«Sponsor e tennis» di Fausto Gardini


Qui vorrei parlare di tennis, forse perché è il campo che più da vicino ho vissuto e poi ho seguito, per dire che anche nel tennis, se nel 1968 non avesse avuto luogo in un brevissimo lasso di tempo una rivoluzione con l'entrata degli sponsor, sia per sponsorizzare i tornei che per sponsorizzare gli atleti, il tennis sarebbe andato inevitabilmente calando, perché avveniva che i giocatori praticamente non guadagnavano una lira e i migliori quattro ogni anno venivano fagocitati dalla troupe che era chiamata la troupe Kramer, quattro giocatori bravissimi ma che facevano delle esibizioni un po' squallide, cioè erano sempre loro quattro che giravano ii mondo, erano delle esibizioni e voi sapete meglio di me che quando nelle esibizioni manca veramente la voglia di vincere, un grosso traguardo da raggiungere, come può essere la Coppa Davis, Wimbledon, Forrest Hill ecc. naturalmente l'interesse viene a cadere. Nel 1968 per fortuna per il tennis si è avuta questa rivoluzione e siamo entrati nella piena era della sponsorizzazione. Quindi vediamo come secondo me - questo infatti è un punto di vista personale - si dovrebbe, per rimanere in tema, comportare un atleta sponsorizzato. Qui evidentemente prima di tutto ci saranno dei contratti. Io purtroppo non li ho mai visti, non ho mai avuto modo di farne, ci saranno dei contratti ferrei. So per esempio di un nostro campione che per avere dimenticato di scrivere il nome della fabbrica delle racchette sulle corde, in Coppa Davis, è stato in causa per centinaia di milioni con questa ditta. Quindi vedete che le clausole sono ferree. Ma io vorrei andare al di là a un certo momento dei contratti ferrei e vedere come, secondo me, si dovrebbe comportare ancora di più l'atleta e non seguire solo un contratto rigido. Io vorrei parlare dei miei esempi, una sponsorizzazione dilettantistica come poteva essere la mia, però come mi sono comportato io e come penso mi sarei comportato a maggior ragione oggi, dove avrei avuto non parlo certo dei miliardi di Borg, ma sicuramente almeno centinaia di milioni. Ad esempio, io mi ricordo che dopo un'interruzione di cinque anni che avevo fatto appunto perché si guadagnava poco e mi ero messo a lavorare, avendo cambiato lavoro andai da Giovanni Borghi. Allora Borghi era praticamente il patron assoluto della sponsorizzazione. Si può quasi dire che fu lui, insieme a Fiorenzo Magni per il ciclismo, che inventò queste sponsorizzazioni. Borghi aveva tutto: il pugilato, il canottaggio, il ciclismo, il basket, e la Federazione Italiana Tennis, per salvare Pietrangeli dal professionismo, perché era stato invitato appunto dalla troupe Kramer ad andare a fare queste esibizioni, si presentò da Borghi, il presidente della Federazione di allora e disse: senta commendatore, lei praticamente ha quasi tutte le squadre, non potrebbe fare anche quella del tennis? A Borghi sinceramente il tennis non piaceva per due cose: uno, perché lui era portato per il basket e per il ciclismo, il basket perché veramente lo amava, il ciclismo perché gli piaceva che Poblet, quando vinceva la Milano-San Remo, le prime parole che diceva quando saliva sul podio erano: saluto il Comm. Borghi, e lui era tutto felice, oppure si prendeva 20-25 giorni di vacanza e andava a seguire sull'ammiraglia della Ignis il giro d'Italia. Comunque Borghi accettò di buon grado, anche se una sponsorizzazione per la Ignis nel campo dei tennis non era molto producente, perché il campionato italiano a squadre di tennis si svolgeva praticamente in due giornate a fine ottobre e quindi non era come la squadra di pallacanestro che giocava praticamente tutte le domeniche con il nome di Ignis. Nel tennis c'era poco. Io mi presentai da lui e gli dissi: senta commendatore, ho cambiato lavoro, vorrei venire a giocare alla Ignis, e la sua famosa frase, che poi il Guerrin Sportivo riportava sempre, «quanto el custa?» mi disse in milanese, «quanto te vörret per vegni a giugà?». E io gli dissi, io non voglio soldi, voglio lavoro. Ricorderò sempre la faccia di Borghi, perché rimase completamente sbalordito, forse era la prima volta che un atleta non gli chiedeva soldi ma gli chiedeva lavoro. Io sono entrato in una agenzia di pubblicità, lei cominci a fare pubblicità - perché allora spendeva quasi tutto in abbinamenti o sponsorizzazioni - e se lei mi dà da lavorare io vengo ben volentieri. Rimase un po' allibito, mi disse: adesso vado a fare un riposino, torno alle 4 e ti darò una risposta. La risposta fu affermativa e io cercai in tutti i modi di vedere come, anche se in fondo lavoravo, non prendevo dei soldi da lui, ma come potevo ripagarlo di questo gesto, di questa fiducia che in fondo mi dava dopo cinque anni che non giocavo più. Ripeto era molto difficile, noi avevamo le magliette, eravamo ancora dilettanti, quindi non potevamo portare dei marchi pubblicitari e mi venne un'idea. C'era una Coppa Davis, a Brescia, Italia-Ungheria, c'era un sole tremendo e io cosa feci? Mi feci dare dalla Ignis dei berrettini da ciclista, e a un certo punto quando vidi che era cominciata