«I segreti delle galassie» di Peter Kolosimo


Da 100 a 200 miliardi di punti luminosi, 100-200 miliardi di stelle: questo è il gigantesco complesso di cui il nostro Sole fa parte come modesto membro periferico, la Via Lattea. Già gli antichi greci avevano sospettato che la luminosissima striscia bianca stesa attraverso il nostro cielo fosse, in realtà, un ammasso di astri, e in questo senso vi aveva accennato Dante (non sappiamo in base a quali conoscenze o deduzioni) nel suo Purgatorio. Ma solo il cannocchiale di Galileo ne poteva dare una convincente conferma e secoli ancora dovevano trascorrere prima che l'uomo si rendesse conto di stare, con il suo Sole, nell'interno dell'immenso agglomerato di corpi celesti, prima che riuscisse a scoprirne l'aspetto e a delimitarne i confini. Oggi la sua forma di lente biconvessa, le sue dimensioni (circa 100 mila anni-luce per il diametro maggiore, circa 30 mila per quello minore) non sono più un mistero. Si conosce il periodo del suo moto rotatorio (circa 240 milioni di anni) e si può valutare la sua età, come quella delle galassie meno giovani, in 5 miliardi di anni terrestri. In verità, la scoperta del cosmo ha avuto inizio in epoca assai recente. Da molto tempo gli astronomi conoscevano le formazioni che definivano «nebulose spirali», ma credevano trattarsi di stelle in procinto di generare sistemi planetari, poste fra gli astri della Via Lattea. Solo nel 1924 l'astronomo statunitense Edwin P. Hubble stabilì la verità, rivoluzionando concetti che la maggior parte degli studiosi aveva ritenuto intangibili, dimostrando che quelle «spirali» non erano affatto composte di «nebbie cosmiche», ma di miriadi di stelle. Veniva così delineata la prima vera immagine dell'Universo: l'infinito appariva popolato di innumerevoli «isole» formate da miliardi di astri, sparse ovunque nell'oceano dello spazio. Quante sono queste «isole» o, se vogliamo usare la parola greca, queste galassie? Secondo Einstein, l'Universo si estende per 100 miliardi di anni-luce, e in tale mare in cui naufraga miseramente ogni tentativo di raffigurazione «galleggerebbe» circa un miliardo di titanici agglomerati stellari, raggruppati a loro volta in ammassi di galassie. Il numero è certo molto approssimativo, ma dobbiamo accettarlo così, perché, con ogni probabilità, non riusciremo mai a stabilirlo, anche se oggi la radioastronomia ci aiuta in misura enorme ad ampliare le nostre conoscenze sull'Universo e sui suoi misteri. Viste attraverso i più potenti telescopi, infatti, le galassie che distano da noi «solo» 500-1000 milioni di anni-luce ci appaiono come debolissimi punti luminosi. E questo senza contare i sistemi invisibili, come la Nebulosa America (così detta per la sua strana forma che ricorda molto da vicino quella del «nuovo continente»), i cui Soli splendono di luce ultravioletta. Perché molte galassie hanno forma di spirale? si chiedevano fino a pochi anni fa gli studiosi del cosmo. «Soltanto con la soluzione di questo enigma», affermava la famosa astronoma Cecilia Gaposkin, «saremo in grado d'integrare le nostre pallide, vaghe idee sull'Universo». E aveva ragione, poiché l'aspetto delle «nebulose a spirale» e il loro moto sono strettamente legati al più grande problema della cosmogonia: quello della creazione. Con Hubble e con il grande fisico belga George Lemaître poi, il problema doveva venire presto risolto. Alla fine di quella che gli scienziati chiamano l'«Era di S. Agostino» (perché fu S. Agostino d'ippona a chiedersi per primo «cosa facesse il Signore Iddio prima di creare la Terra e il cielo»), tutta la materia e tutta l'energia erano contenute in una specie di primitivo nucleo atomico, la cui grandezza non doveva superare quella del nostro Sole. In questa sfera, tanto compressi da non poter trovare alcuna combinazione, erano racchiusi protoni, neutroni, elettroni, fotoni. La loro densità era tale che difficilmente possiamo farcene un'idea: una punta di spillo di questa sostanza primordiale doveva pesare milioni di tonnellate e la sua temperatura ascendere a miliardi di gradi. Giunse al fine l'«ora zero» e il grande atto della creazione si compì: la temperatura e la densità della massa vennero spinte da «qualcosa» d'inimmaginabile fino al limite estremo, oltre il quale non avrebbero più potuto salire, e il titanico atomo esplose. Fu, alla lettera, il biblico fiat lux: torrenti di luce accecante vennero riversati nello spazio sotto forma di raggi gamma e raggi X ad altissima energia, e in un lasso di tempo brevissimo sorse dalle tenebre eterne l'Universo. Cinque minuti dopo l'esplosione la temperatura doveva già essere scesa ad «appena» un miliardo di gradi Celsius, consentendo l'unione delle particelle destinate a formare gli atomi. Dieci minuti più tardi non esistevano più neutroni liberi ed erano già nati l'idrogeno e l'elio. Altri 13 minuti, e i 92 elementi di cui si compone l'intero Universo erano formati. «L'evoluzione del mondo», scrive Lemaître, «potrebbe essere paragonata a uno spettacolo di fuochi di artificio appena concluso: bagliori rossi cenere e fumo. Installati su un residuo ormai freddo della combustione, tutto quello che vediamo è il lento affievolirsi dei Soli, mentre cerchiamo di richiamare alla memoria i passati bagliori dell'origine dei mondi». Quando la temperatura si