«Vendere l'immagine: sponsorizzazione e industria» di Maurizio Ferrari


La prima considerazione è che troppo spesso il rapporto tra industria e sponsorizzazione diventa un fatto meramente commerciale. Cioè, noi siamo uomini d'industria e quindi non vogliamo negare l'evidenza dei bilanci, non vogliamo certo negare quello che io qui posso dire con molta chiarezza, anche una logica del profitto. In altre circostanze avrei parlato di accumulazione, perché il profitto ormai è una di quelle parole vietate in certi ambienti. Però noi pensiamo che questa logica, dell'accumulazione o del profitto, possa essere realizzata anche attraverso una diversa impostazione dei rapporti fra industria e le altre parti sociali. E' soprattutto in questo discorso che noi siamo un pochettino critici verso certe forme di esasperazione delle sponsorizzazioni, che qui non vogliamo negare a parole, perché poi magari come industriali, come imprenditori le facciamo a fatti, però certamente dobbiamo avere il coraggio di farci un'autocritica generale, noi ovviamente rappresentiamo una componente della Confederazione dell'industria, poi, quindi, a titolo individuale i vari imprenditori possono comportarsi in un certo modo, ma il quadro di riferimento noi crediamo che debba essere diverso e debba mutare rispetto a quello attuale. Cioè, a noi non sta bene, per essere molto chiari, che il bambino di 12-14 anni o l'atleta di gran fama sia considerato unicamente uno strumento - consentitemi il termine, che qui posso dire, perché penso di parlare anche tra amici - di speculazione spicciola. Riteniamo che si possa fare un discorso molto ampio, molto significativo, dove possono convergere anche gli interessi che in questo caso noi riteniamo siano convergenti delle diverse parti, ma evidentemente bisogna anche stare attenti a non andare oltre a quello che è l'impegno e quello che è il rapporto. La seconda cosa. Mi pare che questo tipo di impegno dell'industria verso lo sport, che poi è un impegno che qui dobbiamo avere il coraggio di dirci, è ritardato nel nostro Paese rispetto ad altre realtà, che non sono realtà diverse dalla struttura socio-politica del nostro Paese: parlo degli Stati Uniti, parlo della Germania, parlo della Francia, parlo dei Paesi della Comunità Europea o dell'area occidentale, verso i quali noi abbiamo dei ritardi tradizionalmente, da colmare. Terziario improduttivo Dicevo che questo tipo di rapporto, questo tipo di impegno che l'industria qui rivendica in un nuovo assetto di rapporti sociali, che tengono conto anche della componente sport, deve però trovare una diversa dimensione e cioè deve trovare una dimensione che premi la professionalità, che premi l'organizzazione, che eviti tante forme di intermediazione che certamente non sono all'altezza dei tempi, delle necessità e soprattutto in termini di proiezione futura. Mi ricollego ancora, per un attimo, a certe conclusioni di questo convegno dell'occupazione, così importante, perché ha trovato poi la presenza di sei Ministri, per dire cosa? Per dire una cosa molto semplice: che l'occupazione negli anni '80 va tendenzialmente, inevitabilmente ad indirizzarsi verso il settore del terziario, però noi riteniamo che in questo discorso si debbano evitare con la massima attenzione le forme di terziario improduttivo e quindi qui sottolineo invece l'esigenza, così come noi lo facciamo in altre circostanze, in altre sedi, che il terziario debba anche significare un apporto in termini specialistici, in termini di professionalità, all'industria, attaverso, per esempio, le società di progettazione, attraverso quella che comunemente è chiamata l'ingegneria industriale, ecc., ecc. anche di certi aspetti della professionalità e quindi penso che paradossalmente, detto da un industriale, detto da chi rappresenta la Confederazione, si possano vedere in questo sviluppo di rapporti anche nuove forme d'occupazione, cioè la nascita di agenzie specializzate, di settori di lavoro specializzati, a questo tipo di intermediazione. Ultima considerazione, prima di arrivare alle riflessioni e poi di giungere ad una discussione che consenta alcuni spunti di dibattito, è quella riferita alle federazioni sportive, al mondo sportivo in senso lato. Io qui sono la cattiva coscienza di me stesso, lo devo confessare, perchè sono anche dirigente nazionale di una Federazione sportiva, per altro molto piccola, dove certamente il rapporto fra industria e sport, industria e Federazioni sportive, che sono la forma istituzionale, rappresentativa, organica dello sport, debbono essere