«Come ascoltare la musica» di Michelangelo Abbado


Il segreto per accostarsi alla musica con la speranza di captarne i più intimi contenuti e trarne profondo godimento spirituale consiste nel partecipare attivamente all'ascolto, sforzandosi di comprendere il significato del discorso musicale mediante la più intensa attenzione. Solo in tal modo sarà possibile ricevere dall'opera musicale un messaggio capace di procurare un'autentica emozione, talora così forte da rimanere incancellabile. Due generi di difficoltà ostacolano spesso tale risultato: la complessità delle componenti il linguaggio musicale, che da circa otto secoli continua a evolversi secondo modi, stili, tecniche e schemi sempre diversi, e la quasi totale impreparazione della maggior parte degli ascoltatori, spesso digiuni delle più elementari conoscenze riguardanti la musica, cominciando dai fenomeni acustici, che ovviamente stanno alla base dell'arte dei suoni. Sarebbe un grave errore scindere l'un dall'altro i vari elementi che compongono la musica (ritmo, melodia, armonia e timbro), in quanto dalla loro simultaneità nascono le differenti reazioni dell'ascoltatore. Ma non si può fare a meno di ricordare che i suoni musicali provengono dalle vibrazioni regolari di vari corpi, e che dalla velocità di queste vibrazioni dipende l'altezza del suono. Per esempio, il suono in base al quale si accordano tutte le orchestre, il la3, è prodotto da 440 vibrazioni doppie al secondo, ossia da 440 Hertz (dal nome del fisico amburghese, celebre per aver comprovato sperimentalmente l'esistenza delle onde elettromagnetiche, che Marconi applicò alla radiotelegrafia). Questo valore costituisce la frequenza del suono. Uno dei dati acustici fondamentali è che, raddoppiando la frequenza di qualsiasi suono, se ne ottiene un altro più acuto ma assolutamente simile al primo, tanto da produrre in noi la gradevole sensazione di una perfetta consonanza. Questo intervallo, che nella civiltà musicale diffusasi nell'intero mondo prende il nome di ottava, perché comprende otto suoni naturali, è comune a tutti i sistemi musicali, anche se presso taluni popoli extra-europei viene suddiviso diversamente. Nell'ambito della nostra ottava i suoni naturali si susseguono con cinque toni, alternati a due semitoni. Essi corrispondono ai tasti bianchi del pianoforte. Ma ogni tono è divisibile in due semitoni mediante le alterazioni del diesis e del bemolle; per cui l'ottava comprende complessivamente dodici semitoni. Poiché l'altezza del suono aumenta accorciando la lunghezza del corpo vibrante (per questo motivo gli strumenti dalla tessitura più acuta sono più piccoli di quelli affini che producono i suoni più gravi), basta sfiorare la metà di qualsiasi corda pizzicata o messa in vibrazione con l'arco per ottenere l'ottava superiore. Se invece si sfiora la corda negli altri punti frazionari (un terzo, un quarto, un quinto, un sesto, e così di seguito), si otterranno suoni sempre più acuti, chiamati armonici, in proporzione all'aliquota di corda vibrante. Ma il fatto più singolare è che, anche quando la corda vibra nella sua integrità, ogni sua parte frazionaria vibra più o meno indipendentemente, producendo una serie di armoniche, che l'orecchio umano non distingue se non mediante i risuonatori di Helmholtz o gli attuali analizzatori elettronici di suoni, ma che, secondo la prevalenza di alcune sulle altre, producono il diverso timbro che differenzia fra loro sia le voci umane sia le varie famiglie di strumenti musicali (a pizzico, ad arco, a fiato, a percussione), anche quando si eseguono suoni di identica altezza. Ne consegue che anche il profano, ascoltando una composizione sinfonica o teatrale, dovrebbe essere indotto a cercare di individuare da quali gruppi di voci e strumenti sgorga via via il discorso musicale. Partendo dallo studio dell'acustica e delle due