«Sociologia: le donne dei fumetti» di Isa Vercelloni


Dispotiche o passive, civette o presuntuose, sempre stereotipate e destinate a un perpetuo zitellaggio, vestite di veli o di corazzine, o più semplicemente e più spesso svestite, le eroine dei fumetti - ritagliate come sono, molto approssimativamente, in due dimensioni - corrono per il mondo guadagnandosi una notorietà forse maggiore di Anna Karenina e di Madame Bovary; a giudicare, almeno, dall'enorme massa di consumatori di tale genere di sotto-letteratura. Eppure queste donnine di carta non sono mai personaggi autentici, persuasivi: non arrivano mai a vivere di vita propria come accade invece a certe eroine della letteratura tradizionale, della poesia e del romanzo. Come mai? Perché questa è arte e quella non lo è, si dirà. Ma non si tratta qui di fare distinzioni crociane, di mettere in contrasto subordinato i due generi narrativi: occorre piuttosto comprendere un fenomeno. Anzitutto bisogna tener conto del tipo di pubblico cui si rivolge in origine la letteratura a fumetti: un pubbiico di giovani e giovanissimi in tutto il mondo, e un pubblico composto prevalentemente di adulti, invece, negli Stati Uniti, patria del fumetto. Ma, giovani o adulti che fossero, i lettori dei fumetti erano quasi tutti maschi. E di questo dato dovette tener conto, per esempio, l'équipe di sociologhi americani che verso il 1940 creò in laboratorio il personaggio della «Donna meraviglia»: una sorta di superdonna che doveva - in epoca di matriarcato e di sfruttamento delle strips a fumetti per la vendita dei quotidiani - battere di gran lunga la concorrenza di tutti i superuomini di carta, per quanto dotati di superpoteri.Fintanto che, dunque, questo genere narrativo si rivolge prevalentemente a un pubblico maschile, e in qualità di letteratura d'evasione, è evidente che non esiste il problema di rappresentare a tutto tondo, come ritratto psicologico, i personaggi femminili, destinati a rimanere puramente strumentali e di contorno. Questo discorso, però, vale sino a circa venti anni fa, quando il consumo dei fumetti si estende, in tutto il mondo, dai giovani ai recenti adulti, senza più differenza di sesso. In quel momento cominciano ad essere prodotti anche in Europa fumetti per adulti; e i personaggi femminili diventano in certi casi più complessi (vedi, per esempio tra le eroine dei fumetti di Guido Crepax, l'appassionata e coraggiosa fotografa Valentina, coinvolta in sogni e avventure dai risvolti psicopatici e mondani. La prima fase, invece, era caratterizzata dal mito di un certo benessere borghese: dall'esotismo come base di ogni avventura; e dall'interpretazione della donna all'interno di schemi conformistici, come un codice da ripetere senza variazioni. Eppure, proprio tali elementi sono interessanti da nostro punto di vista, perché permettono di leggere - da una prima fase di assenza di storie autonome femminili alla seconda, ricca di figure femminili «indipendenti» - una sorta di storia della emancipazione della donna in questi ultimi anni. A tale fine si possono distinguere alcune categorie fondamentali, simbolico-semantiche, in cui si possono suddividere le «donnine di carta». Un primo gruppo (che nasce alla vigilia della prima guerra mondiale) emerge dalla rappresentazione realistica - colma tanto di ironia quanto di luoghi comuni - del mondo della famiglia piccolo-borghese. Si deve a Geo Mc Manus la serie di storie dei Newlywed - giovane coppia rallegrata dal terribile bebé Napoleon, in Italia Cirillino. Sono gli impiegati benestanti dell'America di prima della grande crisi. Nella giovane moglie sono importanti e voluminosi soprattutto pettinature e cappelli, sopra la vita di vespa e il petto di piccione. Dello stesso autore sono Jigs e Maggie, tradotti in Italia come Arcibaldo e Petronilla dal 1913. Sono i tipici arricchiti dell'età industriale, con tutte le frenesie mondane di lei e le nostalgie populiste di lui. I cappellini e le toilettes dell'arcigna e sospettosissima Petronilla sono ormai leggendari; come contrappunto, il potenziale di sex-appeal dell'epoca è rappresentato dalla loro graziosissima figlia e dalle sue coetanee, vanamente desiderate dal povero Arcibaldo. Sempre nell'ambito della famiglia, ecco il personaggio di Mama, conosciuto in Italia come Tordella (creato nel 1897 da Rudolph Dirks, ripreso