IL PAESAGGIO ITALIANO, STORIA E TRASFORMAZIONI
Agli albori della storia
Gli
elementi fisici e geografici fin qui descritti della nostra penisola non sono
sufficienti per spiegare l'Italia di oggi, per capirla e conoscerla. Infatti il
paesaggio italiano, con la sua varietà di aspetti, è stato
lentamente modificato dall'opera dell'uomo, che abita il nostro territorio da
centinaia di migliaia di anni. I primi uomini si trovarono ad affrontare un
ambiente naturale talvolta inospitale, con boschi e paludi, ma anche
caratterizzato da un clima nel complesso temperato e quindi favorevole
all'insediamento umano. Inoltre la presenza del mare e la ricchezza delle coste
hanno indotto l'uomo a stanziarsi sul nostro territorio.
La prima
popolazione italica si dedicò all'agricoltura, dissodando terreni e
aprendosi un varco tra la vegetazione spontanea. In seguito si diffusero
l'allevamento e lo sfruttamento delle risorse minerarie esistenti. L'uomo
divenne così pastore e fabbro ed incominciò a essere artefice di
una vera e propria civiltà.
L'Italia preromana
Verso il 1.000 a.C. le popolazioni giunte in
Italia dall'Africa o dall'Oriente (via terra o attraverso il Mar Mediterraneo)
si stabilirono in diverse zone; ma fu soprattutto in tre aree che fiorirono vere
civiltà, che in seguito si sarebbero evolute, lasciando una profonda
traccia nella nostra storia.
Nell'Italia centrale e nella pianura emiliana
si insediarono gli Etruschi; nell'Italia meridionale e insulare si stabilirono i
Greci con le loro colonie, poi attaccati dai Fenici; nelle valli alpine e nella
Pianura Padana si stanziarono varie popolazioni poi soppiantate dai Romani. Gli
Etruschi giunsero forse dall'Oriente e crearono una civiltà molto
evoluta. Abili forgiatori di metalli e grandi architetti, non solo costruirono
città e necropoli con mirabile maestria (l'arco e la volta furono
introdotti da loro), ma si dedicarono anche ad opere di dissodamento e di
idraulica, strappando alla Maremma e alla pianura paludosa campi coltivabili. I
Greci crearono proprie colonie a partire dall'VIII secolo a.C. e si stanziarono
nell'Italia meridionale e in Sicilia. Napoli, Crotone, Locri, Siracusa,
Agrigento e molte altre città divennero floridi centri propulsori della
civiltà greca. Tutti i suoi elementi furono assimilati e trasmessi alle
generazioni successive: architettura, scultura, filosofia, tecniche navali ed
idrauliche ecc. I Greci introdussero inoltre piante e colture fino ad allora
sconosciute, come il grano, l'orzo e il miglio. I Fenici preferirono fondare
attivi porti nella parte occidentale della Sicilia e lungo le coste della
Sardegna. In quest'ultima isola, in seguito al loro arrivo, le popolazioni
indigene furono costrette a ritirarsi all'interno. In seguito anche il popolo
fenicio, così come gli altri abitatori della penisola italica, fu
costretto a sottomettersi alla potenza di Roma. Nella parte più
settentrionale del Paese, le valli più fertili e più facilmente
percorribili erano abitate da diverse popolazioni, come i Camuni nelle vallate
del Bergamasco, e i Liguri, nella parte della Padania più occidentale.
Altri popoli, come i Galli, i Cimbri e i Teutoni, si opposero alla successiva
conquista romana, ma la loro civiltà più arretrata dovette
soccombere e soggiacere ai nuovi conquistatori.
La conquista romana
Roma si affermò rapidamente come potenza in
grado di controllare non solo il territorio laziale, ma anche, a passi graduali,
tutto il restante territorio italico. Popolazioni come gli Etruschi, i Volsci, i
Sanniti furono presto sottomesse e anche l'indiscutibile primato marittimo dei
Cartaginesi (o Puni), dopo dure e lunghe guerre, fu alla fine vinto.
