Indice MonografieRicordo di Salvemini» di Marcello StaglienoOgni volta che passo per Firenze, e mi trovo in piazzale d'Azeglio, volgo gli occhi per in su, sopra il portone che reca il numero 14, e non posso fare a meno di ricordare che nell'appartamento d'angolo, dal 1916 al 1925, abitò don Gaetano Salvemini. E' un ricordo indiretto, che mi viene da un comune amico (del quale Salvemini fu inimicissimo dal 1935), Giovanni Ansaldo. Ma c'é anche un ricordo diretto: una mia visita (4 luglio 1957, avevo diciott'anni ed ero lettore de «Il Mondo» di Pannunzio, cui egli collaborava) a lui malato, ospite della marchesa Ruffino Benzoni a Sorrento, nella soleggiata villa «La Rufola» sul Capo. Aveva una faccia ispida e rugosa, illuminata dai capelli candidi sulla testa, quasi calva, e dagli occhi vividi ancora dietro le grosse lenti. Sedeva su una poltrona davanti alla finestra, le mani gonfie di vene abbandonate sui braccioli. Si esprimeva ansimando, ma forte e chiara era ancora la sua voce, in cui duravano tenaci i residui della parlata pugliese della sua Molfetta, dov'era nato l'8 settembre 1873. Quando morì in Sorrento il 6 settembre 1957, due giorni prima dell'ottantaquattresimo compleanno, mi trovavo all'estero, e non tornai per i funerali, che furono solennissimi, con la partecipazione commossa - soprattutto - degli uomini cui fu più vicino negli ultimi anni, i socialisti della rivista «Il Ponte» e i radicali de «Il Mondo» di Pannunzio. Lui (che pure nei 1948 aveva coniato il motto «Turatevi il naso ma votate Dc»), col definitivo ritorno in Italia - settembre 1949 - era tornato alle posizioni «laiche» della propria formazione intellettuale: ed è proprio di questa - di là dagli stessi dati biografici - che voglio sottolineare. Figlio d'un piccolo proprietario terriero (in una famiglia, come lui stesso dice, «ricca di figli ma non di quattrini»), Gaetano Salvemini frequentò le scuole, inclusi il ginnasio e il liceo, nel seminario di Molfetta. Per sua fortuna, il successo ottenuto negli esami di maturità l'invogliò a chiedere una borsa di studio presso l'Istituto di studi superiori in Firenze. Ultimo tra i vincitori, con una «borsa» di sessanta lire il mese, si recò nel capoluogo fiorentino: e la sua formazione intellettuale comincia da lì. Ebbe ottimi insegnanti, tra cui Pasquale Villari per la storia moderna, e Achille Coen per quella antica. Ma a guidarlo fu soprattutto Cesare Paoli, insegnante di paleografia, il quale lo spinse a quella tesi di laurea che, pubblicata nel 1896 col titolo La dignità cavalleresca del Comune di Firenze lo collocò in prima fila tra gli scrittori italiani. Tre anni dopo il poderoso saggio Magnati e popolani nel Comune di Firenze, dal 1280 al 1296 accrebbe la sua fama nel mondo accademico, tanto che nel 1901 egli ottenne la cattedra di storia medioevale e moderna all'Università di Messina. Agivano in lui, in quello scorcio del secolo, diversi stimoli intellettuali: da una parte l'amore positivistico per il «documento», elemento fondamentale per gli studi, al di là della passione politica; dall'altro il materialismo storico e di lotta di classe marxiana che - sul piano politico - tenzonava nel suo spirito con il liberalismo radicale, e federalrepubblicano, di Carlo Cattaneo: donde, nei suoi scritti, una sintesi storica più appassionata di quella freddamente positivistica, e per di più increspata dalla conoscenza, di prima mano, di altri pensatori quali Pareto, Mosca, Taine, Tocqueville. La passione politica, già dal 1897 (con lo pseudonimo "Un Travet") l'aveva spinto a collaborare alla «Critica Sociale», che l'avrebbe riempito con una serie di saggi fortemente critici nei confronti del partito di Turati, al quale s'era nel frattempo iscritto. In particolare egli sentiva la necessità, sempre più viva, che il partito si battesse a fondo per ottenere il