carattere di villa fluviale con affaccio sul Po fu in seguito alterato dallo sviluppo del fronte verso la città, con grande cortile d'onore chiuso su tre lati: in particolare furono rimaneggiati nel secolo XIX i due corpi laterali perpendicolari alla facciata, dotata di portico con loggia soprastante e affiancata da due torri quadrilatere. Decaduta a partire dalla morte di Cristina di Francia, la residenza ebbe successive destinazioni d'uso: scuola di veterinaria nel periodo francese, caserma nel 1824, scuola di applicazione per gli Ingegneri dal 1859, infine sede della facoltà di Architettura del Politecnico. è in corso un restauro complessivo. Le stanze al piano nobile conservano importanti decorazioni seicentesche ad affresco e a stucco dorato o bianco. A una prima fase decorativa (1633-38, 1642), affidata a Isidoro Bianchi e ai figli Pompeo e Francesco, sono da riferire il salone centrale e le stanze alla sua destra, costituenti l'appartamento di Moncalieri. Nel salone centrale le storie dinastiche filofrancesi dei duchi di Savoia sono un omaggio alla madama reale. La stanza Verde presenta sul soffitto il Ratto di Europa e apoteosi del toro e negli scomparti episodi mitologici. Seguono la stanza delle Rose, la stanza dello Zodiaco, con stucchi raffiguranti i segni dello Zodiaco e le Costellazioni, la stanza del Valentino o della Nascita dei fiori, con al centro del soffitto Flora, le Muse e il centauro Chirone cui Apollo in volo affida il Castello del Valentino, il piccolo Gabinetto dei fiori e la stanza dei Gigli, con ricchi stucchi e fregio con putti recanti gigli. A sinistra del salone centrale si sviluppa l'appartamento di Torino, la cui decorazione a stucco bianco spetta ad Alessandro Casella (1646-49), mentre gli affreschi furono affidati a Giovanni Paolo e Giovanni Antonio Recchi (1662). Si susseguono la Stanza della Guerra, i cui affreschi raffigurano episodi con eserciti e artiglierie nel fregio, la stanza delle Udienze o del Negozio, la stanza delle Magnificenze, con vedute torinesi e paesaggi affrescati nel fregio, la stanza della Caccia, con al centro del soffitto Diana cacciatrice e le ninfe, l'annesso Gabinetto delle Fatiche di Ercole e la stanza delle Feste.

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Borgo Medioevale
Sulla sponda del Po, costituisce un'attrattiva turistica del parco del Valentino. Costruito in occasione dell'Esposizione generale italiana del 1884, fu ideato da Alfredo D'Andrade, coadiuvato da un gruppo di artisti, storici e letterati. Il borgo riproduce una serie di tipologie medioevali, prendendo a modello i più noti edifici esistenti in Piemonte e in Valle d'Aosta; anche l'attività delle botteghe artigiane contribuisce a ricreare l'atmosfera del tempo. Vi si accede da Nord, passato il ponte levatoio, dalle porte della Torre di Oglianico; a sinistra è l'Albergo dei Pellegrini, davanti al quale sono una fontana e il forno. Lungo la strada si dispongono due case, imitazione di analoghe di Bussoleno, la Porta di Rivoli, la Casa di Alba, la Casa di Frossasco, la Torre d'Alba e la Casa di Cuorgnè. La chiesa si ispira a quelle di Verzuolo e Ciriè; la strada continua con le Case di Avigliana e di Chieri, il cortile di Avigliana, su cui si affacciano le case di Borgofranco d'Ivrea e di Malgrà, la Torre di Avigliana, le Case di Avigliana e di Pinerolo. Dopo le due Case di Mondovì è uno spiazzo dove è stata collocata nel 1927 la Fontana d'Issogne; lo chiudono l'Osteria di S. Giorgio (1927) e la Casa di Ozegna, con discesa verso il Po. Una salita con porticato, dove sono collocate alcune macchine da guerra medioevali, conduce al castello, con ponte smontabile. L'ingresso riproduce quello del Castello di Fénis; dall'atrio si passa nel cortile, con il corpo di guardia del Castello di Verrès; si accede quindi alla dispensa, alla cucina e alla sala da pranzo. Al piano superiore sono la sala baronale, con il ciclo pittorico dei prodi e delle eroine e della fontana della giovinezza del castello di Manta, la camera nuziale e la cappella.
