«Socialismo reale e realtà» di Bettino Craxi
Sessant'anni ci dividono dall'evento rivoluzionario più importante della storia contemporanea. I «giorni che sconvolsero il mondo» hanno messo in moto un grandioso processo di trasformazione che ha mutato gli equilibri su scala planetaria. Quando la frazione bolscevica, operando una scissione tra le forze socialiste, conquistò il potere a Mosca, il suo programma rivoluzionario per una lotta intransigente contro le ingiustizie della società classista e per l'emancipazione dei popoli dallo sfruttamento del capitale apparve a molti come la prova storicamente concreta che il socialismo cessava ormai di essere una utopia e si avviava a divenire una realtà. La profezia di Marx sembrava avverarsi anche se in un Paese e in circostanze profondamente diverse da quelle che il grande pensatore tedesco aveva previsto. La meccanica, drammatica e travolgente ad un tempo, che portò i bolscevichi al controllo dello Stato è a tutti troppo nota per doverla riassumere e ricordare. Più importante è cercare di definire oggi il nostro atteggiamento nei confronti di quella straordinaria impresa e dei suoi risultati storici dopo il tragitto di più di mezzo secolo compiuto dalla esperienza sovietica. Prima di tutto non può essere dimenticata la «grande speranza» che la Rivoluzione d'Ottobre accese nell'animo dei lavoratori e degli sfruttati di tutto il mondo. Anche chi, si pensi per esempio a Rosa Luxemburg o ad Otto Bauer, criticò duramente i metodi impiegati dai bolscevichi, non esitò un attimo a riconoscere che Lenin e Trotsky avevano messo in moto un processo destinato a segnare una tappa fondamentale nella storia del movimento socialista, poiché quanto meno avrebbe rafforzato la volontà di emancipazione della classe operaia e il suo spirito di lotta. In secondo luogo non possiamo non ricordare che il processo di trasformazione della società che fu avviato dalla Rivoluzione bolscevica ha permesso fondamentalmente alla Russia di liberarsi in grande misura dal retaggio feudale che sbarrava la strada al suo ingresso nel mondo moderno. Il regime zarista, dispotico e teologico, fu spazzato via dal succedersi degli eventi rivoluzionari. Liquidata la guerra civile e quindi il periodo del «comunismo di guerra», il popolo russo fu negli anni successivi spinto da Stalin con spietata energia verso l'industrializzazione forzata. Teorico del «socialismo in un paese solo» il nuovo capo identificò l'industrializzazione forzata con la lotta stessa per il socialismo. «La Russia - scriveva il successore di Lenin - fu sempre battuta a causa della sua arretratezza. Lo fu dai Khan mongoli, dai Bey turchi, dai Pan di Polonia e Lituania, dai capitalisti anglo-francesi, dai baroni giapponesi, da tutti; siamo da cinquanta a cento anni indietro rispetto ai paesi più progrediti. Dobbiamo colmare questa differenza. O lo facciamo o ci schiacceranno». Nella storia dell'umanità molto probabilmente nessun altro processo di trasformazione è stato così costoso e doloroso ma anche più radicale ed importante. Un immenso Paese è stato strappato al sottosviluppo ed al ristagno e trasformato in una grande potenza economica e militare. Trascinata nella tragedia della seconda guerra mondiale l'URSS ha dato un contributo decisivo alla sconfitta della barbarie nazista. Una vittoria nazista verso Mosca e a Stalingrado avrebbero deviato il corso della guerra in modo imprevedibile. Fu il popolo russo che pagando un incalcolabile tributo di sangue bloccò sui Fronti orientali il delirante disegno imperialistico di Hitler concorrendo in tale modo alla vittoria finale. Non possiamo dimenticare che cosa l'Unione Sovietica ha rappresentato, in molti casi, per i Paesi sottoposti al dominio coloniale e in lotta per la loro indipendenza ed emancipazione contro gli interessi imperialistici. Sono tutti questi gli elementi che hanno accresciuto l'influenza mondiale dell'Unione Sovietica e l'hanno collocata nella posizione di rilievo primario che oggi occupa nello scacchiere internazionale. Ma sono anche questi gli elementi che hanno portato sovente alla mitizzazione della realtà sovietica. Un settore del movimento operaio europeo, nell'onda vittoriosa della grande Rivoluzione, ha proiettato sull'esperienza sovietica e sulla dottrina marxista-leninista che la ispirava i propri desideri e i propri ideali. Gli parve di vedere anche quello che non c'era e che, a rigore, non poteva esserci. Ha sovente scambiato il reale con l'ideale. L'URSS fu per i partiti comunisti il Paese e lo Stato guida del socialismo nel mondo, il faro della rivoluzione proletaria, il mito accecante e sacralizzato. Agli occhi di tanti settori del socialismo sconfitto in Europa l'URSS apparve come il simbolo di ciò che il socialismo voleva e doveva essere: la speranza in un futuro di pace e di giustizia universale. Raramente nella storia dell'umanità un movimento politico ha suscitato più entusiasmo e più speranze ma altresì generato più illusioni e fraintendimenti. Se per socialismo