«Il coro nel dramma greco» di Raffaele Cantarella


Nel dramma greco, il coro è elemento fondamentale e insostituibile fin dalle origini. E' noto infatti che secondo la teoria di Aristotele, accettata, pur con riserve e modifiche, da molta parte della critica moderna, le forme drammatiche sarebbero nate in Grecia appunto dalla evoluzione del primitivo coro: il coro tragico dal coro del ditirambo sacro a Dioniso; il coro comico dagli esecutori dei canti fallici, celebrazione agreste dei riti della fecondità. Comunque sia di ciò, che rimane cosa molto discussa e discutibile, sta il fatto, significativo e importante, della presenza continua del coro sulla scena dal principio alla fine dell'opera drammatica; la sua importanza è documentata anche dai titoli di molte opere, tragiche e comiche, che prendono nome appunto dal coro: le Supplici e le Eumenidi di Eschilo; le Trachinie di Sofocle; le Troadi e le Baccanti di Euripide; i Cavalieri, gli Uccelli, le Rane di Aristofane; ecc. E' chiaro dunque che nel dramma il coro rappresenta la continuazione di antiche forme popolari e tradizionali, per lo più legate a un culto religioso: dalle quali si sarebbe staccato, quasi una proiezione di esse, un primo attore, in principio: poi un secondo e un terzo, fatto che rendeva possibile la nascita di un dialogo, prima fra il coro e l'attore, poi fra gli attori stessi. La consistenza numerica del coro era diversa nelle varie forme. Nella tragedia, fino a Eschilo, esso era costituito da 12 coreuti; Sofocle li portò a quindici, e tanti rimasero con Euripide. Il coro comico era composto di 24 membri; il coro del dramma satiresco come quello della tragedia arcaica. Quanto alla figurazione, essa era molto varia: nella tragedia, anziani della città o consiglieri del re, ancelle della protagonista (per lo più una regina), compagni dell'eroe, talvolta anche divinità (le Eumenidi; le Oceanidi del Prometeo di Eschilo). Nella commedia, figuravano rappresentanti di classi varie della città (contadini, giudici, cavalieri): ma il coro comico, continuando antiche tradizioni, poteva essere formato anche da animali (più o meno realisticamente travestiti: uccelli, rane, ecc.), e perfino da esseri fantastici (nuvole), il coro del dramma satiresco, invece, era costantemente e immutabilmente formato da satiri (creature mitiche e fantastiche della religiosità popolare: in forma umana, ma con attribuiti equini e caprini), i quali però, secondo le esigenze del dramma, avevano funzioni varie (cacciatori, pastori, pescatori ecc.). Per comprendere il valore e il significato del coro, bisogna anzitutto tener presente che il dramma greco, in tutte le sue forme, era rigorosamente schematizzato (con poche possibilità di variazioni e di iniziative personali da parte del poeta) in una successione alterna di parti musicali, cantate a danzate dal coro con accompagnamento di cetra o di flauto, e di parti recitate costituenti il dialogo fra gli attori. Il coro, quindi, rappresentava l'elemento lirico-musicale: ed è da ricordare che in Grecia, almeno nell'epoca classica (secolo V a.C.), il poeta era non soltanto l'autore della parte propriamente drammatica, cioè del testo verbale, ma anche il compositore della musica, il creatore delle figure di danza; spesso anche, soprattutto nel periodo più antico, era attore e regista dello spettacolo. Onde il dramma antico, nell'ispirazione come nell'esecuzione teatrale, presenta una fusione organica di tutti questi elementi nell'opera della molteplice e pur armonica personalità del creatore. Della quale questi elementi vari - che noi moderni, per lunga abitudine, siamo portati a considerare come autonomi e spesso discordi - sono soltanto gli aspetti, intimamente fusi e perfettamente armonizzati in una creazione artistica unitaria. In questa sintesi, dunque, il coro rappresenta, accanto al dramma vero e proprio, didialogato e recitato dagli attori, il momento della fusione lirica più propriamente poetica, nella quale la parola, per esprimere sensibilmente un pathos più concitato e vibrante, chiede aiuto alla musica e alla danza, cioè alle forme primigenie del ritmo. Onde molto spesso - specialmente in Eschilo e in Sofocle - i canti corali sono come la trasfigurazione poetica del momento drammatico, sentito con maggiore intensità in una più commossa espressione, l'interpretazione lirica dei sentimenti del personaggio. Che, per essere affidata al coro, amplia la vicenda tragica, con una risonanza più vasta, a valore assoluto, oltre l'individuo. Poi - con un processo parallelo nella tragedia e nella commedia, e quasi contemporaneo - il valore drammatico del coro si viene svuotando: il contenuto poetico si stacca dal fatto scenico al quale diventa quasi estraneo e indifferente, esprimendosi in forme tradizionali e obbligatorie nelle quali la parola tende a diventare quasi un pretesto alla musica (a diventare «libretto», potremmo dire), ovvero in concetti genericamente sentenziosi e moraleggianti, ovvero ancora in esemplificazioni mitiche più o meno pertinenti.

 

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