«Fenoglio, Rustico Romantico» di Marcello Bosonetto


Nasce ad Alba (CN), capitale delle Langhe, la più caratterizzata fra le terre collinari del Piemonte meridionale, nota per la produzione di pregiati vini, per le attività manifatturiere, per la intraprendenza della popolazione che ha trovato in Pavese, in Fenoglio stesso, in Piccinelli - sul finire della prima e nella seconda metà di questo secolo - i suoi cronisti e i suoi aedi (come una certa Toscana in Cassola o la Sicilia in Sciascia, per intenderci).Radicatissimo nella sua città, vi trascorse l'intera vita, salvo le parentesi degli studi universitari a Torino, interrotti per la chiamata alle armi come allievo ufficiale a Roma (1934), e della guerra partigiana combattuta, peraltro, in Langa, sulle soglie di casa. Dalla liberazione in poi si ristabilisce in Alba non soltanto per le necessità pratiche del lavoro (farà il procuratore per una nota casa enologica, fino alla breve malattia mortale, con solerte efficienza e consapevole umiltà), ma anche per testimoniare una indefettibile fedeltà alle proprie radici. Le opere, pubblicate in vita da Einaudi (I ventitré giorni della città di Alba, 1952; La malora, 1954) e da Garzanti (Primavera di bellezza, 1959), postume da Garzanti (Un giorno di fuoco, 1963; Una questione privata, 1965) e ancora da Einaudi (La ballata del vecchio marinaio, 1964; Il Partigiano Johnny, 1968; La paga del sabato, 1969; Un Fenoglio alla prima guerra mondiale, 1973), hanno avuto ristampe e vicende editoriali (Mondadori, varie testate periodiche, ecc.) talvolta disorganiche e non sempre felici: solo nel 1978 Einaudi ha finalmente pubblicato l'edizione critica dell'opera omnia curata esemplarmente da Maria Corti. Le biografie sono varie e multiformi: nella difficoltà di citarle tutte, basterà ricordare quelle di Gina Lagorio (1970) e di Davide Lajolo (1978), forse decisiva quest'ultima, per la connotazione dell'uomo Fenoglio. Anche la bibliografia su Fenoglio deve aprirsi con i nomi della Lagorio e di Lajolo, per la mole dei lavori dedicatigli; ma comprende tutti i nomi più prestigiosi della critica italiana contemporanea, da Calvino a Manacorda, da Guglielminetti a Barberi Squarotti, da Mondo a Salinari, da Pampaloni a Citati, da Bevilacqua a Pedullà, da Marabini a Guglielmi, da Beccaria a Forti, da Cecchi ad Antonicelli (per non citarne che alcuni); fondamentale, poi, il contributo di Maria Corti il cui lavoro, impostato nell'ottica dei suoi prevalenti interessi storico-linguistici e filologici, li travalica, tuttavia, per spaziare ben più altamente. Numerose ormai, sono le traduzioni di Fenoglio, sia pure parziali (spesso antologiche): in rumeno, in ceco, in francese, in svedese, in inglese, in polacco. E' arduo tracciare un profilo esaustivo di Fenoglio nei limiti di una «voce» enciclopedica: vuoi per la ricchezza dei filoni della sua opera, vuoi per l'incandescenza di una «partita» critica tuttora aperta per la vicinanza non solo cronologica dell'uomo e della sua vicenda esistenziale. E' forse economico partire da alcune definizioni succedutesi, tutte stimolanti e parzialmente centrate ma riduttive: sfatatane la perentorietà, si può tentarne una composizione che ripristini le dimensioni esatte di una figura destinata ad acquisire sempre maggiore rilievo nel panorama della narrativa italiana del '900. «Barbaro» e quasi «naïf» è apparso il Fenoglio dei primi racconti partigiani: un «irregolare» della letteratura la cui prosa rustica sembrava nascere da una facile trascrittura senza mediazione dalla memoria alla pagina, nell'empito dell'avventura, ancor tutta pulsante, vissuta tra colline, fienili e odor di polvere, della lotta di Liberazione, con una fortissima caratterizzazione locale, langarola: un epigono di Pavese con un pizzico di vitalità e di sanguigno in più. Era giudizio estremamente riduttivo, che dimenticava, da una parte, l'insonne consuetudine dell'Albese con i classici e i moderni anglosassoni alla cui traduzione trascorreva squarci di tempo di tormentato e serissimo impegno storico-filologico (in questo, sì, simile - ma non legato - a Pavese); e dall'altra, la matrice «biologica» irriducibilmente diversa da quella pavesiana tanto vitalistica e ancorata ai valori autoctoni della propria terra, questa, quanto letterariamente «mediata» e decadentisticamente enfatizzata, quella. Ancora «neoralista», «hemingwayano», «picaresco», «impressionista», ecc. ecc., sono alcune delle etichette tentate per uno scrittore che continua per un lungo periodo a stupire per l'apparente «facilità» di scrittura (che è poi trasparenza e leggibilità, certo tanto felice da ridurre verdi di bile gli sterilissimi distillatori di preziosismi vuoti di fatti, sempre pronti a mascherare di tormentata insoddisfazione una reale «impotentia generandi»). In realtà - scrive di sé Fenoglio - «la più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti». E' un autentico lavoratore della penna (sia pure part-time, perché sarà per tutta la vita prioritariamente un attivissimo operatore aziendale) che, consapevole di un patrimonio fantastico e di un ancoraggio culturale vasti e validi, ne vorrà produrre un'espressione anche stilisticamente adeguata: e ci riuscirà, in misura imponente anche per mole, se raffrontata ai pochi anni di vita, assorbiti, per lo più, dall'attività extraletteraria. Si è infine parlato di un Fenoglio ideologicamente «disimpegnato» (quando non addirittura «qualunquista»). Qui l'abbaglio è clamoroso. Anche al meno attento dei lettori de La malora o di Il padrone paga male (per non fare che due degli innumerevoli esempi possibili) non può sfuggire con quale sofferto acume Fenoglio abbia penetrato la questione contadina tra Ottocento e Novecento, nel romanzo, e il problema della crisi sociale dell'Italia postbellica, nel racconto: gli è che nessuno scrittore del nostro tempo, forse, è lontano come Fenoglio dal tono predicatorio o (quanto meno) didascalico; e nessuno come lui sa far nascere, dall'architettura della narrazione e dalla sua intima sintassi, dalla sommessa incessante «poesia» delle cose concatenate in ritmo necessitante e teso sensa cadute, l'evidenza di assunti di libertà e di giustizia mai urlati ma scolpiti in caratteri di tersa solarità. Evidenziatene le collocazioni riduttive, è doverosa una sintetica definizione «positiva» di Fenoglio. Certamente «piemontese», certamente «barbaro», «libertario», e «non violento», certamente «oggettivo» e certamente «anglosassone», certamente «realista», certamente «crepuscolare», e «picaresco» e «senofontiano» e «immediato», secondo gli echi e le risonanze che ciascuno ama dare a suo modo a tutte queste nomenclature comprendenti tutto e il contrario di tutto come la maggior parte delle etichette. Si tratta di uno dei grandi narratori europei del Novecento, con una varietà di toni alla propria tastiera, che spazia dalla poesia corale dei Ventitré giorni della città di Alba, a quella sociale di La morale (forse il suo capolavoro), a quella, tutta esistenzialisticamente vibrata su un destino individuale di amore e di morte, di Una questione privata. Uno scrittore - vedi caso! - quasi per scommessa, comparso come un lampo su un orizzonte letterario folto di pianeti più che di stelle, e che continuerà a brillare di luce propria: già - irreversibilmente - un classico.

 

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