poi da K. Harold Knerr); una «tata», rotonda che ha rapporti misteriosi, ma forse soltanto culinari, con l'ispido capitan Cocoricò; ha il compito di preparare torte e di picchiare chi le ruba, cioè i gemelli Bibì e Bibò, educandoli alla tedesca. Sottanone, farsetto e crocchia piramidale sono gli attributi che completano il personaggio. La sua antitesi, pur vagamente con lei imparentata, sia per la mancanza di sex appeal e il carattere manesco, sia per il rapporto quasi matrimoniale con un altro tipo di marinaio, il muscoloso Popeye (Braccio di Ferro), è Olive Oyl (da noi Olivia), allampanata creatura di Elzie Crisler Segar (1929). Tutti questi personaggi rappresentano vari tipi familiari «made in USA», anche di importazione, senza alcun tentativo di proporre un'immagine della donna diversa dal tipico matriarcato americano, nelle varie sfumature che assume nelle diverse classi sociali; ne è un altro esempio Blondie, di Chic Young (1930), simpatica mogliettina di un impiegato di periferia: una sorta di Mary Pickford più modesta e casalinga. Ma il massimo della stilizzazione nel presentare la donna di carta si verifica negli anni'30, quando si avverte l'esigenza di una maggiore e più precisa presenza del sesso nelle storie e fumetti. E' il caso delle «eterne fidanzate», che devono rimanere tali per ragioni narrative, offrendo alle varie avventure una sorta di supporto infrangibile. In confronto a queste creature subordinate, prive di iniziativa, stereotipate anche per esigenze strutturali di racconto, Petronilla e Tordella erano personaggi di una vivacità straordinaria. Le eterne fidanzate rivestono una certa vitalità soltanto in quanto simboli del sesso. E' in questo periodo, infatti, che le eroine dei fumetti cominciano a trovarsi sempre più spesso, per curiose circostanze «fortuite», prive di vesti. Il primo a lanciare questo tipo di vamp casalinga fu uno dei più grandi disegnatori di fumetti, Alex Raymond, che nel 1933 crea Flash Gordon, con la fidanzata Dale Arden: una sorta di dattilografa newyorchese, scioccherella, con la permanente fatta di fresco, e un bizzarro abbigliamento a base di reggiseni metallici. Nelle avventure fantascientifiche di Gordon e Dale si ripetono sino alla noia gelosie banali ma ferocissime; stupende regine si innamorano di quel casto fusto che è Gordon, mentre alcuni re mostruosi e immondi attentano alla ritrosia dell'ingenua Dale. Nel 1934 Lee Falck e Phil Davis creano il mago Mandrake, la cui eterna fidanzata, fra coppe di champagne, transatlantici e alberghi di lusso da romanzo ungherese, è la principessa mitteleuropea Narda: le situazioni, fra i due, sono analoghe a quelle fra Gordon e Dale. Nel 1936 sarà sempre Lee Falck, insieme a Ray Moore, a creare The Phantom, l'Uomo Mascherato. L'eterna fidanzata è in questo caso Diana Palmer, in Italia Diana Palmesi, tipica ragazze inglese di quel tempo, ogni tanto discinta per esigenze di copione. Nell'immediato dopoguerra, Alex Raymond mette al fianco di Rip Kirby, poliziotto privato, Honey Dorian, bionda platinata, ragazza per bene, che sarebbe certamente arrivata a coronare i suoi sogni con un bel matrimonio borghese, se non fosse capitata in una storia a fumetti. Ancora fra le eterne fidanzate, ecco, nel 1939, di J. Siegel e J. Schuster, la Louise Lane di Superman-Nembo Kid: molto più attiva, quindi in un certo senso già emancipata rispetto alle sue consorelle, esercita con successo la professione di giornalista. Né ci si può dimenticare Daisy Mae, del 1934: di Al Capp, compare con le sue forme procaci, le gonne cortissime, le scollature generose, gli atteggiamenti un po' svitati da «ragazza di campagna» nelle storie di Li'l Abner. E in fondo anche Minnie, la compagna di Topolino, non è altro che un'eterna fidanzata: anzi, qualcosa di più, una zitella sexy, una delle terribili nubili americane a caccia di marito. Ma negli anni '30 l'erotismo trova una nuova espressione, attraverso personaggi anche limitati a una sola storia delle varie serie di avventure. Le donne disegnate da Alex Raymond, che compaiono nelle storie dell'Agente Segreto X 9 dal 1934 in poi, possono essere oneste o malvage, perverse o pure, ma sono sempre estremamente a La page, con silhouettes allungate e toilettes molto raffinate, simili per un verso alle donne dei films di gangsters, per un altro alle eroine dei romanzi