si intende la democrazia pienamente realizzata e cioè l'eguaglianza che si realizza di pari passo con la libertà, la Russia sovietica non era certo una società socialista negli anni dello stalinismo, non lo è in grande misura neppure oggi e men che meno nel senso di un «socialismo maturo e sviluppato» come lo definisce il Segretario del PCUS Leonida Breznjev. Questo non significa misconoscere l'esperimento rivoluzionario che essendosi sviluppato in un contesto di arretratezza economica, politica e culturale era troppo lontano da quelle condizioni minimali che Marx ed Engels avevano indicato come imprescindibili: la rivoluzione industriale, la presenza di un forte e crescente movimento operaio, la maturità oggettiva e soggettiva della situazione storica. Il contesto in cui si realizzò l'esperimento sovietico diede infatti alle cose una piega ben diversa e persino opposta alle posizioni classiche del marxismo. La realizzazione del socialismo si incontrò di fatto nella ricerca di una scorciatoia per industriaiizzare l'economia russa e per cancellare l'umiliante «gap» che separava l'arretratezza della Russia dal grado di sviluppo industriale delle potenze capitalistiche. Un processo di questa natura finì per essere guidato da un sistema sempre più autoritario. Scrive Massimo Salvadori nella sua limpida «Storia dell'età contemporanea»: «L'URSS del 1939 era già quanto mai distante dall'attuazione di quelle prospettive che erano state all'origine della rivoluzione. L'URSS non aveva alcuna delle caratteristiche proprie dello Stato "in via d'estinzione" egualitario, democratico-proletario progettato dai bolscevichi del 1917. Era invece uno Stato ultra-centralizzato, segnato da profonde divisioni sociali, dal dominio di una potente burocrazia, di un partito unico, gerarchizzato, di un'efficiente e onnipotente macchina poliziesca, sottoposti a loro volta alla volontà di un "capo" supremo oggetto di un culto sfrenato». Per anni, anzi per decenni, i comunisti occidentali hanno voluto scorgere nella statizzazione integrale dell'economia e nella dittatura o egemonia del Partito Comunista la base materiale inevitabile della società socialista. In questo blocco ideologico monolitico e fideistico si sono fatte strada le revisioni, e le reinterpretazioni. Non solo oggi si afferma che il socialismo in Occidente non può e non potrebbe che essere profondamente diverso, ma si fa anche strada una analisi critica e diversa del cosiddetto «socialismo reale». Gli studiosi del PCI più aperti alle istanze revisionistiche e sovente meno reticenti dei leaders politici hanno giustamente sottolineato il persistente carattere autoritario e persino «asiatico» del socialismo sovietico nonostante i cambiamenti intervenuti nel periodo poststaliniano. Jean Eienstein è giunto alla conclusione che il «socialismo reale» non può essere armonizzato con la tradizione occidentale e i suoi valori di base. Santiago Carrillo non ha esitato a definire «burocratica» e «totalitaria» la società sovietica attuale. Anche in campo comunista non sono mancate le critiche a certi aspetti della politica di potenza dell'URSS che hanno trovato il loro culmine negativo nella imperialistica invasione della Cecoslovacchia. In effetti, le distanze che ancora separano la promessa socialista, che è una promessa di eguaglianza e di libertà, e la prassi e le strutture del sistema sovietico sono sotto gli occhi di tutti. Ciò nondimeno noi non intendiamo sottovalutare ciò che l'URSS ha rappresentato e rappresenta per la realtà contemporanea. Siamo fermamente convinti che il nostro Paese e l'Europa debbano mantenere, rafforzare e sviluppare tutti i possibili scambi economici e culturali con l'URSS. Non vogliamo contrapposizioni frontali, ritorni al clima della guerra fredda, pregiudiziali ideologiche fanatiche e improduttive. Riconoscendo, nel suo sessantesimo anniversario, tutta l'importanza storica della Rivoluzione d'Ottobre, vogliamo giudicare la realtà sovietica di oggi con piena libertà e senza pregiudizio, secondo il metro dei nostri valori e dei nostri principi. Non possiamo pretendere che i nostri valori siano validi e universali per tutti i popoli e per tutte le circostanze storiche. Abbiamo però il diritto e il dovere di difendere la nostra identità e la nostra concezione del socialismo ancorato ai valori di libertà pluralistici e laici della civiltà occidentale. E' il solo contesto al quale può essere del resto collegata una prospettiva socialista in Europa. Scriveva a cavallo degli anni'20 Karl Kautsky, il «rinnegato» della polemica leninista: «Per socialismo moderno noi intendiamo non soltanto una organizzazione sociale della produzione ma anche una organizzazione democratica della società; perciò il socialismo è per noi indissolubilmente legato con la democrazia. Non c'è socialismo senza democrazia». Gli avvenimenti di più di mezzo secolo non hanno affatto incrinato la validità di queste proposizioni sempre più difficilmente «rinnegabili» (dall' "Avanti!" del 6 ottobre 1977).