Piazza Castello
La grande piazza quadrangolare è da sempre il fulcro storico e politico della città, per le vicende di cui fu teatro e per gli ampliamenti urbanistici che da qui partirono, con l'apertura delle odierne via Roma, via Po e via Pietro Micca. L'attuale aspetto di piazza Castello è frutto degli interventi degli architetti Ascanio Vitozzi (1587), che sistemò l'ala occidentale con edifici a portici, Amedeo di Castellamonte e Filippo Juvarra. Ospita al suo centro Palazzo Madama, il castello medioevale ricavato dalle vecchie porte romane e ristrutturato con l'aggiunta della imponente facciata settecentesca dello Juvarra. Vi si affacciano oltre ad importanti punti commerciali e amministrativi: il Palazzo Reale, il Teatro Regio, il Palazzo della Giunta Regionale, della Prefettura, delle Segreterie, l'Armeria e la Biblioteca Reale (contenente opere di Leonardo da Vinci) e in piazzetta Mollino, l'Archivio di Stato.

Torino: piazza San Carlo

Palazzo Reale
Iniziato nel 1646 dalla madama reale Cristina di Francia per sostituire il vecchio Palazzo del Vescovo, conserva intatta la facciata di Carlo Morello (1658). L'edificio, a pianta quadrata, con cortile interno, fu residenza dei re di Sardegna fino al 1859 e di Vittorio Emanuele II, re d'Italia, fino al 1865. Le decorazioni e gli arredi interni testimoniano il succedersi dei numerosi artisti che vi lavorarono dal XVII al XIX secolo. Salendo il monumentale scalone di Domenico Ferri, 1864-65, ornato da dipinti e statue ottocenteschi, con l'eccezione del monumento a Vittorio Amedeo I (Andrea Rivalta, 1619), si giunge al primo piano, dove ha inizio la visita. Nell'ampio salone degli Svizzeri, con fregio dei fratelli Antonio e Gian Francesco Fea (1558-1661) raffigurante i Fasti della stirpe sassone di Vitichindo, da cui discenderebbe casa Savoia, tela del soffitto di Carlo Bellosio (1842) e grande Emanuele Filiberto alla battaglia di San Quintino (1557) di Palma il Giovane, si dipartono la Galleria della Sacra Sindone, con accesso alla cappella, la Galleria delle Battaglie, la Scala delle Forbici, geniale creazione di Filippo Juvarra (1720) e la sequenza delle sale di rappresentanza. La prima è la Sala dei Corazzieri o delle Dignità, dove sono appesi due arazzi con Elementi, della manifattura di Beauvais (1695 c.). Seguono la Sala degli Staffieri o delle Virtù, rappresentate nel fregio e nella tela di Charles- Claude Dauphin al centro del soffitto intagliato e dorato, mentre alle pareti spiccano gli arazzi della serie di Don Chisciotte della manifattura di Gobelins (1746-47); la Sala dei Paggi o delle Vittorie, con tele e decorazioni del secolo XVII. Si passa nella sfarzosa Sala del Trono, con intagli dorati di epoche diverse, Allegoria della Pace (1662) di Jan Miel nella volta e bel pavimento intarsiato (Gabriele Capello, 1843). La Sala delle Udienze e quella del Consiglio conservano i soffitti seicenteschi, mentre gli arredi e le decorazioni si devono all'intervento di Pelagio Palagi, diretto da Carlo Alberto. Notevole il Gabinetto cinese, rivestito di lacche originali su progetto di Juvarra, con affresco di Claudio Francesco Beaumont (Giudizio di Paride, 1737). Passata la camera da letto di Carlo Alberto, con pala di Defendente Ferrari e il pregadio di Carlo Alberto, con preziosi intarsi di Luigi Prinotto (1732) e Pietro Piffetti, si giunge nella Sala della Colazione, con soffitto e fregio seicenteschi e bel parafuoco intagliato da Giuseppe Maria Bonzanigo, sulla quale si apre l'alcova ottagonale. La Galleria del Daniel, con la quale Carlo Emanuele Lanfranchi completò, sotto Vittorio Amedeo II, l'ala di levante, prende il nome