«Stato e repressione» di Giorgio Bocca
La repressione è una funzione organica e indispensabile di ogni Stato costituito e, nella visione utopistica di Carlo Marx, dovrebbe aver termine solo con la dissoluzione dello Stato e la formazione di una perfetta società comunista capace di dare a ognuno secondo i suoi bisogni. Lo Stato costituito, fin che esiste, deve darsi un esercito e una polizia capaci di reprimere le forze che tendono a sovvertire o a mettere in crisi l'ordine costituito: la criminalità comune in tutte le sue forme e la sovversione politica, il rifiuto politico di accettare le leggi dello Stato. Nella attuale società italiana, come in quasi tutte le società europee, convivono e spesso si confondono due concezioni della funzione statale e perciò due concezioni della repressione. Secondo la concezione liberale su cui sono fondate le democrazie parlamentari, lo Stato ha il diritto di reprimere gli atti contrari alle sue leggi, ma deve permettere e garantire le opinioni. E' proibito organizzare un gruppo armato contro lo Stato, non è proibito teorizzare la rivoluzione. La seconda concezione, quella leninistica introdotta nei paesi occidentali dai partiti comunisti della Terza internazionale, predica invece la identità fra azione e pensiero, fra teoria e prassi. Chi pensa agisce, gli intellettuali sono dei militanti politici, le loro idee sono delle armi. Ecco perché nei paesi "socialisti" il dissenso politico viene punito come un atto di sovversione. Quando si dice «repressione» si pensa ad uno Stato che manda i suoi poliziotti a catturare gli avversari politici che vengono poi chiusi neile prigioni, o, come si dice in memoria dei nazisti, nei lager. Questo tipo di repressione nell'Italia democratica esiste indubbiamente e dovremmo dire necessariamente: lo Stato democratico non può lasciare in libertà coloro che sparano sui suoi funzionari, che mettono le bombe sui treni. Si tratta di una repressione legittima in difesa di una Costituzione e di un sistema sociale approvati dalla stragrande maggioranza della popolazione. E commettono un errore coloro i quali, facendo di ogni erba un fascio, mettono questa repressione legittima assieme a quella non legittima che a volte l'accompagna. Repressione legittima è quella che sta dentro lo Stato di diritto, che assicura agli imputati politici un processo regolare e una civile detenzione. Repressione illegittima è quella che tiene i prigionieri politici senza processo, per anni, in condizioni carcerarie che attentano alla loro integrità fisica e che non consentono la regolare difesa. E' evidente che le distinzioni, i confini fra l'una e l'altra repressione sono incerti, difficili. E' lecito oppure no riunire i prigionieri politici nei cosiddetti supercarceri? Dal punto di vista della sicurezza statale probabilmente è un vantaggio, ma dal punto di vista dello Stato di diritto no, sarà sempre più difficile per gli avvocati difensori avere dei rapporti continuativi con gli imputati rinchiusi nei carceri su lontane isole. Il giudizio politico potrà ovviamente essere diverso, ma dovrebbe comunque essere globale, dovrebbe valutare l'insieme della situazione e non fare di un solo o di alcuni episodi un discrimine totale. Se si bada alla situazione generale si può dire che lo Stato italiano oggi, pur subendo forti tentazioni autoritarie, non è uno Stato di polizia, resta uno Stato in cui è possibile esprimere le proprie opinioni. Ma questa idea poliziesca e carceraria della repressione così diffusa nella sinistra italiana ignora che esistono altre forme di repressione, in Italia particolarmente attive e pericolose. In questi trent'anni il modo di produrre e di distribuire italiano ha subito delle grosse trasformazioni. Siamo passati da una economia mista metà industriale e metà agricola a una economia in cui il «terziario», cioè la burocrazia e la mediazione, cresce di continuo mentre di continuo diminuisce la popolazione agricola. Il capitalismo privato ha passato la mano allo Stato per quasi tutte le grandi imprese; il movimento sindacale, la classe operaia organizzata, fa parte dei poteri costituiti, interviene nelle decisioni di governo; la lotta di classe si è attenuata, per ogni conflitto di classe operano degli ammortizzatori come la cassa integrazione, lo Statuto dei lavoratori, gli interventi statali. Siamo insomma ad un capitalismo assistito in cui la democrazia cristiana da un lato e il partito comunista dall'altro tendono a monopolizzare i consensi. Questa società di sindacati e di corporazioni assistiti, garantiti, tende alla omogeneità, ai grandi conformismi e perciò alla repressione o allo scoraggiamento dei diversi, per cui non sono necessari né la polizia né il carcere. L'appello che gli intellettuali francesi vicini a Sartre hanno lanciato nell'estate del 1977 contro la repressione poliziesca in Italia ha precisamente questo torto: di ingigantire quello che non c'è o che c'è in misura tollerabile, e di ignorare quelle tradizioni e quelle tentazioni clericali, totalizzanti, che ritornano nei grandi partiti italiani e nelle loro alleanze.
