«Forma e sostanza in Flaubert» di Elenitsa Bruni


Gustave Flaubert nacque a Rouen il 21 dicembre 1821 da un'agiata famiglia di medici. Indirizzato dal padre agli studi giuridici, li trascurò ben presto per dedicarsi completamente alla letteratura, che fin dagli anni del liceo aveva coltivato come la sua esclusiva passione. Cominciò da giovanissimo a scrivere racconti, che pubblicava in un giornale del liceo da lui stesso diretto, «Le colibri», e romanzi autobiografici (Memorie di un pazzo, 1838; Novembre, 1841), aderendo pienamente al clima romantico e in particolare ai poeti della «Muse Française» e del «Cénacle», la cui suggestione è avvertibile anche nelle opere della tarda maturità. Trasferitosi a Parigi nel 1843 per continuare gli studi, iniziò la stesura, portata a termine due anni dopo, del suo primo grande romanzo, ispirato al rapporto intercorso con M.me Schlesinger, moglie di un editore parigino di musica, L'educazione sentimentale. E' la storia di due amici, Enrico e Giulio che, dopo una fanciullezza trascorsa in sogni e passioni comuni, si allontanano per diversi destini. Enrico, giunto nella capitale, vede a uno a uno svanire tutti i suoi ideali; ha un'avventura con una signora, che finisce banalmente in una tranquilla separazione; termina gli studi e si dà agli affari con successo. Giulio invece, dopo la delusione amorosa con un'attrice, si ritira nella solitudine e nell'isolamento interiore a scrutare il mistero dell'arte, di cui giunge a cogliere la più vera essenza. Nel 1846, rimasto solo con la madre e una nipotina, Flaubert si ritirò a Croisset, nelle vicinanze di Rouen, dove, eccettuati qualche viaggio all'estero e alcuni soggiorni a Parigi, trascorse tutto il resto della vita, dedito esclusivamente alla sua opera di scrittore. Da questo momento la sua vita non presenterà più alcuno di quegli stimoli di eccezionalità tanto ricercati dagli autori romantici e dallo stesso Flaubert durante l'agitato periodo liceale e della passione per M.me Schlesinger. La vera avventura romantica egli la realizzò nell'intimo del proprio animo, nel raccoglimento della modesta casa di Croisset, dove, identificando la sua storia con la storia dei suoi capolavori, e i propri sentimenti con le vicissitudini delle sue eroine, si applicò al tentativo infaticabilmente perseguito di ricercare nella forma artistica la pietra di paragone della vita umana, di ricomporre, attraverso lo stile, l'equilibrio di quella passione che il romanticismo aveva liberato da ogni inceppo della morale tradizionale. Nel 1846, in collaborazione con il suo grande amico Maxime Du Champ, inizia a comporre la Tentazione di S. Antonio, un poema filosofico in prosa che descrive le vicende del famoso santo esposto a tutte le tentazioni della carne e dello spirito. L'autore si era proposto un'opera ambiziosa sia per vastità sia per significato, come pure per lo scenario. I suoi amici la trovarono pregevole soltanto da un punto di vista formale, «belle parole e nient'altro», e lo consigliarono di abbandonare il progetto di pubblicazione, prospettandogli nello stesso tempo un soggetto di cronaca provinciale dove l'autore avrebbe dovuto abbandonare la leziosità formale per una stretta aderenza alla realtà quotidiana. Egli si mise subito al lavoro, stendendo i primi appunti di quel romanzo che sarà Madame Bovary. Intanto, il sopravvenire di alcuni lutti in famiglia e la precarietà della salute fisica avevano minato in modo pericoloso il suo morale. Assieme a Du Champ intraprese un viaggio nel Medio Oriente, da dove ritornò con una buona scorta di appunti e osservazioni che utilizzerà abbondantemente nel romanzo Salammbô, nel racconto Erodiade e nelle ulteriori versioni della Tentazione di S. Antonio. Nel 1856 iniziava la pubblicazione nella «Revue de Paris», diretta dall'amico Du Champ, del romanzo Madame Bovary, la storia di Emma, moglie di un medico condotto della provincia francese: nella continua ricerca di realizzare