«La revisione dei giudicati penali» di Francesco Marasco


Il legislatore ha previsto la possibilità che le persone cui compete amministrare la giustizia incorrano in errore: si è perciò premurato, a salvaguardia dei diritti del cittadino, di introdurre nel nostro ordinamento il rimedio della «revisione» grazie alla quale è possibile togliere ogni vigore formale alla cosa giudicata e superarla per ovviare ad una ingiustizia determinata da motivi circostanziali. L'istituto della «revisione» è disciplinato dagli artt. 553 e seguenti del Codice di procedura penale e può essere definito un mezzo di impugnazione straordinario, non interamente devolutivo e non sospensivo, che si propone mediante istanza diretta alla Suprema Corte di Cassazione al fine di ottenere le revoca di una sentenza penale di condanna passata in giudicato che si assume viziata da errore giudiziario. E' opportuno soffermarsi brevemente sui caratteri di questo istituto per meglio differenziarlo dagli altri mezzi di impugnazione. La revisione è innanzitutto un rimedio straordinario: mentre infatti le impugnazioni ordinarie sono rimedi processuali che vengono esperiti e si esauriscono nel corso del processo dando origine ai vari gradi, alla revisione si può ricorrere solo a processo concluso e se è intervenuto uno dei fatti eccezionali previsti dalla legge. L'efficacia non sospensiva del rimedio è un corollario del suo carattere straordinario; i mezzi di impugnazione ordinari sospendono l'esecuzione della condanna perché prorogano la conclusione dell'iter processuale; la revisione invece, potendo essere esperita solo a processo già concluso, non puo sospendere l'esecuzione del giudicato. Altra caratteristica dell'istituto è di essere un mezzo di impugnazione non interamente devolutivo: a questo proposito va precisato che si intende per impugnazione devolutiva quella in cui è competente per l'ulteriore giudizio un organo superiore a quello che ha pronunciato la sentenza e per impugnazione non devolutiva quella in cui è competente un organo dello stesso grado. La revisione non è interamente devolutiva perché nella fase rescindente la Corte di Cassazione decide con sentenza che può essere di inammissibilità dell'istanza, di rigetto o di annullamento della sentenza impugnata, e nell'ultimo caso può aversi annullamento senza rinvio o annullamento con rinvio ad altro giudice di competenza uguale a quello che pronunciò la sentenza impugnata. Infine l'istituto di cui ci occupiamo si distingue dai mezzi ordinari di impugnazione perché normalmente in questi ultimi vengono riesaminati solo gli elementi già considerati nei precedenti gradi, mentre perché si possa fare ricorso alla revisione e sempre necessario che siano intervenuti nuovi fatti o nuovi elementi di prova che soli o uniti a quelli precedentemente esaminati giustifichino l'istituto quale limitazione alla irrevocabilità del giudicato penale. Il legislatore, anche se è stato disposto a ledere l'irrevocabilità della cosa giudicata per meglio tutelare le esigenze di verità e di giustizia, ha voluto porre all'istituto della revisione limiti precisi per conservare il carattere eccezionale del rimedio. A tal fine l'art. 553 c.p.p. stabilisce quali sentenze sono soggette a revisione, l'art. 556 c.p.p. indica i soggetti del diritto di chiederla, l'art. 554 c.p.p. prevede i quattro casi in cui si può chiedere e l'art. 555 c.p.p. i limiti oggettivi dell'istituto. Sono soggette a revisione solo le sentenze divenute irrevocabili quando prevedono una condanna per delitto o una condanna per contravvenzione se in conseguenza della stessa il condannato è stato dichiarato contravventore abituale o professionale, mentre non è possibile ricorrere al rimedio di cui ci occupiamo in tutti gli altri casi di condanna per contravvenzione. Soggetti del diritto di revisione sono il condannato, i suoi prossimi congiunti, la persona che ha su di lui l'autorità tuttora e, se il condannato è morto, i suoi eredi; possono inoltre chiedere la revisione il Procuratore generale presso la Corte di Appello ed il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, d'ufficio o a richiesta del Ministro di Giustizia. I casi di revisione sono solo e tassativamente i seguenti, peraltro assolutamente eccezionali: 1) inconciliabilità di sentenze penali irrevocabili; 2) condanna penale