suffragio universale, primo passo necessario alle masse del "suo" Meridione per sottrarsi ai meccanismi clientelari e al giogo dei "notabili", i proprietari terrieri. Gli anni messinesi furono fervidi di studi: nel 1905 diede alle stampe un saggio su Mazzini, vivissimo, dove il rigore morale salveminiano esalta quello del genovese, in un ritratto-medaglione che inserisce il padre dell'idea repubblicana nella vita del suo secolo e nelle correnti intellettuali e politiche d'allora, italiane e europee. Soprattutto, nel 1906, Salvemini pubblicò La Rivoluzione francese che resta forse uno dei suoi libri migliori: per altezza nei punti di vista, asciuttezza di scrittura, rigore, minuziosa ricerca del documento e novità d'interpretazione. La Rivoluzione dell'89, secondo Salvemini, non era qualcosa di storicamente "inevitabile", ma solo il prodotto di un riformismo mancato, frutto degli errori della monarchia e dell'ancien régime. Il 1908 fu un anno tragico per Salvemini. Il terremoto di Messina gli uccise la moglie (Maria Minervini, figlia d'un ingegnere pugliese conosciuta a Firenze negli anni dell'Università) e i cinque figli. Ma fu altresì un anno importante perché, già nel febbraio, aveva conosciuto Giuseppe Prezzolini. Dal 1909 al 1911, Salvemini fu tra i più assidui, e i più battaglieri, collaboratori de "La Voce", la rivista fondata in Firenze - 20 dicembre 1908 - da Prezzolini. In essa, ricorda lo stesso Prezzolini (Il Tempo della Voce, Longanesi-Vallecchi, 1960), egli «trovò non soltanto affetto da parte di alcuni, ma anche una nuova ragione di vivere, ossia di sperare, e cosa importante, da socialista qual'era agli inizi, diventò un italiano e un liberale». Diradò infatti la collaborazione alla "Critica Sociale", per trattare i suoi temi preferiti (la scuola, la questione meridionale, il suffragio universale) sulla rivista prezzoliniana: per la scuola auspicava quella riforma che - sottolineata in un saggio con Alfredo Galletti nel 1908 - con qualche variante in senso autoritario, Giovanni Gentile avrebbe fatta propria, e realizzata nel 1923. Quanto alla questione meridionale e al suffragio universale Salvemini si batté a loro favore in senso antigiolittiano, ovvero contro ii metodo "clientelare" istituito da Giolitti nel Sud. Nel 1909, durante le elezioni generali, si recò a Gioia del Colle come osservatore, e diede un resoconto dei metodi elettorali del giolittiano Vito De Bellis in un pamphlet pubblicato sotto il titolo provocatorio de Il ministro della mala vita. Sempre bastian-contrario e controcorrente, Salvemini si trovava in quel tempo in una situazione paradossale: per un impulso autentico, sofferto, verso la giustizia sociale era in pectore ancora socialista, ma avverso alla politica del suo partito, guidato dal riformista Turati e, approdato a un liberalismo di fondo per i suoi contatti con «La Voce», era però antiliberale, proprio perché a guidare i liberali c'era il «ministro della mala vita» Giolitti. Fu proprio Giolitti, indirettamente, a provocare l'uscita di Salvemini dalla «Voce»: con la guerra di Libia, egli si dimise dalla rivista, dove Prezzolini, Amendola e Jahier erano favorevoli all'intervento, mentre lui era nettamente contrario. Alla fine del 1911, quando la guerra libica era già in corso, Salvemini - che nel frattempo era uscito anche dal partito socialista - fondò «L'Unità»: una rivista che non si presenta, a rileggerla oggi, come l'espressione d'una nuova generazione, quale fu «La Voce», ma piuttosto come manifestazione polemica delle idee di Salvemini, in chiave antigiolittiana e antituratiana. Nel 1915 entrata l'Italia in guerra, Salvemini sospese le pubblicazioni dell'«Unità» e s'arruolò volontario. Assegnato al 121º Fanteria, fu dislocato sul Carso fra Monte S. Michele e Monte Sei Busi, ma s'ammalò gravemente, e ai primi dei 1916 fu messo in