da Daniel Seyter, che dipinse nella volta l'Apoteosi di Vittorio Amedeo II (1688-92). Seguono le stanze dell'appartamento della regina: la camera da letto, con soffitto del Seyter, la camera di Lavoro, il Gabinetto di toeletta, con due mobili del Piffetti (1731?33), il pregadio, la Sala delle Cameriste, la stanza della Macchina (dove arrivava un ascensore azionato a mano riservato alla regina) e la cappella privata della regina, decorata su disegno di Benedetto Alfieri (1739). Dal Gabinetto delle miniature, così detto dalla collezione di personaggi sabaudi miniati (secoli XVIII-XIX), si passa nella sala da pranzo, con arazzi della manifattura torinese, e nella Sala del Caffè, decorata su disegno di Lanfranchi (1685?90). Nella fastosa camera dell'Alcova, che conserva gli intagli dorati seicenteschi, è collocata una parte della collezione di Carlo Alberto di vasi giapponesi e cinesi (1750?1850). Seguono la sala del trono della regina, con ovali in marmo (1739) e nella volta Trionfo delle Grazie (secolo XVII), e la sala da ballo, con colonne di marmo bianco, realizzata, unendo due sale, dal Palagi, cui spetta l'Olimpo del soffitto. Al secondo piano sono altri appartamenti dei duchi di Savoia e dei duchi d'Aosta, con decorazioni e arredi dei secoli XVIII-XIX visibili in occasioni particolari. Al piano terreno è stato aperto al pubblico l'appartamento di madama Felicita, sorella di Vittorio Amedeo III, che vi abitò dal 1788.
Cattedrale
Dedicata a S. Giovanni Battista, patrono di Torino, è l'unico esempio di architettura rinascimentale della città. Venne innalzata nel 1491-98 per volontà del cardinale Domenico della Rovere, su progetto dell'architetto toscano Meo del Caprina. La facciata è in marmo bianco, con timpano e tre portali decorati da rilievi di Meo del Caprina e compagni, con battenti lignei di Carlo Maria Ugliengo (1712); dietro si profilano la modesta cupola ottagonale del Duomo e quella svettante della Cappella della Sacra Sindone. L'interno è a croce latina, a tre navate; nella controfacciata a destra entrando in una nicchia è la bella tomba di Anna de Crequy di scultore francese (metà secolo XVI), con cinque "pleurantes", mentre a sinistra sono alcune lastre tombali e il dipinto di Antonino Parentani raffigurante Angeli e santi patroni di Torino (1602). Nella prima cappella destra statua in terracotta della Madonna Grande (1460-70), nella seconda destra, dei Ss. Crispino e Crispiniano, polittico della Compagnia dei Calzolai di Giovanni Martino Spanzotti e Defendente Ferrari (1498-1504) e alle pareti le diciotto storie dei santi titolari, già nelle ante di chiusura del polittico. Nella terza cappella destra, pala di Bartolomeo Caravoglia (1655) e nella sesta affreschi con Miracoli e martirio dei Ss. Cosma e Damiano di Giovanni Andrea Casella (1660). Nel braccio destro del transetto è la cinquecentesca Cappella del Crocifisso, con altare di Ignazio e Filippo Collino (1787), ornato dal Crocifisso di Francesco Borello e da statue lignee di Stefano Maria Clemente; le statue marmoree di S. Cristina e S. Teresa di Pierre Legros (1715) provengono dalla chiesa di S. Cristina. Attraverso un portale ottocentesco si accede alla sagrestia, dove sono alcuni dipinti di scuola piemontese del XV secolo (Battesimo di Cristo di Spanzotti e Ferrari, 1508-11). Nel presbiterio sono degni di nota gli stalli del coro intagliati da Giuseppe Stroppiana (1742-44). Nel braccio sinistro del transetto è la tribuna reale scolpita da Ignazio Perucca (1775). Nella navata sinistra si segnalano nella quinta e nella quarta cappella i dipinti del Caravoglia e nella seconda la pala di Charles- Claude