fondata su sentenza pregiudiziale civile o amministrativa poi revocata; 3) fatti o nuovi elementi di prova emersi o sopravvenuti dopo la condanna; 4) condanna pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di altro reato. Prevedendo il caso di inconciliabilità di sentenze il testo legislativo stabilisce che l'ipotesi si verifica quando «i fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile dell'Autorità Giudiziaria ordinaria o di giudici speciali» sia di condanna sia di proscioglimento. Pertanto, perché si possa ricorrere alla revisione in questa fattispecie, è richiesta la coesistenza di due giudicati e la inconciliabilità dei fatti posti a fondamento degli stessi. Per quanto riguarda la seconda ipotesi giova ricordare gli artt. 19 e 20 c.p.p. che prevedono vari casi di pregiudiziali civili in procedimenti penali. Le cosiddette questioni pregiudiziali condizionano l'intero processo penale, che in tal caso si definisce appunto pregiudicato: il legislatore, perciò, quando la sentenza penale è dipesa dalla soluzione adottata dal giudice civile o amministrativo e questa è stata successivamente modificata, ha ritenuto giusto conservare la modifica anche della sentenza penale (si pensi al caso di condanna per appropriazione indebita basata su una sentenza civile poi revocata che decideva sulla proprietà della cosa). La terza ipotesi rappresenta il caso di gran lunga più frequente e ricorre quando «dopo la condanna sono sopravvenuti o si scoprono nuovi fatti o nuovi elementi che, soli o uniti a quelli già esaminati nel procedimento, rendono evidente che il fatto non sussiste ovvero che il condannato non lo ha commesso». A questo proposito precisiamo che i fatti o gli elementi di prova non sono solo quelli successivi alla condanna, ma anche quelli che potevano essere utilizzati nel giudizio ma non lo furono perché ignorati; gli stessi devono però essere tali che, se considerati, modificano necessariamente il ragionamento logico in base al quale è stata pronunciata la condanna. Il quarto e ultimo caso in cui è ammessa la revisione ricorre quando la condanna è stata determinata da un reato previsto dalla legge penale. Il legislatore parla di falsità in atti o in giudizio solo a titolo esemplificativo e per la peculiarità del reato, ma la ipotesi ricorre in ogni altro caso di reato, sia questo un delitto o una contravvenzione, purché lo stesso abbia avuto rilevanza ai fini della condanna. Anche quando ricorrono le condizioni di cui si è parlato, perché sia consentito chiedere la revisione è ancora necessario che «gli elementi in base ai quali si chiede la revisione» siano «tali da escludere, se accertati, che il fatto sussiste o che l'imputato lo ha commesso». Ne consegue che non si può fare ricorso al procedimento di cui ci occupiamo per ottenere risultati diversi, quali una modificazione del titolo del reato, l'esclusione di circostanze aggravanti, il riconoscimento di attenuanti o altro. L'istanza di revisione si propone avanti la Corte di Cassazione; il procedimento si scinde in una fase rescindente e in un'altra rescissoria e le decisioni che possono essere prese sono analoghe a quelle relative ai ricorsi ordinari: inammissibilità, rigetto, annullamento con rinvio e annullamento senza rinvio. Gli articoli 558, secondo comma, e 559 prevedono però due possibilità che sono peculiari di tale mezzo straordinario di impugnazione. La Corte infatti può nel procedimento di revisione compiere attività istruttoria, disponendo con ordinanza le indagini e gli atti che ritiene utili e delegando all'uopo un Consigliere, e può concedere la libertà provvisoria a richiesta o d'ufficio anche prima di deliberare definitivamente sull'istanza. La pronuncia dell'annullamento senza rinvio da parte della Suprema Corte e l'assoluzione del condannato da parte del giudice di rinvio devono essere immediatamente eseguite per reintegrare i diritti del condannato: allo stesso dovranno essere anche restituite le somme pagate in esecuzione della condanna per spese pecuniarie, spese di giustizia e di mantenimento in carcere, risarcimento danni e misure di sicurezza patrimoniali. Rientrano inoltre tra le possibili forme di reintegrazione, a richiesta dell'interessato, la pubblicazione della sentenza e la riparazione pecuniaria.

 

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