più importanti opere greche di musica, gli Elementi armonici di Aristosseno e gli Armonici di Claudio Tolomeo, Gioseffo Zarlino mise in risalto nel suo volume Le Istituzioni Harmoniche (Venezia, 1558) che nella serie delle prime sei armoniche sono contenute le consonanze dell'accordo maggiore formato da tre suoni, mentre partendo dall'alto, e precisamente dalla quinta armonica, e scendendo simmetricamente con la stessa successione di intervalli, si ottiene la triade minore. Se si prosegue con criterio analogo nella ricerca delle armoniche connesse a ogni suono, non solo superiormente ma anche inferiormente, si constaterà che, mentre fra le prime tredici armoniche si incontrano i suoni considerati dissonanti dalla metodologia dei sistema tonale, nelle successive armoniche si procede addirittura per semitoni, cioè cromaticamente. Tanto che, avendo registrato su nastro il mi4 prodotto dal cantino del violino, ho potuto ascoltare al ventesimo posto il do più grave del contrabbasso a cinque corde. Un mondo di suoni che, grazie alle moderne apparecchiature elettro-acustiche, spiega scientificamente come dalle primitive melodie liturgiche fatte riordinare da papa Gregorio verso la fine del sesto secolo, e affidate originariamente a un canto omofono senza intervento di altre voci o strumenti, e col ritmo regolato semplicemente dagli accenti dei testi, si sia giunti gradatamente alla dodecafonia e alla musica elettronica dei nostri tempi. Fisiologicamente è comprensibile che ciascuna generazione incontri lì per lì grosse difficoltà nel tollerare le innovazioni apportate da alcuni fra i più geniali creatori del proprio tempo, tanto più che molti grandi compositori del passato non furono innovatori, pur essendosi evoluti nel corso della propria attività creativa. Dobbiamo perciò riconoscere quali diverse sensazioni ci procurano oggi le composizioni di Schönberg, Bartók, Hindemith udite per la prima volta più di mezzo secolo fa. E' invece inammissibile il rifiuto ad ascoltare la musica del nostro tempo, sapendo che solo col ripetuto ascolto di una composizione si può sperare di penetrarne a poco a poco il recondito significato. Non si dovrebbero dimenticare le storiche incomprensioni per alcuni sommi compositori, in vita e in morte. Basti citare i casi di Monteverdi, Vivaldi, Bach, completamente trascurati per più di un secolo dopo la loro scomparsa, o gli insuccessi scandalosi di autentici capolavori (come avvenne a Parigi nel 1902 per Pelléas et Mélisande di Debussy, e nel 1911 per Le Sacre du printemps di Stravinski, sonoramente fischiati e oggi ammirati da tutti). Procedendo storicamente, è opportuno ricordare che il fascino dei modi gregoriani consisteva soprattutto nella loro diversa estensione e nel poter avere per nota finale qualsiasi grado della scala diatonica compreso nell'ottava, tranne il settimo. Con l'andar dei secoli, all'assoluta monodia si era sostituita la cosiddetta diafonia, che consentiva ai quattro registri della voce umana di procedere parallelamente al canto originale. Ma l'ascoltatore che oggi, con dischi e nastri, può gustare in casa musica di qualsiasi secolo, non dovrebbe trascurare la suggestiva e fresca monodia profana medioevale, fiorita per lo più con l'accompagnamento di una viella, strumento ad arco probabilmente d'origine araba, a sua volta progenitore della famiglia delle viole e dei «moderni» strumenti creati più di quattro secoli fa dai geniali artefici di Cremona e Brescia. Sempre nel campo vocale, sarà agevole al profano passare dalla leggiadria delle arie cantate italiane del Sei-Settecento ai Lieder, che dalla purezza di un Mozart conducono alle seducenti volute del romanticismo tedesco e russo attraverso Schubert, Mendelssohn, Schumann, Wagner, Brahms, H. Wolf, Mahler, R. Strauss, Mussorgski. La conoscenza preventiva dei testi letterari agevolerà molto la