Roma
si trovò ad amministrare un immenso territorio, che necessitava di
collegamenti e di rifornimenti alimentari, oltre che di eserciti di difesa. Per
soddisfare questi bisogni i Romani fecero proprie le tecniche utilizzate dalle
popolazioni sottomesse e divennero abili costruttori di strade. All'epoca di
Augusto una fitta rete di comunicazioni permetteva di collegare la capitale alle
province. Queste strade dal nome famoso (via Aurelia, Appia, Cassia, Claudia,
Flaminia ed Emilia) furono un tracciato viario prezioso anche nei secoli
successivi, in cui l'assenza di un'amministrazione centrale generò
l'abbandono di ogni cura e manutenzione anche delle vie di comunicazione
più importanti.
Oltre alle strade, il paesaggio italico fu
trasformato dalla costruzione di acquedotti e canali e dalla fondazione di
centri commerciali e portuali. Alla caduta dell'Impero romano una fitta rete di
centri abitati piccoli e grandi costellava la nostra penisola. Questa ragnatela
urbana costituì il punto di partenza per la rinascita dopo il 1000.
I Romani inoltre proseguirono l'opera di bonifica e sfruttamento del suolo
coltivabile. Molte zone fertili furono dissodate: nell'Italia meridionale e
insulare vi erano estesi campi di cereali; in Emilia e nella Pianura Padana i
boschi cedevano il passo ai latifondi e ai pascoli. Tutte le risorse metallifere
esistenti vennero sfruttate impiegando degli schiavi, mentre nei cantieri il
legname veniva usato per la costruzione di navi e abitazioni. Occorre
sottolineare che senza il lavoro della manodopera sottoposta a schiavitù
probabilmente la civiltà romana non sarebbe mai esistita o comunque non
avrebbe lasciato tracce così importanti.
Con la decadenza
dell'Impero romano (V sec. d.C.) e la calata in Italia delle orde barbariche
molte terre coltivate furono abbandonate, le città vennero distrutte e
divennero semideserte e le opere idrauliche caddero in rovina. La palude
riguadagnò terreno a spese dei campi; si diffusero malattie ed epidemie
come la malaria. Roma, un tempo fastosa capitale della più grande potenza
del mondo allora conosciuto, passò da un milione di abitanti (all'epoca
d'Augusto) a 50.000 cittadini.
Modello tridimensionale di antica nave romana trireme
La rinascita dopo il Mille
Con la fine delle invasioni barbariche, lentamente
si delineò una ripresa: la popolazione italiana riprese a crescere, le
coltivazioni aumentarono e le attività economiche si riattivarono. Dopo
il Mille, l'invenzione di nuovi utensili e di nuovi attrezzi per lavorare
permise all'uomo di strappare nuovamente il suolo coltivabile al bosco e alla
palude. Nella Pianura Padana, grazie all'opera dei monaci dei diversi ordini
religiosi, ampie zone furono prosciugate e dissodate. Colture di cereali, risaie
e prati furono il frutto di una lunga opera di sistemazione e dello sviluppo
della rete dei canali d'irrigazione. In Sicilia gli Arabi introdussero
coltivazioni nuove, come il cotone, la canna da zucchero, lo zafferano, il
gelso, il riso, gli agrumi, il pistacchio e il carrubo. Queste si affiancarono
alle piante già precedentemente importate dall'Asia, come il pesco, il
susino e il ciliegio.
I porti costieri ripresero i fitti scambi commerciali
e la ricchezza delle repubbliche marinare di Genova, Pisa, Venezia ed Amalfi
divenne lo specchio della floridezza dei traffici marittimi. Attraverso i
contatti con l'Oriente vennero introdotte nuove varietà di olivo e vite,
che ben si adattavano al clima mediterraneo. Grazie alla maggiore varietà
dei prodotti e alle migliorie agricole, si ottennero produzioni più
redditizie.
L'alimentazione divenne più varia e meno povera, la
popolazione poté nutrirsi meglio e continuò a crescere, nonostante
i periodi di guerra e di pestilenza che si abbatterono sul nostro Paese. Alcune
città dell'Italia centro-settentrionale (come Milano e Firenze)
svilupparono i propri traffici anche in Europa e si qualificarono come centri
commerciali e finanziari di importanza internazionale. Fiere e mercati si
tennero ovunque ci fosse merce da vendere.