diversi e quindi anche le Federazioni sportive dovranno fare la loro parte, dovranno compiere quel po' di aggiornamento culturale, di ammodernamento delle proprie strutture, di adattamento anche delle mentalità a questo aspetto, perché chiaramente bisogna uscire da questo rapporto talvolta malinteso e talvolta raccolto in una sorta di mecenatismo che, può esistere, certo, non ai livelli nazionali; può esistere ai livelli locali, ai livelli di quartiere, ma certamente non a livello nazionale. Queste erano le due considerazioni che volevo fare e vorrei venire invece alle tre riflessioni e dire che cosa noi, giovani industriali, stiamo facendo nell'ambito delle competenze, del ruolo che ci è proprio e nell'ambito anche di una struttura, che è quella confederale dove certamente questo problema dello sport, soprattutto in tempi di emergenza, va classificato tra i non primari. Diciamo con fierezza che, innanzitutto, noi abbiamo fatto uno sforzo di recupero, perché una delle prime azioni della Presidenza Carli è stata quella di cancellare la parola «sport» dagli ambiti e dagli impegni della Confindustria. Partendo da una considerazione che non è contestabile, se non per la miopia che la contraddistingue, e cioè «occupiamoci di poche cose per occuparcene bene». Bene, io credo che il mondo imprenditoriale, se vuol essere una componente presente nella società civile, debba essere presente complessivamente, non possa fare delle scelte; non si può dire «facciamo questa cosa, non facciamo quell'altra». Le domande delle società esistono e allora uno o dà le risposte, oppure, chiaramente, non fa la propria parte. Recentemente, parlo di alcuni mesi fa, attraverso una azione ponderosa e anche politicamente faticosa, siamo riusciti a rimettere in piedi una Commissione sportiva delle aziende industriali, nell'ambito della Confindustria, che avrà un doppio ruolo: il primo, della rappresentanza della Confederazione nei confronti del mondo sportivo organizzato e quindi del CONI, delle Federazioni, in sede territoriale, probabilmente anche delle società sportive organizzate. La seconda, di coordinamento anche legislativo, dei Circoli sportivi che la legge di trasferimento, di scioglimento degli Enti inutili e quindi di trasferimento delle competenze alle Regioni, la famosa 382, sciogliendo l'ENAL ha di fatto vanificato la presenza dei Circoli sportivi delle aziende industriali nel tessuto sportivo e quindi parliamo di migliaia di piccole società che svolgono un'attività certamente importante a favore dei dipendenti. In ciò, recuperando anche un grosso spazio politico, perché uno degli aspetti più negativi di questo rapporto tra industria e sport è nato negli anni '70 in concomitanza con l'aggressione del sindacato all'azienda e quindi con l'estromissione da parte del sindacato, nell'ambito di un rapporto di forza che a quell'epoca tutti conoscono come si svolgeva e quindi un abbandono da parte dell'industria di tutte le attività sportive. Noi viviamo nell'area milanese, ricordiamoci che cosa ha significato per lo sport una Pirelli, una SNIA, una stessa Redaelli, quindi attrezzature, organizzazione, sostegno all'attività sportiva e, se vogliamo, una presponsorizzazione, in altri termini, che certamente ha avuto un ruolo importante di canalizzazione del fenomeno sportivo nelle masse, soprattutto nelle masse meno abbienti. Quindi questo recupero noi lo riteniamo fondamentale, perché è lo strumento attraverso il quale si può fare una politica attiva all'interno delle associazioni e svolgere quindi un ruolo attivo nei confronti dello sport. Dicevo prima - che questa è la seconda riflessione - che esiste una sola FIAT e quindi sarebbe illusorio tagliare su altre realtà industriali e politiche degli abiti che certamente risulterebbero impropri, però io credo che ci sia una strada per non lasciare che l'esempio della FIAT e quando dico esempio FIAT intendo l'immagine dell'azienda proiettata nella società, attraverso anche gli accordi con le forze politiche, in una realtà, per esempio, come quella di Torino, politicamente molto contraria all'industria, ma anche l'impegno della FIAT nei nuovi insediamenti industriali, per esempio tutto il discorso degli impianti sportivi che si sta facendo attorno allo stabilimento di Cassino, cio in un'area territorialmente deserta, dove poi spesso questi politici che arricciano il naso a queste iniziative dimenticano poi qual è il loro dovere, noi parliamo addirittura dell'area di Cassino che certamente è stata privilegiata, almeno nell'ultimo trentennio, attraverso la