ridusse a poche migliaia di gradi, la parte dei gas formata dai vapori di vari elementi contraddistinti da un alto punto di fusione prese a condensarsi in un pulviscolo «galleggiante» sul diffusissimo oceano di idrogeno ed elio. Residui di questo pulviscolo, costituito da appena un milligrammo di gas e pochi granelli di polvere in un milione di chilometri cubi di spazio, esistono tuttora nell'Universo e si accumulano spesso in «nubi interstellari». Ma come nacquero le galassie? I nuclei originari (che gli scienziati chiamano protogalassie) avevano a loro componenti gas freddi, ed erano - come dimostrò lo studioso britannico James Jeans circa mezzo secolo fa - le risultanti della disgregazione prodotta nella «nube» primitiva. Ricordiamo la grande esplosione: quando un blocco di sostanza si spezza con violenza, i suoi frammenti schizzano via roteando vertiginosamente, come le schegge di una granata scoppiata in aria. Tanto accadde anche con i nostri frammenti cosmici, i quali - composti di materia ovviamente plasmabile - assunsero ognuno una forma diversa a seconda della velocità di rotazione. Quelli contraddistinti da un moto trascurabile si agglomerarono presto a sfera, altri presero un aspetto elissoidaie. Per la maggior parte, queste «schegge gassose», tuttavia, roteavano con una rapidità tale da assumere una forma a spirale, quella che appunto caratterizza tante nebulose. Come ebbe a spiegare il cosmologo tedesco Carl von Weizsäcker, il moto dei gas causò, in queste protogalassie, il distacco dei loro componenti, i quali si condensarono in vortici relativamente piccoli di cui la forza di gravità impedì il dissolvimento. Continuando a contrarsi, queste formazioni locali si ridussero a sfere di gas denso. Il processo di condensazione accrebbe progressivamente la loro temperatura, tanto che le superfici riscaldate presero ad emettere dapprima calore, poi luce. Ebbe alfine inizio in loro quella catena di reazioni termonucleari che, con la trasformazione di idrogeno in elio, fa di ogni stella una specie di gigantesca bomba H. Gli scienziati del nostro tempo sono concordi nell' affermare che l'intero processo di formazione degli astri non deve essere durato più di qualche centinaio di milioni di anni. Ma quanti anni ha l'Universo, quanto tempo è passato dall'esplosione creatrice? Alcuni studiosi pensano di poter fissare l'età del cosmo in circa 5-6 miliardi di anni, mentre altri propendono per 20 o addirittura per 70 miliardi di anni, come i sovietici Sklovski e Kardasov, i quali hanno costruito la loro teoria dopo avere indagato a fondo su onde-radio provenienti da stelle lontanissime. Interessantissimo è il problema che si riferisce alla «destinazione» delle galassie. Il britannico Fred Hoyle crede che esse, nella loro corsa, finiscano per abbandonare l'Universo o, almeno, quello che usiamo così definire. Allontanandosi sempre più rapidamente, le nebulose raggiungerebbero la velocità della luce, la supererebbero e - poiché questa è per noi una velocità limite - cesserebbero di esistere, trasformandosi in «materia infinita», in qualcosa d'indescrivibile, anzi, d'inconcepibile. Molto più positivo ci sembra Lemaître, il quale parla di un Universo finito e infinito nello stesso tempo. I due concetti potrebbero, a prima vista, parere inconciliabili, ma a dimostrarci il contrario basta un palloncino. Prendiamo una sfera di gomma, disegnamoci su - a rappresentare le galassie - alcune chiazze; e cominciamo a gonfiarla: vedremo che le chiazze si allontaneranno l'una dall'altra e, logicamente, anche dal centro della palla. Ecco che il nostro piccolo modello dell'Universo è finito ed - espandendosi - infinito nel medesimo tempo. Continuerà in eterno la fuga vertiginosa delle galassie? L'americano George Gamow sostiene che esse si trovano in condizioni simili ad un razzo che si stacchi dalla Terra ad una velocità superiore a quella necessaria per abbandonare il campo gravitazionale del nostro pianeta: ovviamente il missile proseguirà la sua corsa all'infinito. Così le nebulose dovrebbero andare sempre più allontanandosi, senza fermarsi mai. Con Lemaître, tuttavia, la maggioranza degli scienziati ritiene che questa fuga galattica non continuerà in eterno: l'osservazione delle più lontane nebulose, infatti, proverebbe che la loro velocità va diminuendo. E se esse rallentano, si giungerà al punto in cui la forza di gravità, cioè la reciproca attrazione esercitata dalle gigantesche masse stellari, prenderà il sopravvento. Immaginiamo di far roteare una di quelle palline piene di segatura, attaccate a un elastico, che si vendono a carnevale. Aumentiamo la velocità, e la sferetta si allontanerà sempre più, diminuiamola, ed essa si avvicinerà alla nostra mano. Tanto capiterà, superato il momento critico, anche alle galassie. Esse si accosteranno l'una all'altra il globo del cosmo si restringerà e sarà la fine. Come dice la Bibbia, «il cielo cadrà, le stelle si staccheranno dal firmamento». L'Universo verrà ridotto a un altro nucleo fantastico: con il condensarsi della materia, la pressione, la densità e la temperatura aumenteranno sempre più, fino a quando gli atomi si «scioglieranno» e tutto si ridurrà a una grande palla di «vita potenziale» in attesa di un'altra spinta creatrice.

 

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