L'aumento della popolazione
generò un aumento della domanda di molti beni necessari: pane, carne,
latte, ma anche lana, cuoio ecc. Nacque anche un maggior bisogno di bestiame e
quindi crebbe la necessità di terre per pascolo e foraggio. La terra
divenne una fonte inesauribile di ricchezza, un bene prezioso che i feudatari e
i centri urbani si contendevano.
Una trasformazione lenta
La ripresa dopo l'anno 1000 non va interpretata
erroneamente: non significò un continuo e inesorabile progresso che
lentamente avrebbe trasformato il paesaggio agrario così com'è
oggi. In realtà si ebbero fasi di relativo benessere, in cui l'uomo
sembrava dominare la natura, alternate a periodi di carestia e di
povertà. Fino alla metà del '700 non si può parlare di
un'autentica rivoluzione agricola.
Infatti nei secoli precedenti,
nonostante l'estendersi delle terre coltivate, paludi e acquitrini erano ancora
molto diffusi. Ovunque signori e principi si preoccuparono di costruire canali,
creare argini per contenere i fiumi, bonificare i terreni paludosi e aumentare
la superficie del suolo coltivato. Ma, anche quando furono apportate migliorie,
spesso bastava un'alluvione o un inverno particolarmente inclemente per
distruggere quanto era stato faticosamente guadagnato.
Inoltre le guerre
combattute sul territorio italiano durante i secoli XVI e XVII portarono morte e
distruzione; l'Italia si trasformò in un enorme campo di battaglia ove si
scontravano le potenze straniere che miravano a sottometterla. In questo periodo
tormentato l'agricoltura e l'allevamento rimasero le attività principali;
il commercio praticato dalle città costiere andò incontro a una
fase di decadenza, poiché, dopo la scoperta dell'America (1492), l'asse
dei traffici internazionali si spostò sull'Atlantico. I centri più
attivi e floridi erano ancora quelli dell'Italia settentrionale, che mantennero
legami con le città europee; possedevano un'attività
manifatturiera e artigianale prestigiosa che in seguito si sarebbe trasformata
in industria.
Solo durante il Settecento si ebbero veri e significativi
progressi. Le nuove piante che erano state importate dall'America permisero una
maggiore varietà di colture; patate, mais e pomodori cominciarono a
sostituirsi ai prodotti tradizionali. Ma, oltre a ciò, migliorarono i
mezzi per la lavorazione del terreno e vennero utilizzati nuovi metodi, legati
alla rotazione delle colture, che consentirono una maggiore resa dei campi.
Tuttavia, dove vi erano problemi di irrigazione o dove il paesaggio era
più aspro e montuoso (come nel Meridione), rimasero dei rapporti di
produzione arcaici, fondati sul latifondo. Il proprietario non aveva convenienza
ad apportare migliorie troppo dispendiose e preferiva disinteressarsi della
terra e accontentarsi di poco. Quindi fino ai primi dell'Ottocento solo la
Pianura Padana e parte dell'Italia centrale furono interessate dalle principali
innovazioni importate da oltr'Alpe.
L'unità d'Italia
Quando fra il 1860 e il 1870 l'Italia fu
unificata, e quindi scomparvero gli Stati regionali a dominio straniero in cui
era stata divisa fino ad allora, poté finalmente aprirsi una prospettiva
di reale progresso. Soppresse le dogane tra regione e regione, costruite strade
e ferrovie (fino ad allora quasi del tutto inesistenti), creata una struttura
amministrativa unificata, il nuovo Stato poteva intervenire in un Paese reso
omogeneo. L'unità politica permise il decollo economico della parte
più ricca della penisola, ove furono create vere industrie.
Gli
italiani non erano più soltanto contadini, ma divennero anche operai
delle grandi fabbriche. Molti lasciarono la propria terra per cercare altrove un
lavoro sicuro, in Italia o anche all'estero (soprattutto nelle Americhe). Questo
fenomeno, detto emigrazione, acquistò notevole importanza alla fine
dell'Ottocento e nei primi del Novecento. Fino a questo periodo tuttavia
l'attività predominante rimase l'agricoltura.