comprensione delle relative musiche. In proposito, non sarà mai troppo ripetuto il suggerimento agli appassionati di musica teatrale di non limitarsi alla conoscenza della trama di un'opera prima di ascoltarla, ma di leggerne il libretto, soprattutto quando l'opera venga saggiamente eseguita nella lingua originale. E chi ama il melodramma non trascuri alcuna occasione per seguirne le vicende alla televisione o, meglio ancora, dal vivo, in teatro. Col diffondersi della musica profana, si erano aggiunti agli antichi modi gregoriani altri quattro modi, fra cui lo jonico e l'eolico, che successivamente avrebbero dato origine ai due modi del sistema tonale, il maggiore con i semitoni fra il terzo e il quarto grado, e fra il settimo e l'ottavo, il minore col terzo, sesto e settimo grado abbassati di un semitono. Però la tendenza ad avere, almeno nella scala ascendente, il settimo grado vicino all'ottavo, per renderlo sensibile all'attrazione della tonica, aveva poi indotto i compositori a creare altri due tipi di scala minore, l'armonica e la melodica. Un'altra conquista del sistema tonale consisteva nel poter usare uno qualsiasi dei dodici suoni come tonica, cioè come nota fondamentale della composizione, questo mediante l'uso sistematico dei bemolli o dei diesis, posti all'inizio di ogni rigo subito dopo la chiave. Intanto anche nel canto liturgico alla diafonia si era sostituito il discanto che, consentendo a una o più voci di allontanarsi dalla melodia originaria con moto indipendente, costituisce la prima forma di contrappunto (nota contro nota). Con l'introduzione del discanto pure il ritmo, elemento propulsore di tutta la musica, viene precisato graficamente, dando origine, a cavallo fra il XII e il XIII secolo, alla musica mensurata, da cui deriverà nel Trecento l'Ars nova. Figure preminenti di questo secolo sono in Francia Guillaume de Machaut, in Italia l'organista fiorentino Francesco Landino. Ancora prima che si affermassero i due nuovi modi maggiore e minore, l'uso delle alterazioni consentiva che cominciasse a svilupparsi il cromatismo. Sin dall'inizio del XV secolo il matematico padovano de Beimendis propone una scala semitonale di sette suoni. Nel 1555 il fiammingo de Rore, morto a Parma dieci anni dopo, ci offre un singolare saggio di cromatismo a quattro voci, seguito da altri impressionanti esempi nei Madrigali a cinque e sei voci del veronese Ingegneri, nei sei libri di Madrigali a cinque voci di Gesualdo da Venosa, nell'Orfeo di Monteverdi e nel Ricercare cromatico di Frescobaldi (1615). Ma occorre risalire agli inizi del Quattrocento per rintracciare nella scuola fiamminga, i cui maggiori rappresentanti erano destinati ad avere tanti rapporti con l'Italia, le fondamenta della polifonia, che specialmente nella messa e nel mottetto permise di raggiungere i più alti livelli di abilità contrappuntistica. Esemplare il procedimento del canone, che consiste nella sistematica ripetizione della medesima melodia effettuata da tutte le voci, magari partendo con moto retrogrado dall'ultimo suono. Sono note le critiche lanciate contro il presunto eccesso di artifici contrappuntistici dai benpensanti dell'epoca, incapaci di rintracciare fra tante innovazioni formali il loro effettivo indiscutibile. E' però certo che dai procedimenti contrappuntistici e dal cromatismo del Cinquecento deriveranno più tardi, pur dopo lunghi periodi di ritorno al quasi assoluto diatonismo, creazioni precorritrici come L'offerta musicale, che insieme con l'arte della fuga concluderà l'opera immensa di J.S. Bach. Saranno poi i romantici del XIX secolo che, rifacendosi alle fonti del cromatismo, lo svilupperanno sino al vertice di sublime passione del Tristano e Isotta di Wagner. Come era avvenuto per la monodia vocale, sia teatrale sia da camera, quando nel primo Seicento essa era subentrata alla plurisecolare