quei sogni di vita intensa e completa che le letture giovanili degli anni di collegio avevano alimentato in lei e che il contatto con la piatta realtà di ogni giorno e la presenza di persone meschine, primo fra tutti suo marito, frustra continuamente rendendone più acuto il desiderio, Emma si spinge fino all'adulterio e alla depravazione. La narrazione delle vicende di questa tipica rappresentante della borghesia francese della metà del secolo suscitò molto scalpore in seno alla classe dirigente. Accusati di oscenità, l'opera e il suo autore dovettero subire un processo, dal quale però uscirono completamente assolti. In questo, che è uno dei capolavori del romanzo dell'Ottocento, Flaubert definisce chiaramente la sua posizione nella tradizione letteraria francese, ponendosi da una parte come il continuatore della rivoluzione romantica e dall'altra come il precursore di quella che sarà la successiva grande stagione del romanzo francese: il naturalismo. Gli elementi più letteralmente romantici erano progressivamente venuti degenerando nell'autobiografismo, nel disordine passionale, nell'asservimento a interessi extra-artistici. Già Stendhal (morto nel 1842) aveva iniziato con la sua nuova concezione di romanzo, e Balzac (morto nel 1850) aveva realizzato, tutta una critica corrosiva dei miti che si erano costituiti come una nuova religione di borghesi senza scrupoli, di politicanti corrotti e arrivisti, di letterati pronti a vendersi a qualsiasi prezzo pur di entrare a far parte della nuova classe dirigente sorta sulle rovine della Rivoluzione. Queste critiche costituiranno il punto di partenza del sorgere e dell'affermarsi del naturalismo come diretto antagonista, più o meno legittimamente, del romanticismo. Ma la rivoluzione che questo aveva iniziato era rimasta incompiuta, le possibilità che aveva aperto, le nuove esigenze che aveva determinato erano rimaste insoddisfatte, e il fascino destato dalla prospettiva di una piena affermazione dell'individuo, di una liberazione dall'opprimente morale tradizionale e da qualsiasi ostacolo esterno che comprimesse la vitalità della passione o ne offuscasse la bellezza conservava ancora tutta la sua attrattiva. Balzac aveva dato una perfetta descrizione dell'ambiente in cui agivano i suoi eroi e attraverso di esso li accompagnava senza alcuna commozione fino alla sconfitta finale, perché la sfrenata ambizione impediva loro di avvertire i limiti delle proprie possibilità, nascondeva i tranelli che li avrebbero fatti precipitare in una situazione senza via d'uscita; era la verifica della tanto decantata libertà e potenza dell'individuo. Nonostante questo insegnamento Flaubert non sa e non vuole rinunciare alle nuove possibilità di vita che il romanticismo aveva scoperto, e se diffida dello scoppio della passione, si rifiuta tuttavia di assumere l'ambiente o la realtà a metro di giudizio dello spirito umano, come limite all'inappagabile desiderio di verità e di bellezza. Giunge così alla elaborazione del concetto di stile, inteso come forma, come creazione estetica pura che gli consenta da un lato di dare alla passione, cosciente dei suoi limiti, la sua dimensione umana, e dall'altro di vivificare, di illuminare la stessa realtà. «Voi mi rimproverate - scrisse in una lettera ai suoi amici parigini - di fare troppa attenzione alla forma. Ahimè! E' come il corpo e l'anima, la forma e l'idea. Per me questo è un tutto unico e non saprei ciò che sarebbe l'una senza l'altra. Più un'idea è bella, più una frase è sonora». Fanatico quasi fino all'assurdo di questo proprio assunto, lo volle applicare in maniera sempre più rigorosa nelle sue opere, sforzandosi di evitare qualsiasi manifestazione di «perplessità», di comprimere ogni lirismo che potesse offuscarne il carattere di «bellezza assoluta», ricorrendo all'ironia per dominare come artista la sue passioni di uomo. Il processo intentato contro Madame Bovary lasciò Flaubert profondamente