L'affermazione della civiltà industriale
Nei primi decenni del Novecento la Pianura Padana
si presentava ricca di cotonifici, cantieri, lanifici, industrie metallurgiche e
molte altre fabbriche. I numerosi fiumi furono poi in grado di fornire
un'enorme, indispensabile ricchezza, utile a sviluppare ulteriormente
l'attività industriale: l'energia elettrica. Grazie ad essa, poté
nascere l'industria moderna, che comportò una drastica trasformazione del
paesaggio italiano. I centri agricoli cominciarono ad essere abbandonati, la
campagna ebbe sempre meno addetti, mentre le città che ospitavano le
industrie attirarono molta manodopera e si ingrandirono sempre
più.
Questo divario tra città e campagna si accentuò
nel secondo dopoguerra (dopo il 1945). L'industrializzazione fu stimolata dalla
concorrenza con gli altri Paesi europei, ma ancora nel 1950 quasi il 40% degli
italiani era dedito all'agricoltura. Inoltre era aperta la cosiddetta questione
meridionale, vale a dire il problema dell'arretratezza di gran parte del Sud.
Solo negli ultimi decenni questo divario è risultato meno
accentuato: le industrie sono arrivate ovunque e la popolazione agricola oggi si
è notevolmente ridotta. C'è ormai uno stretto rapporto tra questi
due settori economici: la campagna fornisce alla città i prodotti della
terra, mentre a sua volta la città produce macchinari e offre servizi
utili alla campagna.
Il paesaggio italiano ha quindi subito una radicale
trasformazione. La montagna e la collina sono state abbandonate, i borghi rurali
si sono ingranditi e le città hanno attirato moltissimi emigrati,
soprattutto quelle delle coste adriatiche e tirreniche e della Pianura Padana.
Questo processo, detto di urbanizzazione, cioè di progressiva espansione
della città, è proseguito a grandi passi fino agli anni Settanta.
Negli anni Ottanta e Novanta ha subito invece un rallentamento: la popolazione
tende infatti a decrescere (i morti sono cioè più numerosi dei
nati vivi), soprattutto nelle grandi città del Nord. Il lento ma
inesorabile riflusso dell'espansione economica degli anni Sessanta (il
cosiddetto "miracolo economico"), la diminuzione dei matrimoni, le modificate
condizioni lavorative e sociali hanno sicuramente contribuito a questa tendenza
demografica negativa, la quale rischia a sua volta di ostacolare lo sviluppo
futuro del Paese.
IL PAESAGGIO ITALIANO
Come abbiamo visto, il paesaggio naturale,
cioè quello formato dagli elementi geografici, è stato lentamente
trasformato dall'opera dell'uomo. Infatti col trascorrere dei secoli le
caratteristiche fisiche originarie del territorio italiano sono state modificate
dall'azione umana, che spesso è intervenuta per governare la natura o
utilizzarla a proprio vantaggio.
Ad esempio in quasi tutte le pianure del
nostro Paese vi è traccia delle opere di bonifica eseguite nel corso del
tempo: Pianura Padana, Maremma, Agro Romano, Tavoliere, Campidano e Lago del
Fucino sono le prove dell'arduo lavoro dell'uomo, che con l'aiuto dei mezzi
tecnici è riuscito a strappare terra fertile all'acqua. Un altro esempio
di come il paesaggio sia cambiato per l'intervento umano è dato dalla
costruzione dell'acquedotto pugliese, che ha permesso di irrigare zone prima
prevalentemente aride e povere d'acqua.
Si può quindi dire che oggi
il paesaggio italiano, pur conservando gli elementi geografici naturali,
è ormai un paesaggio fortemente umanizzato, tanto che non esistono
praticamente aree in cui non vi sia traccia di passaggio o mano umana. Non
bisogna poi dimenticare che ormai fanno parte del nostro paesaggio monumenti e
costruzioni edificate durante i secoli, vale a dire tutto ciò che
è stato opera dell'uomo stesso e che si è sovrapposto e integrato
con l'ambiente.