congedo. Riprese la pubblicazione dell'«Unità» a Roma, condividendone la direzione assieme a Antonio Viti De Marco; al tempo stesso tentò di pubblicare l'opuscolo La questione dell'Adriatico, nel quale confutava la tesi nazionalista favorevole all'annessione all'Italia della Dalmazia. Quanto al resto, Salvemini fu profondamente nazionalista. E qui c'è un elemento che i suoi biografi hanno tracurato: i suoi iniziali rapporti con Mussolini. Per sottolinearli mi limiterò a citare quanto scrisse Claudio Treves su «Stampa Sera» (18 agosto 1975, pagina 3): ... s'era stretto col peggior canagliume dei «radiosomaggisti», aveva collaborato al Popolo d'Italia e partecipato alla crociata contro la democrazia e il Parlamento, senza nemmeno avvertire durante il primo semestre del '19 la potenziale o reale pericolosità d'un movimento (quello fascista - ndr) che in gennaio aveva proibito a Bissolati di parlare alla Scala da internazionalista «rinunciatario», in marzo aveva fondato il primo fascio e ad aprile aveva incendiato, nella vecchia via San Damiano, l'Avanti! Benché viziato da preconcetti socialisti, Treves dice il vero. Ma se non va dimenticato che nei 1919 Salvemini fu anche eletto in Puglia in una lista di combattenti (già nel 1910 e nel 1913 aveva tentato, con sfortuna, la carriera politica), non va neppure dimenticato che in quello stesso 1919 egli riunì tutti gli amici dell'«Unità» per fondare una «Lega per il rinnovamento nazionale» con scopi nettamente democratici, della quale fece parte - e non è un caso - il giovanissimo Piero Gobetti. Nell'estate del 1922, mentre Mussolini s'apprestava a conquistare di slancio il potere, Salvemini si recò a Londra dove, al King's College, tenne un corso di lezioni sulla Politica estera dell'Italia dal 1871 al 1915 (che fu pubblicato in volume soltanto dopo il 1945). Nel 1923, mentre già il fascismo osteggiava il suo amico Gobetti (e il suo amico Ansaldo) per gli articoli sulla «Rivoluzione liberale», Salvemini tornò a Londra dove, con smalto polemico, tenne una serie di conferenze sulla storia della Triplice Alleanza (pubblicata a puntate sul «Lavoro» di Genova, quotidiano socialista di cui Ansaldo era il redattore-capo). Dal 1916 (dopo sei anni trascorsi a Pisa) era professore all'Istituto Superiore di Firenze, e non aveva cessato, nelle aule di piazza San Marco, di tenere le sue lezioni con fervore, onestà e passione. Soprattutto con passione: prima come antigiolittiano e interventista, poi come avversario, sempre più irriducibile, di Mussolini. La sua casa in piazzale d'Azeglio (dove viveva con la seconda moglie, Fernande Dauriac, e con il figliastro, quel Jean Luchaire che doveva finire fucilato come «collabò» in una fortezza francese nel 1945) diventò un punto di riunione per gli antifascisti; così come lo fu il «Circolo di lettura», da lui fondato a Firenze nel 1923, devastato dalle squadre fasciste e poi chiuso il 5 gennaio 1925 per «motivi di ordine pubblico». Collaboratore del giornale clandestino «Non Mollare», Salvemini venne arrestato l'8 giugno 1925 a Roma e internato a Regina Coeli, poi alle Murate a Firenze. Il 25 luglio fu scarcerato grazie a un'amnistia. Con l'aiuto di Federico Chabod e Alessandro Passerin d'Entreves riuscì a espatriare in Francia, poi in Inghilterra. Il 31 gennaio 1926 Costanzo Ciano, a Molfetta, cancellò ii suo nome dai registri dello stato civile, privandolo della cittadinanza e confiscandogli i beni. Sino al 1933, Salvemini visse tra Francia, Inghilterra e Stati Uniti, manifestandosi con la propria attività pubblicistica, d'insegnante e conferenziere, senza smettere mai la propria attività politica contro Mussolini. Tra i fondatori, nel 1929, del movimento «Giustizia e libertà», scrisse anche numerosi opuscoli, tra cui The Fascist Dictatorship in Italy (1927), Mussolini diplomatico (1928) e nel 1936 - quando