sponsorizzazione dell'On.le Andreotti. Quindi riteniamo che questo discorso possa anche essere recuperato attraverso i consorzi delle piccole e medie industrie, collegate nell'ambito delle associazioni territoriali e dove quindi ad una dimensione d'offerta che la singola industria certamente non potrebbe fare per carenza di possibilità finanziarie di investimento e, se vogliamo, anche per carenza di visione del singolo imprenditore, possano sostituirsi questi Consorzi che potrebbero certamente, soprattutto nelle realtà delle province meno importanti, come ad esempio Milano, Genova, Torino, ecc., ecc., ma in province particolari, avere un ruolo importante da svolgere. La terza ed ultima riflessione è quella relativa ad un lavoro estremamente importante che un gruppo nostro di lavoro sta facendo, per dotare l'intervento dell'industria nello sport, e quindi certamente di facilitarlo, di un quadro legislativo diverso da quello attuale. Vi sono cioè dei nodi importanti da sciogliere: va considerato in termini di bilancio per esempio, l'intervento, la spesa dell'industria nei confronti dello sport. Ci sono dei problemi di interpretazione, capziosa, se vogliamo, ma certamente ostativi di un rapporto più sciolto, più snello, per i problemi dell'IVA per esempio. C'è poi tutto un discorso relativamente agli atleti, alle Federazioni, in quel discorso di rapporto di lavoro anche, per esempio, di tutta la normativa del collocamento, dove oggi, per esempio - e qui non voglio anticipare le conclusioni che saranno rese pubbliche quando avremo realizzato una aggregazione politica sufficiente a portare avanti questo nostro discorso - che di fatto portano l'atleta di interesse nazionale ad essere un professionista o un semi-professionista, perché non trova nelle società, nel mondo dei lavoro, le condizioni necessarie per svolgere un certo tipo di attività senza diventare il fenomeno da baraccone, oppure senza diventare il professionista che poi chiede sottobanco, ecc., ecc. Ecco, noi vogliamo invece che lo sport, per quello che deve significare in quel rapporto fra industria e società, possa avere i suoi titoli di nobiltà al pari di altre cose, al pari... non so, qui siamo in un Paese dove le industrie hanno carichi per attività sindacale, spaventosi; hanno carichi per la formazione professionale altrettanto spaventosi; alle industrie è stato fatto carico anche di un problema di scuola dell'obbligo, con i famosi accordi delle 150 ore che hanno consentito ai lavoratori di acquisire il diploma della scuola media inferiore, quindi della scuola dell'obbligo. Quindi, se tutte queste cose sono vere e l'industria è spesso presa come un limone da spremere per delle finalità sociali e politiche, che tante volte non sono proprie, noi riteniamo che ci possa anche essere uno spazio di intervento in questo discorso. Quindi, nei prossimi mesi il nostro gruppo si farà carico di questa proposta, attraverso evidentemente un quadro politico di riferimento che consenta un determinato successo a questa nostra iniziativa per modificare questo quadro che certamente consentirà un più facile e serio approccio all'intervento dell'industria nello sport. Ecco, così, molto brevemente, queste erano le considerazioni, le riflessioni e, se vogliamo, anche la premessa importante che ho voluto fare per introdurre il dibattito. Vorrei concludere dicendo semplicemente una cosa: non ci si deve fare illusioni che l'intervento dell'industria nello sport sia un cammino in discesa, certamente è un cammino in salita, che trova opposizioni di natura diversa, di ordine politico, di ordine anche sindacale e anche all'interno della struttura imprenditoriale in senso lato, perché vi sono anche dei ritardi in termini culturali dell'imprenditore italiano che debbono essere recuperati. Però io credo che questa sia una battaglia che vale la pena di combattere, soprattutto noi giovani che all'interno della Confederazione abbiamo un pochettino il ruolo, a seconda dei casi, dei rompiscatole o delle avanguardie, ma certamente riteniamo che questo discorso sia un discorso importante, di domanda della società, alla quale occorre dare una risposta, perché certamente, se non si dà una risposta, la domanda rimane, è elusa e crea, se vogliamo, tensioni e conflitti sociali e alla quale noi certamente dedicheremo il nostro impegno, certi e convinti che queste battaglie si vincono, certo, con le capacità propositive, con l'innovazione, ma anche e soprattutto con la perseveranza (da «Sponsor-sport»).

 

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