polifonia sacra e profana, anche nella musica strumentale di quel periodo e del secolo successivo si era sentita la necessità di sostenere al parte solistica con un basso continuo, che doveva essere armonizzato verticalmente all'improvviso dallo stesso clavicembalista, mediante l'aiuto di cifre e alterazioni. Perdutasi questa consuetudine, tale compito spetta oggi ai revisori di musiche sei-settecentesche. Senza ripercorrere qui tutte le tappe della storia della musica, non si può sottacere quale importanza ebbero, indipendentemente dal cromatismo, i bemolli e i diesis per passare da una tonalità all'altra, cioè per ottenere le modulazioni indispensabili alla costruzione di qualsiasi forma musicale tonale. E' congeniale all'architettura della musica colta dei secoli scorsi far riudire all'ascoltatore i temi o idee che alla prima audizione non si siano impressi nella sua memoria. Si consideri, per esempio, la forma principe dello stile imitativo, la fuga. Non solo il tema principale («soggetto») viene presentato con leggere varianti da ciascuna «voce» nella cosiddetta «esposizione», ma dopo ogni episodio libero («divertimento») riappare più volte in altre tonalità. Anche l'aria col «da capo» è una forma di ripetizione obbligata della prima parte, mentre il «ritornello», che persino graficamente è requisito fondamentale in ogni forma di danza, diventa indispensabile nello schema «bipartito» degli Allegro di sonata strumentale sei-settecentesca. Non solo: anche quando il primo tempo di sonata (o di trio, quartetto o sinfonia) assumerà lo schema tripartito A-B-A, il ritornello continuerà a esistere nell'esposizione, con la conseguenza che tanto la «prima idea» quanto la «seconda idea», per lo più antitetica alla prima, si ascolteranno complessivamente per ben tre volte, due nella «esposizione» e una nella «ripresa». Quale soddisfazione per l'ascoltatore attento, anche se digiuno di studi musicali, riuscire a riconoscere i punti salienti di tale architettura! Ma anche altre forme partono dal presupposto che sia utile riudire più volte il tema iniziale per fissarlo nella mente, come avviene nel rondò, dallo schema A-B-A-C-A-D-A, ecc. E quale altra composizione insiste tanto sull'idea ispiratrice quanto le «variazioni» sul medesimo tema, a volte numerosissime, create da Bach e Brahms? Superato il periodo romantico iniziato da Weber al principio dell'Ottocento con l'opera Freischütz e in antitesi al cromatismo wagneriano, usato anche in composizioni sacre e strumentali dall'organista belga-francese Franck, Debussy contrappone la scala esatonale, nella quale l'ottava è suddivisa in sei toni identici, creando l'atmosfera ideale per l'impressionismo musicale, che avrà in Ravel un seguace dalla inconfondibile personalità. Dall'esatonalismo alla politonalità il passo era breve. Infatti i due francesi coetanei Honegger e Milhaud, che con l'appoggio di Cocteau e Satie avevano fatto parte del famoso «gruppo dei Sei», furono tra i primi a servirsi della politonalità, intesa non come semplice sovrapposizione di due o più tonalità tradizionali, ma come fusione in un'unica gamma di suoni appartenenti a diverse tonalità. Rotti i rapporti tradizionali di moto e stasi fra i vari gradi della scala diatonica, era inevitabile il passaggio all'atonalismo, con conseguente impiego di dissonanze giudicate dalla maggioranza degli ascoltatori contemporanei come insopportabili cacofonie. Ma oggi le stesse dissonanze non appaiono più tali neppure all'udito dei medesimi ascoltatori che non si siano fossilizzati col passar degli anni! Nel frattempo, a Vienna, Schönberg, dopo aver percorso i primi passi sulla scia di Wagner e Brahms, si staccava a poco a poco da loro con una decina di opere da camera composte fra il 1906 e il 1911, suscitando crescenti ostilità per il suo chiaro cammino verso la «composizione dodecafonica». Col