«L'era di Coppi» di Rino Negri
Non era ancora scoppiata la seconda guerra mondiale quando venne alla ribalta Gino Bartali. Toscano di Ponte a Ema, già lunatico da ragazzo, Bartali si affermò subito fino a far dire a Learco Guerra: «E' questo il campione che dominerà la scena ciclistica internazionale per molti anni». Bartali era stato giudicato in un primo tempo inabile al servizio militare per «vizio cardiaco» ma gli specialisti di medicina sportiva affermarono alcuni anni dopo che il fiorentino aveva il «cuore dell'atleta», dunque un cuore sano e non malato anche se all'esame elettrocardiografico rivelava tracce insolite. Il ciclismo aveva scoperto il cambio di velocità, grazie al quale i corridori facevano a meno di scendere dalla bicicletta per mettere la catena su di una corona diversa della ruota libera. Bastava difatti azionare una leva per inserire la catena sul rapporto differenziato per la salita, la pianura o la volata. Le grandi prove a tappe non erano considerate perfette se non presentavano frazioni in alta montagna, che dovevano essere massacranti. Erano state intanto ideate le prime corse a cronometro subito definite «prove della verità» perché il corridore doveva impegnarsi allo spasimo contro il tempo che trascorreva inesorabile. In Italia venivano ormai considerati «fuoriclasse» solo quei ciclisti che riuscivano ad affermarsi all'estero. Il Tour de France esercitava un fascino particolare su tutti, forse perché il solo italiano che aveva vinto la corsa dei «giganti della strada» era stato Ottavio Bottecchia. Dove erano falliti gli altri «grandi» doveva far centro proprio Gino Bartali. In Italia, il fascismo aveva una notevole influenza sull'attività sportiva. Mussolini non nascondeva che un successo sportivo di risonanza internazionale avrebbe assunto un'importanza notevole agli effetti propagandistici e l'ordine era di «cercare la vittoria ad ogni costo». Vinti i Giri d'Italia del 1936 e del 1937, Bartali venne letteralmente «mobilitato» per il Tour del 1938. Il ragionamento fatto dai tecnici in camicia nera aveva finito per convincere lo stesso fiorentino: «Se nel 1937 non hai vinto perché sei finito in un torrente e sei stato costretto al ritiro, mentre stavi dominando, perché non dovresti vincere nel 1938 evitando di affaticarti al Giro d'Italia?». Diretto da Costante Girardengo, Bartali vinse quel Tour de France e gli vennero riservati gli onori del conquistatore. Quando dieci anni più tardi, guidato da Alfredo Binda, Bartali trionfò al Tour per la seconda volta, si disse che il lunatico asso toscano nel 1936 aveva vinto per Mussolini e nel 1948 per De Gasperi, leader democristiano, perché la notizia della conquista della maglia gialla sulle Alpi giunse il giorno stesso in cui avvenne l'attentato a Togliatti, leader comunista. L'Italia era in subbuglio e l'affermazione del più popolare ciclista italiano non solo placò gii animi ma sollevò una vera e propria ondata di entusiasmo. La «rivoluzione» era rimandata... L'anti-Bartali spuntò proprio nelle file della medesima formazione del toscano. Professionista all'inizio del 1940, Fausto Coppi vinse il Giro d'ltalia anni più tardi, diventò «il campionissimo» dopo la guerra, quando vinse due volte (1949-1952) sia il Giro d'Italia che il Tour de France nella medesima stagione. Coppi e Bartali finirono per dividere l'Italia sportiva in due. I loro sostenitori si resero protagonisti di episodi dei quali si occuparono i giornali di tutto il mondo, facendo in più occasioni passare in seconda linea avvenimenti politici, culturali e artistici. L'epoca di Coppi fu senz'altro una delle più importanti, se non la più importante, di tutta la storia di tre quarti di secolo di ciclismo. La qualità media dei ciclisti di maggior spicco fu difatti molto alta. Rispetto a Merckx, ad esempio, Coppi fu costretto a battersi contro avversari di valore superiore. Bastano i nomi di Bartali, Van Steenbergen (belga), Koblet (svizzero), Kübler (svizzero), Bobet (francese), Ockers (belga), Magni a sintetizzare un'epoca nel corso della quale emergere era estremamente difficile. Coppi diventò un campione leggendario non tanto perché vinse 118 corse su strada e 64 prove d'inseguimento, quanto perché molte di queste gare riuscì ad aggiudicarsele dopo che gli osservatori e gli stessi spettatori l'avevano dato per battuto. Collezionò 58 vittorie per distacco percorrendo tremila chilometri in solitudine. Le classiche che si aggiudicò portando a termine le fughe più lunghe