«L'Alfa Romeo e lo sport» di Gonzalo Alvarez Garcia


Per l'Alfa Romeo lo sport automobilistico è stato la ragione stessa della sopravvivenza, nel senso che è difficilmente immaginabile il superamento delle enormi difficoltà, soprattutto finanziarie, da essa trovate lungo la sua strada, senza le affermazioni ottenute nei circuiti internazionali. Lo stesso grado di perfezione tecnica raggiunto dalle vetture Alfa Romeo si deve, in grandissima parte, al modo con cui la Casa si posa, già dal primo momento, davanti allo sport, considerandolo più come banco di prova della sua tecnologia che non come semplice palestra di confronto agonistico. Non era nata per le corse, l'Alfa, ma già dai primi giorni nelle corse la si trova impegnata: nei primi tempi, senza molta fortuna; poi, e per lunghissimi anni, come protagonista. Le Alfa di anteguerra, tra il 1910 ed il 1915, erano vetture generose, ma mancava loro il tocco del genio. Giuseppe Merosi, il primo progettista dell'Alfa, era solo un eccellente tecnico. Quando, finita la prima guerra mondiale, riprenderà l'attività automobilistica, troveremo alcune sue vetture nelle prime pagine della cronaca sportiva. Le Alfa Romeo 20/30 ES vincono il Circuito del Mugello nel 1920 e nel 1921; si tratta di gare minori, che tuttavia servono a tener alto il prestigio dei marchio dei Portello; grandi piloti come Enzo Ferrari, Giuseppe Campari, Ugo Sivocci e Antonio Ascari si fanno le ossa su quelle automobili. Finalmente nel 1923 Giuseppe Merosi riesce a costruire una vettura veramente competitiva. Si tratta della R. L., che in quell'anno vinse la Targa Florio pilotata da Ugo Sivocci e che da quella vittoria ricevette il nome di «R. L. Targa Florio», Sivocci aveva fatto dipingere sul cofano della sua vettura un quadrifoglio verde sul triangolo bianco, come portafortuna: dopo la vittoria, il quadrifoglio divenne il simbolo delle vetture sportive Alfa Romeo. L'Alfa non è ancora la dominatrice, ma non è più nemmeno la cenerentola che cerca di farsi notare in pubblico. La Targa Florio è una delle gare su strada più famose di tutto il mondo. Fu il canto del cigno della progettazione di Giuseppe Merosi. L'ing. Nicola Romeo, comunque, non si sentiva soddisfatto. Aveva l'ambizione di essere il primo. Minuto e nervoso, con i suoi grandi baffi che sembravano le ali del suo spirito irrequieto, si mise a cercare un genio che creasse per l'Alfa Romeo una vettura che fosse la dominatrice assoluta. A Torino, negli uffici di progettazione di vetture da corsa Fiat, scoprì il giovane ingegnere Vittorio Jano e lo portò a Milano. Gli disse: «Ho bisogno di una macchina che vinca le gare più importanti del mondo» e lo lasciò a capo degli uffici di progettazione dell'Alfa Romeo. Vittorio Jano creò la Gran Premio P. 2 e da quel momento il nome Alfa Romeo diventò un simbolo dell'automobilismo. Quando la P. 2 debuttò a Cremona all'inizio dei 1924, gli spettatori stupiti la chiamarono «freccia d'argento» per lo scintillante saettare della sua carrozzeria in alluminio che al Portello non avevano fatto in tempo a dipingere di rosso. Apparve chiaro a tutti coloro che l'avevano vista quel giorno che la P. 2 avrebbe vinto tutti i Gran Premi, e fu così. La P. 2 aveva il tocco del genio. Nel Gran Premio d'Europa a Lione e nel Gran Premio d'Italia a Monza le vetture Alfa Romeo non trovarono rivali; nel 1925 conquistarono il Primo Campionato Mondiale Marche e il marchio del Biscione venne circondato da una corona d'alloro. Lo sport si fece fratello della tecnica. Dopo aver raggiunto l'apice della celebrità mondiale, l'Alfa Romeo non rimase a dormire sugli allori. Vittorio Jano e i suoi tecnici, i suoi bravissimi meccanici Bazzi e Rescalli, i suoi operai, si misero al lavoro con raddoppiato entusiasmo. Negli uffici tecnici del Portello si stava per rompere con una vecchia tradizione. Fino a quel momento la vettura da corsa era stata una cosa e la vettura di serie un'altra. Jano pensava che non esistesse nessuna buona ragione per questa dicotomia. Quello che era una conquista tecnica per una vettura da Gran Premio doveva poterlo essere anche per una vettura di serie. Per quale motivo non si dovevano introdurre sulle vetture che correvano sulle strade normali il doppio albero a camme in testa e le camere di scoppio emisferiche? Nasceva così al Portello un modo nuovo di costruire le vetture normali di serie. Nasceva la tecnica Alfa Romeo alla quale la casa del Portello sarebbe rimasta sempre fedele. Le nuove vetture