Dauphin Comunione mistica di S. Onorato. Due alti portali (14-15 m) ai lati del presbiterio danno l'accesso alle scalinate in marmo nero che salgono alla Cappella della Sacra Sindone, geniale opera di Guarino Guarini, iniziata nel 1668 e portata a termine nel 1694, dopo la sua morte. Di pianta circolare e rivestita di marmi neri, culmina nella luminosa cupola conica, tra le più alte creazioni barocche, a sei ordini di archi sovrapposti, con un traforo a stella nella parte terminale. Lungo le pareti spiccano i monumenti funebri innalzati da Carlo Alberto a quattro suoi antenati, mentre al centro della cappella è collocato il ricco altare di Antonio Bertola (1694), contenente la teca d'argento che racchiude la Sacra Sindone. La preziosa reliquia, che si ritiene il lenzuolo che avvolse il corpo di Cristo nel sepolcro, dopo vari passaggi divenne proprietà dei Savoia, che la custodirono a Chambéry fino al trasferimento della capitale del ducato a Torino.
Piazza S. Carlo
La più bella di Torino, già piazza d'arme e del mercato, conserva l'aspetto seicentesco di armoniosa uniformità conferitole dall'architetto regio Carlo di Castellamonte (1642-50). Al centro si erge il monumento equestre di Emanuele Filiberto, rappresentato da Carlo Marocchetti (1838) nell'atto di ringuainare la spada dopo la battaglia di San Quintino del 1557, una delle statue più significative del primo Ottocento. Il lato corto della piazza a Sud-Ovest è delimitato dalle facciate quasi gemelle delle chiese di S. Cristina e di S. Carlo. Numerosi palazzi nobiliari si affacciano su piazza S. Carlo, tra i quali va segnalato il Palazzo Solaro del Borgo, già Isnardi di Caraglio, dal 1839 sede dell'Accademia Filarmonica cui si è unito nel 1947 il Circolo del Whist. Parzialmente ricostruito nel '700 da Benedetto Alfieri e poi da Giovanni Battista Borra, conserva la magnifica decorazione settecentesca delle sale; il Salone per i concerti spetta a Giuseppe Maria Talucchi (1839-40). Degni di una sosta sono i tradizionali caffè S. Carlo, inaugurato nel 1842, e Torino e la pasticceria Fratelli Stratta, con gli arredi originali del 1836.
Palazzo Carignano
Una delle più originali costruzioni del Barocco, fu realizzato nel 1679-84 da Guarino Guarini su incarico del principe Emanuele Filiberto il Muto, figlio di Tommaso di Carignano. La facciata in cotto è ad andamento curvilineo, con il corpo centrale ellittico aggettante anche verso il cortile interno. Dal vestibolo due scaloni in curva portano al piano nobile, dove era il salone delle feste trasformato nel 1848 in aula del Parlamento subalpino. Il palazzo venne raddoppiato dal lato interno con la creazione dell'ala ottocentesca di Giuseppe Bollati su disegno di Gaetano Ferri (1864?71), con greve facciata verso la retrostante piazza Carlo Alberto. Questa, con monumento equestre a Carlo Alberto (Carlo Marocchetti, 1861), è delimitata sul lato opposto dalla facciata neoclassica delle ex scuderie del principe di Carignano, conglobata nel moderno edificio della Biblioteca Nazionale (1959-73). Palazzo Carignano, dove nacquero Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, fu sede del primo Parlamento subalpino e poi del primo Parlamento italiano, fino al trasferimento della capitale a Firenze (1865). Ospita il Museo nazionale del Risorgimento italiano, la Deputazione subalpina di Storia patria e la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte. Quest'ultima ha in programma l'apertura di un percorso museale attraverso le sale del piano terra che conservano la decorazione sei-settecentesca, cui attesero vari stuccatori e pittori, tra i quali Stefano Maria e Tommaso Legnani.