furono: Giro della Toscana 1941 (Km 60), Tre Valli Varesine 1941 (Km 61), Milano-San Remo 1946 (Km 147), Giro del Veneto 1947 (Km 170), Giro dell'Emilia 1947 (Km 155), Giro di Lombardia 1948 (Km 64), Giro di Romagna 1949 (Km 90), Giro del Veneto 1949 (Km 122), Freccia Vallona 1950 (Km 80), Giro della Campania 1956 (Km 60), Giro dell'Appennino 1955 (Km 70). Memorabili furono le fughe di Coppi in alcune tappe del Giro d'Italia e del Tour de France. Giro: Firenze-Modena 1940 (Km 100), Auronzo-Bolzano 1946 (Km 153), Pieve di Cadore-Trento 1947 (Km 150), Cortina d'Ampezzo-Trento 1948 (Km 146), Bassano del Grappa-Bolzano 1949 (Km 125), Cuneo-Pinerolo 1949 (Km 192), Venezia-Bolzano 1952 (Km 80). Tour: Briançon-Aosta 1949 (Km 50), Gap-Briançon 1951 (Km 125), Le Bourg d'Oisang-Sestriere 1952 (Km 72). Queste imprese destarono grande impressione in tutto il mondo. Quotidiani e settimanali politici, d'informazione, femminili, culturali trovarono agganci per parlare di Coppi, «il campionissimo» che nella carriera da professionista portò a termine 666 corse su strada (dalla Milano-Sanremo del 1940 al circuito di Uaga Dogu, nell'Alto Volta, del 13 dicembre 1959). Quando Coppi cessò di vivere (2 gennaio 1960) per terzana maligna contratta nell'Alto Volta, dove si era recato con altri campioni per manifestazioni di propaganda, furono numerosi gli esperti, in Italia e fuori, ad affermare che il ciclismo non avrebbe mai più avuto un altro fuoriclasse di tale statura. E soltanto dieci anni più tardi s'incominciò a parlare di Eddy Merckx, belga, come di un fuoriclasse in grado di far dimenticare Coppi, se non dal punto di vista tecnico, dal punto di vista statistico. In effetti, fu così. Professionista nell'aprile del 1965, Merckx totalizzò 383 vittorie in tredici anni di attività su strada nella massima categoria. Un numero impressionante, anche se si deve sottolineare che molte di queste affermazioni hanno un valore relativo perché ottenute in kermesses o microtappe (anche prologhi) la cui importanza non può essere paragonata ad esempio a quella di un match d'inseguimento o di una prova cronometrata su pista. Più che il numero, dunque, a portare Merckx sul trono furono queste serie: 7 Milano-San Remo, 5 Tours de France, 5 Giri d'Italia, 5 Liegi-Bastogne-Liegi, 4 Giri di Sardegna, 3 Campionati del mondo, 3 Parigi-Roubaix, 3 Frecce Vallone, 3 Gand-Wevelgem, 3 Parigi-Nizza, 3 Trofei Baracchi, alle quali va aggiunto uno stupendo primato mondiale dell'ora a Città di Messico (Km 49,431). Fra il regno di Coppi e quello di Merckx furono molti i campioni che ebbero periodi di splendore, ma nessuno riuscì a passare alla storia come ciclista capace di vincere qualsiasi tipo di corsa, anche se il numero dei loro successi entusiasmò i cultori delle statistiche. E' il caso di Van Looy e Anquetil. Se il belga si impose come cacciatore di classiche di un giorno, il francese dettò legge nelle corse a cronometro e in quelle a tappe in virtù delle sue qualità eccezionali di passista che riusciva a limitare i danni in salita. Meritano la citazione per quello che seppero fare nelle corse in linea, in quelle a tappe e in quelle contro il tempo: Magni, Petrucci, Nencini, Defilippis, Baldini, Adorni, Dancelli, Bitossi, Basso, Motta italiani; Van Steenbergen, Ockers, Schotte, De Bruyne, Derycke belgi; Simpson inglese; Altig tedesco occidentale; Poblet, Bahamontes spagnoli; Gaul lussemburghese; Bobet, Darrigade, Poulidor francesi; Janssen, De Roo olandesi; Kübler, Koblet svizzeri. Un solo anti-Merckx durò a lungo come tale e fu Felice Gimondi. Professionista all'inizio del 1965, dopo essersi aggiudicato il Tour dell'Avvenire, il bergamasco vinse tra l'altro 3 Giri d'Italia, 3 Giri di Lombardia, 2 Trofei Baracchi, un Tour de France, un campionato del mondo, una Milano-Sanremo, una Parigi-Bruxelles, un Giro di Spagna, un Giro di Romandia. Uno stato di servizio che consentì a Gimondi di raggiungere uno dei primi posti nella classifica assoluta dei fuoriclasse di tutti i tempi. Dopo d'allora, il ciclismo è stato Maertens (belga), Moser (Italia), De Vlaeminck (belga), Thévenet (Francia), Saronni (Italia), Hinault (Francia), Thurau (Germania), Kuiper (Olanda), ecc. ecc. Un ciclismo destinato a rinnovarsi con maggiore frequenza rispetto al passato, perché è un ciclismo che consuma di più a causa di un calendario che non concede respiro. Un calendario che obbliga moralmente gli stradisti di fama a essere protagonisti anche su pista, senza lamentarsi mai.