suo Pierrot lunaire ha inizio nel 1912 una nuova era nella storia della musica. Le leggi fondamentali a cui egli ispirò la propria arte innovatrice dimostrano a quali altezze si librava il suo talento. Il tema di ogni composizione, che assunse il nome di «serie» (e perciò la musica dodecafonica è detta anche «seriale»), deve contenere tutti i dodici suoni della scala cromatica, con l'esclusione assoluta di qualsiasi ripetizione. Un semplice calcolo aritmetico dimostra che è possibile formare circa dieci milioni di differenti, «serie originali». I procedimenti basilari di ogni composizione sono l'inversione, ossia il rovesciamento degli intervalli contenuti nella serie originale; il retrogrado, cioè la lettura da destra a sinistra della stessa serie; il retrogrado dell'inversione, cioè l'inversione letta dall'ultima alla prima nota della serie. Tali procedimenti apparentano la dodecafonia all'antica scuola fiamminga, mentre è escluso ogni sviluppo formale secondo gli schemi classico-romantici. E' di fondamentale importanza che la composizione proceda, «con la maggior coerenza possibile». Qui entra in gioco la sensibilità di ciascun compositore. Che il sistema dodecafonico non tolga nulla alla personalità dell'autore è dimostrato sin dall'inizio dalle opere dei diretti discendenti di Schönberg: i suoi allievi viennesi Webern e Berg. Nessuna confusione è possibile fra le numerosissime composizioni del caposcuola, raccolte in circa trenta volumi, il melanconico lirismo di Berg, del quale è universalmente esaltata l'eseguitissima opera Wozzech, e le estatiche creazioni di Webern, sublimate da frequenti soste alternate a tenui apporti strumentali. Da Webern è derivata nell'intero mondo musicale una lunga serie di seguaci, noti come «postweberniani». Alcuni di loro, rifacendosi anche all'impressionismo debussiano, hanno scisso il discorso musicale in episodi isolati, dando origine al «puntillismo», mentre altri compositori, più recentemente, hanno rafforzato le proprie opere mediante lo «strutturalismo». Altri aspetti della musica novecentesca sono offerti dalla musica «concreta», che accoglie nel proprio contesto anche rumori registrati ed elaborati elettronicamente, e dalla musica «aleatoria», che a tratti richiede ai componenti i complessi orchestrali o da camera di improvvisare a piacere, entro certi limiti di tempo e di stile. In Russia, un anno dopo la morte di Mussorgski, sorgeva l'astro di Stravinski, che nella sua lunga esistenza avrebbe unito alla più sfrenata politonalità un'orgia di ritmi e di impasti orchestrali tali da disorientare gli ascoltatori meno propensi alle innovazioni. Lo seguì un suo connazionale, Prokofiev, che nella giovanile Suite Scita, nelle sette sinfonie, nei concerti per pianoforte e per violino, nel commento al film Alexandr Nievski, oltre che nelle opere teatrali L' Amore delle tre melarance e L'Angelo di fuoco, contribuì a dimostrare la vitalità della scuola russa. Dopo di lui il suo rappresentante più illustre fu il precocissimo Sciostakovic. All'inizio di questo secolo erano emersi in Ungheria i quasi coetanei Bartók e Kodály, ai quali spetta il merito della rinascita degli autentici canti popolari ungheresi e balcanici, con ritmi inusitati e impensate modalità. In special modo Bartók, pur essendo scomparso molto prima del suo amico Kodály, si è inserito nel mondo musicale attuale con un'impressionante serie di composizioni politonali per orchestra, per pianoforte o violino o viola e orchestra, e per quartetto d'archi, insieme con l'opera il Castello di Barbablù e l'«azione scenica» Il Mandarino meraviglioso, che lo hanno reso uno dei compositori più amati. In Germania si era frattanto imposta la figura di Hindemith, per il suo politonalismo arditamente innestato sul contrappunto bachiano. Da Hindemith, come da Stravinski e Bartók, ha preso le mosse Britten, il