«Che cosa ha significato lo sport per me» di Clay Regazzoni
Sono sempre stato fondamentalmente sportivo. Ho sempre ammirato coloro che hanno dedicato tempo, passione e impegno allo sport attivo, tanto che già da ragazzo seguivo con attenzione le gesta dei corridori ciclisti, dei piloti e soprattutto dei giocatori di calcio. Confesso che lo sport mi ha dato molto. Innanzitutto mi ha permesso di realizzare i miei desideri sportivi. Con lo sport ho anche potuto girare gran parte del mondo conoscendo gente nuova, mentalità diverse dalla nostra, proponendomi contatti umani che sono sicuramente un arricchimento interiore. Da ragazzo lavoravo nella carrozzeria di mio padre a Mendrisio, una ditta che opera tutt'ora sotto la diligente guida di mio fratello Reno. Il mestiere di carrozziere era sicuramente interessante, tanto più che io mi occupavo di lavori di selleria dedicandomi anche alla ricostruzione di vecchie automobili d'epoca ed è quindi comprensibile che, lavorando costantemente sulle automobili, mi venisse il pallino di modificarne una per poter effettuare qualche gara in salita o qualche competizione di Campionato svizzero. Fu proprio così che mi misi a «trabicolare» una Austin Sprite con la quale inizia timidamente il mio cammino verso le competizioni vere e proprie. Non mi aspettavo certo di poter un giorno entrare a far parte delle grandi scuderie di Formula 1 e lo sport automobilistico era unicamente uno svago e un diversivo domenicale portato avanti con grandi sacrifici finanziari in quanto lo stipendio passatomi da mio padre non era a quel tempo molto sostanzioso. Tra un sacrificio e l'altro sono così riuscito a tirare avanti per un paio di anni con le gare sezionali sempre al volante di qualche vettura da turismo fintanto che un giorno entrai in contatto con la scuderia Martinelli e Sonvico per il tramite del compianto amico Silvio Moser. Fu proprio con il signor Sonvico che mi fu data l'occasione di passare su una formula junior, una monoposto che a suo tempo aveva un motore di 1100 cc. Dopo qualche gara portata a termine con saltuaria fortuna entrai in contatto, sempre attraverso la scuderia Martinelli e Sonvico, con il tecnico bolognese Luciano Pederzani che intendeva costruire una monoposto di Formula 3 sulla base dell'esperienza da lui acquisita nella costruzione dei kart Tecno. Pederzani cercava un pilota collaudatore che si desse da fare seriamente per poter far marciare queste monoposto sul cui risultato nessuno poteva minimamente contare. Così iniziai la spola tra Lugano e Bologna per portare avanti il programma Formula 3. Dalla Formula 3 si passò alla Formula 2 e cogliemmo anche il pieno successo con la vittoria del Campionato europeo di Formula 2 nel 1970. Poi il destino. La fatalità e una serie di fortunate coincidenze mi portarono anche a diretto contatto con l'ing. Enzo Ferrari. Inutile sarebbe qui la descrizione particolareggiata di tutto quanto accadde in questi primi tempi, anche perché occorrerebbe un intero volume, e mi limito per il momento a qualche affrettata considerazione sul più bel periodo sportivo della mia vita. Alla Ferrari ho passato tempi duri anche perché in quel periodo le macchine avevano qualche problema di assetto per cui, nel tentativo di realizzare dei buoni tempi in prova, si doveva forzatamente viaggiare oltre il limite di sicurezza. Però, tutto sommato, qualche soddisfazione è scaturita anche subito. Ricordo con estremo piacere il mio debutto al GP d'Olanda a Zandwoort dove mi sono piazzato quarto dietro e Jacky Icks. Sono sempre rimasto molto rispettoso del mio caposquadra e, anche se avrei potuto classificarmi al terzo posto, ho preferito lasciar passare il collega belga piazzatosi davanti a me. La prima vittoria di Monza rimane forse il ricordo più bello