di Fitzgerald o alle ragazze del «Gruppo» di Mary Mc Carthy. Saranno i tipi di donna che affiancheranno nelle sue avventure anche il Terry di «Terry e i pirati» di Milton Caniff: avventuriere a capo di bande criminali, o più raramente, giovani e oneste fanciulle casualmente immischiate in torbide vicende. Il massimo del sex-appeal è rappresentato da un personaggio nato nel 1944 sempre per mano di Milton Caniff: Miss Lace (che in italiano suonerebbe «Signorina Merletto»), pubblicato ad uso esclusivo delle truppe americane, si può immaginare in quale abbigliamento. Le succinte vesti di Miss Lace, a quel tempo riservate ai ragazzi al fronte, come le foto delle pinup, diventano abituali nel dopoguerra, con l'esplosione dei fumetti per adulti e la successiva degenerazione sadomasochista dei vari K, che hanno molte versioni femminili. L'unica di questa professioniste del crimine, invariabilmente abbigliate in calzamaglia - quando abbigliate sono - che valga la pena di prendere in considerazione è forse Modesty Blaise, nata nel 1962 dall'immaginazione di Peter O'Donnel; è in un certo senso la versione femminile di James Bond. Amazzone snob, dopo aver guadagnato a sufficienza con disinvolti delitti, si concede il lusso di «fare qualche favore» alla legge. Porta di solito, una mazza nascosta nello chignon, in modo da essere sempre armata, anche quando è nuda. Il suo messaggio è evidente: donne, siate sempre le dominatrici, con qualsiasi mezzo, la seduzione o la violenza. Quando avrete vinto, potrete concedervi tutto; ricchezza, lusso, piacere. Modesty Blaise è la personificazione dell'emancipazione femminile malintesa, ma il successo di questo personaggio è stato tale da uscire dal mondo del fumetto per entrare in quello del cinema, incarnandosi sullo schermo in Monica Vitti. Nella serie delle amazzoni moderne, la più famosa, però, soprattutto da quando Jane Fonda l'ha interpretata a sua volta per lo schermo, è probabilmente Barbarella. L'eroina del cosmo, creata dal francese Jean-Claude Forest, che ha inaugurato la serie dei fumetti di lusso (raccolti in volume, per lettori ricchi o intellettuali, e non più in semplici album o giornali) è in realtà molto più somigliante a Brigitte Bardot che a Jane Fonda. Superficialmente potrebbe apparire la traduzione esasperata dell'ideale delle ragazze d'oggi: spregiudicata, emancipata, tesa a realizzare pienamente la propria personalità. In realtà è solo pronta a far l'amore con qualsiasi essere le si presenti, uomo o angelo, mostro o robot. E' la preda, che si è fatta cacciatrice; la sua è una falsa libertà, un mito moderno che si presenta come surrogato ai miti tradizionali. E' la libertà di quelle donne che si accontentano di essere quel simbolo del sesso che i secoli hanno insegnato loro ad essere. Alice futuribile, passa attraverso lo lo specchio del tempo, in una serie di avventure da 2000 e una notte. Dopo Barbarella, merita d'essere ricordata Jodelle, di Guy Peellaert e Pierre Bartier (1966), personaggio di grande modernità, storico-intellettuale, velato di sadismo e d'ironia, disegnato in modo eccezionale, con un segno che tiene conto di tutte le più recenti esperienze della pittura moderna: e si arriva così sino a Phoebe Zeit-Geist, la più snob fra queste virago, creata da Michael O'Bonoghue e Frank Springer (1967). La caratterizzazione psicologica, tuttavia, raggiunge il massimo in certi personaggi minori come la Lucy dei Peanuts di Schultz, che sembrano ritornare alla critica di costume e alla satira pungente dei primordi del fumetto, ma scaltrita e raffinata da tutti questi anni di storia. Lucy come Petronilla: è una tesi affascinante. «Cosa mi interessa se non ho degli amici, tanto sono così simpatica... Mi piace tutto di me, il modo come vesto, il modo come parlo, il modo come vivo...». Lucy van Pelt è maligna, di una ignoranza abissale e di una presunzione superlativa, tendenzialmente fascista e sicuramente dispotica, a volte persino militarista; è specialista in sevizie psicologiche contro i suoi piccoli amici nevrotici, Charlie Brown per primo, poi il fratellino Linus, il cane Snoopy e tutti gli altri. Tanto, afferma Lucy, «io non ho bisogno di amici, io sono autosufficiente...». Sarà lei, questa bambina disarmante e terribile, la donna libera del futuro?

 

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