«Un'ungherese regina di Napoli» di Alessandro Cutolo


Maria, la giovinetta figlia di re Stefano V d'Ungheria, lasciò la patria per sposare in Napoli, nel maggio 1270, Carlo, principe di Salerno, primogenito di Carlo I d'Angiò, re di Napoli. Quest'ultimo, stringendo due matrimoni (di sua figlia Isabella con Ladislao figlio di Stefano V, e di suo figlio Carlo con Maria sorella di quest'ultimo) aveva voluto annodare intimi legami con la forte gente magiara sperando di potere, in un giorno non lontano, sconfiggere, con l'aiuto del re d'Ungheria, l'Imperatore d'Oriente ed assidersi su quel favoloso trono. Fiore tra tanto ferro, Maria d'Ungheria fu madre e sposa esemplare e popolò di figli la casa del marito con otto maschi: Carlo Martello, Ludovico, Roberto, Filippo, Raimondo Berengario, Giovanni Tristano, Giovanni e Pietro; e cinque femmine: Maria, Margherita, Bianca, Beatrice ed Eleonora. La sorte avversa però non concesse a questa pia e cara donna pace e tranquillità. Il 5 gennaio 1284 invano pregò Iddio, dall'alto di una delle torri di Castelnuovo in Napoli, mentre assisteva alla furibonda battaglia navale che la nemica flotta degli Aragonesi al comando di Ruggero di Lauria aveva impegnato, innanzi a Napoli, con le galere angioine comandate da suo marito. Tra le preci ed il pianto le toccò assistere alla rotta delle navi napoletane: alcune ne vide colare a picco, altre andare in mezzo al mare e si chiamò fortunata quando, nonostante tutto, qualcuno scampato ai flutti, al fuoco, ai colpi della ciurma nemica, le raccontò che lo sposo, incolume, era stato tratto prigioniero e veleggiava verso la Sicilia, a bordo della nemica nave ammiraglia. Lo attese da quel giorno in pena; e mille volte temè per la vita di lui, specie quando, morto il suocero il 7 gennaio dell'anno seguente, il marito si trovò a succedere a suo padre mentre era ancora prigioniero. Venne finalmente liberato, e Maria d'Ungheria poté essere incoronata al suo fianco regina nella cattedrale di Rieti. Quando poi, mortole il fratello Ladislao, re d'Ungheria, dovette rivendicare i suoi diritti alla corona di Santo Stefano, non fu certo sete di gloria o ambizione di dominio che la spinse a questo passo, ma solo il pensiero di far cosa grata a suo figlio, il diletto Carlo Martello, cui cedette, agli albori del 1292, trono e pretensioni. Ma la sorte avversa fece morire di peste questo giovinetto ed un altro figlio le si spense: il secondogenito Ludovico, che aveva rinunciato a qualsiasi diritto alla successione, si era fatto francescano e solo per ubbidire al Pontefice aveva accettato il vescovado di Tolosa. Questi atroci dolori non fecero, però, vacillare la profonda fede cristiana di lei. Contribuì alla fondazione del convento di San Pietro a Castello e pregò fervidamente tra le monache di Santa Maria di Donna Regina, a lei dilettissime perché appartenevano a quella regola francescana che era stata cara, più del fasto e dello splendore del trono, al suo Ludovico. E nella pace del cenobio, che ella provvedeva di nuove costruzioni, di affreschi, di statue, trascorse, più che nella reggia di Castelnuovo, le sue ore, dal giorno in cui (6 maggio 1309) anche il marito la lasciò nelle tempeste della vita, dopo aver raggiunto uno dei suoi sogni e aver visto riconosciuto re d'Ungheria Caroberto, il primogenito dell'infelice Carlo Martello. Maria d'Ungheria, vedova, priva di due figli, pregava che ora il Cielo fosse clemente con lei e con il terzogenito Roberto, salito al trono alla morte di suo padre, che si trovava a combattere con i Guelfi e con i Ghibellini, con l'imperatore Arrigo VII e con il re di Trinacria; ma la sventura doveva di nuovo bussare alla sua porta, quando Uguccione della Faggiuola vinse la gente napoletana nella battaglia di Montecatini e i soldati di lui uccisero, nella sanguinosa mischia, un figlio della Regina, Pietro, ed un nipote, Carlo. Come mostrava, però, di non conoscerne l'animo, l'anonimo poeta che scriveva, dopo qualche tempo, un «lamento» per la battaglia così infelicemente perduta, e poneva in bocca alla sventurata sovrana parole di sdegno ed urla minaci! Maria d'Ungheria soffocò, come per il passato, le lacrime nella preghiera, e trovò un lieve compenso a quei lutti quando il Papa le annunciò, nel 1317, di aver elevato agli onori degli altari il suo inobliabile Ludovico. Da quel giorno, per circa otto anni, ella non uscì quasi più dal convento di Santa Maria di Donna Regina, e ivi chiese di essere sepolta, allorché venne a morte il 23 marzo del 1323. Quando il figlio Roberto ne aprì il testamento, la corte seppe, con grande stupore, che la pia Regina, l'ascetica creatura, amica più della cella francescana che della sala del trono, aveva chiesto, unico lusso, dopo tanta umiltà, di essere seppellita in un ricco mausoleo dovuto all'arte di Tino di Camaino, e il figlio ubbidì all'ultimo desiderio della madre. Quando mastro Tino da Siena, figlio di mastro Camaino di Crescenzio, venne a Napoli, poteva dire che il suo nome non suonava ignoto in nessuna regione d'Italia. Nel 1315 aveva eretto, nel duomo di Pisa, il mausoleo all'imperatore Arrigo VII, morto di febbre, o forse di veleno, due anni innanzi a Buonconvento; accomunando poi nella sua arte Guelfi e Ghibellini, aveva scolpito, cinque anni dopo, in S. Maria del Fiore a Firenze, la tomba dell'arcivescovo Orso; chiamato dalla fiducia che nella sua abilità aveva la morta Regina, fu lieto di venire a Napoli per comporne la tomba. Un anno intero sottopose a Roberto progetti e modellò abbozzi; e, quando finalmente, nel febbraio del 1325, l'artefice ed il Re furono d'accordo sul monumento, Tino di Camaino si pose febbrilmente all'opera, che riuscì splendida ed ancora oggi costituisce il vanto di quel tempio napoletano.

 

eXTReMe Tracker

Shiny Stat

free counters