migliore compositore inglese del nostro secolo. Negli Stati Uniti primeggiavano intanto per la loro originalità due singolari figure di musicisti: il parigino Varese, che rompe i ponti col passato e, ricollegandosi alla musica giapponese, instaura un nuovo linguaggio basato soprattutto sulle più recenti conquiste dell'acustica, di cui era profondo conoscitore, e Cage, enfant terrible che giunge alle più spericolate e paradossali applicazioni nel campo della musica concreta. Nella prima metà del Novecento l'Europa ha visto nascere un cospicuo numero di compositori politonali e seriali, alcuni dei quali hanno acquistato larga fama oltre oceano, anche per attività didattica da loro svolta in istituzioni universitarie nordamericane. Fra gli italiani, Dallapiccola fu il primo a valersi della tecnica dodecafonica con risultati personalissimi. Negli ultimi decenni alcuni altri ben noti compositori di varie nazioni europee si sono invece affermati fra i protagonisti della musica elettronica, tenendo anche frequentatissimi corsi estivi a Darmstadt. Sorta negli studi di fonologia della Radio di Colonia e della Radiotelevisione di Milano, la musica elettronica ha trovato nuovi sviluppi nei più recenti laboratori di Nuova York, Monaco di Baviera, Parigi e Varsavia. Le loro apparecchiature sono assai complesse, ma mirano tutte ad arricchire il linguaggio musicale di suoni con altezza, timbro e intensità diversi da quelli ottenibili con gli strumenti tradizionali. Circa l'altezza, non v'è da stupirsi, dopo quanto si è detto sulla sempre più fitta serie di armoniche superiori e inferiori che accompagnano, almeno potenzialmente, ogni suono musicale, se l'intervallo fra ciascuna armonica va gradatamente riducendosi fino a rendere possibile, al limite, che i generatori di frequenze producano suoni dissimili l'un dall'altro per un solo Hertz. Quanto al timbro, sono infinite le possibilità che si offrono al compositore nel dosaggio delle armoniche per ottenere timbri irraggiungibili con gli strumenti tradizionali. Altrettanto si può dire circa l'intensità realizzabile mediante i numerosi apparecchi per la trasformazione del suono, che può esser legato, riguardo all'ampiezza, ai trasportatori di frequenza e, dopo la registrazione su magnetofono, riprodotto attraverso altoparlanti. Naturalmente, sui mezzi tecnici prevarrà sempre la sensibilità di ciascun compositore. Per la più larga diffusione della musica elettronica è però desiderabile, indipendentemente dal nastro magnetico sul quale potranno esser registrate anche le voci umane e gli strumenti tradizionali, la presenza fisica di uno o più esecutori (dal solista sino a un'orchestra con coro), affinché col loro palpitante e insostituibile fascino umano formino un ponte fra le più recenti conquiste elettroniche e l'ascoltatore ben disposto ad accoglierne il complicato linguaggio. E' frequente l'accusa di cerebralismo rivolta ai dodecafonisti e ai musicisti che si dedicano all'elettronica. Le innumerevoli prove del travaglio creativo da cui sono stati tormentati anche alcuni fra i maggiori compositori del passato dovrebbero farci meditare. Basteranno pochi esempi: i famosi quaderni di appunti lasciati da Beethoven, dai quali appare eloquente la metamorfosi di un tema prima di giungere alla versione definitiva; Brahms che impiega ben quattordici anni per terminare la sua prima Sinfonia; Verdi che rimaneggia da cima a fondo, per renderle vitali, opere come Macbeth e Simon Boccanegra, e persino sulle bozze di stampa modifica l'aria di Fenton nell'ultimo atto di Falstaff; Puccini che nel volgere di oltre due anni dalla prima rappresentazione omette, a poco a poco, con acuto senso autocritico, più di ottocento battute in Madama Butterfly. E l'elenco potrebbe continuare a lungo. E' superfluo aggiungere quanto sia opportuno corroborare l'ascolto delle varie musiche