la ripresa televisiva, al cambio del campo tirai fuori questo berrettino alzai la visiera con su Ignis, che veniva così distribuita in tutta Italia dalla ripresa televisiva. Il povero Bellani, telecronista di allora, a un certo punto a un cambio di campo mi disse: guarda che tu devi levare questo berrettino altrimenti la televisione interrompe la trasmissione. Era anche un match duro, quindi dovetti a un certo punto deconcentrarmi e trattare questa cosa della pubblicità, gli dissi: non vedo perché la televisione non interrompe da Sanremo se Poblet ha vinto e ha su Ignis e invece deve interrompere se Gardini ha su Ignis. Se è un fatto dilettantistico il problema non riguarderà la televisione, ma riguarderà l'atleta Gardini con la sua Federazione che alla fine dell'incontro se mai gli potrà dire: tu non potevi portare una scritta pubblicitaria. Mi pare che il problema continui tuttora, cioè che ci sia una discriminazione. A questo punto si vede che Bellani ne parlò e la trasmissione andò avanti e Borghi di questo fu molto contento. Perché ho citato questo esempio e forse ne citerò degli altri? Perché parlando di atleti sponsorizzati, io penso che come ho detto anche prima, al di là del contratto ognuno deve cercare, secondo il mio punto di vista, forse di dare - qui dipende anche dall'anima di ognuno - il più che è possibile, anche andare oltre il contratto. Per esempio io in quel periodo, sempre per lavoro, facevo la pubblicità per la Coca Cola e allora la Coca Cola aveva le ghiacciaie sui campi di Coppa Davis. Io ero uno che non beveva mai durante i cambi di campo, ma siccome sapevo che la ripresa televisiva batteva ovviamente durante l'intervallo sulle ghiacciaie, ogni volta aprivo vistosamente la ghiacciaia dove c'era una grossa scritta Coca Cola, che veniva ripresa, levavo una bottiglietta e facevo finta di bere, poi la sputavo fuori tipo i pugili all'angolo. Tanto è vero che un giornalista, in una partita che non giocai molto bene, scrisse, anzi si vedeva anche la foto mentre a canna bevevo della Coca Cola, scrisse: la riprova che Gardini ieri non era in forma è anche data dal fatto che a ogni cambio di campo, lui che di solito non beve, beveva continuamente. Certo non andai a smentirlo! Un'altra cosa, le racchette. Abbiamo detto che solo per Europa e Giappone Borg prende 240 milioni. Provate a seguire Borg come l'ho seguito io. Prima l'ho visto dal vero, poi sono andato a casa dopo il primo incontro e aprendo la televisione l'ho potuto rivedere e ho notato una cosa che mi ha un pochino choccato. Prima devo dire che cosa facevo io con le racchette, poi che cosa ha fatto lui. In pratica la racchetta, che è l'arma principale del tennista, quella che puoi far vedere di più, perché un paio di scarpe si possono far vedere un po' meno, la maglietta sì, però molte volte il marchio non si nota, invece la racchetta è grande, a un certo punto venne l'idea di mettere le fodere sulla racchetta con il nome della marca e quando io entravo in campo o scendevo da un aereo, sapevo che c'erano i giornalisti che aspettavano, o sul bordo del campo quando ci si cambiava, piazzavo sempre due o tre racchette con sù la fodera con ben in vista il marchio della racchetta, che in fondo era la «Maxima» e non prendevo niente. Tanto per dirvi che cosa ci davano allora le racchette, a Pietrangeli nel primo anno che giocò la Coppa Davis, doveva pagare, se non restituiva i dieci fusti a fine anno, doveva pagare 3000 lire ogni fusto non restituito. Per dirvi dove eravamo. Eppure io, che almeno non dovevo pagare i fusti, però cercavo in tutti i modi di far vedere il marchio della racchetta. Quello che invece ho notato in Borg, sia dal vivo e poi riguardandolo meglio in televisione, è che Borg è entrato con le racchette nude e quindi sia le 10.000 persone presenti, sia tutti quelli che erano alla televisione, praticamente il marchio della racchetta non l'avevano visto. Secondo me, pensate alla Doney, che pubblicità avrebbe avuto se Borg fosse entrato con le racchette coperte. Cosa deve fare a un certo momento la Doney per pubblicizzare che Borg gioca con la sua racchetta? Deve spendere altri soldi sui mass media e se come pubblicitario mi fa piacere, però parlando come atleta sponsorizzato io penso che se Borg - porto questo esempio, ma ci possono essere altri giocatori in altri campi - cercasse di far vedere il più possibile tutte le cose che usa e per le quali è abbondantemente pagato, probabilmente farebbe risparmiare alle aziende una spesa supplementare. Non parliamo poi di quello che avvenne tre anni fa al Foro Italico, forse quattro anni fa, quando una ditta uscì ex-novo con delle racchette, prese un grosso giocatore e questo giocatore alla fine di una partita persa, arrabbiato, spaccò la racchetta e il Corriere della Sera il giorno dopo uscì su 6 colonne dicendo: il giocatore X spezza la racchetta colpevole della sua sconfitta - con il bel risultato che una settimana dopo le vendite di quella racchetta erano completamente bloccate (da «Sponsor-sport» del 1979).

 

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