Scienza che studia le lingue nella loro struttura, nei loro rapporti e nel loro
incessante mutarsi e formarsi. A seconda del metodo usato nello studio possiamo
distinguere: una l. descrittiva (o l. sincronica), consistente in
una indagine scientifica di una lingua in un determinato momento storico; una
l. storica (o l. diacronica), che studia le evoluzioni nel tempo
di una lingua; comprende la l. comparata, che si occupa di ricostruire
fasi non documentate di una lingua; la l. generale, che indaga sui
fenomeni linguistici manifestantisi in lingue diverse e compie una sintesi tra
lo studio generale di un dialetto o di una lingua presi in un determinato
momento della loro evoluzione e lo studio dei mutamenti che una lingua o un
dialetto hanno subito nel corso della loro evoluzione. Esistono inoltre una
l. geografica, che studia lo svolgersi dei fenomeni linguistici nello
spazio; una psicolinguistica che studia l'aspetto psicologico
dell'attività linguistica e una sociolinguistica, che analizza i
rapporti tra società e lingua. Con il termine glottologia, spesso
utilizzato come sinonimo di l., si intende invece la sola l.
comparativa che studia, sincronicamente o diacronicamente, i rapporti di
parentela tra i vari dialetti, lingue o gruppi linguistici. In tempi molto
recenti si sono adottati due nuovi metodi di studio che si completano a vicenda:
la l. funzionale, che studia gli elementi di una lingua tenendo conto
della loro funzione essenziale nel complesso della lingua, e la l.
strutturale che considera in ogni lingua la posizione occupata dai vari
elementi sia dal punto di vista fonetico che sintattico, morfologico e
lessicale. Già nel XVII sec. si possono riscontrare tentativi di uno
studio sistematico e scientifico delle lingue come quello di Leibniz, ma solo
dagli inizi del XIX sec. si può considerare la l. una scienza vera
e propria. Ai fratelli Schlegel si deve la classificazione delle lingue in tre
gruppi: quelle senza struttura grammaticale, le agglutinanti e le flessive. In
questo secolo, con la rivalutazione della storia, si è affermato anche il
principio dell'evoluzione delle lingue. È stato R.K. Rask che per primo
ha introdotto il metodo comparativo nello studio delle lingue, e dopo di lui F.
Bopp, con un'approfondita analisi degli elementi strutturali, ha costituito una
grammatica comparata delle lingue indoeuropee. A. Schleicher, basandosi sulle
teorie evoluzionistiche del darwinismo, ha tentato, applicando alle lingue il
metodo delle scienze naturali, di risalire a una preistorica, e quanto mai
ipotetica, lingua madre formulando l'intero processo di derivazione delle lingue
secondo lo schema di un albero genealogico. A questa tesi si è
contrapposta quella di J. Schmidt, che ha spiegato i rapporti di parentela tra
le lingue come il prodotto di una progressiva integrazione avvenuta in seguito
alla diffusione in lingue diverse di innovazioni simili (teoria delle onde).
Entrambe le teorie furono contestate dagli studiosi di lingue viventi, i quali
invece sostenevano che le differenziazioni sorgevano come fatti linguistici
individuali causati da fenomeni psicologici e storici. Tra questi studiosi
particolare importanza meritano gli italiani Bartoli e Vittore Pisani e la
Scuola linguistica di Praga. Una svolta decisiva nelle teorie linguistiche fu
rappresentata dall'opera di F. de Saussure, secondo cui una scienza del
linguaggio deve partire dallo studio del funzionamento della lingua e non da
quello della sua evoluzione; la l. descrittiva, o sincronica, assunse
così un ruolo primario rispetto alla l. storica, o diacronica.
Saussure distinse anche tra un sistema linguistico astratto, esistente al di
fuori dell'individuo, la langue, e un linguaggio personale, proprio del
singolo, la parole. Da lui prese le mosse il circolo linguistico di Praga
(in cui si formarono R. Jakobson, A. Martinet e N.S. Trubetzkoj) che
approfondì l'aspetto funzionale del linguaggio. In particolare grazie a
Trubetzkoj, che si occupò della funzione fonetica, definendo
fonema l'unità significativa minima di un suono, e a Jakobson, che
studiò le funzioni comunicative del linguaggio, distinguendole in
referenziale, emotiva, conativa, metalinguistica, fatica e poetica, si
elaborò la teoria di una nuova disciplina che fu chiamata
fonologia o fonematica. Si veniva così delineando il
concetto che il linguaggio non imprigiona il pensiero e che, in un sistema di
comunicazione, emittente e destinatario possono attribuire a ogni parola, intesa
come significante, un vasto ambito di significati non necessariamente
coincidenti. L. Bloomfield cercò pertanto di studiare le modalità
con cui il soggetto, in quanto emittente, costruisce i messaggi per comunicarli
e come, in quanto destinatario, li ricostruisce per comprenderli. Nacque
così lo Strutturalismo che si occupò di analizzare il modo
in cui il linguaggio si costruisce. Ad esso si contrapposero gli studi di N.
Chomsky che, a partire dagli anni '50, propose nuovi modelli di studio della
lingua. Con il suo modello generativo egli cercò di spiegare come
il bambino che non ha precedentemente ascoltato tutte le frasi che usa, sia
comunque in grado di produrre e comprendere l'infinità di frasi della sua
lingua. Dalle dottrine strutturaliste sono derivati metodi di descrizione
linguistica molto tecnici quali la glossematica e lo strutturalismo
americano.