«Polonia: Solidarnosc, primo sindacato libero in un regime comunista» di Dominik Morawski
«La svolta di Danzica», come comunemente è stata definita la nascita del primo sindacato libero nell'orbita sovietica, è dovuta ad alcuni fattori di ordine morale, socio-economico e politico, in questi ultimi anni sono maturate in Polonia delle condizioni per l'unità della società in contrapposizione ad un sistema di potere monolitico, moralmente ancora prima che politicamente screditato, ad una gestione economica inefficiente e corrotta. Questa unità che rese possibile la registrazione nel novembre 1980 del sindacato indipendente Solidarnosc, cioè «Solidarietà», è diventata operante grazie al ruolo cruciale, nazionale e sociale, della Chiesa cattolica, allo sviluppo della coscienza collettiva dei lavoratori, consapevoli non solo dei propri interessi, ma anche di quelli degli altri strati sociali ed infine all'attività degli intellettuali cattolici e laici che hanno saputo stabilire collegamenti con i nuclei propulsivi operai. I primi comitati fondatori del sindacato libero sono sorti già nel 1977 sulla costa del Baltico e nella regione industriale della Slesia. Nell'estate 1980 è mutata la situazione sociale: la protesta dei lavoratori ha sfondato: per la prima volta uno sciopero massiccio, che riuniva obiettivi civili e sindacali, è finito non come negli anni 1970 e 1976 con lo spargimento di sangue, ma con un accordo. Lo scontento popolare si è trasformato in un movimento sindacale che comprende oggi oltre 13 milioni di lavoratori, compresi in questa cifra i membri, ca 3 milioni, del sindacato degli agricoltori individuali. Il comitato interaziendale di sciopero ha concluso a Danzica il 31 agosto le trattative con la delegazione del governo. Dopo aver esaminato le 21 rivendicazioni degli operai, un protocollo di accordo è stato firmato, seguito da analoghi accordi in altre regioni della Polonia. «La prudenza, la maturità politica e la buona volontà hanno trionfato», scriveva l'agenzia ufficiale di stampa. I 30 oppositori in carcere sono stati liberati. Nel primo paragrafo il protocollo dice: «Accettare i sindacati liberi e indipendenti dal partito sulla base della convenzione n. 87 dell'Organizzazione internazionale del lavoro, ratificata dalla Polonia e riguardante le libertà sindacali... E' stato concordato che l'attività dei sindacati in Polonia popolare ha disatteso le speranze e le aspirazioni dei lavoratori... Creando sindacati nuovi, indipendenti ed autogestiti, il MKS - Comitato interaziendale di sciopero - dichiara che questi ultimi rispetteranno i principi della Costituzione». Fra i protagonisti dell'«estate polacca» del 1980 spicca il nome di Lech Walesa, leader indiscusso del lungo sciopero sul Litorale baltico, eletto presidente della Commissione nazionale di coordinamento di Solidarnosc e rieletto dal primo congresso del sindacato. Nato nel 1934 quarto di sette fratelli, passa l'infanzia in campagna a cento chilometri da Varsavia. Di carattere riservato, molto religioso, si diploma perito elettrotecnico nel 1958. Il suo destino di sindacalista comincia nei 1967. Quando trova lavoro nei cantieri Lenin di Danzica. Due anni dopo si sposa con Miroslawa, dalla quale avrà sei figii. Nel dicembre 1970, dopo la tragica sommossa operaia del Baltico, conosce la prigione. Dopo la scarcerazione incontra grosse difficoltà a trovare lavoro, anche per il suo costante impegno in attività sindacali vietate dal regime. Suo obiettivo principale è sensibilizzare i lavoratori a nuove forme di sciopero pacifico ed ordinato per impedire l'intervento di forza pubblica. Fatto molto importante per la sua militanza è la formazione del KOR, il Comitato di autodifesa sociale, che lo aiuterà nei momenti più difficili delle lotte. La sua attività sindacale clandestina continua fino all'agosto del 1980, cioé allo sciopero massiccio nei cantieri Lenin, quando viene acclamato come leader carismatico dell'emergente sindacato indipendente ed autogestito, un movimento sociale tutto teso alla rinascita nazionale. In seguito alla legalizzazione del sindacato con l'approvazione dello statuto da parte della Corte Suprema, Lech Walesa ha detto: «Si può vivere meglio quando si sa per chi e perché si lavora». Nel gennaio 1981 Walesa a capo della delegazione di Solidarnosc è stato ricevuto da Giovanni Paolo II che gli ha concesso un'investitura solenne di carattere internazionale, una vera e propria cauzione di credito morale. Walesa ed altri delegati del sindacato polacco hanno a Roma anche vari incontri con i sindacalisti italiani guidati da Lama, Carniti e Benvenuto, segretari generali, rispettivamente della CGIL, CISL e UIL. Il vero significato degli accordi stipulati in Polonia non consiste tanto nei miglioramenti sociali ed economici, quanto nella concessione del diritto di sciopero e nel riconoscimento del sindacato come forza autonoma e rappresentativa dei lavoratori, dell'industria, dell'agricoltura, dei servizi, dell'amministrazione pubblica, dell'istruzione, della sanità, della ricerca scientifica ecc. La svolta verificatasi comporta quindi i meccanismi nuovi di controllo sociale, per la prima volta avviati in un Paese a regime comunista. Questo «patto sociale» stabilito, sempre fragile per le minacce incombenti di ordine interno ed esterno, potrebbe funzionare se si riuscirà ad ottenere una certa stabilità. La direzione del PC polacco - POUP, partito operaio unificato -, composta in maggior parte dai sostenitori del processo di rinnovamento sociale, vacilla in seguito al terremoto subito nelle proprie file e stenta a formulare un programma di riforme sia istituzionali che economiche, anche perché subisce una continua e pesante pressione da parte dell'URSS. I dirigenti sovietici hanno digerito male, infatti, i cambiamenti avvenuti in Polonia e ne temono il contagio. In questa situazione esiste una oggettiva convergenza degli interessi fra i dirigenti comunisti polacchi e quelli di Solidarnosc. Dagli esiti concreti del «patto sociale» stipulato, con la determinante mediazione della Chiesa, dipende la sopravvivenza stessa dell'esperimento polacco » ed i suoi risvolti sui piano internazionale. Si tratta, in fondo, di provare in pratica che, pur rimanendo nel blocco orientale, si riesce ad affermare la propria identità nazionale.