Gran Madre di Dio
Una scalinata affiancata dalle statue della Religione a destra e della Fede a sinistra (Carlo Chelli) porta al tempio neoclassico con pronao esastilo, eretto da Ferdinando Bonsignore nel 1821-31 per celebrare il ritorno del re Vittorio Emanuele I (20 maggio 1814). Nell'interno a pianta circolare sono collocate, partendo da destra, le statue di S. Maurizio, della beata Margherita di Savoia, del beato Amedeo di Savoia, di S. Giovanni Battista; all'altare maggiore Vergine col Bambino di Andrea Galassi, su quello a destra Crocifisso e su quello a sinistra Sacro Cuore di Gesù, entrambi di Edoardo Rubino. A sinistra della scalinata si scende nell'ossario dei caduti della guerra 1915-18.

I Musei di Torino

Museo Egizio
La storia del Museo Egizio di Torino inizia già nel XVII secolo con l'acquisto dei primi pezzi, oggetti di poco conto accanto ad altri invece di grande pregio (come la Mensa Isiaca, lastra in bronzo ageminata d'argento), cui si aggiunse in seguito un lotto della collezione Gonzaga. Nel 1722 l'Università di Torino riceveva da Vittorio Amedeo II le raccolte così formatesi, destinandole a nucleo iniziale di un Museo di Antichità. Essenziali ai fini delle future collezioni furono però le ricerche e i ritrovamenti di due personaggi quali Vitaliano Donati, professore di botanica all'Ateneo torinese, inviato in Egitto da Carlo Emanuele III nel 1753, e soprattutto Bernardino Drovetti, singolare figura di diplomatico (fu console generale di Francia in Egitto) ed archeologo appassionato. Durante i suoi viaggi mise insieme, in un'autentica caccia al tesoro svoltasi in Nubia, a Karnak e nella zona tebana, una preziosa collezione, acquistata alla sua morte da Carlo Felice (1824) per la somma, allora enorme, di 400.000 lire. Entrarono a far parte del Museo, ospitato nel maestoso Palazzo dell'Accademia delle Scienze, veri e propri capolavori tra cui la celebre statua in granito di Ramsete II, quella della dea Sekhmet, le sfingi in pietra dedicate ad Amenofi III, oltre a papiri (Libro dei Morti, lungo 19 m), sarcofaghi e mummie. Nel corso del XX secolo il Museo si è arricchito, grazie agli scavi di Ernesto Schiaparelli e Giulio Farina, di altre opere funerarie di notevole valore (tomba di Kha e Mirit, della XVIII dinastia), ampliandosi con ulteriori sezioni, l'ultima delle quali è il Tempio di Ellesija, donato dallo Stato egiziano.