ormai da tre anni s'era trasferito a Harvard, insegnante presso quella Università - Under the Axe of Fascism. Si tratta d'opere polemiche: non c'è, in esse, alcun giudizio «storico» sul fascismo, ch'è presente invece, per esempio, nei saggi di Luigi Salvatorelli e Giovanni Ansaldo pubblicati sulla «Rivoluzione liberale» di Gobetti (Gobetti stesso riconobbe che il fascismo era «l'autobiografia della nazione»). Negli Stati Uniti, Salvemini ebbe, proprio sul fascismo, un'aspra polemica con Prezzolini, accusandolo ingiustamente d'essere una «spia» al servizio di Mussolini. Nei 1947 tornò per la prima volta in Italia, ma vi si stabilì solo nel 1949: il 16 ottobre di quell'anno riprese l'insegnamento all'Università di Firenze. Finché la salute glielo consentì, si divise tra l'Italia e Harvard, dove completò un ampio saggio di storia diplomatica (Prelude to World War Two, 1953). Quindi si ritirò a Sorrento dove, come ho detto, morì. Grande ingegno, e spirito generosissimo, fu viziato sempre dalla passione politica. Su di lui vale ancor oggi un acuto giudizio di Giustino Fortunato (tratto da una lettera a Giovanni Ansaldo, quando Salvemini era in esilio): «Ma l'uomo è fatto come madre natura lo creò, e bisogna perdonargli quel tanto di eccessivo ch'egli ha e che, dopo tutto, non è riuscito se non a suo danno. E quando penso a tutto il fervore disinteressato e costante per il pubblico bene; quando penso al singolarissimo acume dei vivido suo cervello; e alla dura sua giovinezza, alla tragedia di sua famiglia, alla presente sua vita randagia e deserta, alla condizione sua di profugo e di fuoruscito, come non riavere le lacrime agli occhi?». Don Giustino, sul cadere della vita, era facile al pianto. A rileggere queste sue righe non c'é molto da commuoversi: ma l'esattezza del giudizio va condivisa. |
Ai sensi dell'art. 5 della legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla protezione del diritto d'autore, i testi degli atti ufficiali dello Stato e delle amministrazioni pubbliche, italiane o straniere, non sono coperti da diritti d'autore. Il copyright, ove indicato, si riferisce all'elaborazione e alla forma di presentazione dei testi stessi. L'inserimento di dati personali, commerciali, collegamenti (link) a domini o pagine web personali, nel contesto delle Yellow Pages Trapaninfo.it (TpsGuide), deve essere liberamente richiesto dai rispettivi proprietari. In questa pagina, oltre ai link autorizzati, vengono inseriti solo gli indirizzi dei siti, recensiti dal WebMaster, dei quali i proprietari non hanno richiesto l'inserimento in trapaninfo.it. Il WebMaster, in osservanza delle leggi inerenti i diritti d'autore e le norme che regolano la proprietà industriale ed intellettuale, non effettua collegamenti in surface deep o frame link ai siti recensiti, senza la dovuta autorizzazione. Framing e Deep Link: che cosa è lecito - Avvocato Gabriele FAGGIOLI. Il webmaster, proprietario e gestore dello spazio web nel quale viene mostrata questa URL, non è responsabile dei siti collegati in questa pagina. Le immagini, le foto e i logos mostrati appartengono ai legittimi proprietari. La legge sulla privacy, la legge sui diritti d'autore, le regole del Galateo della Rete (Netiquette), le norme a protezione della proprietà industriale ed intellettuale, limitano il contenuto delle Yellow Pages Trapaninfo.it Portale Provider Web Brochure e Silloge del web inerente Trapani e la sua provincia, ai soli dati di utenti che ne hanno liberamente richiesto l'inserimento. Chiunque, vanti diritti o rileva che le anzidette regole siano state violate, può contattare il WebMaster.Note legali trapaninfo.it contiene collegamenti a siti controllati da soggetti diversi i siti ai quali ci si può collegare non sono sotto il controllo di trapaninfo.it che non è responsabile dei loro contenuti. trapaninfo.it |