della mia carriera sportiva. Da tanti anni ormai il pubblico italiano attendeva una vittoria della Ferrari e in quella fatidica domenica di settembre il pubblico era prevalentemente formato da tifosi italiani ed anche da tifosi svizzeri tanto che l'ultimo giro transitavo in pista tra due fitte schiere di bandiere italiane, svizzere, di bandiere Ferrari in un tripudio di felicità collettiva che mi ha profondamente emozionato. E' stato un vero e proprio trionfo e una vittoria che veramente mi ha commosso. Di vittorie ne sono seguite altre, una volta ancora a Monza, una volta al Nürburgring, una volta negli Stati Uniti eppure, nonostante tutto, ricordo con maggior simpatia la prima di Monza forse anche perché rappresentava l'appagamento di una serie di sforzi e di lavori. Ho rischiato di vincere anche un titolo mondiale, mancato per una serie di piccole e grandi fatalità, ma nonostante tutto non ho mai perso la fiducia nelle mie possibilità e nella corsa. Devo confessare che il periodo trascorso alla Ferrari è stato indubbiamente il più bello, non solo perché guidare una Ferrari è un sogno al quale aspirano praticamente tutti i piloti, bensì anche per il calore e il contatto umano che si ha con i tecnici e i meccanici. Si parla la stessa lingua, si dividono gioie e dolori, si ride, si scherza, si sgranocchia qualche panino di culatello con un sorso di Lambrusco. Poi, quando si vince, l'animo esprime tutta la sua sfrenata gioia. Lo sport mi ha permesso, come ho detto in precedenza, di viaggiare molto. E questo non è certamente poco in quanto ritengo che sia veramente una fortuna. Tra un aereo e l'altro, da un continente all'altro, ci si accorge sempre più che il mondo è piccolo ma meraviglioso. E' estremamente, piacevole avere degli amici un po' dovunque, in Giappone, in Brasile, in Argentina e negli Stati Uniti, in Italia e Svezia. Il fatto di poter contare su di loro anche a chilometri e chilometri di distanza è una soddisfazione che appaga e che rende implicitamente più comprensivi e, tutto sommato, anche più buoni. Il viaggio, a lungo andare, si tramuta in una specie di droga della quale difficilmente si può fare a meno e credo perciò che anche quando smetterò di correre, dovrò trovarmi un'occupazione che mi permetta di viaggiare molto e possibilmente di rimanere ancora nell'ambito delle competizioni in quanto posso legittimamente affermare di avere una notevole esperienza in questo campo. Da un punto di vista prettamente sportivo credo che il campionato mondiale piloti si sia tramutato in questi ultimi anni in un campionato mondiale pneumatici. In effetti l'importanza delle gomme sulle attuali monoposto di Formula 1 è assolutamente determinante e dopo le iniziali scaramucce tra la Michelin e la Good Year, il monopolio totale delle competizioni è ritornato ancora alla Good Year stessa la quale, non avendo il tempo materiale di produrre un numero sufficiente di pneumatici per tutte le scuderie, appoggia e facilita le scuderie più ricche quali la Lotus, la Mc Laren, la Wolf, la Tyrrell e qualche altra. Ecco perché nella mia scuderia, la Shadow, sono difficili i risultati sia in prova sia in corsa. Per ritornare ad avere ancora una scala di valori umani occorrerebbe cambiare totalmente il regolamento che regge la Formula 1, abolire completamente gli alettoni, ritornare alle gomme strette e solo in queste condizioni si potrebbe confrontare la validità di un pilota e l'altro. Da questo sistema scaturirebbero anche le qualità nella messa a punto e nella preparazione delle macchine. Forti interessi finanziari e un pizzico di politica nazionalistica sono purtroppo le componenti di questa evoluzione subita dalla Formula 1 negli ultimi anni: evoluzione che esalta la macchina ma limita l'uomo nelle sue possibilità.