Galleria Sabauda
Nel 1832 Carlo Alberto decise di esporre al pubblico 364 dipinti provenienti da Palazzo Reale e da altre residenze. La Reale Galleria fu donata allo Stato nel 1860 e trasferita nel 1865 nell'attuale sede. Il nucleo originario si accrebbe per donazioni, soprattutto di opere di maestri piemontesi, e per acquisti mirati a colmare le lacune nel settore degli italiani. Ai lavori di riordinamento delle sale compiuti alla fine dell'800 seguirono quelli più radicali di ristrutturazione del 1952-59. Il riallestimento in corso dell'intera Galleria ha riguardato per ora la sezione dei dipinti fiamminghi e olandesi e le collezioni dinastiche da Emanuele Filiberto a Carlo Felice. La visita inizia con il settore dei dipinti italiani. Nelle prime sale sono opere di scuola toscana: Beato Angelico, Madonna col Bambino; Antonio e Piero del Pollaiolo, L'arcangelo Raffaele e Tobiolo; Lorenzo di Credi, Madonna col Bambino; Franciabigio, Annunciazione; Filippino Lippi, I tre arcangeli e Tobiolo. Seguono le sale dedicate al Manierismo (Bronzino, Ritratto di gentildonna; Daniele da Volterra, S. Giovanni Battista decollato), alla scuola lombarda (Bergognone, Predicazione di S. Ambrogio, Consacrazione di S. Agostino) e alla scuola veneta (Giovanni Bellini, Madonna col Bambino; Schiavone, Madonna col Bambino; Giovanni Gerolamo Savoldo, Adorazione dei pastori). Nella sezione della scuola fiamminga figurano due capolavori: Jan van Eyck, Stimmate di S. Francesco, e Hans Memling, Passione di Cristo. Segue il settore dedicato alle collezioni del principe Eugenio di Savoia-Soissons e di pittura fiamminga e olandese, tra le più importanti esistenti in Italia. La quadreria del principe Eugenio, già al Belvedere di Vienna, venne acquistata da Carlo Emanuele III nel 1741. Tra i quadri di scuola italiana sono S. Giovanni Battista e Lucrezia di Guido Reni. Per i pittori fiamminghi e olandesi si segnalano: Paulus Potter, I quattro tori; Gerard Dou, Giovane olandese alla finestra, 1662; Frans van Mieris il Vecchio, Il suonatore di ghironda e Autoritratto, 1659; Anthonie Sallaert, Processione delle fanciulle del Sablon a Bruxelles, e ancora scene di David Teniers il Giovane, diverse opere di Jan Bruegel dei Velluti, paesaggi di Jan Griffier, nature morte di Jan Davidsz de Heem, Cornelis de Heem e Abraham Mignom Tra le acquisizioni di Carlo Emanuele III: Pieter Saenredam, Interno di S. Odulfo ad Assendelft; Salomon Koninck, Ritratto di un rabbino: tra quelle della Regia Pinacoteca il Ritratto di vecchio di Rembrandt van Rijn. Nella galleria le dieci Battaglie di Jan Huchtenburg rappresentano le imprese militari del principe Eugenio, effigiato nel ritratto equestre di Jacob van Schuppen. La sezione della pittura piemontese comprende una Madonna col Bambino di Barnaba da Modena, un prezioso trittico di Jacques Iverny e, per i piemontesi operanti tra XV e XVI secolo, opere di Giovanni Martino Spanzotti (Madonna col Bambino e santi), Defendente Ferrari, Giuseppe Giovenone il Vecchio, Gerolamo Giovenone, Macrino d'Alba, Pietro Grammorseo (Battesimo di Cristo, 1523). Tra i pittori piemontesi del '500: il caposcuola Gaudenzio Ferrari (Crocifissione) e Bernardino Lanino (Madonna col Bambino e santi, 1534).