amareggiato. Si dedicò allora a un soggetto che lo trasportava lontano nello spazio e nel tempo: Salammbô, ambientato nell'antica Cartagine durante la guerra dei mercenari. In uno scenario di antichità stranamente colorata, barbarica, nelle sue crudeli e misteriose superstizioni, vi è narrata la storia dell'idillio fra la figlia di Amilcare Barca e Mathô, il capo dei mercenari. Anche per questa preziosa opera d'arte, nella quale il pregio maggiore è costituito dal pacato lirismo che anima la figura di Salammbô, l'ideale d'arte non cambia, è sempre la realtà, qui ricercata attraverso accurate indagini archeologiche e bibliografiche, fatta sentire attraverso la virtù dello stile. Quella del lavoro di minuziosa documentazione è un'altra delle costanti di Flaubert, del suo modo di comporre un'opera letteraria: consultava libri di storia, di costume, di scienze naturali, si informava dettagliatamente presso amici specialisti e tecnici, faceva lui stesso delle esperienze (per la scena dell'avvelenamento di Emma in Madame Bovary aveva addirittura voluto gustare personalmente il sapore dell'arsenico!). E tutto questo non soltanto per dare una base reale ai sentimenti, o maggior verosimiglianza alle vicende dei suoi personaggi, oppure per ricostruire in maniera esatta l'ambiente, ma in modo particolare per dare il dovuto risalto alla complessità dell'animo umano e penetrare con maggiore sicurezza nelle sue pieghe più recondite. Salammbô, pubblicato nel 1862, venne accolto piuttosto tiepidamente dal pubblico. Flaubert si dedicò allora al rifacimento definitivo dell'Educazione sentimentale dove, nella storia di una giovinezza fiacca, sciupata in povere esperienze la cui sola luce è l'amore per la moglie di un editore di musica, amore rifiutato per calcoli meschini, riprende nel personaggio maschile il tema del bovarismo, ma con una intensità minore, anche se con un respiro più vasto. Egli volle infatti far rivivere il tempo della sua giovinezza, le speranze e le delusioni della generazione che aveva fatto la rivoluzione del '48. Anche quest'ultimo romanzo, pubblicato nel 1869, ebbe un successo mediocre e soltanto più tardi, quando ormai il naturalismo si era affermato con tutti i suoi motivi, venne pienamente riconosciuto nel suo valore, mentre gli scrittori della nuova tendenza letteraria lo consideravano il loro testo fondamentale affermando che tutto il romanzo contemporaneo usciva da lì, dalla descrizione obiettiva, impersonale, impassibile: uno specchio dell'anima umana, un quadro della vita. Nipote, figlio e fratello di medici, Flaubert ebbe innata la tendenza ad analizzare l'animo dei suoi personaggi fin nei più minuti particolari, nei gesti appena accennati, nei moti quasi impercettibili, nei desideri che emergono improvvisamente e inavvertitamente alla coscienza per ritornare poi nell'inconscio; tutto ciò gli valse, anche da parte dei più ferventi ammiratori, accuse di freddezza e di impassibilità. «Nessuno dei suoi personaggi - ebbe a dire Sainte-Beuve - è curato da lui con altro fine che per essere descritto con ogni precisione e ogni crudeltà; nessuno è stato risparmiato come si risparmia un amico; si è completamente astenuto; non è che per tutto vedere, tutto mostrare, tutto dire». Furono proprio questi aspetti che fecero del romantico Flaubert (il quale «aborriva» il realismo e con le sue opere si proponeva soltanto di «impietosire, far piangere le anime sensibili», fare l'«epopea di un filo d'erba») il padre della scuola realista. Nel 1874 pubblica l'ultima e definitiva versione de La tentazione di S. Antonio, che aveva sempre tenuto nel cassetto e rivisto più volte. La tematica dell'opera viene ampliata nel disegno e nelle implicazioni, ma lo scenario prestigioso, le visioni orribili e seducenti pesano negativamente sull'idea, che soltanto nella chiusa, di respiro lucreziano e spinoziano, si rivela in tutta la sua grandezza. Per il resto è un'abbagliante festa dello spirito. L'importanza