sportive, le 6 cilindri 1.500 c.c. e le 6 cilindri 1750 c.c., erano vetture ideate per camminare sulle normali strade di città e di campagna che vincevano le corse nazionali ed internazionali con l'agilità e la noncuranza delle vetture da Gran Premio. La seconda, la terza, la quarta Mille Miglia, la Coppa Ciano, Brooklands, Spa, Tourist Trophy, il Gran Premio del Belgio... L'elenco completo delle loro vittorie sarebbe interminabile. I più grandi piloti si disputavano l'onore di portare al traguardo le nervose vetture del Biscione, quelle stesse che in città facevano l'orgoglio dei danarosi automobilisti e l'invidia di tutti gli altri che dovevano limitarsi a vederle transitare. Nel 1931 dalle officine del Portello usciva un'altra generazione di vetture generose, le 3 cilindri 2.300, più potenti delle precedenti, più resistenti, più veloci, più vicine alle Gran Premio. Nasceva la monoposto tipo B, la famosa P. 3. Occorrerebbero dei libri per raccontare le loro imprese sui circuiti europei. Erano macchine che sembravano sottratte all'usura del tempo. Nei 1935 Tazio Nuvolari conquistava con la P. 3 la vittoria forse più fulgida della sua lunga carriera di campione sul circuito del Nurburgring. Nella stessa tana delle Mercedes e delle Auto Union sconfisse le poderose squadre tedesche. Nel 1936 altre vetture Alfa Romeo portavano il Quadrifoglio oltreoceano. Lo stesso Nuvolari vinceva la Coppa Vanderbilt con la Gran Premio Tipo C., sempre all'avanguardia tecnica e sempre alla ribalta della cronaca sportiva. Nel 1938 nasceva un'altra vettura prodigiosa, la monoposto tipo «158», la famosa «Alfetta», snella e sottile come un purosangue. Un motore da otto cilindri, un litro e mezzo di cilindrata, sovralimentato: un pozzo inesauribile di potenza. Quando nacque disponeva di 195 cavalli; quando si ritirò dalle corse nel 1952, dopo aver vinto il massimo titolo mondiale per ben due volte, nel 1950 con Nino Farina e nel 1951 con Manuel Fangio, sviluppava 450 cavalli. Una serie interminabile di vittorie, qualche rara sconfitta. Nel 1952, il ritiro ufficiale dalle corse di Formula 1. Non solo di allori sportivi vive una fabbrica d'automobili. Ottomila dipendenti avevano bisogno di catene di montaggio che dessero al mercato molte vetture e alle loro famiglie salari sicuri. L'Alfa Romeo impegnava tutte le sue risorse tecniche e produttive nella costruzione di vetture di larga serie che ricorderanno le loro gloriose progenitrici. Orazio Satta Puliga,il giovane capo della progettezione del dopoguerra succeduto a Vittorio Jano era anch'egli geniale. Dalle sue mani uscirono «le vetture di famiglia che vincono le corse», la «1900», la «Giulietta», la «Giulia». All'ombra del Quadrifoglio sportivo cresce l'azienda Alfa Romeo, diventa grande e moderna, e le sue vetture vanno nei mercati di tutto il mondo, ma anche su tutti i campi di gara. Nel 1964 nasce l'«Autodelta», il nuovo reparto corse Alfa Romeo sotto la direzione dell'ing. Carlo Chitti. Le Alfa Romeo T.Z., le G.T.A., le G.T.Am., vincono centinaia e centinaia di campionati nazionali e internazionali di categoria. I grandi piloti di scuola moderna si sono quasi tutti cimentati su qusu queste vetture eccezionali. Poi apparvero le 33/2 litri e le 33/3 litri, otto cilindri, che segnarono tappe fondamentali nella storia recente dello sport Alfa, seguite dalle 33/12 cilindri che hanno conquistato altri due campionati mondiali, il Campionato Mondiale Marche nel 1975 e il Campionato Mondiale Sport nel 1977. Il loro motore è quello che anima la Formula Uno Brabham-Alfa e la nuova Formula Uno che l'Autodelta ha in seguito allestito. Non solo in campo automobilistico l'Alfa Romeo ha conquistato allori sportivi. Tra le due guerre mondiali i suoi motori d'aviazione stabilirono primati e record mondiali e vinsero gare indimenticabili, come la famosa Istres-Damasco-Parigi, in concorrenza con la migliore produzione aeronautica di tutto il mondo, e primeggiarono nella motonautica, dove i grandi campioni Ezio Selva e Mario Verga riempirono un decennio di titoli mondiali con i motori marini del Biscione. L'Alfa Romeo ha considerato sempre le competizioni sportive come insostituibile veicolo pubblicitario, ma soprattutto come banco di prova tecnico per trovare le soluzioni da applicare alla sua produzione di serie, come il mezzo più ideoneo a migliorarne la qualità. Anche il suo attuale impegno sportivo non ha altri intendimenti.

 

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