Museo nazionale del Risorgimento italiano
Istituito nel 1878, fu trasferito nell'attuale sede nel 1935. In 27 sale del piano nobile del palazzo, illustra il processo di unificazione dalla battaglia di Torino del 1706 alla seconda guerra mondiale attraverso dipinti, statue, libri, documenti, stampe, fotografie, cimeli, armi, bandiere, divise. Nella settima sala sono esposti cimeli di Silvio Pellico, di cui è ricostruita la cella allo Spielberg con la porta autentica; nella tredicesima sala è allestita, con l'arredo originario, la stanza in cui Carlo Alberto morì a Oporto. Nell'ellittica aula del Parlamento subalpino, che ospitò la Camera dei Deputati del regno di Sardegna dal 1848 al 1860, coccarde tricolori contrassegnano i seggi di Garibaldi, Gioberti, D'Azeglio, Balbo e Cavour. Nella 20-21esima sala sono da ammirare le 108 tempere di Carlo Bossoli con scene della seconda guerra d'indipendenza. Nell'aula del Parlamento italiano (ventiseiesima sala), terminata nel 1871 dopo il trasferimento della capitale e perciò mai utilizzata, sono esposte 172 bandiere relative al movimento operaio. La visita si conclude con la Galleria della Resistenza (ventisettesima sala), dove sono conservati documenti inerenti l'antifascismo.
Museo nazionale dell'Automobile "Carlo Biscaretti di Ruffia"
Il museo è allestito nell'edificio costruito appositamente da Amedeo Albertini nel 1960 e che ripercorre la storia dell'autolocomozione dalle origini ai giorni nostri. Al piano terreno si può seguire l'evoluzione del pneumatico, al primo piano sono esposte le vetture ordinate cronologicamente e le carrozzerie e al secondo piano è stata allestita la sezione sportiva. I primordi dell'automobilismo sono illustrati da modelli di macchine con propulsione a vento e a vapore e da vetture di produzione italiana. Da segnalare la vettura a vapore Bordino, costruita a Torino nel 1854, il triciclo a vapore di Enrico Pecori (1891), la vettura Bernardi (1896), la vettura Fiat 1901 e la mitica Itala 1907, che vinse la gara Pechino-Parigi (1907, 16 000 km in 44 giorni); e ancora l'autotelaio Lancia "Lambda" (1923), il coupé de ville Isotta Fraschini 8A (1929) e la Cisitalia 202 (1948). Per la produzione estera, ben documentata, degne di nota la Ford T (1916) e la Rolls-Royce "Silver Ghost" (1914).

LA TRAGEDIA DI SUPERGA

Il 4 maggio 1949, di ritorno da una partita vittoriosa a Lisbona, l'aereo che riportava i calciatori del Torino in patria, causa forse principale le avverse condizioni atmosferiche, si schiantò contro la base del muraglione posteriore del complesso della Basilica. Morirono nella sciagura 31 persone: tutta la grande squadra granata (titolari e riserve) i sei accompagnatori e l'equipaggio.

LA FIAT

Sigla di Fabbrica Italiana Automobili Torino, società fondata nel 1899 da alcuni industriali, tra cui G. Agnelli. Avviata la fabbricazione in serie di autoveicoli, sviluppò notevolmente la sua capacità produttiva nel corso della prima guerra mondiale. Successivamente estese la produzione ai settori ferroviario, aeronautico e navale, alle macchine per l'edilizia e per l'agricoltura e anche ai settori elettronico e nucleare. In numerosi Paesi sono costruite o montate auto su licenza FIAT. è stata una delle prime aziende italiane a stipulare accordi con l'Unione Sovietica, che portarono alla costruzione dello stabilimento di Togliattigrad, e con la Polonia per la produzione della 126. Nel 1967 la FIAT ha incorporato l'Autobianchi e la OM; nel 1969 ha acquistato il capitale sociale della Lancia S.p.A. e una partecipazione del 50% nel capitale della Ferrari diventata maggioritaria nel 1988; nel 1971 ha acquistato l'Abarth. Nel 1986 ha acquistato dall'IRI, dopo un'aspra battaglia con la Ford, l'Alfa Romeo, confluita poi nella nuova società Alfa-Lancia. Dalla collaborazione FIAT-IRI è nata anche la Società Grandi Motori Trieste che ha visto concentrate le produzioni di grandi motori