«Cos'è l'oceano» di Alessandro Nangeroni


Quando a metà del secolo XIX un romanziere francese, Jules Verne, che oggi si direbbe uno scrittore fantascientifico, pretendeva di percorrere Ventimila leghe sotto i mari, la scienza non aveva ancora riscontrato tutta l'importanza che spetta agli oceani in un mondo che deve pensare, oltretutto, alla sua sopravvivenza. Le terre emerse rappresentano soltanto poco meno di un terzo del pianeta su cui viviamo: negli altri due terzi si svolge una vita intensa alimentata da circa trecentomila specie vegetali e da oltre mezzo milione di specie animali. Ecco perché l'oceano è una fonte inesauribile di ricchezza e sempre più lo sarà quanto più la scienza moderna avrà apprestato gli strumenti validi a estrarre dalle acque dei mari tutti i beni che vi giacciono sepolti. Le acque degli oceani hanno costituito fin dai tempi più antichi le prime grandi vie di comunicazione fra i popoli. Le civiltà sono sorte e hanno prosperato sulle rive dei mari perché da esse le genti intraprendevano le loro spedizioni per conoscere altri luoghi e altri popoli coi quali scambiare i prodotti della loro terra. E, d'altra parte, la pesca è sempre stata, con la caccia, tra le prime risorse alimentari dell'uomo. L'oceano, poi, ha da sempre alimentato la fantasia dei primitivi, che vedevano in questa imponente messa liquida una forza terribile e nello stesso tempo affascinante, origine di infinite leggende. Specialmente l'Oceano Atlantico era guardato con superstizioso terrore dai popoli del Mediterraneo, che lo consideravano il limite irraggiungibile della Terra, al di là di quelle «Colonne d'Ercole» (l'odierno stretto di Gibilterra) che pochi osavano superare. La gente raccontava che l'Atlantico era popolato di mostri marini e di draghi giganteschi: ad alimentare tali fantasie contribuivano le frequenti tempeste che si abbattevano sull'oceano e i lunghi periodi di nebbia che lo rendevano ancora più terrificante. Perciò veniva chiamato Oceano Tempestoso. Ciononostante, popoli intraprendenti come i Fenici e i Vichinghi, più anticamente, o Spagnoli e Portoghesi successivamente, vi scoprirono continenti inesplorati; altri come gli Inglesi, vi fondarono un potentissimo impero non disdegnando il contributo dei corsari, uomini spregiudicati e amanti dell'avventura, usi a correre i rischi che comporta l'andar per mare. Il fascino dell'oceano è ancor oggi tanto grande che vi sono uomini che l'affrontano su piccole imbarcazioni, da soli, con lo scopo principale di studiare gli spostamenti dei primitivi, ma con l'intimo desiderio di cimentare le proprie forze e il proprio ardimento contro quegli elementi che la natura spesso scatena quasi per vendicarsi di essere stata fatta schiava. Accanto a questi spericolati navigatori solitari vi sono uomini di scienza come i Piccard e i Cousteau che si propongono di incrementare quella disciplina che da oltre duecento anni ha preso il nome di «oceanografia», da quando il bolognese Ferdinando Marsili inaugurò gli studi sulle acque marine, con la sua opera, scritta in francese, dal titolo Histoire physique de la mer. Ma cosa c'è dunque negli oceani, oltre ai pesci e alle balene? C'è... l'acqua, in quantità valutata a circa un miliardo e trecento milioni di chilometri cubici. Ma in quest'acqua ci sono, oltre al cloruro di sodio (vale a dire il comune sale di cucina) e a quello di magnesio, una sessantina di altri elementi, senza contare i molti milioni di tonnellate di ossigeno e di idrogeno. Tra gli elementi più noti sono presenti: il bromo, lo zolfo, il carbonio, il boro, il silicio, il fluoro, nonché metalli preziosi come oro, argento, titanio, nichel e uranio. Per di più gli oceani nascondono nei loro misteriosi abissi giacimenti immensi di petrolio, metano, carbone, ferro e rame. Il problema che si presenta all'umanità è quello di trovare i mezzi adatti a sfruttare queste colossali ricchezze. Quando in un prossimo futuro si farà sempre più arduo il problema di alimentare i dieci miliardi di uomini che forse popoleranno la Terra, dovremo ricordarci che negli abissi oceanici vi sono incalcolabili ricchezze che attendono solo di essere «pescate». Le maggiori potenze del mondo si stanno occupando di questo interessantissimo problema; gli Stati Uniti, fra gli altri hanno stanziato