Tra i molteplici paesaggi della nostra penisola possiamo
distinguerne alcuni fondamentali: 1) alpino; 2) della Pianura Padana; 3)
appenninico; 4) costiero.
1)
Paesaggio alpino. Data l'altitudine
raggiunta dai monti, l'ambiente è caratterizzato da forti dislivelli. La
vegetazione è disposta su vari piani, a seconda dell'altitudine e delle
variazioni del clima. Nelle parti più elevate vi sono nevi e ghiacciai
perenni, mentre solo al di sotto dei 2.000 m alpeggi, chalets, malghe e boschi
prendono il posto delle rocce e delle pietraie. Le colture e le abitazioni sono
disposte lungo le fasce più basse e soleggiate.
2)
Paesaggio
padano. La Pianura Padana occupa un settimo del territorio nazionale e,
proprio per la sua vastità, presenta varietà di climi e di
paesaggi. Comunque è l'area in cui è più rilevante l'opera
dell'uomo, ovvero è il paesaggio più intensamente urbanizzato.
Città, impianti industriali, autostrade, ferrovie, aeroporti,
coltivazioni intensive dei campi: questi sono tutti segni tangibili
dell'intervento umano, che non sempre è stato favorito dalla natura.
Infatti le acque, anche se abbondanti, hanno dovuto essere incanalate e
governate. Nell'alta pianura, ove il suolo è più ciottoloso e meno
fertile, lo sforzo dell'uomo è riuscito a ottenere terreni coltivabili
portando l'acqua dai fiumi vicini. Invece più a sud, ove riaffiorano i
fontanili dei corsi d'acqua sotterranei, l'uomo ha provveduto a regimentare le
acque troppo abbondanti, creando una fitta rete di canali e sfruttandole per
marcite e risaie. Le acque così disciplinate non hanno più creato
danno. Grandi aziende agricole coprono l'estensione pianeggiante; le
coltivazioni di cereali, ortaggi e foraggi e l'allevamento del bestiame sono
tutt'uno con le industrie casearie e alimentari. È qui, nella Pianura
Padana, che si può vedere la maggiore integrazione tra economia agricola
e industriale. Questa è infatti l'area economicamente più ricca di
tutta la penisola.
3)
Paesaggio appenninico. È anch'esso
molto vario; si passa dalle colline toscane ricche di vegetazione, all'Appennino
Emiliano, Marchigiano e Abruzzese più povero di manto boschivo. Accanto
alle cime elevate dell'Abruzzo e della Calabria, abbiamo le montagne brulle o
povere di vegetazione del Lazio e della Campania. In generale il paesaggio
presenta rilievi più bassi, costituiti da materiali calcarei o argillosi;
i corsi d'acqua sono brevi e con portata idrica non elevata. Le zone più
montuose sono state soggette a una forte emigrazione verso la costa e verso i
centri più urbanizzati.
4)
Paesaggio costiero. Occorre
distinguere tra il litorale adriatico e quello tirrenico. La costa adriatica
è bassa e sabbiosa, abbastanza pianeggiante. È qui che sorgono
più numerosi gli insediamenti umani, con attività industriali,
portuali e turistiche. Alle spalle della fascia litoranea si ergono subito le
prime colline appenniniche. Il litorale tirrenico è invece più
alto e roccioso. Insenature e golfi sono stati sfruttati dall'uomo e i centri
abitati si allineano numerosi lungo la costa. A ridosso della spiaggia, spesso
breve e ciottolosa, si innalza brusca la montagna, che col suo manto verde
contrasta con l'azzurro del mare. Verso sud, ove la roccia cade a picco sul
mare, i centri abitati sono situati più all'interno, posti sulle alture
circostanti. Tutto il paesaggio costiero è caratterizzato da un clima
mite e ventilato, con escursioni termiche non elevate. Soprattutto a partire
dagli ultimi decenni una grandissima parte del litorale della nostra penisola si
presenta urbanizzato e talvolta molto modificato dall'intervento
umano.