Diesel. Dal 1978 la FIAT è stata trasformata in una holding. Le società controllate e collegate, oltre un migliaio, operanti in circa 60 Paesi, sono organizzate in 15 settori di attività tra cui spicca quello degli autoveicoli, il cui costante sviluppo è stato scandito dalla progressiva incorporazione di altre società automobilistiche. Essa è stata presente, fino al 2003, nel settore aeronautico con la FIAT Avio. Attraverso l'Impresit (costituita nel 1929) FIAT ha partecipato alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali sia all'estero (dighe di Kariba nello Zimbabwe, di Akosombo nel Ghana, del Mantaro in Perù), sia in Italia, dove ha esteso il proprio impegno nel campo della salvaguardia ambientale e dei beni culturali. Ha preso parte al salvataggio dei templi di Abu Simbel e alla costruzione del ponte sul Paraná in Argentina. Nel 1989 dalla fusione di Impresit e Cogefar S.p.A. è nata la Cogefarimpresit. FIAT è inoltre presente nel campo assicurativo, mobiliare, alimentare e dei servizi finanziari. Possiede, infatti, partecipazioni rilevanti nella Galbani e nella Star, controlla la Rinascente e, attraverso Gemina, il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. Nel corso del 1994, sono stati messi a regime i nuovi stabilimenti di Melfi (Potenza) e di Pratola Serra (Avellino). Gli sforzi del gruppo in questi anni sono prevalentemente legati alla ricerca di una efficienza sui costi sia di prodotto sia di struttura e a una maggiore apertura ai mercati dell'America Latina. Nel 1995 è stata conclusa una joint venture con la statunitense Chrysler per la produzione di jeep. Nel 1997 la FIAT ferroviaria e la francese Lohr hanno firmato un accordo per lo sviluppo delle loro attività nel settore dei trasporti urbani. Nello stesso anno il 50% della Maserati, società già detenuta interamente dalla FIAT Auto, è stato trasferito alla Ferrari, anch'essa appartenente al gruppo FIAT Auto. Nel 1998 Iveco e Renault hanno costituito un gruppo per la produzione di autobus. Nel 1999 la FIAT S.p.A. ha tentato accordi con diverse società asiatiche e ha concluso una joint venture con la Mitsubishi, per la produzione di un nuovo fuoristrada da città. Nel 2000 è stato concluso un accordo di collaborazione con la General Motors per il settore auto, poi revocato nel 2005. Nel 2001, con la francese Electricité de France (EdF), ha lanciato con successo un'Offerta Pubblica di Acquisto (OPA) nei confronti del gruppo Montedison. Nel 2002 l'azienda si è trovata ad affrontare una grossa crisi produttiva, legata all'andamento del settore auto. Nel 2005 ha acquisito nuovamente la Maserati.

SACRA SINDONE

La Sacra Sindone è il lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo di Gesù dopo la crocifissione. Non si hanno notizie certe della sua presenza nel periodo precedente al Medioevo. Venne portato a Torino, dopo numerose peregrinazioni, dai cavalieri Templari quando venne perso il controllo della Terrasanta (uno dei primi documenti che ne fa menzione risale al 1389). Attualmente il "sacro lino" si trova nel Duomo di Torino, luogo nel quale venne portato dal 1578, dopo esser scampato all'incendio di Chambery e minuziosamente riparato dalle monache nei punti danneggiati. Ora viene custodito all'interno di una teca climatizzata e protetta. Periodicamente vengono organizzate le "ostensioni", durante le quali, per un periodo, la tela vene distesa ed esposta al pubblico all'interno del Duomo. Alcuni anni fa un incendio minacciò il telo, ma il contenitore venne prontamente portato in salvo dai Vigili del Fuoco e non subì danni. Innumerevoli equipes di studiosi e scienziati da tutto il mondo hanno effettuato ogni genere di saggi, ed una recente datazione al carbonio 14 ha fatto risalire il tessuto al XIV secolo; la Sindone pertanto non sarebbe originale, anche se rimane un simbolo importante per la fede cristiana.

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