milioni di dollari per attrezzare navi e vari impianti con strumenti capaci di colonizzare gli oceani. Anche l'Italia, pur mancando degli ingenti finanziamenti indispensabili, è all'avanguardia per disponibilità di tecnici altamente qualificati che vengono richiesti dalle maggiori potenze interessate. Ormai gli strumenti per arare i fondali oceanici non appartengono più alla fantascienza, ma fanno parte di quella tecnologia moderna che sfrutta anche l'energia nucleare. Oltre all'utilizzazione delle ricchezze oceaniche, gli studi degli oceanografi mirano alla possibilità di migliorare e aumentare lo sviluppo della vegetazione degli abissi oceanici, e anche della loro fauna. Allo stato attuale un solo uovo, sulle diecimila deposte da un pesce, ha la possibiiità di dar vita a un altro essere; le altre sono distrutte da altri pesci e muoiono per le cattive condizioni ambientali. L'uomo perciò cerca il modo di aggiungere alle acque sostanze altamente vitaminizzate che favoriranno lo sviluppo della fauna ittica. Tutto questo naturalmente servirà in prossimità delle coste perché il traffico dei porti e delle industrie situate vicino al mare inquina le acque con grave danno della fauna marina. L'oceano invece è ricco di quei microrgagnismi che formano il plancton, cioè il primo alimento della maggior parte dei pesci, e l'uomo sta tentando di sfruttare questo prodotto per usi propri. Anche le alghe marine hanno delle proprietà oltre che medicamentose anche nutritive e sarebbero un alimento perfetto se l'uomo si adattasse a cibarsene; purtroppo le popolazioni che riescono a usare le alghe come cibo sono poche e perciò le ricerche degli scienziati sono indirizzate in un altro senso. Certo è che anche per i problemi alimentari si guarda all'oceano come alla migliore risorsa. Per l'acqua potabile gli scienziati stanno studiando il sistema di poter usufruire dell'acqua marina, perché purtroppo pare che le risorse idriche della Terra siano destinate ad esaurirsi in un futuro abbastanza prossimo. Invece il mare, se si riesce a desalare l'acqua, diviene una fonte inesauribile di uno tra i più importanti elementi vitali. Tutte queste ricerche non sono nella fantasia di qualche poeta, sono già progetti in corso di realizzazione. Per le ricerche minerarie sono state allestite gigantesche draghe montate su apposite navi, e si è accertato che il fondo degli oceani sarà ancora più redditizio dei giacimenti di terraferma. Ma la meta più importante che l'uomo desidera raggiungere è quella di ricavare l'energia dall'idrogeno dell'oceano: mentre l'energia nucleare fin qui sfruttata è ricavata dall'uranio, minerale raro e costoso. Sfruttando l'idrogeno del mare l'energia avrà una fonte senza fine di altissimo rendimento e per di più economica: lo studio degli uomini di scienza è appunto volto a strappare alla natura il suo segreto per fare della micidiale forza dell'idrogeno - la bomba H - non più un ordigno di morte, ma uno strumento al servizio del progresso. Quando l'uomo avrà raggiunto questa meta sarà come se avesse addomesticato la natura stessa e tutti i suoi elementi. Gli studi fervono ormai in ogni Paese civile e sempre più numerosa è la schiera di tecnici e scienziati che vi si dedicano. Piccard scende negli abissi con il suo batiscafo e riprende immagini della vita sottomarina per poterla studiare fin nei minimi particolari. J. Y. Cousteau con il suo villaggio sottomarino ha diha dimostrato che è possibile instaurare una vita attiva a duecento metri di profondità per un periodo di almeno trenta giorni. Con questo esperimento le fantasticherie di Verne sono divenute realtà. Ma viviamo in un'epoca in cui ciò che è fantascienza oggi può essere realtà domani, perciò non deve meravigliare se c'è chi pensa d'instaurare la vita umana nelle profondità marine. L'uomo, pur essendo un animale terricolo, affonda quasi sicuramente le sue origini negli abissi marini, perché pare che dal mare sia emerso il primo segno di vita. Anche questo finora è solo tema di studio e non si ha nessuna notizia esatta, ma se così fosse si potrebbe giustificare questa attrattiva che l'uomo sente per il mare, non solo per un interesse esplorativo, ma per il desiderio inconscio di tornare alle origini.

 

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