con la conoscenza delle biografie dei maggiori compositori. Risulterà per esempio impressionante, fra l'inizio dei Settecento e la metà dell'Ottocento, la precocità di alcuni musicisti che, pur essendo vissuti meno di quarant'anni, ci hanno lasciato durevoli segni del loro grande talento, da Pergolesi, morto a ventisei anni, a Schubert (31), Bellini (33), Mozart (35), Purcell (36), Stradella (37), Mendelssohn (33), Weber, Chopin, Bizet, Catalani (39). E Mussorgski non aveva che quarantadue anni quando spirò! Anche le diversità di esecuzione fra i vari interpreti dovrebbero essere fonte di interesse per l'ascoltatore. Infatti l'imperfezione della grafia musicale lascia all'esecutore largo margine per affermare la propria personalità. Soltanto l'altezza dei suoni è indicata con sufficiente approssimazione, sebbene le voci umane e gli strumenti ad arco usino nella musica tradizionale la scala «pitagorica», mentre per tutti gli strumenti a tastiera è stato adottato il «sistema temperato» proposto da A. Werckmeister alla fine del Seicento e praticamente usato da J.S. Bach nei due volumi del suo Clavicembalo ben temperato (1722 e 1744). Per gli altri elementi della scrittura musicale (velocità, ritmi, coloriti), molto è lasciato all'intuito dell'interprete. Le indicazioni poste all'inizio di ogni tempo o brano musicale (Adagio, Allegro, Andante, Presto, ecc.) sono generiche, e anche quando l'autore indica quanti colpi devono essere battuti dal metronomo nel minuto primo, si tratta solo di un suggerimento riguardante la velocità iniziale. Guai all'esecutore che suonasse con matematica esattezza le figurazioni ritmiche necessariamente scritte con valori frazionari. Anche le locuzioni «accelerando», «ritardando» devono essere interpretate dall'esecutore secondo il proprio gusto. Quanto poi ai cosiddetti «coloriti», nulla di più impreciso dei «piano, pianissimo, forte, mezzoforte, fortissimo, crescendo, diminuendo», disseminati in ogni musica, giacché ciascuno di questi termini acquista un significato diverso secondo il carattere della composizione, la sensibilità e il ruolo dell'interprete (un violino solista che deve emergere sul contesto orchestrale eseguirà ben diversamente un «piano» da come dovrà eseguirlo uno dei trentadue violini che lo assecondano nelle armonie sottostanti). Da questo derivano le enormi differenze di concertazione attuate dai vari direttori d'orchestra per avvicinarsi il più possibile alle prospettive sonore pensate dall'autore. E anche nella musica da camera, quali gioielli di finezza interpretativa si potranno scoprire nell'equilibrio fra i vari strumenti, sia che vi partecipi il pianoforte, sia che il contesto dialogico sia affidato all'intelligenza dei componenti un quartetto d'archi. Certo la bellezza e potenza della voce umana, come la purezza e intensità espressiva dei suoni prodotti dagli strumenti, avranno sempre un potere magico sull'ascoltatore; ma al disopra dei fattori acustici, soltanto il calore emotivo dell'esecuzione potrà creare di volta in volta l'indicibile pathos capace di trasportare l'ascoltatore attento e sensibile in un mondo irreale, di cui nessuna partitura reca traccia. Un divertente modo di accrescere le proprie conoscenze musicali può essere offerto anche dall'accendere la radio dopo l'inizio della trasmissione di un concerto, per essere spinti a indovinare almeno chi è l'autore della composizione che si sta eseguendo. L'importante è che il musicofilo non si stanchi di ascoltare, riascoltare e poi di nuovo ascoltare con la massima attenzione tutta la musica, anche quella del nostro tempo, considerando che nulla ci autorizza a dubitare che l'evoluzione di sempre non prosegua oltre il secolo ventesimo (a meno di credere che nel duemila accada il cataclisma già tanto temuto per l'anno mille).

 

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