che ebbe quest'opera per la successiva letteratura francese può essere paragonata a quella che ebbe il Faust di Goethe per la letteratura tedesca. Gli ultimi anni della vita di Flaubert sono travagliati dal suo stato precario di salute, dalla povertà cui è costretto per rimanere fedele all'ideale di un'arte pura e aliena da qualsiasi compromesso. Il marito di sua nipote si trova sull'orlo del fallimento economico e Flaubert si prodiga con ogni sua risorsa per venirgli in aiuto, e come ricompensa avrà soltanto ingratitudine. Inizia a scrivere Bouvard e Pécuchet, che non riuscirà a portare a termine. Per rispondere alle osservazioni di Georges Sand, che lo rimproverava di lavorare nella desolazione e di creare soltanto personaggi immancabilmente votati al fallimento, scrive i Tre racconti, dove, in uno stile che è il risultato più perfetto di tanti anni di studi e di esperienze ininterrotte, ripercorre le tappe fondamentali della sua opera letteraria. In Cuore semplice ripropone intorno alla stupenda figura della serva Felicita l'ambiente provinciale, borghese e meschino che aveva caratterizzato Madame Bovary; nella Leggenda di San Giuliano ospitaliere ritorna invece al clima della Tentazione con una freschezza quasi di gioco, con una perfezione e ricchezza di disegno da cattedrale gotica; in Erodiade infine riprende il gusto dell'evocazione storica alla Salammbô con una maggiore accentuazione dei toni drammatici. Il ritmo, il colore della lingua francese raggiungono in questi racconti la loro massima perfezione. Ma non è, il suo, estetismo, sterile gioco: si tratti di parole o di concetti, la vita (e l'immortalità) di un'opera d'arte può essere comunicata soltanto attraverso la perfezione della forma. Flaubert, per rimanere fedele e portare a realizzazione quella che ha per tutta la vita considerato la sua missione letteraria, completare cioè e purificare la rivoluzione romantica, ha combattuto la propria natura esuberante, il bisogno di gaiezza e di spontaneità, il piacere della farsa, il gusto per la grossa risata; ha rinunciato agli onori che la vita letteraria della capitale poteva offrirgli in abbondanza; ha castigato il proprio bisogno di amore e di affetto evitando anche la compagnia degli amici più cari: il nipote Guy de Maupassant, Du Champ, Bouilhet, Georges Sand, per raccogliersi in una casa di campagna, in mezzo all'ambiente provinciale che disprezzava e odiava. Lo stesso rigore che è presente nel suo assunto estetico caratterizza anche il modo di costruire i suoi romanzi, quasi si trattasse di opere matematiche, esatte, assolute. Metteva sulla carta certe parole essenziali, definiva brevemente situazioni sociali, condizione, carattere dei vari personaggi, e poi intorno a quegli elementi armonizzava, sovrapponendo, con tutta una serie di toni, i piccoli fatti significativi come un arazzo senza zone vuote: mai che si scorga il bianco della tela, con una perfezione di tessitura che sembra perfino eccessiva, quasi si sentisse che la perfezione dilacera fino all'ultimo filo il fitto velo di mistero che aleggia intorno alle romantiche figure delle sue eroine. Ne risulta una rigorosa nitidezza dei caratteri, una perfezione di montaggio (antefatto, storia, epilogo) e di ritmi da cui è bandita ogni incertezza, ogni colpo di scena, ogni capacità divinatoria. Ha lasciato una ricca raccolta di lettere che spediva con frequenza agli amiciamici di Parigi, lettere particolarmente interessanti, oltre che per la valutazione dei suoi proponimenti artistici, per la conoscenza dell'aspetto umano, che si svela senza reticenze. Quando morì, era ormai sfinito dal dolore e dal lavoro, ma negli ultimi anni della sua vita ebbe la consolazione di assistere al trionfo del suo prediletto nipote e discepolo Guy de Maupassant, che con Palla di sego si era imposto come una figura di primo piano nella letteratura francese contemporanea.

 

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